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ISRAELE. La salma del giovane avvocato oggi in Italia. La famiglia di Abu Jaber si mette a disposizione degli inquirenti e insiste: «È stato un malore». Su Twitter il primo ministro israeliano accusa i palestinesi di festeggiare. Ma non mostra prove

 Fiori e candele vicino alla foto di Alessandro Parini nel punto in cui è stato ucciso - Ap/Oded Balilty

Arriverà oggi a Roma, all’aeroporto di Ciampino, la salma del giovane avvocato romano Alessandro Parini, investito e ucciso lo scorso venerdì sera a Tel Aviv da Yousef Abu Jaber, palestinese cittadino israeliano di 45 anni. Il rimpatrio sarà effettuato con un volo di stato, l’atterraggio è previsto intorno alle 14.

Nelle stesse ore, i compagni di viaggio del 35enne saranno sentiti dai carabinieri del Ros. A indagare sulla sua morte e sul ferimento di altri due italiani è la Procura di Roma. Tra loro il 38enne Roberto Nicoli, residente a Bergamo, tuttora in Israele: è stato operato a Tel Aviv, non è grave, ma non sarà dimesso prima di qualche giorno.

DOMENICA, INTANTO, sono arrivati i risultati dell’autopsia compiuta dall’Istituto di medicina forense della capitale israeliana sul corpo di Parini: nessuna delle ferite riportate dal giovane sono imputabili a colpi di arma da fuoco, come inizialmente avanzato da alcuni media israeliani e italiani.

Abu Jaber non ha sparato contro Parini e il gruppo di turisti falciati dall’auto lanciata ad alta velocità, una versione nata dalle prime testimonianze degli agenti sul posto, secondo cui il palestinese «ha preso un oggetto simile a un’arma che si trovava accanto a lui». L’unica “arma” trovata nell’auto era una pistola giocattolo.

Né avrebbero aperto il fuoco i poliziotti, come altre fonti avevano sollevato sulla stampa israeliana. Ovvero che eventuali proiettili – quelli con cui gli agenti hanno abbattuto Abu Jaber disteso a terra – avrebbero colpito anche Parini.

AD APRIRE IL FASCICOLO di indagine per attentato con finalità di terrorismo e lesioni sono stati i pm di Piazzale Clodio, coordinati da Michele Prestipino. Perché di dubbi ne restano pochi: quello di Abu Jaber sarebbe stato un atto intenzionale, non un incidente come ipotizzato – o almeno non scartato – dalla polizia israeliana. Lo confermerebbero velocità e traiettoria dell’auto, catturata da una telecamera di sicurezza, e gli esiti preliminari dell’autopsia in corso sul corpo di Yousef Abu Jaber.

Secondo i medici non avrebbe avuto un ictus. Ipotesi su cui la famiglia del 45enne insiste, parlando di colpo di sonno o di malore, a loro avviso le uniche possibili spiegazioni all’accaduto. Gli Abu Jaber – che si sono messi a disposizione degli investigatori italiani – chiedono di poter vedere le immagini di tutte le telecamere di sicurezza, comprese le bodycam degli agenti, ma la polizia ha finora rifiutato di renderle pubbliche.

Abu Jaber non faceva parte di gruppi politici né aveva manifestato opinioni tali da far maturare l’idea di un attentato. Posizione che la famiglia in qualche modo condivide con gli investigatori israeliani che confermano l’assenza di comportamenti sospetti.

DI PIÙ se ne sarebbe potuto sapere se non fosse stato giustiziato sul posto dalla polizia. «Gli agenti che gli hanno sparato hanno assunto il ruolo di giudice ed esecutore, lo hanno processato lì in mezzo al prato», ha detto il fratello Omar. È la pratica dello shoot to kill, ampiamente criticata dalle organizzazioni internazionali per i diritti umani ma che resta la più ricorrente verso i palestinesi, attentatori veri e presunti.

Come ricorrente è la narrazione politica che viene fatta. Ultimo esempio è il video pubblicato su Twitter dal primo ministro israeliano Netanyahu: foto in loop di combattenti a volto coperto che distribuiscono dolciumi in Cisgiordania per – scrive il premier – «celebrare l’uccisione di Alessandro Parini. Diffondete la verità».

