Prove «eclatanti» contro Licio Gelli e le formazioni neofasciste, nelle motivazioni della condanna di Bellini per la strage di Bologna. «All’attuazione della Strage contribuirono in modi non definiti, ma di cui vi è precisa ed eclatante prova nel documento Bologna, Licio Gelli e il vertice di una sorta di servizio segreto occulto che vede in D’Amato la figura di riferimento in ambito atlantico ed europeo»
Lo spontaneismo armato è solo un’«ipocrisia»: «I gruppi terroristici erano a disposizione di chiunque riuscisse a dare loro una prospettiva politica». La strage di Bologna fu (lo sappiamo) «di natura politica», e «l’ipotesi sui “mandanti” non è un’esigenza di tipo logico-investigativo, ma un punto fermo». In particolare, poi: «Gli elementi di prova ravvisabili a carico di Paolo Bellini si palesano, sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo, come di gran lunga maggiori e più incisivi rispetto a quelli ravvisati a carico di altri soggetti che sono stati condannati per lo stesso fatto». E soprattutto sul ruolo della P2: «All’attuazione della Strage contribuirono in modi non definiti, ma di cui vi è precisa ed eclatante prova nel documento Bologna, Licio Gelli e il vertice di una sorta di servizio segreto occulto che vede in D’Amato la figura di riferimento in ambito atlantico ed europeo».
Sono solo alcuni dei passaggi più significativi delle motivazioni (1742 pagine), depositate ieri dalla Corte di Assise di Bologna, della sentenza di primo grado di condanna dell’ex militante di Avanguardia nazionale, Paolo Bellini (con la pena dell’ergastolo) e di Piergiorgio Segatel e Domenico Catracchia, per la strage del 2 agosto 1980, in ipotesi commessa in concorso con Licio Gelli, Umberto Ortolani, Federico Umberto D’Amato e Mario Tedeschi, tutti deceduti.
«LE NUOVE FORMAZIONI neofasciste degli anni 1978-80 – scrive la Corte presieduta dal giudice Francesco Caruso – altro non erano che l’espressione e la continuazione del progetto eversivo sorto nella stagione precedente ed evidentemente mai sopito, con riferimenti politici peraltro diversi da quelli che avevano indirizzato il periodo della prima parte della strategia della tensione nel 1969-1974, ma con obiettivi che miravano pur sempre ad un rafforzamento autoritario dello Stato stretto nella morsa degli opposti terrorismi di destra e sinistra». In sostanza, secondo i giudici bolognesi, l’esistenza di mandanti non è «una generica indicazione concettuale, ma nomi e cognomi nei confronti dei quali il quadro indiziario e talmente corposo da giustificare l’assunzione di uno scenario politico, caratterizzato dalle attività e dai ruoli svolti nella politica internazionale da quelle figure, quale contesto operativo della Strage di Bologna».
IN QUESTO QUADRO, non si può parlare di «spontaneismo armato» dei gruppi terroristici come quello dei Nar, di cui facevano parte Fioravanti, Mambro, Ciavardini e Cavallini, condannati per la Strage del 2 agosto 1980, anche se non tutti i militanti neofascisti si resero conto di «ciò che avveniva alle loro spalle, nella segretezza delle relazioni con i servizi deviati o con elementi della massoneria, riservate probabilmente soltanto a coloro che occupavano posizioni di vertice».
EPPURE, scrivono i giudici, «anche un terrorista della nuova generazione come Fioravanti, nella sua smania di protagonismo, si avvicinò progressivamente ad elementi di spicco del neocostituito gruppo “Costruiamo l’Azione” come Paolo Signorelli e Fabio De Felice, i quali a loro volta erano strettamente legati ai servizi segreti e a Licio Gelli».
SU FIORAVANTI e sua moglie Francesca Mambro, la Corte d’Assise considera che non ci siano prove certe di un passaggio effettivo di denaro a favore degli esecutori materiali della strage della stazione di Bologna: «Se i silenzi, le contraddizioni e i repentini mutamenti di versione di Fioravanti e Mambro lasciano intendere che essi avessero sicuramente qualcosa da nascondere in relazione ai loro spostamenti nelle giornate del 30 e 31 luglio 1980 – e ciò avvalora la tesi della loro responsabilità per la strage – tuttavia, un simile contegno non può ritenersi sufficiente a provare anche la ricezione della predetta somma di denaro da parte dei terroristi, in ordine alla quale non consta la sussistenza di prove dirette». Resta tuttavia, «come dato indiziante grave, la considerazione che a partire da un certo momento nella loro difesa, Mambro e Fioravanti hanno cercato di trovare un modo per spostarsi lontano proprio nella giornata del 31 luglio, che è quella in cui ragionevolmente potrebbe essere stata loro consegnata una somma di denaro in contanti».
C’È POI IL CASO di tre tecnici della Polizia scientifica di Roma che hanno lavorato su un’intercettazione ambientale in cui il leader veneto di Ordine nuovo Carlo Maria Maggi affermava tra l’altro di essere sicuro del coinvolgimento di Mambro e Fioravanti nell’attentato, e che rischiano di essere indagati per «frode in processo penale» e falsa testimonianza