«Di fronte alla gravità dei dati riportati per la prima volta nell’inchiesta pubblicata dalla rivista Altraeconomia, che dimostrano l’abuso arbitrario e senza alcun criterio di psicofarmaci somministrati ai migranti rinchiusi nei Centri di permanenza per il rimpatrio, il ministro Piantedosi avrebbe dovuto immediatamente intervenire per fare chiarezza». E invece, preso atto del silenzio del Viminale, il giorno dopo della presentazione alla Camera dell’inchiesta «Rinchiusi e sedati» realizzata dai giornalisti Luca Rondi e Lorenzo Figoni, al segretario di +Europa Riccardo Magi, promotore dell’iniziativa insieme alla senatrice di Avs Ilaria Cucchi, non rimane che depositare un’interrogazione parlamentare al ministro dell’Interno e a quello della Salute Schillaci, così come faranno anche il deputato del Pd Emiliano Fossi e il senatore di Azione-Iv, Ivan Scalfarotto.
Lei ha visitato varie volte i Cpr italiani: si era mai accorto di questo abuso di psicofarmaci?
Chi come noi parlamentari è potuto entrare nei Cpr ha sempre avuto l’impressione che le persone rinchiuse fossero spesso in uno stato di semi incoscienza. In questi luoghi, che sono volti all’annullamento totale della dignità umana, dove uomini e donne sono stipati in gabbie vere e proprie, con anche il tetto fatto di sbarre, come negli zoo di qualche decennio fa, non si può fare a meno di notare queste persone stordite, sotto il palese effetto di sostanze. Oggi però abbiamo l’evidenza dei dati: il numero impressionante di psicofarmaci che viene consumato in questi centri in Italia. È evidente che ne viene fatto un uso sistematico e smodato. E la cosa più grave è che queste somministrazioni avvengono al di fuori di qualunque piano terapeutico.
Secondo Altraeconomia, le visite psichiatriche sono rarissime.
Delle due l’una: o le persone recluse nei Cpr sono affette da patologie gravi che richiedono antiepilettici, antipsicotici e antidepressivi, e allora non dovrebbero stare in quei luoghi, oppure se vengono ammesse, perché risultano sane alla visita di ingresso – che è l’unica volta in cui vengono viste da un medico della Asl -, allora non dovrebbero assumere questi farmaci. In mancanza di consenso informato firmato dai pazienti, si configura anche un reato penale a carico di chi somministra i farmaci.
Nelle carceri, la sanità è gestita direttamente dalla Asl di riferimento. E nei Cpr?
Il servizio sanitario interno alla struttura dipende dall’ente gestore che ha rapporti con medici privati, a volte presenti e a volte chiamati al bisogno. Un servizio che andrebbe completamente rivisto alla luce di ciò che è emerso da questa inchiesta.
Qual è il Cpr che ricorda di più?
All’inizio del 2020 andai a visitare il Centro di Gradisca d’Isonzo dove era da poco morto un giovane georgiano, Vakhtang Enukidz. Parlai con molte persone, mi riferirono di pestaggi, e vidi chiaramente che molti erano sedati, o sotto effetto di sostanze. Denunciai tutto in procura. Venne fatta un’autopsia che rivelò come causa della morte un edema polmonare dovuto ad un mix di psicofarmaci. All’inizio di quest’anno si è aperto il processo a carico dell’allora direttore e di un operatore interno, accusati di omicidio colposo.
Il governo vuole invece allargare entro il 2025 la rete dei Cpr, per averne uno in ogni regione. E allo scopo sono già stati previsti in Bilancio 42,5 milioni di euro.
Questi migranti – che sono in uno stato di «detenzione amministrativa», ed già è una bestemmia dal punto di vista giuridico – vengono reclusi per essere identificati e poi espulsi. La follia di questi posti è ancora maggiore se consideriamo che la maggior parte di quelle persone non verranno mai espulse perché i rimpatri sono possibili davvero solo se c’è un accordo bilaterale, e comunque è sempre difficoltoso e costoso. Piantedosi non è il primo che vuole arrivare a 20 Cpr (oggi ce ne sono nove attivi, perché quello di Torino è stato momentaneamente chiuso dopo le rivolte): la primogenitura è di Minniti. Ma questa è un’involuzione del nostro Paese: una decina di anni fa si era arrivati alla conclusione che questi luoghi andassero chiusi. Perché stavano anche sfuggendo al controllo dello Stato. Cosa che oggi quest’inchiesta dimostra nuovamente