UNA “VERITÀ” ripresa da politici italiani, dal leader della Lega e ministro dei trasporti Salvini («Estremisti islamici celebrano la morte di Alessandro Parini con dolciumi e pasticcini») al capogruppo alla Camera di Forza Italia Mulè («Le immagini della distribuzione di dolci ai passanti da parte di gruppi armati palestinesi, per celebrare l’uccisione di Alessandro Parini, è una scena raccapricciante»).

Nel post però Netanyahu non cita le fonti dei contenuti né le date delle immagini diffuse (quando e dove siano state scattate né cosa rappresentino), un’assenza evidenziata da centinaia di commenti in coda al post, in grande maggioranza lasciati da cittadini israeliani

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Il presidente francese consegna a “Les Echos” il suo appello a costruire l’autonomia strategica dell’Ue, anche in campo militare: «L’economia di guerra europea deve accelerare»

 Foto: EPA/Ng Han Guan / POOL

«Per troppo tempo l’Europa non ha costruito l’autonomia strategica. È questa la battaglia del nostro tempo». È un Emmanuel Macron nuovamente in modalità “visionaria” quello di rientro dalla Cina, dove ha concluso una visita di tre giorni – in parte accompagnato dalla presidente della Commissione Ursula von der Leyen – all’insegna degli accordi commerciali ma anche del lavorio diplomatico per riaprire una via diplomatica al fondo del conflitto tra Russia e Ucraina. «Penso che la Cina condivida la nostra stessa constatazione, ossia che oggi è il tempo della guerra», afferma il capo dell’Eliseo in un’intervista al quotidiano francese Les Echos. «Gli ucraini resistono e noi li aiutiamo. Questo non è il tempo dei negoziati, anche se li si prepara e bisogna piantarne le fondamenta», è il senso della constatazione “condivisa” da Francia e Cina, per lo meno secondo Macron. Ma in un’epoca di tensione e rischi geopolitici crescenti, Macron è preoccupato anche dallo scenario più ampio in cui rischiano di restare stritolati i Paesi europei. «Il colmo per l’Europa sarebbe che proprio nel momento in cui riesce a chiarire la sua posizione strategica, finisca preda del disordine mondiale e di crisi non nostre», ammonisce il presidente francese, che mette in guardia contro il rischio che i Paesi europei diventino «vassalli» di altre potenze globali. No, quindi alla «logica dei blocchi contrapposti».

La terza via di Macron per l’Ue

Gli “elefanti nella stanza” dell’Europa sono ovviamente due: la Cina, certo, ma anche gli Stati Uniti – con i quali molti valori e obiettivi possono coincidere, ma gli interessi strategici di lungo periodo non necessariamente, lascia intendere Macron nella conversazione col quotidiano economico francese. «Noi europei dobbiamo svegliarci», richiama il presidente francese. «La nostra priorità non è quella di adattarci all’agenda degli altri in qualsiasi regione del mondo». Al contrario, la sfida è quella di aprire una “terza via”. «Se c’è un’accelerazione della deflagrazione del duopolio, non avremo né il tempo né i mezzi per finanziare la nostra autonomia strategica e diventeremo dei vassalli. Se abbiamo qualche anno per costruirlo, possiamo invece essere il Terzo polo» dell’ordine mondiale.

Fuor di metafora, Macron lascia intendere che gli europei non dovrebbero seguire gli Usa o altri attori del Pacifico nell’approccio duro al dossier-Taiwan, rischiando di fatto di avvicinare un nuovo conflitto. «La questione che abbiamo di fronte noi europei è la seguente: abbiamo interesse a un’accelerazione su Taiwan?». Risposta chiara: no, sostiene il capo dell’Eliseo. «La cosa peggiore sarebbe pensare che dobbiamo metterci in scia e adattarci al ritmo americano e a un’over-reazione cinese. Perché dovremmo andare al ritmo scelto dagli altri?», chiede Macron, secondo il quale il rischio in tal caso sarebbe quello di una «strategia autorealizzatrice» di un nuovo conflitto.

