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5 Stelle La mossa del fondatore a tre giorni dalla ripetizione del voto online che cancella la sua carica. Conte convoca per questa sera l’assemblea congiunta dei parlamentari

L'annuncio del comunicato fatto da Beppe grillo ieri - foto Ansa L'annuncio di Beppe Grillo

La settimana che culminerà con la partita di ritorno tra Giuseppe Conte e Beppe Grillo comincia con la contro-mossa del garante. O meglio, con l’annuncio di una rivelazione che arriverà questa mattina recapitato via social con tanto di fotografia che ritrae insieme i due fondatori del M5S: accanto a Grillo c’è Casaleggio. «Domani, martedì alle 11.03, collegatevi sul mio blog, sul mio canale Youtube e sulla mia pagina Facebook – dice il primo – Ho un delicato messaggio da annunciare».

Dalle parti di via Campo Marzio non hanno idea di cosa possa accadere. «Racconterà in un messaggio importante, scomode verità. Seguiamo cio’ che dirà senza preconcetti e pregiudizi» sostiene l’ex parlamentare del Movimento 5 Stelle e Italia dei valori, Elio Lannutti, espulso da M5S per non avere votato a favore della fiducia al governo Draghi contravvenendo alle indicazioni dell’epoca dello stesso Grillo.

Insomma, il messaggio potrebbe contenere alcune rivelazioni che evidentemente per tutti i dissidenti della svolta contiana, i quali ormai si trovano in gran parte già fuori dal M5S, potrebbero fare la differenza ed evitare che l’ex premier si affermi anche nella seconda votazione online, convocata da giovedì 5 a domenica 8 dicembre.

Alcuni ipotizzano anche che Grillo possa disconoscere e annunciare l’impugnazione dello statuto scritto quando Conte sì insediò, nel 2022, e che lui stesso accettò di firmare. In quella occasione gli venne ritagliato il ruolo a tempo indeterminato di garante (lo stesso che con le votazioni della scorsa settimana è stata cancellato con un tratto di penna). Da quel momento in poi gli si riconobbe l’emolumento di 300 mila euro all’anno in qualità di consulente alla comunicazione.

Qualche giorno fa, inoltre, è spuntata una scrittura privata con la quale Grillo rinuncerebbe a ogni diritto sul nome e sul simbolo del M5S. La questione è molto ingarbugliata perché il M5S è composto da regole e formule legali che si sono affastellate nel corso degli anni. Se dovesse prevalere la linea che riconosce la titolarità del simbolo all’associazione che venne costituita da Luigi Di Maio quando era leader e dal notaio di Grillo, il simbolo sarebbe appannaggio del presidente regolarmente eletto, cioè di Conte. Grillo ha provato a rivendicare il marchio in nome del soggetto che costituì alle origini insieme a Casaleggio. Da questo punto di vista, però, Conte ha una carta in più da giocare, perché per prassi si riconosce l’uso del simbolo alla forza politica che ha una rappresentanza parlamentare. L’anomalia ulteriore, peraltro, sarebbe costituita dal fatto che Grillo vorrebbe riappropriarsi del suo brand non per consegnarlo a qualcuno o rimetterlo a valore in chiave elettorale, ma per rottamarlo o, come ha detto il suo avvocato, «consegnarlo a un museo». Insomma, non vi sarebbe uno sbocco politico alla contesa, se dovesse prevalere il fondatore. Su questo puntano molto Conte e i suoi per prevalere di nuovo nelle urne virtuali di fronte alla campagna per l’astensione portata avanti da chi rivendica un ritorno alle origini.

Intanto, il leader ha convocato una assemblea congiunta dei parlamentari per questa sera. «Non mi aspetto nulla, aspettiamo che si rivoti – spiega – Grillo ha chiesto che si rivoti e voteremo, ha chiesto la riconferma di un bagno di democrazia e abbiamo risposto richiamando tutti gli iscritti a votare, questa è la democrazia». Dalla sua parte, questa volta, c’è anche Chiara Appendino, che in fase di dibattito pre-assemblea costituente aveva avanzato alcuni distinguo e pareva potersi porre in posizione mediana tra avvocato e fondatore. Adesso invita tutti a votare: «Penso sia giusto farlo, e il più velocemente possibile per fare ripartire il Movimento 5 Stelle. E francamente penso che invitare a non votare o fare ostruzionismo a un percorso che ha già deliberato sia la cosa più lontana che ci sia dai principi del M5S». Non pervenuta, ancora una volta, Virginia Raggi, unica big ancora dentro il partito data in rapporti con Grillo.

