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Si vota in Spagna, l’ultimo grande paese europeo in cui la sinistra governa da sola. I post-franchisti di Vox puntano a entrare nella maggioranza. I progressisti credono nella “remontada”. In gioco c’è anche l’Europa

Le destre trumpiane di Partido popular e Vox sembravano avanti, ma il blocco progressista di Sánchez e Díaz ora grida "Sí se puede

In Spagna ci si gioca l’Europa, la sinistra prova la remontada Un poster elettorale del partito PSOE a Madrid - Ansa

Oggi in Spagna si celebrano le elezioni politiche convocate da Pedro Sánchez lo scorso 29 maggio, il giorno dopo la batosta ai partiti del governo di coalizione progressista arrivata dalle elezioni regionali e municipali, in anticipo di pochi mesi sulla scadenza naturale della legislatura. In principio si parlò allora di azzardo del presidente del governo nel convocare anticipatamente l’appuntamento elettorale, ma subito apparve chiaro come fosse l’unico modo possibile per non rimanere preda del continuo dileggio delle destre, tanto più in pieno semestre europeo a guida spagnola, e provare a mobilitare l’elettorato democratico e progressista contro l’apparente irresistibile avanzata delle destre. Se Sanchez abbia centrato l’obiettivo lo si vedrà questa sera al momento dello scrutinio del voto, ma intanto dalla campagna elettorale durata poco meno di un mese, si possono trarre alcune considerazioni.

UNA CAMPAGNA torrida per le alte temperature estive, giocata prevalentemente utilizzando il medium più tradizionale, la televisione, con interviste ai singoli candidati e dibattiti tra gli stessi. È stato Sánchez a imprimere questo ritmo, accedendo a programmi televisivi da sempre ostili al suo esecutivo, nel tentativo di ribaltare la narrazione delle destre. Perché le destre europee hanno imparato da Trump e da Bolsonaro: usano la bugia come strumento della dialettica, parlando alla pancia delle persone che hanno la percezione di non essere

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LA MANIFESTAZIONE. Alla due giorni «Energia popolare» ospite d'onore Romano Prodi. La segreteria unitaria alla prova delle correnti. Fondazione Pd: via Gianni Cuperlo, arriva Nicola Zingaretti. La minoranza dem: «È una vendetta»

 

A Cesena Bonaccini fa il leader. Schlein: il congresso è alle spalle 

Non è la Leopolda di Renzi, non è una corrente del Pd: ieri pomeriggio a Cesena è iniziata la due giorni «Energia popolare» organizzata da Stefano Bonaccini. Lo stesso nome del gruppo che lo ha sostenuto nella campagna (persa ai gazebo) per il congresso dem. Si tratta di «un’area politico-culturale che porti a delle proposte», questa l’interpretazione autentica. Assomiglia però a una corrente? «Non ho paura di chiamare le cose col loro nome – la replica ieri di Lorenzo Guerini, big di Base riformista -. Sicuramente non è un convegno. È un’area che si organizza, che ha avuto un risultato importante al congresso e che darà il proprio contributo in una dialettica vera, di cui c’è bisogno». E Piero Fassino: «Non ho mica paura della parola corrente. I grandi partiti, tutti, hanno un dibattito che si articola attraverso diverse sensibilità. Il tema è che siano luoghi, come lo è questo, di proposta politica e non filiere per contrattare candidature».

BONACCINI, dopo la sconfitta, si è seduto al tavolo del confronto con Elly Schlein, la segreteria unitaria che ne è scaturita ha lui come presidente del partito. I malumori, in particolare da Base riformista, sono però rimasti sia sul fronte incarichi che sulla linea politica con, all’orizzonte, le liste per le europee. E magari, senza un risultato positivo, subito dopo un nuovo congresso. L’iniziativa nasce su alcuni punti: confermare il patto con la segretaria, almeno fino alle europee, sia pure chiedendo una correzione di rotta (viste ad esempio le acque agitate sulla Gpa); non disperdere «l’area Bonaccini» provando a rinsaldare la sua leadership nel campo riformista, in un partito che liquida persino i segretari in agilità.

«ABBIAMO VOLUTO CHIAMARE chi mi ha sostenuto, magari anche chi non mi ha votato e pensa sia utile al Pd un contributo di idee – le sue parole all’apertura dei lavori -. C’è stata una mozione che ha raccolto tanto consenso anche tra gli elettori, pur riconoscendo la vittoria di Elly. E soprattutto ha raggiunto la maggioranza assoluta tra gli iscritti. È un cammino che riprende non in contrapposizione a qualcuno o qualcuna, un grande partito deve essere plurale. C’è tanta gente che non vuole rinunciare a un’idea riformista del Pd e del centrosinistra».

