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LAVORO E AMBIENTE. In 5 periferie (Roma, Torino, Napoli, Palermo, Cagliari) la mobilitazione «Fai la cosa buona» per la rigenerazione urbana in difesa del Codice appalti e Superbonus

Edili, ambientalisti, giovani, inquilini: domani in piazza l’inedita coalizione Gli studenti del liceo Cavour di Roma annunciano la loro presenza alla manifestazione al quartiere di Cinecittà per "Fai la cosa giusta"

Lavoratori edili insieme ad ambientalisti, studenti e inquilini. Una strana e inedita alleanza per chiedere rigenerazione urbana, difesa del bonus edilizia e del Codice appalti, stravolto dal governo. “Fa la cosa buona” è la mobilitazione che domani mattina riempirà cinque piazze delle periferie di Roma (Cinecittà a piazza San Giovanni Bosco), Cagliari (La Palma parco Molentargius), Napoli (Pianuta, piazza Giovanni XXIII), Palermo (Zen, via Primo Carnera), Torino (Falchera, piazza Astengo).

Guidati dagli slogan «più appalti pubblici, più salario, più legalità» e «più legalità nei cantieri, no al sub appalto a cascata», le cinque piazze si riempiranno per i comizi per poi trasformarsi in feste popolari aperte alle associazioni di quartiere, come avverrà a Roma fino a sera.

Stefano Ciafani, presidente di Legambiente spiega la presenza dell’associazione: «Saremo in piazza anche noi per esprimere la nostra grandissima preoccupazione sui provvedimenti del governo sui bonus edilizi e sul nuovo codice degli appalti. Questo paese ha bisogno di regole chiare e strumenti stabili per garantire a tutti l’efficientamento energetico e la messa in sicurezza antisismica degli edifici ma sono indispensabili anche controlli adeguati per evitare illegalità e infiltrazioni mafiose negli appalti pubblici. Le ultime decisioni dell’esecutivo vanno esattamente in direzione contraria e questo per noi è intollerabile».

In piazza anche il sindacato inquilini del Sunia. «Questo decreto dà il colpo di grazia alla vivibilità dei quartieri popolari – attacca il presidente Stefano Chiappelli – . Noi ci siamo sempre battuti perché il super bonus fosse uno strumento strutturale a favore dell’edilizia pubblica per riqualificare gli edifici più vetusti: per questo saremo in piazza».

Ieri è arrivata anche la solidarietà del sindacato europeo degli edili Efbww: «Condanniamo le recenti decisioni del governo italiano sull’eliminazione del limite al subappalto e la riduzione degli investimenti in bonus per le ristruttutazioni, vi assicuriamo il pieno sostegno alla vostra battaglia», scrivono il presidente Johan Lindholm e il segretario Tom Deleu nella lettera inviata ai segretari di Fillea Cgil e Feneal Uil Alessandro Genovesi e Vito Panzarella

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IL CASO. Il rischio è stato denunciato dal presidente dell’Autorità anticorruzione Anac Giuseppe Busia: "Per le gare sotto 150 mila euro va benissimo il cugino o chi mi ha votato, si prenderà l'impresa più vicina, non quella che si comporta meglio". Cgil: "Ci saranno più cartelli, più corruzione e più precarietà". Salvini: "Con appalti veloci meno corruzione, e se la Cgil sciopera allora abbiamo fatto bene"

Appalti, il «Codice Salvini»: c’è il rischio di voto di scambio e favori ai «cugini» Sopralluogo di matteo Salvini ai cantieri del Villaggio Olimpico a Milano - LaPresse

Con il «Codice Salvini» gli appalti fino a 150 mila euro potrebbero andare «a un cugino o a chi ha votato». La battuta di Giuseppe Busia, presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione (Anac), ieri è stata efficace. «Si dice non consultate il mercato, scegliete l’impresa che volete – ha aggiunto – il che vuol dire che si prenderà l’impresa più vicina, quella che conosco, non quella che si comporta meglio». «Attenzione a spostare l’attenzione solo sul “fare in fretta”, che non può mai perdere di vista il ‘fare bene».

