Violenza maschile La premier insegue Valditara e Salvini
La protesta di ieri delle donne a Montecitorio – Ansa
«Chiamatemi razzista». Giorgia Meloni, prima presidente del consiglio donna d’Italia, nella giornata internazionale contro la violenza sulle donne, non abbandona l’ardita tesi del suo ministro all’Istruzione Valditara ma la raddoppia. «Adesso verrò definita razzista, ma c’è una incidenza maggiore nei casi di violenza sessuale da parte di persone immigrate, soprattutto illegalmente, perché quando non hai niente si produce una degenerazione», ha dichiarato la premier in una intervista uscita su Donna Moderna. «C’è un lavoro qui che è soprattutto securitario, la dimensione culturale c’entra di meno – tenta di articolare la presidente del Consiglio -. Bisogna garantire la presenza delle forze dell’ordine e che quando qualcuno commette un reato paghi». Quella che a prima vista potrebbe sembrare l’ennesima gaffe anche rispetto alle parole del presidente della Repubblica («È superfluo sottolineare che non ci sono scuse accettabili a giustificazione della violenza di genere», aveva dichiarato ieri Mattarella) è invece segno di una precisa strategia. Finita la luna di miele con gli elettori e in difficoltà per la manovra e con gli alleati, Meloni ha necessità di sviare l’attenzione dal governo e non lasciare margini a Salvini. Il vicepremier e leader della Lega ieri mattina aveva pubblicato un elenco parziale e fazioso di alcune vittime di uomini di nazionalità non italiana allo scopo di evidenziare «le pericolose conseguenze di un’immigrazione incontrollata, proveniente da Paesi che non condividono i valori occidentali».
Nonostante qualsiasi ricerca smentisca gli assunti dei sovranisti, la maggioranza ha deciso compattamente di derubricare i femminicidi a problemi di ordine pubblico derivanti dalla presenza di migranti. Mentre sul resto delle politiche di genere si autopromuove: «La lotta alla violenza contro le donne è una priorità del governo, abbiamo aumentato i fondi per i centri anti-violenza e le case rifugio. Li abbiamo quasi raddoppiati, portandoli a livelli mai visti prima. Abbiamo reso strutturale il reddito di libertà, abbiamo investito in campagne di sensibilizzazione e promosso la conoscenza del 1522», come ha dichiarato Meloni durante il consiglio dei ministri. Eppure mentre la premier parlava, sotto palazzo Chigi si svolgeva un presidio, organizzato da Non Una di Meno e Lucha y Siesta, dei centri anti violenza che invece denunciavano «la violenza di Stato che minimizza gli effetti del patriarcato».
«Noi i dati li abbiamo e non dicono quello che dice Valditara ma non ce li chiedono – dice Anna di Differenza donna, che ha in gestione il 1522 – lo scorso anno si erano rivolte a noi 23 mila donne, nei primi 10 mesi di quest’anno sono già 22 mila. La premier legittima la violenza maschile per giustificare le sue politiche securitarie e mistifica i rapporti che invece ci dicono che le donne denunciano molto di più se sono state violate da uno straniero ma hanno molta più paura quando c’è di mezzo il bravo ragazzo bianco di potere».
E i processi in corso proprio in questi giorni per i casi Tramontano e Cecchettin in Italia e Pèlicot in Francia lo dimostano. «Il governo vuole spostare l’attenzione sull’immigrazione per un fenomeno che trova nel patriarcato la sua radice – scandisce Valeria al megafono in una piazza Montecitorio quasi completamente al buio per i lavori del Giubileo – Non esiste una legge valida, altrimenti l’avremmo proposta, ma la risposta non può essere solo repressiva e dovuta all’onda emotiva di stupri di gruppo, come a Caivano: usciamo dalla logica emergenziale, il patriarcato è strutturale».
La distanza tra il palazzo e la strada è evidente: mentre la ministra per la Famiglia Roccella e quella alle Riforme, Casellati, annunciavano un testo unico sulla violenza di genere da presentare entro l’8 marzo, le luchadores sotto Montecitorio scandivano cori contro La Russa, Meloni e Valditara e nel resto del Paese si tenevano cortei contro «i femminicidi di stato». A Genova, Milano, Torino, Bologna, Palermo scuole e università hanno dichiarato lo stato di agitazione nazionale. «Non c’è spazio per la negazione di ciò che è sotto gli occhi di tutti», ha commentato la segretaria del Pd Elly Schlein.