Autonomia strategica e investimenti militari

Per Macron la «battaglia dell’Europa» deve tornare a essere quella dell’autonomia strategica, dunque. Concetto caro al presidente francese, che lanciò l’idea della “sovranità europea” in campo industriale e tecnologico, ma anche militare, fin dall’inizio del suo primo mandato. «Dal discorso della Sorbona abbiamo vinto quella battaglia sul piano ideologico: abbiamo instillato l’idea di una difesa europea, di un’Europa unita che emette debito insieme, e ci siamo dotati di strumenti di difesa e di politica industriale», rivendica Macron. Ma la strada non per tutti è tracciata chiaramente, e il capo dell’Eliseo sente il bisogno di fare un nuovo appello. «Non vogliamo dipendere dagli altri per le materie critiche. Il girono in cui non avremo più scelta sull’energia, sulla difesa o sull’intelligenza artificiale perché non abbiamo più le infrastrutture necessarie, usciremo temporaneamente dalla Storia», ammonisce Macron.

La maturazione dell’Ue dunque passa per scelte e investimenti urgenti e assai concreti, per l’Eliseo. Comprese le spese militari, per sostenere l’Ucraina, ma non solo. «Abbiamo creato un fondo europeo per missili e munizioni con una dotazione di 2 miliardi di euro», ricorda Macron, ma non è sufficiente. «È chiaro che abbiamo bisogno di un’industria europea che produca più rapidamente. Abbiamo saturato le nostre scorte. Se la storia accelera, serve in parallelo che acceleri l’economia di guerra europea», sprona Macron. La cui ultima stoccata di rientro dal Pechino è riservata ancora agli Usa, ma su un piano prettamente finanziario: «Non dobbiamo dipendere dall’extraterritorialità del dollaro». Parole che suonano come musica alle orecchie di chi ai quattro angoli del pianeta contesta la superpotenza americana.

 

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LE TESTIMONIANZE. Nella città da cui proveniva l'uomo alla guida dell'auto-killer. Gli hanno sparato malgrado fosse disarmato, la sua versione dei fatti non si saprà mai

Dolore e incredulità a Kufr Qassem: «Yusef non ha il profilo dell’attentatore» Il memorial di Kufr Qassem che ricorda la strage del 1956

«Siamo addolorati, immensamente. A nome di tutta Kufr Qassem faccio le mie più sincere condoglianze alla famiglia di Alessandro Parini e a tutta l’Italia, un paese che amiamo». Saed Isa, capo del comitato popolare di Kufr Qassem, accetta subito di rispondere alle nostre domande.

«PER ME È UNA BUONA OCCASIONE per provare a ragionare su quanto è accaduto perché questa è una tragedia immensa per la famiglia di Alessandro e anche per la nostra città» ci dice sottolineando che è opinione di tutti a Kufr Qassem che quello di Tel Aviv sia stato in realtà un incidente e non un attentato.

«Lo crediamo perché conoscevano Yusef Abu Jaber e non ha il profilo dell’attentatore» spiega Isa «era sposato, con sei figlie, lavorava da tempo assieme alla moglie come bidello in una scuola media di Tel Aviv e nel pomeriggio si occupava del suo negozio. Non si occupava di politica, non era particolarmente religioso e aveva amici e conoscenti ebrei. Anche alcuni di loro hanno scritto sui social che non ritengono possibile che Yusef possa aver fatto una cosa tanto orribile contro persone innocenti». Isa ci ricorda che Abu Jaber non era armato e che pur non rappresentando un pericolo è stato ucciso sul posto dalla polizia. Quindi non c’è stato modo di ascoltare la sua versione dell’accaduto.

Intervistato dal portale d’informazione Ynet, anche Omar Abu Jaber, fratello di Yusef, ha parlato di un incidente. «Per quattro giorni e per quattro notti Yusef non aveva dormito. Può darsi si sia addormentato e abbia perso il controllo dell’automobile», ha detto sostenendo che dalle immagini diffuse sui social ha avuto l’impressione che suo fratello abbia cercato di scansare i passanti. Il resto della famiglia spiega la presenza di Abu Jaber venerdì sera a Tel Aviv con l’acquisto di attrezzi di lavoro.
REGNA L’INCREDULITÀ a Kufr Qassem, cittadina di 25mila abitanti nella parte meridionale del Triangolo la cui storia recente è legata alla vicenda politica dello sceicco Abdallah Nemr Darshish, fondatore del movimento islamico in Israele, morto qualche anno fa. Dopo un passato con posizioni radicali e alcuni anni di detenzione, Darwish divenne un sostenitore della non violenza e un teorico del riconoscimento dello Stato ebraico da parte dei musulmani. Diede poi vita alla corrente meridionale moderata del movimento islamico in contrapposizione con quella del nord guidata da Raed Salah, vicina alle posizioni del movimento islamico Hamas.