LA STRONCATURA dell’Anac è una buona introduzione alla «filosofia e all’impostazione culturale» – così l’ha definita ieri il ministro leghista alle infrastrutture e ai trasporti Matteo Salvini – del nuovo codice appalti da 229 articoli varato due giorni fa dal Consiglio dei ministri. «Chi si lamenta che sia un favore a corrotti e corruttori si sbaglia – ha detto Salvini – Non diffidiamo per partito preso delle imprese e dei sindaci. Un semplice avviso di garanzia in un paese civile non è una sentenza di condanna». Il «suo» codice appalti «scommette sul sistema industriale italiano». E alle proteste della Cgil ha risposto che «se sciopera allora significa che il nuovo codice è fatto bene».

LE PRIME SCHERMAGLIE polemiche si sono concentrate sull’«appalto integrato»: l’affidamento della progettazione e dell’esecuzione dei lavori allo stesso operatore economico. È stato previsto il ricorso al subappalto a cascata e senza limite. Così aumenterà la precarietà dei lavoratori e si frammenterà il sistema. La tecnica era stata vietata in precedenza, ma è

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L'Italia alla fine si astiene. Deroga per e-fuel come chiesto da Germania, nel 2026 prevista clausola di revisione

Sì definitivo Ue: dal 2035 solo auto a emissioni zero Un rifornimento di benzina

«Con il voto finale di oggi l’Unione europea ha compiuto un passo importante verso la mobilità a emissioni zero. La direzione è chiara: nel 2035 auto e furgoni nuovi devono avere zero emissioni» ha scritto in un tweet il vicepresidente della Commissione Frans Timmermans commentando la ratifica formale da parte dei ministri Ue del regolamento sullo stop alle auto a benzina e diesel dal 2035. Si tratta – secondo Timmermans – di un «grande contributo alla neutralità climatica entro il 2050, parte fondamentale del Green Deal».

Il regolamento, dopo l’accordo di sabato con la Germania, contiene un riferimento agli e-fuel, in base al quale, a seguito di una consultazione con le parti interessate, la Commissione presenterà una proposta per l’immatricolazione oltre alle auto elettriche di veicoli alimentati con carburanti «CO2 neutri», cioè carburanti sintetici che bruciano comunque all’interno di motori endotermici. Il regolamento include anche una clausola di revisione: nel 2026 la Commissione valuterà a fondo i progressi compiuti verso il raggiungimento degli obiettivi di riduzione delle emissioni del 100% entro il 2035 e l’eventuale necessità di rivederli. La revisione terrà conto degli sviluppi tecnologici anche per quanto riguarda le tecnologie ibride plug-in e l’importanza di una transizione fattibile e socialmente equa verso emissioni zero.

L’ITALIA DOPO ESSER FINITA in un angolo ha potuto salutare la decisione come una mezza vittoria. «In merito al regolamento che riguarda gli autoveicoli, l’Italia si è astenuta anche se ha apprezzato il cambiamento di direzione della Commissione e la possibilità di immatricolare anche motori termici dopo il 2035, e non solo più solo elettrici» ha detto il ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica Gilberto Pichetto Fratin in un punto stampa. «Abbiamo apprezzato l’apertura che c’è stata anche da parte della Commissione e del Consiglio per una valutazione della neutralità tecnologica dei biocarburanti entro il 2026», ha concluso, facendo riferimento alla trincea in cui s’è acquartierato in questi mesi l’esercito italiano negazionista.

