Si chiude la Conferenza sul clima a Baku, la Cop 29, all’indomani della rielezione di Trump
che potrebbe portare al ritiro degli Usa, mentre i complessi negoziati su obiettivi, risorse,
interventi, misurano la distanza tra le posizioni dei governi del mondo.
Ancor prima di cominciare la conferenza sul clima Cop 29 forse è colpita e affondata. Trump, neo
rieletto presidente degli Usa firmerebbe un ordine esecutivo per ritirare ancora una volta gli Stati
Uniti dall’accordo di Parigi sul clima. E potrebbe farlo già nel suo primo giorno nello studio ovale,
anticipa il “Wall Street Journal”. Avviene però, su un altro piano, che i paesi cosiddetti in via di
sviluppo, per partecipare con cuore e sincerità alle scelte di Cop 29 sarebbero decisi a chiedere una
moltiplicazione per dieci dell’aiuto previsto nei confronti dei paesi più deboli (loro stessi). I paesi
ricchi – o considerati tali – per accedere alla richiesta che giudicano dirompente, vorrebbero almeno
coinvolgere gli emergenti, a partire dai Brics. Ammesso che questi ultimi accettino, questo non
sarebbe come consegnare le chiavi del globo a Xi? (La Cina è la C di Brics). E Trump potrebbe
accettarlo? Probabilmente sì, visto che il mondo extra America (Usa) non gli aggrada (questo è uno
sfacciato eufemismo); ma tutti gli altri capi, Musk in testa, non sarebbero d’accordo. Il motto è
quello di sempre. “L’America agli americani. E tutto il resto anche”. La questione è molto seria e
rischia di trasformare il circo di Baku in un evento importante. In ogni caso, il seguito di Baku Cop
29, guidata dal presidente azero Muxtar Babayev, sarà la Cop 30, guidata da Lula. Ne vedremo delle
belle.
1. Un’apertura a tutta pagina “à la une”, come dicono i francesi, di qualche anno fa su “Le Monde”
diceva così: “La fin du pétrole n’est pas pour demain”. La data è mercoledì 18 aprile 2018. Vi si
sostiene che quanto al petrolio, per le automobili non ci dovrebbero essere eccessivi problemi, ma è
ben diverso il problema di navi e aerei. Il vicolo cieco, “le point aveugle”, come dicono loro, non
sta però nei motori e nei carburanti per farli girare, ma è la petrolchimica. Come ridurla o perfino
farne a meno? Se le cose stavano così sette anni fa, i cambiamenti nella petrolchimica non sono mai
avvenuti; anzi l’aumento di domanda e offerta è imbarazzante.
2. La volontà di fare le cose sul serio, di vincere prima ancora di cominciare, consiste spesso nella
scelta del terreno di gioco. Chiaramente a Baku si sono avvantaggiati i petrolieri ed i loro amici,
mentre per i poveri ambientalisti la gara era persa in partenza.
Come pensate che voterebbe la popolazione del mondo, o quella dell’Europa, o della Cina,
dell’India, o quella della vostra città se a ogni abitante fosse chiesto di rispondere al drammatico
dilemma sul clima, articolato così: auto sì, auto no? Tram sì o tram no? Lavatrice e frigo sì o
lavatrice e frigo no? Oggi o tra vent’anni? Avendo la furberia di connettere al sì e al no utilità e
disagi reali e immediati?
I veri credenti del trionfo del “verde” odierebbero questo modo di porre la questione dando del
“quasi negazionista” a chi se ne serve.
Ripeterebbero gli argomenti, le cifre e le date proposte dal Wwf e da altri ambientalisti: per limitare
“il riscaldamento globale a non più di 1,5°C, le emissioni globali devono essere ridotte del 43%
entro il 2030, del 60% entro il 2035 e raggiungere lo zero netto entro il 2050. La
checklist NDCsWeWant del WWF indica elementi importanti che i Paesi dovrebbero includere nella
progettazione dei nuovi piani nazionali, in linea con questi obiettivi”.
Le NDC sono le Nationally determined contributions, i piani e i finanziamenti nazionali che ogni
Stato deve mettere in atto per contrastare il cambiamento climatico.
“Il primo inventario globale” all’apertura dei giochi di Baku, “ammette un quasi unanime consenso
sugli accordi di Parigi in tema di clima, ma nonostante tale progresso, il mondo non è in grado di
affrontare l’obiettivo della temperatura futura”. Nessun accordo “sui livelli di resilienza e di
mobilizzazione necessari a liberalizzare flussi finanziari da NDC (i contributi determinati a livello
nazionale) da adottare nel 2025, conosciuti anche come NDC 3.0.” (…) “NDC 3.0 deve essere
progressivo e più ambizioso dell’NDC consueto e può essere l’ultima opportunità per trascinare il
mondo sulla strada con la traiettoria di emissioni in linea con gli accordi di Parigi, nell’obiettivo di
1,5C’.” Sono parole, di fronte a fatti, come il frigo.