COME A NAPOLI lo scorso week end, la parola d’ordine per adesso resta unità così a Cesena ieri c’era anche Schlein che ha puntualizzato: «Il nostro è un partito plurale, un carattere che vada valorizzato nel rispetto dell’esito del congresso, che ha dato l’indicazione della linea da seguire. Una linea che si sta sostanziando con grande compattezza nelle battaglie che stiamo portando avanti: lavoro di qualità, diritto alla casa, salute, Pnrr e il no all’autonomia differenziata di Calderoli. Su questi temi stiamo dimostrando di saper lavorare bene. A me la responsabilità di tenere insieme le battaglie».

VALERIA VALENTE alla segretaria: «Sento spesso Elly dire ‘ho vinto congresso e ho diritto dovere di portare avanti la linea che ha vinto’. Hai anche il dovere di fare sintesi». La replica: «Valeria mi ricordava la responsabilità di lasciare alle spalle il congresso. Ascolto le critiche ma dobbiamo darci un perimetro di affidabilità in cui ci sentiamo parte della stessa squadra». Oggi ci sarà Romano Prodi, nume tutelare dem, ad aprile aveva consigliato: «Se Elly non recupera la sinistra e il centro perderà le elezioni future. Serve un compromesso su tutto».

SUL FRONTE PADRI NOBILI, in mattinata Bersani aveva commentato: «Conosco Bonaccini. Non ci sarà del correntismo nel senso deteriore. Ci sarà una discussione sulle idee». E poi: «Dico a Schlein ‘hai fatto trenta, fai trentuno’: tieni ancora aperto. Uno sguardo largo sull’esigenza di costruire un campo progressista alternativo». Parole sottolineate sia dalla segretaria («Ha ragione Pier Luigi Bersani quando dice di tenere aperte, spalancate, porte e finestre») che da Bonaccini: «L’ho trovata una dichiarazione molto bella dicendo che mi conosce. Non ha dubbi che questa iniziativa viene fatta non per fare una corrente per mettersi in competizione con altri ma per avere un luogo in cui si mettono a confronto idee, a volte nemmeno tutte coincidenti, per provare a fare del Pd un partito che già il prossimo anno prova a vincere».

I MALUMORI restano. Ad esempio, nel pomeriggio l’ex capogruppo al Senato, Simona Malpezzi: «Della sostituzione di Gianni Cuperlo con Nicola Zingaretti alla guida della Fondazione dem l’ho saputo dai comunicati. Mi dispiace perché ho visto come ha lavorato, ha curato la fondazione come un pezzo di sé». Il riferimento è alla conferenza stampa con cui, in mattinata, è stato ufficializzato il cambio di guardia alla Fonazione Pd. «Un luogo in cui sviluppare un pensiero curioso, lungo e profondo e per promuovere un confronto che valorizzi il pluralismo interno, la cura delle nostre radici, guardando al futuro» le parole della segretaria.

E ANCORA: «Abbiamo l’ambizione di far tornare la politica a non essere ossessionata dall’hashtag o dalla scadenza elettorale. Una politica che alzi lo sguardo, con una prospettiva di 10, 20 anni sui processi di trasformazione, senza un dibattito ombelicale». Da Cuperlo nessun commento. Entusiasta Zingaretti: «Abbiamo deciso di dotare il Pd di un luogo di confronto, crescita e riflessione curiosa. Un servizio alle scelte dell’ultimo congresso». La fondazione ha preso il via solo nel 2019 ma con fondi scarsi. L’allora segretario Zingaretti nominò Cuperlo poi confermato da Letta. L’idea adesso è dotarla di risorse e farla aderire alla Foundation for European progressive studies cioè la fondazione dei partiti che aderiscono al Pse. E, anche se l’interessato lo bolla come un gossip, sono tutti convinti che Zingaretti voglia correre alle europee.