Secondo la vicepresidente e ministra per la Transizione ecologica spagnola Teresa Ribera Rodriguez l’approccio di Germania e quello dell’Italia, insieme alla posizione della Polonia, «non è stato corretto». Al suo arrivo al consiglio Energia di Bruxelles ha sottolineato come i tre paesi «abbiano tenuto una posizione di blocco minoritaria all’ultimo momento su un dossier che era già stato concordato dalle diverse istituzioni. In linea di principio, questo approccio non ci piace, pensiamo che non sia giusto».

IL MINISTRO DELLE IMPRESE e il made in Italy, Adolfo Urso, parla invece di un«approccio pragmatico» italiano, che avrebbe «imposto la riapertura della trattativa che ha consentito di raggiungere un primo significativo obiettivo, con la previsione di contemplare l’e-fuel tra i carburanti ammessi». La decisione porta con sé una certezza, sottolinea Urso: «il motore endotermico», come sottolineava domenica il manifesto «sopravvivrà, accanto a quello elettrico, anche dopo il 2035», e non solo nelle auto usate e in quelle già in circolazione a quel momento, che non sarebbero diventate fuorilegge. A dispetto dalle strategia delle aziende dell’automotive, il problema è un governo che considera ancora i motori diesel e benzina «il traino dell’intera filiera dell’automotive italiano, asse portante della nostra industria che ci rende leader del settore». Di fronte a questa miopia, la transizione ecologica risulta la cima di una montagna inavvicinabile

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Cassato il calmiere sull’elettricità. Dopo il cdm, cabina di regia sul Recovery Fund. Fitto chiede più tempo, la Ue chiude

 

Stavolta bastano 4,9 miliardi, un quarto di quanto fu necessario erogare per contrastare il caro energia nella legge di bilancio. Merito del prezzo del gas in picchiata che salva il governo dal dover ricorrere allo scostamento di bilancio in un momento di rapporti delicatissimi con la Ue. Parte dello stanziamento, 1,1 miliardi, è peraltro destinato alla Sanità. I rimanenti 3,8 miliardi serviranno a calmierare le bollette. Su quella del gas sono confermati sia il taglio dell’Iva al 5% sia l’azzeramento degli oneri di sistema, che però è più formale che sostanziale. Per i consumatori sino a 5mila metri cubi all’anno l’intervento sulle aliquote UG2C è confermato esclusivamente per aprile e solo per il 35% del valore applicato nel trimestre precedente. Secondo l’Unione nazionale consumatori significa un esborso pari a 298 euro l’anno che arriveranno a 459 se a maggio verrà eliminato anche quel 35% superstite. Nessun dubbio invece per il calmiere sulle bollette elettriche: nella bozza portata dal ministro dell’Economia è cassato senza appello. Però con la promessa di studiare un sistema di sconti e benefici tale da evitare rincari e anzi garantire alleggerimenti della spesa.

IL BONUS SOCIALE per «clienti economicamente svantaggiati o in gravi condizioni di salute» è ribadito e allargato sino ai redditi Isee con tetto di 15mila euro: sarebbero 4 milioni e mezzo di famiglie stando alle stime del Mef. La novità è il «bonus termico» che, previsto inizialmente già dal prossimo trimestre, sarà in vigore solo per il quarto trimestre. La dinamica e la quantificazione non sono ancora chiari: dovrebbe trattarsi di un contributo per tutti, con la sola eccezione di quanti già usufruiscono del bonus sociale, però differenziato per aree geografiche e che scatterebbe quando il prezzo del gas all’ingrosso supera una soglia che ieri sera non era ancora stata definita. Confermato infine sino al 30 giugno il credito d’imposta al 40% e 45%, rispettivamente per elettricità e gas, a favore delle aziende «energivore». Andrà a quelle che nel primo trimestre 2023 hanno speso per l’energia almeno il 30% in più rispetto al primo trimestre 2019.