Più tragica è la storia di oltre 60 anni fa di Kufr Qassem, in cui avvenne un massacro di palestinesi il 29 ottobre 1956. Fu compiuto dalla guardia di frontiera israeliana che uccise decine di lavoratori e i loro famigliari che tornavano a casa durante un coprifuoco di cui non erano a conoscenza.

Il provvedimento era stato imposto per l’invasione israeliana del Sinai, durante la crisi del canale di Suez. Dopo la fondazione di Israele e fino al 1966 i cittadini arabi sono stati soggetti a un governo militare e controllati costantemente da forze di sicurezza che li consideravano ostili. Così quando i militari videro in strada decine di persone, durante il coprifuoco, spararono ad altezza d’uomo.
FURONO UCCISI 48 PALESTINESI di cui 19 uomini, 6 donne e 23 bambini e ragazzi tra gli 8 e i 17 anni. I responsabili del massacro furono processati e condannati ma dopo pochi mesi tutti vennero graziati e rilasciati. Nel dicembre 2007, l’allora presidente di Israele, Shimon Peres si è formalmente scusato per quelle uccisioni. Ma nell’ottobre 2021, un disegno di legge della Lista araba unita per il riconoscimento ufficiale del massacro è stato respinto dalla Knesset.

Curiosamente proprio a Kufr Qassem è stata girata gran parte della prima stagione della famigerata serie tv Fauda, sulle azioni sanguinose di una unità antiterrorismo israeliana

 

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ISRAELE/TERRITORI OCCUPATI. Alessandro Parini, 36 anni, avvocato, è stato travolto intenzionalmente da un palestinese dei Territori occupati alla guida di un auto rubata. Le due israeliane uccise in Cisgiordania. Netanyahu: colpiremo i responsabili.

Un italiano ucciso a Tel Aviv, due sorelle israeliane colpite a morte in Cisgiordania Lo svincolo di Hamra nella Valle del Giordano dove ieri sono state uccise le due sorelle - Ap

Tre battaglioni dell’esercito in più in Cisgiordania – a Hebron, Ramallah e Betlemme – e il richiamo di riservisti inquadrati nella difesa antiaerea e nell’aviazione, tra cui piloti da combattimento e di droni. Sono questi gli ordini dati ieri dal capo di stato maggiore Herzi Halevi al termine di una notte di intensi bombardamenti dell’aviazione israeliana sulla Striscia di Gaza dove hanno provocato oltre a danni anche qualche ferito, secondo fonti locali. Bombe anche nei pressi del campo profughi di Rashidiye (Tiro), in Libano del sud. Una accelerazione verso l’escalation militare conseguenza delle forti tensioni causate dalle cariche e dai pestaggi della polizia israeliana ai fedeli sulla Spianata delle moschee di Gerusalemme. E dall’attacco armato palestinese nella Valle del Giordano in cui ieri sono rimaste uccise due sorelle di 15 e 20 anni – residenti nell’insediamento coloniale ebraico di Efrat, a sud di Betlemme – e ferita la madre. Ieri sera un turista italiano di 36 anni, Alessandro Parini, avvocato a Roma,  è stato ucciso e altri sette turisti sono stati feriti a Tel Aviv da un’auto che li ha travolti intenzionalmente. L’attentatore, un palestinese dei Territori occupati che ha usato i documenti di un’altra persona per entrare in Israele, è stato ucciso dalla polizia. Tra i feriti ci sarebbe un altro italiano.  Sono 17 gli israeliani uccisi dall’inizio dell’anno, almeno 94 i palestinesi in buona parte colpiti in raid dell’esercito israeliano in città, villaggi e campi profughi della Cisgiordania.

Stando a una ricostruzione dell’attacco nei pressi dello svincolo di Hamra, le due sorelle viaggiavano su di un’auto assieme alla madre, precedute a breve distanza dal padre a bordo di un’altra autovettura. Gli autori dell’attacco, pare due, erano in attesa in un’auto ferma al lato della strada. Ad un certo punto, come mostra un video di una telecamera di sorveglianza, hanno tagliato la strada alle tre donne e sparato 22 colpi a distanza ravvicinata, probabilmente con un kalashnikov. Poi si sono allontanati indisturbati: nella zona non erano presenti forze militari. Si ritiene che l’agguato sia stato opera di militanti del movimento Hamas che, spiegano gli analisti palestinesi, ha accresciuto negli ultimi due anni la presenza di cellule armate in Cisgiordania. Gli israeliani pensano che dietro le uccisioni ci sia Saleh Aruri, il leader di Hamas all’estero che forse ha pianificato anche i lanci di razzi di due giorni fa dal Libano verso Israele.