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Guerre Seminario a porte chiuse con D’Alema, Prodi e Schlein. Annunziata insiste su una soluzione diplomatica. Tarquinio: «Qualcosa si sta muovendo». L'ex leader Ds torna al Nazreno dopo 9 anni: bisogna archiviare il G7 e rafforzare il G20 per ricucire tra nord e sud del mondo, l'Occidente si rassegni al multipolarismo

Il Pd prova a togliersi l’elmetto: «Serve una road map Ue per la pace in Ucraina» Massimo D'Alema – LaPresse

Un timido venticello di pace soffia attorno alla sede Pd del Nazareno. Occasione: l’incontro di ieri pomeriggio a porte rigorosamente chiuse, organizzato dal responsabile esteri Peppe Provenzano su input di Elly Schlein. Il seminario, dal titolo «L’Europa nel mondo in fiamme», è stata l’occasione per due grandi ritorni al Nazareno, Romano Prodi e Massimo D’Alema («Non venivo da 9 anni», il commento dell’ex leader dei Ds).

Dopo aver votato con grandi sacrifici e molte divisioni, il 28 novembre, la risoluzione del Parlamento Ue che autorizza l’invio di missili all’Ucraina e la possibilità di colpire il territorio russo, i dem ieri si cono ritrovati per una sorta autocoscienza. Lucia Annunziata, eurodeputata che spesso tratta dentro i socialisti e con gli altri gruppi le risoluzioni sulle guerre, pur precisando di non essere pacifista, ha spronato i vertici Pd a non rassegnarsi all’ineluttabilità della Terza guerra mondiale e ha ricordato come sia venuto il tempo, per l’Ue, di proporre una seria road map per una soluzione politica della guerra in Ucraina. Basta missili, l’Europa deve battere un colpo, l’aiuto di cui Kiev oggi ha bisogno è come uscire da questo conflitto, ha detto l’ex direttrice di Huffpost.

Anche D’Alema ha insistito sulla necessità di più politica e diplomazia in uno scenario globale in cui il peso dell’occidente è sempre più minoritario di fronte all’affermarsi dei Brics. L’ex premier ha suggerito un approccio meno muscolare, sottolineando che un nuovo ordine multipolare non nascerà dai conflitti, ma da una presa d’atto dell’Occidente di dover convivere con altre potenze. E ha lanciato l’idea di abolire il G7, lasciando il G20, per ricomporre la frattura tra nord e sud del mondo. Una ricucitura che spetta, in primo luogo, alle forze progressiste europee e americane: considerando che i dem Usa hanno pagato un alto prezzo elettorale per le loro scelte in polita estera, a partire dalla Palestina.

Tanti gli interventi, interni esterni al partito: dall’ambasciatore Pietro Benassi all’economista Mariana Mazzuccato. E poi Graziano Delrio, Laura Boldrini, Marco Tarquinio: interventi che hanno puntato sulla necessità di soluzioni diplomatici. «Non ci sono stati strilli militaristi», assicura una fonte che ha seguito i lavori. Schlein, nelle conclusioni, non ha annunciato un cambio di linea, ma ha posto l’accento sulla necessità che l’Ue faccia di più sul terreno politico.