IL CDM DI IERI non si è limitato all’ennesimo e stavolta molto economico dl Energia. Ha varato una quantità di interventi quasi a tutto campo: dal payback sulla sanità al già noto e già criticatissimo dl Appalti di Salvini, dal dl di Lollobrigida, che vieta il cibo sintetico e che la premier a cdm in corso è andata a festeggiare sotto palazzo Chigi con gli agricoltori di Coldiretti, a quello sulla concorrenza, sul quale però la discussione si è fatta incandescente e che in tarda serata era ancora al palo. Infine nel dl Energia è entrata anche la proroga dei termini di pagamento fissati dalla legge di bilancio per la prima rata dei «ravvedimenti speciali»: dal 31 marzo al 31 ottobre.

CARNET FITTISSIMO dunque eppure nessuna delle voci in agenda ieri preoccupa il governo. Il guaio grosso è altrove, oggetto di una riunione della cabina di regia che si è svolta dopo il cdm e che chiamarla allarmata è poco. La mannaia che pende sul capo del governo si chiama Pnrr. Ieri Il ministro Fitto, responsabile dell’attuazione del Piano, è stato papale: «Alcuni interventi di qui al 30 giugno 2026 non possono essere realizzati: è matematico, scientifico e dobbiamo dirlo con chiarezza subito, senza aspettare il 2025». Il vicepresidente della Commissione europea Dombrovskis ha risposto a strettissimo giro: «È molto difficile cambiare la scadenza del 2026». Il problema della terza rata del Recovery Fund, in sospeso perché la Commissione ha prorogato di un mese la decisione sulla richiesta italiana di accedervi, non è un ostacolo superato il quale tutto filerà liscio. Al contrario è l’intero Piano che dovrà essere rivisto. Europa permettendo. Sull’erogazione della terza rata la Commissione, che non esclude il rinvio di un altro mese, abbassa i toni. Assicura infatti che la proroga «non è inusuale e non pregiudica in alcun modo l’esito della richiesta italiana». Stile felpato, diplomatico ma con un messaggio molto chiaro. «In un mese possono succedere tante cose», segnala infatti la Commissione. Equivale a un ordine preciso

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UMILIAMOLI A CASA NOSTRA. Giro di vite su permessi di soggiorno e Cpr con gli emendamenti al dl migranti. Il Carroccio impone la sua linea al governo Meloni

 

Nuovo giro di vite sulla protezione speciale, divieto di convertire alcuni permessi di soggiorno in permessi di lavoro, raddoppio dei tempi di detenzione per i migranti rinchiusi nei Centri per il rimpatri.

Annunciato più volte, l’assalto della Lega al decreto migranti varato dal consiglio dei ministri dopo la strage di Cutro è cominciato sotto forma di 21 emendamenti che puntano a resuscitare i decreti sicurezza varati da Matteo Salvini ma soprattutto a dettare al governo la linea della Lega sull’immigrazione. Un proposito che il Carroccio non ha mai nascosto ma che ora rischia di aprire una breccia nella stessa maggioranza dopo i rilievi avanzati dal Colle proprio sulle restrizioni alla protezione speciale e in parte accolti nella prima stesura del decreto dalla premier Giorgia Meloni, decisa finora a evitare un possibile incidente con il Quirinale. Tutto questo mentre il previsto successo del click day, con più del triplo delle domande presentate rispetto agli 82.705 ingressi previsti dal decreto flussi per i lavoratori stranieri, sta portando il governo a non escludere un ritocco verso l’alto delle quote di ingresso: «Se ci fosse la necessità e l’opportunità di ampliare i numeri in relazione alle possibilità del mercato del lavoro, non ci sono pregiudizi», ha assicurato ieri il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi.