Le uccisioni delle due sorelle hanno generato sdegno e condanne da più parti, anche internazionali, e gettato nel caos la maggioranza di destra guidata da Benyamin Netanyahu. I ministri più estremisti, Itamar Ben Gvir (Potere ebraico) e Bezalel Smotrich (Sionismo religioso), hanno minacciato di rassegnare le dimissioni per le «politiche insufficienti» in Cisgiordania e Gaza da parte di un governo che, nella loro visione, è nato per annullare in un modo o nell’altro le rivendicazioni politiche e territoriali dei palestinesi sotto occupazione. Deputati del Likud, il partito di Netanyahu, e di altri partiti della maggioranza, assieme a uno dei capi dei coloni, Yossi Dagan, hanno invocato offensive militari e l’annessione di tutta la Cisgiordania a Israele, anche sfidando l’opposizione dell’Amministrazione Biden. Invettive sono state rivolte all’87enne presidente palestinese Abu Mazen.  «Le nostre forze sono impegnate nella caccia ai terroristi. È solo questione di tempo e noi salderemo il conto così come abbiamo fatto con gli altri assassini, nessuno escluso, negli ultimi mesi», ha dichiarato Netanyahu sul luogo dell’attacco, anche con l’intento di placare le fibrillazioni nel governo. A «saldare il conto» ieri ci hanno provato i coloni israeliani bloccando strade ed incroci e fermando auto palestinesi con intenti minacciosi.

Sullo sfondo di un’altra giornata densa e drammatica c’è la notte di giovedì, segnata dall’offensiva aerea israeliana contro Gaza annunciata da Netanyahu. «Colpiremo i nostri nemici, pagheranno un prezzo per ogni loro azione», aveva avvertito. Sono stati presi di mira, secondo il comunicato di un portavoce militare, dieci obiettivi tra strutture, depositi di armi e gallerie sotterranee di Hamas che i comandi israeliani ritengono responsabile anche del lancio dei razzi dal Libano avvenuto, sostengono, con il via libera del movimento sciita Hezbollah. Il ministero della salute palestinese ha denunciato che i raid aerei hanno causato danni all’ospedale pediatrico Al-Dorra. E diverse famiglie hanno postato le foto delle loro abitazioni devastate dalle esplosioni di missili e bombe avvenute a pochi metri. Da Gaza hanno risposto lanciando decine di razzi verso il territorio meridionale israeliano, molti dei quali sono stati intercettati. Un israeliano è rimasto ferito lievemente in un edificio di Sderot centrato in pieno. Colpite nelle stesse ore presunte strutture di Hamas in Libano del sud. Ieri all’alba la polizia israeliana è di nuovo entrata con decine di agenti nella Spianata di Al Aqsa dove ha caricato i fedeli, alcuni dei quali dopo la preghiera avevano scandito slogan in sostegno di Hamas

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INTERVISTA. L’inchiesta di «Altraeconomia». Parla Riccardo Magi, segretario di +Europa. «In mancanza di consenso informato firmato, si configura anche un reato penale a carico di chi somministra i farmaci. Ora va rivisto il servizio sanitario interno ai centri»
«Il ministro Piantedosi spieghi l’abuso di psicofarmaci sui migranti nei Cpr» Cpr di Gradisca d'Isonzo

«Di fronte alla gravità dei dati riportati per la prima volta nell’inchiesta pubblicata dalla rivista Altraeconomia, che dimostrano l’abuso arbitrario e senza alcun criterio di psicofarmaci somministrati ai migranti rinchiusi nei Centri di permanenza per il rimpatrio, il ministro Piantedosi avrebbe dovuto immediatamente intervenire per fare chiarezza». E invece, preso atto del silenzio del Viminale, il giorno dopo della presentazione alla Camera dell’inchiesta «Rinchiusi e sedati» realizzata dai giornalisti Luca Rondi e Lorenzo Figoni, al segretario di +Europa Riccardo Magi, promotore dell’iniziativa insieme alla senatrice di Avs Ilaria Cucchi, non rimane che depositare un’interrogazione parlamentare al ministro dell’Interno e a quello della Salute Schillaci, così come faranno anche il deputato del Pd Emiliano Fossi e il senatore di Azione-Iv, Ivan Scalfarotto.