«Le cose dentro il Pd si stanno muovendo», ragiona Tarquinio. «Schlein, pur senza capovolgimenti, sta cercando di ridare cittadinanza alla parola “pace” dentro il gruppo socialista. E il voto di 5 giorni fa ha segnalato che questa consapevolezza sta aumentando». Anche Prodi ha invitato l’Ue a non farsi scavalcare da Trump sul terreno della diplomazia. A non restare come gli ultimi giapponesi a presidiare la necessità di un’escalation. +

L’ex premier ha insistito sulla difesa comune europea, ma non nella chiave di una corsa al riarmo, semmai di una razionalizzazione delle spese per la difesa. Durante l’incontro si è ragionato anche sui rischi derivanti dal fatto che i nuovi responsabili della politica estera e della difesa europee sono due baltici, Kaja Kallas e Andrius Kubilius: due figure decisamente poco inclini ad una trattativa con la Russia che si fa sempre più inevitabile

 

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Stop alla produzione in tutto il paese, si fermano 66mila operai. In Germania il primo sciopero «di avvertimento» alla Volkswagen è un successo: no ai licenziamenti ma anche più salario. Una lezione per tutta l’Europa alle prese con la crisi dell’auto. A cominciare dall’Italia

Scuola guida Il manager che ha arricchito francesi e famiglia Agnelli ha lasciato Ora tutti lo accusano ma il problema è strutturale. Governo inerte

Produzione di furgoni Stellantis in Abruzzo foto Ansa Produzione di furgoni Stellantis in Abruzzo – Ansa

Ora che Carlos Tavares se n’è andato sembra che la crisi dell’auto fosse tutta colpa sua. Le dimissioni del ceo di Stellantis sono arrivate domenica sera, a sorpresa. Il 66enne manager franco-portoghese fino a poche settimane fa era considerato un vero re Mida del settore automobilistico. Da ieri invece è partita la gran cassa mediatica italiana: è il capro espiatorio della crisi che da più di un decennio nessuno ha voluto vedere.

GLI SI IMPUTA UN CROLLO VERTICALE addirittura della Fiat, come se fossimo ancora negli anni Novanta. Invece siamo negli anni ’20 e nel frattempo l’Italia ha perso la sua storica azienda, spostata in Olanda da Marchionne che con la fusione con Chrysler ha portato cuore e testa (e lavoro) del gruppo negli Stati uniti, mentre tutto il settore dell’auto sta vivendo un cambio tecnologico epocale su cui il governo italiano può fare poco ma certamente non ha fatto niente per impedire che nel nostro paese alla fine di quest’anno saranno prodotte solo 350mila auto, come nel 1957.

Le colpe di Tavares – manager strapagato dai suoi azionisti a cui ha sempre staccato dividendi miliardari record – sono invece quelle di aver voluto credere per primo nella svolta elettrica – Psa è il gruppo occidentale con più modelli che hanno abbandonato il motore endotermico – ma di non aver saputo gestire i testacoda delle regolamentazioni europee: criteri stringenti senza adeguate risorse per garantire socialmente il cambio di paradigma tecnologico.

Tavares – come ha dimostrato l’incredibile audizione al parlamento italiano che ne immortalerà l’uscita nel nostro provincialismo – ha puntato tutto su forti sussidi pubblici, scelta condivisa dalla proprietà che punta a

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Lunedì Rosso del 2 dicembre 2024

Nella foto: Le forze di sicurezza schierate per reprimere la protesta dei sostenitori del Pakistan Tehreek-e-Insaf (PTI) dell’ex primo ministro pakistano Imran Khan incarcerato a Islamabad  via Getty Images

Oggi un Lunedì Rosso dedicato alle mura.

Restano disabitate per ora quelle dei centri per il rimpatrio in Albania, torna a casa infatti la gran parte del personale impiegato per l’operazione governativa dai costi ingenti che per ora resta quindi sospesa.

Sono troppo affollate invece le mura delle carceri e degli istituti per minori, da qui arrivano le voci dei ragazzi e delle ragazze in cerca di un futuro possibile.

Diventano invece una merce di lusso le mura delle case, con il mercato degli affitti brevi che ha eroso il diritti all’abitare, le associazioni scrivono una lettera contro l’inclusione di Airbnb dalle discussioni sullo sviluppo dei comuni.

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Tavares si è dimesso ++
Dimissioni sono state accettate dal consiglio di amministrazione

(ANSA) - TORINO, 01 DIC - L'amministratore delegato di
STELLANTIS, Carlos Tavares - secondo quanto si apprende - si è
dimesso. Il manager ha presentato le dimissioni e il consiglio
di amministrazione le ha accettato. (ANSA).