3. Vecchi film del tempo antico raccontano la fine del mondo, cioè la fine del genere umano, a volte
per uno scontro con un altro corpo celeste, inevitabile e repentino, a volte per una malattia diffusa e
invincibile, a volte, con più senso, descrivendo l’esito del già avvenuto, recente, conflitto nucleare.
Nel film post atomico si narra la fine di tutto. Prevalgono ormai buoni sentimenti, ricerca di affetti
perduti, forse non del tutto, oppure una riflessione su quanto non si è fatto, come studi, viaggi,
amori, rabbie, perdoni; e poi si mostrano città, un tempo vitali, ormai ridotte al silenzio. Il tempo è
di allora, di quando si aveva tutto quanto o lo si sarebbe potuto avere (o fare) e lo si è perso per
sempre; fino ad arrivare, riconciliati con la vita, all’ “ultima spiaggia”, a un suicidio sereno. Forse è
una metafora del nostro tempo incerto per via dell’effetto serra, un film come “L’ultima spiaggia”?
(“On the beach”, di Stanley Kramer, 1958).
Oppure è più coerente pensare al nostro tempo futuro come a un anno mille, pieno di paure,
apocalittico, leggendario, anno ultimo e finale, con tutti i terrori, le caverne sconosciute abitate da
draghi e demoni e streghe crudeli sempre pronte a punirci per colpe incomprensibili, inevitabili. Se
fosse così – gli storici hanno ben saputo raccontare l’anno mille e il giorno dopo, pieno di
agricolture nuove, nuove tecniche e opere, viaggi, scoperte, poemi, cattedrali e grandi navi. Cosa
porterà con sé, dopo di sé, Cop 29, dalla insolita Baku?
4. Una volta, negli incontri internazionali, la moda era quella de “Il Congresso si diverte”; ma erano
tempi in cui le delegazioni, lontane dalle capitali consuete, dai palazzi aviti e dalle guerre in corso,
si davano tempo e potevano aspettare tempi più calmi. L’esempio più noto è stato il famoso
Congresso di Vienna, le feste da ballo e le trattative dopo la sconfitta di Napoleone a Lipsia e
l’attesa preoccupata di saperne di più sulla sua rivincita, fino a Waterloo con il diavolo finalmente
incatenato a S. Elena.
Oggi non è più così e tutto sembra precipitare con velocità accelerata. Chi fa la parte di Napoleone
oggi? Forse Donald Trump che assicura di denunciare subito l’accordo di Parigi 2015 sul clima? Si
può fare la fragilissima pace climatica, con Napoleone contro?
5. La riunione del Cop 29 di Baku dura 12 giorni. Ricordarne i titoli offre già qualche indicazione
sul risultato finale e sulle scommesse tentate che hanno qualche effetto su come andrà la storia del
mondo nel corso dei secoli avvenire.
Il primo giorno, 11 novembre, è l’apertura: le delegazioni arrivano, si sistemano, si fanno visita. C’è
un primo quadro dei presenti e degli assenti; alcuni di questi ultimi ci tengono a farlo sapere: è il
segno del loro dissenso dalla riunione stessa. Alcuni paesi hanno deciso di non partecipare, altri
sono presenti, ostentatamente, senza i capi di Stato o di governo. I capi di Stato o di governo, quelli
presenti, fanno comparsa e dichiarazione durante il secondo e il terzo giorno. Dai tempi del
Congresso di Vienna in poi sono i giorni dei rapporti diplomatici, dedicati agli incontri e alle
dichiarazioni ufficiali dei vari leaders o capi (allora erano re e gran ministri) che vogliono far sapere
il loro impegno e il loro pensiero. Al quarto giorno il genere umano comincia davvero a fare i conti
con sé stesso; infatti il 14 novembre si discute di finanza e di annessi e connessi; e su tale
argomento torneremo. Il 15 novembre, quinto giorno, il tema previsto è l’energia; da un punto di
vista realistico è la questione cruciale: riguarda anche petrolio e gas, indispensabili per l’energia di
oggi nel globo; il mondo potrebbe sopravvivere senza plastica? Senza petrolchimica? Il giorno 16 è
la volta di scienza, tecnica, informatica e tutto il resto connesso; il 17 è una giornata di riposo; si
prevede di ripulire i saloni delle riunioni e delle feste, le cucine, gli alloggi e al tempo stesso – forse
– rimettere in tiro teste, pensieri e programmi delle tante realtà partecipanti; e la stampa e la
propaganda a rincorrere tutte le rivelazioni e le indiscrezioni del caso. Si ricomincia il 18 con lo
sviluppo umano come argomento: forse qualche delegazione porrà il tema della crescita-decrescita
della popolazione, (un guaio globale o una degna soluzione ambientale?) Del rapporto antico tra
maschi e femmine, delle nuove costumanze, quelle con sigle sempre più complesse; segue, al 19
novembre, la discussione sul cibo e sull’agricoltura; il 20, un altro problemino assai sentito: il tema
è la città, i trasporti, il connesso turismo; gran finale dei temi politici in discussione il giorno 21
novembre dedicato alla natura e alla biodiversità. L’ultimo giorno, 22 novembre, è dedicato a
negoziare e trattare.