TRA LA MINORANZA dem la decisione è stata bollata come una rivincita della segretaria visto che Cuperlo aveva corso al congresso come rappresentante della «sinistra ortodossa». E ancora: «Un intellettuale vero, perché sostituirlo?», evidentemente non riconoscendo lo stesso status a Zingaretti. Altri, invece, fanno notare che la fondazione dem ha come missione riunire le varie fondazioni di area esistenti, compresa ItalianiEuropei guidata da Massimo D’Alema. Dal Nazareno la replica: «Il ruolo è legato alla segreteria, l’incarico era scaduto con la conclusione della leadership Letta. Cuperlo non si occupava più della fondazione da mesi». A breve potrebbe cambiare anche il coordinatore dei sindaci Pd: a Matteo Ricci potrebbe subentrare il primo cittadino di Bologna, Matteo Lepore

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POLITICA. Dopo il via libera di governo e maggioranza dietrofront sull'emendamento del Pd: «Problemi di copertura»

Stop ai subcommissari: il decreto alluvione torna in commissione Una casa alluvionata a Lugo, Ravenna - foto di Giuditta Pellegrini

Stop al decreto alluvione. L’aula della Camera rinvia il testo in commissione con quello che il verde Angelo Bonelli definisce «un blitz contro i territori e la regione Emilia Romagna». Ieri, alla fine della discussione generale sul provvedimento, il ministro dei rapporti con il parlamento, Luca Ciriani, ha preso la parola: non per porre la fiducia, come ci si aspettava, ma per chiedere di sospendere la seduta per «verifiche tecniche».

Alla ripresa il presidente della commissione Ambiente, Rotelli (Fdi), ha chiesto il rinvio del dl in commissione per problemi di copertura sollevati dalla Ragioneria dello Stato rispetto alla norma introdotta da un emendamento del Pd. La norma prevede che il commissario alla ricostruzione Figliuolo «si avvalga dei presidenti delle regioni interessate in qualità di sub-commissari».

Insomma, si riapre lo scontro sul ruolo del presidente dell’Emilia-Romagna Bonaccini, eventuale subcommissario con Acquaroli (Marche) e Giani (Toscana). «Stiamo assistendo a una forzatura inaccettabile. Il governo pretende di cancellare un emendamento su cui aveva dato poche ore prima parere favorevole in Commissione Bilancio e approvato all’unanimità nascondendosi dietro un improvviso cambio di parere della Ragioneria per fare una battaglia politica», protesta dal Pd Chiara Braga.

L’emendamento era stato approvato con il parere favorevole del relatore Foti (Fdi) e della sottosegretaria Albano. Prevede che i tre presidenti possano «istituire un comitato istituzionale per la ricostruzione, al quale partecipano i sindaci dei comuni, i presidenti delle unioni di comuni, i presidenti delle province e i sindaci delle città metropolitane territorialmente interessati». Struttura che secondo la ragioneria non ha copertura. Ora la commissione deciderà se trovare la copertura o abolire la struttura

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ECONOMIA. Pechino - cresce al tasso del 4,4% - rappresenterà per il Fmi il 30% della crescita globale nel 2023. Tre volte il contributo Usa che sarà solo dell’1%. E ora l’input cinese è quello green
 

 Un treno sulla tratta della nuova via della seta - Ap

«Ristagno», «rallentamento», «fine di un ciclo». Sono solo alcuni dei termini che circolano in questi giorni a proposito dell’economia cinese. Il perché è presto detto.

NEL SECONDO trimestre di quest’anno, stando ai dati del Nationl Bureau of Statistics (NBS), il pil del Dragone è cresciuto del 6,3% rispetto a giugno dell’anno scorso. Tra aprile e giugno, la crescita è stata invece dello 0,8%.

Un po’ poco, per gli osservatori economici, visto che tra gennaio e marzo l’indice era stato del 2,2%. Per il Financial Times, addirittura, sarebbe questa la ragione del deflusso di capitali dalla Cina verso altre economie asiatiche che si sta registrando in questi mesi (gli afflussi netti nei mercati emergenti dell’Asia hanno superato quelli in Cina per la prima volta dal 2017). Le cause? Certamente le politiche draconiane contro il Covid-19, la crisi del settore immobiliare, l’alta disoccupazione giovanile (i giovani hanno una maggiore propensione al consumo).

Per le autorità di Pechino, nondimeno, tutto questo è in linea con le previsioni (crescita per il 2023 fissata al 5%), perfino «normale», vista la particolare congiuntura internazionale. D’altra parte, anche una crescita al di sotto del 5% farebbe della Cina il motore dell’economia globale nel 2023. Secondo l’Fmi infatti, con un tasso di crescita del 4,4%, Pechino rappresenterà il 30% della crescita aggregata globale per l’anno in corso. Tre volte tanto il contributo degli Usa che, se tutto andrà bene, cresceranno soltanto dell’1%.

E NON BASTA. Leggiamo su Milano Finanza: «Il valore complessivo dell’import-export delle merci cinesi ha superato per la prima volta i 20 mila miliardi di yuan (2,8 trilioni di dollari), con un aumento del 2,1% su base annua, nonostante il periodo di forte rallentamento della domanda internazionale».

