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25 novembre In mezzo al corteo romano di ieri pomeriggio spiccava anche un cartello sul quale era stato scritto, con garbata ironia, ‘Valditara scegliti un insulto’

Un momento della manifestazione di Non una di meno a Roma foto Patrizia Cortellessa Un momento della manifestazione di Non una di meno a Roma – Patrizia Cortellessa

In decine e decine di migliaia, tante giovanissime, insieme anche a molti loro coetanei e pure a parecchi maschi più avanti con l’età. Sfilano nei cortei contro la violenza sulle donne e di genere e per «disarmare il patriarcato», come reclama lo striscione di apertura nelle piazze convocate da Non Una di meno che a Roma e a Palermo anticipano la ricorrenza del 25 novembre. Un bellissimo colpo d’occhio, un flusso continuo di consapevolezza e determinazione, di libertà allegra e di rabbia urlata.

E intanto ancora donne uccise, circa cento quest’anno, soprattutto «in ambito famigliare e affettivo», secondo la terminologia burocratica che supporta la compilazione di tristi bollettini di morte, dove la mano armata il più delle volte è quella di mariti o ex fidanzati.

Eppure la notizia, per la destra ma non solo, perché nel mondo alla rovescia del vannaccismo contemporaneo a forza di gridare al lupo alla fine tutti o quasi accorrono impauriti, è un’altra: «Bruciata una foto di Valditara».

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Et voilà. Ve la siete presa tanto con il ministro dell’Istruzione perché ha negato la persistenza del patriarcato (secondo lui sarebbe stato abolito per legge) e puntato l’indice contro gli «immigrati irregolari», riuscendo a essere (lo ha fatto alla presentazione della Fondazione Giulia Cecchettin) particolarmente fuori luogo anche per i suoi standard? Ecco il risultato. Un «atto di violenza» contro il ministro, il governo, la premier (durante la manifestazione sono stati addirittura scanditi cori anti-Meloni), «azioni indegne», tuonano dalle file della maggioranza.

Manca solo che il ministro della giustizia Carlo Nordio rilanci il suo allarme terrorismo, ma è in ogni caso un coro d’indignazione accompagnato dalla consueta richiesta all’opposizione di «prendere le distanze», «condannare», «stigmatizzare».

Eppure in mezzo al corteo romano di ieri pomeriggio spiccava anche un cartello sul quale era stato scritto, con garbata ironia, «Valditara scegliti un insulto». Insieme a tanti altri inviti rivolti alla premier Meloni e ai ministri a partire proprio da quello dell’Istruzione, gettonatissimo dopo la sua ultima sortita. Inviti seri o canzonatori, ma comunque sempre puntuali e meritevoli (a proposito di ministero del Merito) di una risposta.

Invece la destra al governo, seguendo il solco della presidente del consiglio, pardon, del presidente, preferisce approfittare del cerino per alzare cortine fumogene. Nel tentativo di oscurare (ma difficile che stavolta ci riesca) una giornata che al di là del solito rituale dei palazzi istituzionali illuminati di rosso e domani si ricomincia promettendo bonus mamme e minacciando nuovi decreti sicurezza, queste piazze riescono a riempire di senso con lo sguardo ogni volta sempre un po’ più in avanti.

Difficile del resto aspettarsi qualcosa di diverso da questa compagine che condanna a ripetizione la «violenza» di chi dissente ma dove, solo per fare qualche esempio, un ministro dell’Istruzione decanta il valore educativo dell’«umiliazione» e passa il suo tempo a inventare nuove forme di punizione, un vicepresidente del consiglio chiama i manifestanti «zecche rosse», un sottosegretario alla giustizia sogna detenuti che non respirano più mentre la premier dirige fieramente l’orchestra.

Un governo che oltretutto ha una particolare attenzione sadica nei confronti di chi è più giovane e addirittura spera che valga la pena lottare per l’ambiente, l’istruzione pubblica accessibile a tutti, combattere il razzismo e rivendicare la libertà e l’autodeterminazione femminile invece di rassegnarsi alle smanie nucleariste di un Pichetto Fratin, al familismo reazionario di una Roccella, al mood penitenziale di un Valditara e in definitiva a questa destra a tinte fosche.