Non si è lasciato indietro niente. O almeno così sembra. Ogni paese chiede impegni e date certe a
ogni altro; sono soprattutto i paesi economicamente più deboli a chiedere certezze ai ricchi o
presunti tali. Gli argomenti, pressanti, ben noti, sono due: noi paesi poveri vogliamo soldi per
ridurre l’uso dei fossili, cui siamo appena arrivati, da neppure cent’anni e per passare a nostra volta
a energie non inquinanti, come volete voi; vogliamo però anche denaro, per mangiare, curare la
nostra gente nel modo adeguato, farla studiare e imparare; vogliamo denaro sufficiente anche per
sopravvivere, altrimenti… Altrimenti vi invadiamo. Con i nostri migranti, è chiaro, non con le armi
e gli armati, come fareste voi. Il tema dei migranti non è però all’ordine del giorno. Come il voto al
Congresso di Vienna. Troppo indelicato trattarne.
6. Si discute di tutto questo, a Baku; intanto le persone venute chissà da dove si conosceranno e
cercheranno di imparare come si sta insieme e come si vive lontano. Come si può convivere,
crescere, essere liberi sia qui che là.
La finanza, argomento di discussione del 14 novembre è di certo un aspetto irrisolto dei vertici.
L’antica Cop 3, qualche decennio fa, all’indomani del protocollo di Kyoto, indicava con chiarezza
l’impossibilità pratica di raggiungere un accordo perfino tra le delegazioni di Unione Europea e
Stati Uniti.
Si può rileggere nello scritto di Gian Guido Piani su “Il protocollo di Kyoto adempimento e sviluppi
futuri” (Zanichelli Editore, 2008) un paio di frasi: “Il progetto sarà in grado di ripagarsi e generare
un margine ragionevole di profitto, cioè vale la pena di realizzarlo?”. Oppure, “Qual è il risultato
economico del progetto rispetto ad altri in alternativa?”. Oggi l’esistenza di altre notevoli forze nel
globo, quanto a dire di altre voci nella discussione, per esempio i paesi del Brics (Brasile, Russia,
India, Cina, Sudafrica) ma non solo essi, rende più complicata la pratica, prevista in teoria, di
fissare gli impegni dei paesi più ricchi, in concorrenza o antagonismo tra loro, con una serie di
varianti molto difficili da interpretare. Occorrerà molta pazienza, molto buon senso, negli affari e
non solo, per tirarne fuori un modello accettabile.
7. Le proposte messe in campo si riducono a tre con qualche variante inevitabile: la prima è tassare
il trasporto di merci, poi il trasporto di persone – compreso il turismo – poi ancora il traffico di
valuta. Il trasporto marittimo di merci rappresenta il 3 per cento delle emissioni mondiali di gas
serra. Continuando con l’esposizione che ne fa “Le Monde” di sabato 16 novembre 2024 nelle
pagine Planète, “una tassa da 150 a 300 dollari per tonnellate equivalenti di CO2 potrebbe valere
fino a 127 miliardi di dollari ogni anno tra 2027 e 2030…. L’idea di un tale prelevamento rientra
nelle opzioni nel piano d’azione che l’Omi, l’Organisation maritime internationale, deve presentare
nel 2025 per raggiungere la neutralità fossile nel 2050.” Si guarda anche al settore aereo
responsabile del 2 per cento delle emissioni mondiali. “Gli esperti propongono di tassare il
cherosene degli aerei commerciali e privati” con un introito di 18 miliardi dollari con una tassa di
0,33 euro per litro.
Qualcuno suggerisce anche una tassa sui biglietti o un’altra sui voli dei ricchi – i voli con jet privati,
oppure i frequenti voli turistici di Tizio o di Caia, che da sanzionarsi con tasse crescenti – e questo è
il secondo punto possibile. Poi vi sono le misure più sbrigative nei confronti dei movimenti di
finanza internazionale; per esempio un aggravio di X centesimi di dollaro o di euro per ogni
trasferimento internazionale di valuta. Ne seguirebbe la raccolta di un peculio cospicuo senza
infastidire minimamente gli operatori.
8. Siccome l’appetito vien mangiando si sottolinea il disaccordo tra paesi “in via di sviluppo” che
vogliono moltiplicare per dieci “gli aiuti” dei paesi ricchi, da cento a mille miliardi almeno, mentre i
ricchi sono in disaccordo. Da un lato, senza dirlo troppo, non tutti questi ultimi sono disposti a
favorire, con miliardi regalati, l’espansione di probabili concorrenti in ogni campo, con merci simili
e prezzi assai ridotti. D’altra parte proclamano la necessità di iscrivere i Brics, o almeno una parte
di essi, al Circolo dei Benestanti, o come altro lo vogliamo chiamare.
9. Solo un cataclisma (una volta si sarebbe detto una rivoluzione) potrebbe convincere quelli del
Circolo dei Benestanti ad aprire le porte, le città e i forzieri ad altra gente, talvolta arrivata per mare.
Certo è una situazione difficile; chissà che Lula in occasione di Cop 30 non ne inventi una delle sue.