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Per la Palestina Alla manifestazione nazionale oltre 20mila chiedono la pace a Gaza e in tutto il Medio Oriente

Roma, alla manifestazione nazionale per la Palestina - Ansa Roma, alla manifestazione nazionale per la Palestina – Ansa

«Togliti la benda» se non vedi la Palestina, dice una canzone che ha risuonato ieri per le strade di Roma. Impossibile, per oltre 20mila persone scese in piazza per la manifestazione nazionale, ignorare la distruzione di Gaza. Un corteo che attraversa età ed etnie, e non a caso compie i suoi primi passi da piazza Vittorio Emanuele II, uno dei crocevia culturali della capitale. Da ogni negozio, bar, pizzeria si affacciano le teste e le bandiere dei residenti del quartiere, contenti di dare il via alla marea solidale da quella che è diventata casa loro. «Siamo riusciti a trovare la nostra unità per dire no alla politica dei governanti dell’estrema destra israeliana, che rappresenta un serio pericolo per l’intera umanità», ha detto al manifesto Yousef Salman, responsabile della comunità palestinese di Roma e del Lazio.

Questa volta insieme, l’associazione palestinesi d’Italia (Api), la comunità palestinese, i giovani palestinesi d’Italia (Gpi), il movimento studenti palestinesi (Msp) e l’unione democratica arabo-palestinese (Udap) hanno raggiunto piazza di porta San Paolo, passando per via Merulana, via Labicana, piazza del Colosseo. «Basta colonialismo» sopra al disegno di una catena spezzata, «ci servono più aule e non più bombe», bandiere della pace, del Libano e della Palestina, foto di giovani donne palestinesi: «Free Layan Kayed Baraa», «free Jamal Karama». Innalzata la bandiera della Palestina anche di fronte la sede della Fao (Organizzazione delle Nazioni unite per l’alimentazione e l’agricoltura). Ci sono, tra gli altri: il gruppo dei Sanitari per Gaza, Assopace Palestina, il Movimento migranti e rifugiati di Napoli, Potere al popolo, l’Usb, la rete dei comunisti, opposizione studentesca alternativa.

«Eni e Leonardo sono sempre più presenti nei nostri atenei, stanno guadagnando dal genocidio in Palestina e sulle guerre e i disastri ambientali di tutto il mondo», dice la portavoce dei collettivi studenteschi auto-organizzati di Napoli, Padova e Torino. «Non cederemo un euro, una scuola, un’università al profitto ecocida e genocida». E dello stesso avviso è Cambiare rotta, l’organizzazione studentesca coinvolta nelle occupazioni romane degli ultimi giorni. «Il governo che taglia fondi alla scuola e alla ricerca è lo stesso che ha destinato 34 miliardi della finanziaria 2025 alle spese militari», spiega Leonardo, uno degli studenti. «Sappiamo che le università israeliane sono completamente coinvolte sia nel genocidio che nell’occupazione illegale», dice al manifesto un ricercatore del Cnr, occupato, anche quello, il 28 novembre. Circa 4mila i lavoratori precari del Centro, «ma i soldi vengono investiti per le armi».

Dal quartiere San Lorenzo arriva il gruppo degli internazionalisti per la Palestina libera, da quello del Quadraro il gruppo locale di Anpi (Associazione nazionale partigiani d’Italia), che contesta la mancata adesione della sezione nazionale: «Come possiamo non esserci a una manifestazione contro il genocidio, proprio noi?». Una piazza per musulmani, cristiani, ebrei, non credenti nella definizione di Mohammad Hannoun, presidente dell’Api, che ha recentemente ottenuto un foglio di via da parte del comune di Milano per «istigazione all’odio». Uccisi nei campi di concentramento alcuni familiari di Raffaella Bolini, vicepresidente nazionale di Arci: «Ecco perché sono sempre stata al fianco della causa palestinese».
Da Maurizio Acerbo di Rifondazione comunista arriva l’appello agli assenti, e alla senatrice Liliana Segre: «Si unisca a noi nel chiedere di fermare il massacro di uomini, donne, bambini, anziani». E poi: «Con sentimenti di pace e amicizia – quelli che hanno animato la piazza – possiamo dire che il più grande produttore di antisemitismo oggi è proprio Israele».

 

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