Riccardo Magi, foto Ansa

Lei ha visitato varie volte i Cpr italiani: si era mai accorto di questo abuso di psicofarmaci?

Chi come noi parlamentari è potuto entrare nei Cpr ha sempre avuto l’impressione che le persone rinchiuse fossero spesso in uno stato di semi incoscienza. In questi luoghi, che sono volti all’annullamento totale della dignità umana, dove uomini e donne sono stipati in gabbie vere e proprie, con anche il tetto fatto di sbarre, come negli zoo di qualche decennio fa, non si può fare a meno di notare queste persone stordite, sotto il palese effetto di sostanze. Oggi però abbiamo l’evidenza dei dati: il numero impressionante di psicofarmaci che viene consumato in questi centri in Italia. È evidente che ne viene fatto un uso sistematico e smodato. E la cosa più grave è che queste somministrazioni avvengono al di fuori di qualunque piano terapeutico.

Secondo Altraeconomia, le visite psichiatriche sono rarissime.

Delle due l’una: o le persone recluse nei Cpr sono affette da patologie gravi che richiedono antiepilettici, antipsicotici e antidepressivi, e allora non dovrebbero stare in quei luoghi, oppure se vengono ammesse, perché risultano sane alla visita di ingresso – che è l’unica volta in cui vengono viste da un medico della Asl -, allora non dovrebbero assumere questi farmaci. In mancanza di consenso informato firmato dai pazienti, si configura anche un reato penale a carico di chi somministra i farmaci.

Nelle carceri, la sanità è gestita direttamente dalla Asl di riferimento. E nei Cpr?

Il servizio sanitario interno alla struttura dipende dall’ente gestore che ha rapporti con medici privati, a volte presenti e a volte chiamati al bisogno. Un servizio che andrebbe completamente rivisto alla luce di ciò che è emerso da questa inchiesta.

Qual è il Cpr che ricorda di più?

All’inizio del 2020 andai a visitare il Centro di Gradisca d’Isonzo dove era da poco morto un giovane georgiano, Vakhtang Enukidz. Parlai con molte persone, mi riferirono di pestaggi, e vidi chiaramente che molti erano sedati, o sotto effetto di sostanze. Denunciai tutto in procura. Venne fatta un’autopsia che rivelò come causa della morte un edema polmonare dovuto ad un mix di psicofarmaci. All’inizio di quest’anno si è aperto il processo a carico dell’allora direttore e di un operatore interno, accusati di omicidio colposo.

Il governo vuole invece allargare entro il 2025 la rete dei Cpr, per averne uno in ogni regione. E allo scopo sono già stati previsti in Bilancio 42,5 milioni di euro.

Questi migranti – che sono in uno stato di «detenzione amministrativa», ed già è una bestemmia dal punto di vista giuridico – vengono reclusi per essere identificati e poi espulsi. La follia di questi posti è ancora maggiore se consideriamo che la maggior parte di quelle persone non verranno mai espulse perché i rimpatri sono possibili davvero solo se c’è un accordo bilaterale, e comunque è sempre difficoltoso e costoso. Piantedosi non è il primo che vuole arrivare a 20 Cpr (oggi ce ne sono nove attivi, perché quello di Torino è stato momentaneamente chiuso dopo le rivolte): la primogenitura è di Minniti. Ma questa è un’involuzione del nostro Paese: una decina di anni fa si era arrivati alla conclusione che questi luoghi andassero chiusi. Perché stavano anche sfuggendo al controllo dello Stato. Cosa che oggi quest’inchiesta dimostra nuovamente

 
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NAZARENO. Poche concessioni alle minoranze interne nella segreteria del Pd. Ruoli chiave per i neo-iscritti Bonafoni, Taruffi e Corrado

Schlein presenta la squadra «pensata  per fare opposizione» Elly Schlein - LaPresse

Poche concessioni alle minoranze interne, molti giovani, diversi esponenti di sinistra che si sono avvicinati al Partito democratico con la campagna congressuale di Elly Schlein e che la segretaria punta a coinvolgere sempre più per intensificare il percorso di rinnovamento di cui intende farsi portatrice. Questo è il profilo della segreteria annunciata ieri dalla leader dem.