Sono in tutto 126 gli emendamenti al decreto depositati in Commissione Affari costituzionali del Senato, dove il testo è in discussione. Otre ai 21 della Lega, 5 sono di Forza Italia, 4 di FdI, 39 del Pd, 25 di Avs, 23 del M5S e 5 del terzo Polo.
Delle proposte di modifica presentate dalla Lega 15 riguardano il contrasto all’immigrazione irregolare e sei l’integrazione dei cittadini stranieri in Italia. Nella prima versione del testo viene cancellata la possibilità per un richiedente asilo di non essere espulso considerando il grado di integrazione raggiunto nel nostro Paese, restringendo il riconoscimento dello status di rifugiato solo a chi scappa da guerre e persecuzioni, al quale viene rilasciato un permesso di soggiorno della durata di due anni.

La Lega chiede di intervenire anche su questo punto dimezzando a un anno la durata del permesso di soggiorno e cancellando la sua convertibilità in permesso di lavoro come avviene oggi. Stop alla convertibilità in permessi di lavoro anche per altre categorie, come ad esempio quanti hanno ottenuto un permesso di soggiorno per calamità naturali, cure mediche, assistenza ai minori o perché apolide.

Altri emendamenti prevedono la sospensione dell’accoglienza per un periodo variabile tra i 30 giorni e i sei mesi per quanti si rendono responsabili di danneggiamenti all’interno delle strutture di accoglienza, e il prolungamento dei tempi di detenzione all’interno dei Centri per il rimpatrio (Cpr): dagli attuali 90 giorni prorogabile per altri 30, a 180 giorni prorogabili sempre di 30.

Oggi la commissione si esprimerà sulle eventuali inammissibilità di parte dei 126 emendamenti proposti, che però non dovrebbero essere numerose. «La maggioranza in generale si schiererà compatta come è avvenuto negli altri provvedimenti», ha dichiarato il capogruppo di FdI in 1a Marco Lisei, a proposito delle diverse proposte depositate dai partiti di centrodestra. Possibili pareri del governo sugli emendamenti non dovrebbero invece arrivare prima della fine della settimana. Tra il 18 e il 20 aprile è invece atteso l’arrivo del decreto nell’aula di Palazzo Madama.

Intanto ieri è cominciato al ministero del Lavoro il tavolo tecnico che dovrebbe portare alla definizione delle quote massime di ingressi di lavoratori stranieri in Italia per il triennio 2023-2025. Al governo le parti sociali hanno sottolineato la necessità di un nuovo decreto flussi che possa assorbire l’eccedenza di domande già presentate. «A fronte di tali dati il rischio di rimanere senza la necessaria manodopera nei campi è alto, soprattutto in vista delle prossime settimane, nelle quali si concentreranno gran parte delle operazioni di raccolta – ha spiegato il presidente di Copagri Tommaso Battista -; tutto ciò potrà avere sensibili ricadute sull’intera filiera, partendo dai produttori agricoli, che dovranno fare i conti con perdite non indifferenti, e passando per i cittadini, che rischiano di pagare lo scotto di una minore disponibilità di produzione, con possibili ricadute sui prezzi al consumo»

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Al via la presentazione delle richieste di lavoratori extracomunitari. Previsto 82.705 ingressi. La Coldiretti: solo nell'agricoltura il fabbisogno è di oltre 100 mila

Un bracciante al lavoro nei campi Un bracciante al lavoro nei campi

Click day già saturato con le domande di ingresso per lavoratori extracomunitari che hanno di gran lunga superato le disponibilità a conferma della mancanza di manodopera che interessa diversi settori dell'economia. È la prima impressione di Coldiretti a poche ore dall'avvio della presentazione delle domande in base al Dpcm (Decreto del presidente del Consiglio dei ministri) di programmazione transitoria dei flussi che stabilisce 82.705 ingressi, in aumento rispetto ai 69.700 dell'anno precedente. (QUI TUTTE LE ISTRUZIONI)

La Coldiretti sottolinea che le quote per lavoro stagionale attese principalmente nelle campagne, oltre che nel settore turistico alberghiero, ammontano a 44.000 unità (contro le 42.000 dello scorso anno) delle quali 1.500 riservate alle nuove richieste di nullaosta stagionale pluriennale, ingressi che di fatto consentono all'impresa negli anni successivi di non essere vincolata ai termini di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del Dpcm per avere accesso all'autorizzazione.