UNO DEI RUOLI cardine, ad esempio, va alla consigliera regionale del Lazio Marta Bonafoni. Sarà la coordinatrice della segreteria e avrà anche le deleghe al terzo settore e all’associazionismo, settori con i quali ha lavorato molto nel corso dei primi dieci anni alla Regione Lazio, dove entrò come «civica» accanto al presidente Nicola Zingaretti. Bonafoni, per intenderci, ha seguito da vicino vertenze come quella di Lucha y Siesta, spazio sociale occupato da donne al quartiere Tuscolano della capitale, o per difendere il laghetto naturale sorto spontaneamente negli spazi adiacenti ai capannoni che attualmente ospitano il centro sociale dell’ex Snia Viscosa, sulla Prenestina.

E POI, TRA le new entries, ancora una volta sia nel partito che in segreteria, c’è la co-portavoce di Green Italia (già candidata coi Verdi) Annalisa Corrado, che si occuperà proprio di ambiente. Schlein avrà accanto a sé anche Marco Furfaro, che era entrato nel Pd ai tempi della Piazza Grande zingarettiana e che l’ha accompagnata fino alla sala dei bottoni del Nazareno. A quest’ultimo viene affidato il welfare e la lotta alle disuguaglianze. Peppe Provenzano, che è stato tra i primi esponenti della sinistra Pd a endorsare Schlein al congresso, lavorerà a esteri e rapporti con i partiti socialisti. Marco Sarracino, altra giovane leva, avrà la responsabilità di coesione territoriale, sud e aree interne. Anche il consigliere regionale emiliano Igor Taruffo è un debuttante proveniente da formazioni alla sinistra del Pd: è il nuovo responsabile dell’organizzazione. Ad Alessandro Zan va la delega ai diritti. Marwa Mahmoud consigliera comunale a Reggio Emilia e figlia di egiziani, si occuperà di partecipazione e formazione politica mentre il tema dei migranti e del diritto alla casa sarà appannaggio di Pierfrancesco Maiorino, che di recente ha corso per il centrosinistra coi 5S alla presidenza della Regione Lombardia. Sandro Ruotolo, nella scorsa legislatura eletto alle suppletive di Napoli anche con l’appoggio di De Magistris, si cimenterà con memoria e informazione.

L’UNICO SUPERSTITE della segreteria di Enrico Letta è Antonio Misiani, confermato al dipartimento economia. A Marina Sereni, altra veterana, spettano salute e sanità. In quota Articolo 1 ci sono Maria Cecilia Guerra (cui spetta il lavoro) e Alfredo D’Attorre (università): il coordinatore Arturo Scotto parla di una segreteria «autorevole, giovane, competente». Alle minoranze quattro posti non di prima fila: ad Alessandro Alfieri di Base riformista vanno riforme e Pnrr, all’ex capogruppo alla camera Debora Serracchiani la giustizia, al braccio destro di Stefano Bonaccini Davide Baruffi gli enti locali e a Irene Manzi la scuola.

MARCO MELONI, ex coordinatore della segreteria lettiana e animatore degli «Ulivisti 4.0» che per primi hanno mandato un segnale di distensione alla gestione Schlein, spende parole di incoraggiamento definendo la squadra «un bel mix di competenze, innovazione e esperienza che dovrà accompagnare il lavoro della segretaria nel percorso di cambiamento e crescita che ci attende». Delusi, invece, Paola De Micheli e Gianni Cuperlo, che si erano candidati a segretari non arrivando al «ballottaggio» delle primarie. «Schlein aveva parlato di unità e pluralismo – dice Cuperlo – In realtà non si è voluta riconoscere la ricchezza delle differenze espresse dagli iscritti nel congresso dei circoli». Alcune caratteristiche: bassa età media, rispetto della parità di genere e il fatto che solo la metà dei prescelti siede in parlamento. Schlein parla di una squadra pensata apposta per creare problemi al governo Meloni. Dal Nazareno assicurano: la segretaria ha selezionato i profili con l’idea di condurre l’opposizione «sia dentro che fuori dal palazzo». Le occasioni, in effetti, non mancano

 

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