"La vera ed importante novità di questo decreto è la riconferma - indica l'associazione in una nota, del rilascio di quote stagionali di ingresso riservate alle Associazioni di categoria per i propri associati nella misura di 22.000 unità (erano 14.000 l'anno prima), norma sperimentale introdotta dal decreto semplificazione (Dl 73/2022), sostenuta dalla Coldiretti e resa strutturale con il recente decreto legge 20/2023. Le richieste presentate dalle organizzazioni professionali dei datori di lavoro, che avranno priorità sulla generalità delle istanze, saranno preventivamente verificate dalle organizzazioni professionali stesse che - evidenzia l'associazione - assumono anche l'impegno a sovraintendere alla conclusione del procedimento di assunzione dei lavoratori, di fatto accelerando l'intero iter della procedura d'ingresso. Il nuovo Decreto - precisa la Coldiretti - sarà anche l'occasione per sperimentare il superamento del nullaosta, sostituito da una comunicazione allo sportello unico per l'immigrazione da parte del datore di lavoro contenente la proposta di contratto di soggiorno per lavoro subordinato, che verrà immediatamente trasmesso all'ambasciata italiana all'estero per più tempestivo rilascio del visto di ingresso".

''Nelle campagne con l'arrivo della primavera c'è bisogno di almeno centomila giovani per colmare la mancanza di manodopera che ha duramente colpito le campagne lo scorso anno con la perdita rilevante dei raccolti agricoli nazionali", afferma il presidente della Coldiretti Ettore Prandini nel sottolineare che si tratta "di una necessità da affrontare con un decreto flussi aggiuntivo, previsto peraltro dalla legge, ma è importante anche il nuovo sistema di prestazioni occasionali introdotto nella Manovra dal Governo e sostenuto da Coldiretti che porta una rilevante semplificazione burocratica per facilitare l'avvicinamento dei cittadini italiani al settore agricolo".

Potranno accedervi, ricorda l'associazione, pensionati, studenti, disoccupati, percettori di Naspi, reddito di cittadinanza, ammortizzatori sociali e detenuti ammessi al lavoro all'esterno. Al lavoratore saranno inoltre garantite le stesse tutele (contrattuali, previdenziali, assistenziali, ecc.) previste per gli occupati a tempo determinato.

"In Italia - sottolinea la Coldiretti - un prodotto agricolo su quattro viene raccolto da mani straniere con 358mila lavoratori provenienti da ben 164 Paesi diversi che sono impegnati nei campi e nelle stalle fornendo più del 30 per cento del totale delle giornate di lavoro necessarie al settore, secondo il Dossier Idos. Sono molti i ''distretti agricoli'' dove i lavoratori immigrati sono una componente bene integrata nel tessuto economico e sociale come nel caso della raccolta delle fragole nel Veronese, della preparazione delle barbatelle in Friuli, delle mele in Trentino, della frutta in Emilia Romagna, dell'uva in Piemonte fino agli allevamenti da latte in Lombardia dove a svolgere l'attività di bergamini sono soprattutto gli indiani".

"I lavoratori stranieri occupati in agricoltura - continua la Coldiretti - sono per la maggior parte provenienti da Romania, Marocco, India e Albania, ma ci sono rappresentanti di un po' tutte le nazionalità. Si tratta soprattutto di lavoratori dipendenti a tempo determinato che arrivano dall'estero e che ogni anno attraversano il confine per un lavoro stagionale per poi tornare nel proprio Paese spesso stabilendo delle durature relazioni professionali oltre che di amicizia con gli imprenditori agricoli. Ma cresce anche la presenza di stranieri - conclude la Coldiretti - alla guida delle imprese agricole con quasi 17mila titolari di nazionalità diversa da quella italiana"

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