Questione di numeri, ma anche di scelte strategiche. La leadership cinese sembra voler conquistare la supremazia in settori innovativi, come quello delle tecnologie green. È un cambio di paradigma, per quella che fino a ieri era «solo» la «più grande fabbrica del mondo», ma soprattutto la fabbrica delle produzioni a basso valore aggiunto. Veicoli elettrici, aerospazio, chip per telefonini, apparecchiature mediche, robotica, componentistica navale, batterie, fotovoltaico.

Un’economia che cresce riqualificandosi, senza l’assillo delle fonti di energia. C’è la Russia per questo, che proprio verso Oriente ha girato i rubinetti del suo gas e del suo petrolio, dopo il crack con l’Occidente. Cina grande player dell’economia mondiale e hub di tecnologie avanzate, insomma. Con cui sarebbe meglio cooperare che scannarsi.

Negli Usa l’hanno ben capito i colossi dell’hi-tech Intel, Qualcomm e Nvidia, che proprio qualche giorno fa hanno chiesto a Biden di togliere le restrizioni all’export di microchip verso Pechino.

Ma cosa significa la Cina per l’Italia?

La nostra economia è storicamente votata all’export. Gli ultimi dati dell’Istat, rivelano che nel trimestre marzo-maggio 2023, questo si è ridotto del 3,3%. Su base annua, l’aumento, in termini monetari, è stato dello 0,9%, al quale, tuttavia, ha fatto da contraltare un -3,6% in volume. Ha pesato il crollo delle esportazioni verso alcuni paesi Ue (-4,2% Germania, – 12,1% Belgio) e verso gli Stati Uniti (-5,8%).

MA FUORI DALLO scacchiere transatlantico è tutta un’altra storia. Se la caduta non è stata rovinosa è perché abbiamo smerciato da un’altra parte. E in particolare verso la Cina (+14,9%), da cui attingiamo anche semilavorati. Un mercato che vale dal 25 al 40% per settori come quello dell’automotive, del lusso, dei beni strumentali. Grande paradosso: gli Usa ci inondano del loro gas liquido, ma per puntellare la bilancia commerciale dobbiamo guardare all’«amico della Russia».

Dobbiamo farlo ma non dirlo. Gli Usa non solo hanno preteso che rinunciassimo al gas russo, ma insistono anche perché il nostro Paese non rinnovi il memorandum sottoscritto nel 2019 con Pechino, nell’ambito della nuova Via della Seta.

Un tema spinoso per la Meloni, che in questi giorni è stata costretta ad ammettere che «la questione va maneggiata con delicatezza». Come stare al governo sotto l’ala protettrice di Washington, senza «disturbare chi vuole fare». Dilemma.

MA DI MEZZO C’È il futuro del nostro Paese, in un quadro europeo che la guerra in Ucraina ha già pesantemente destrutturato (energia, export, crisi tedesca). Facile dirsi «alleati», se poi gli interessi sono così divergenti. I vantaggi del multilateralismo.

Ciò che anche il vecchio Henry Kissinger, ricevuto da Xi Jmping, ha dovuto riconoscere, lasciandosi ad una dichiarazione di mero buonsenso: «La relazione Usa-Cina è di vitale importanza per la pace e la prosperità di entrambi i paesi e del mondo»

 

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Domande tante, risposte poche. Nel frattempo le cantine di Faenza sono tornate ad allagarsi, le strade sono colme di rifiuti e il futuro del ponte delle Grazie resta un’incognita a livello di tempistiche. I cittadini del comitato di vicinato solidale del Borgo, realtà nata già dopo la prima alluvione, escono dall’incontro di lunedì sera con l’Amministrazione con molte perplessità. L’assemblea ha visto circa 300 partecipanti ed è stata la prima occasione di dialogo diretto tra i cittadini e la giunta a cui sono state poste 12 domande: dal ripristino degli argini alle modalità dei rimborsi fino alla situazione della rete fognaria. «Purtroppo usciamo da questo incontro con poche certezze – ha detto Marcello Arfelli, uno dei referenti del comitato -. Sicuramente è positivo il fatto che tutta la giunta abbia accettato di partecipare all’assemblea, cosa non scontata visto che in altre realtà non è così. La nostra idea è sempre quella di un dialogo costruttivo con le istituzioni. Ma avremmo voluto che in questa occasione emergessero dati, progetti e iniziative precise che ci facessero guardare con più fiducia il futuro, invece il fatto che l’Amministrazione si sia presentata con una brochure che illustrava i numeri degli interventi messi in atto nell’emergenza ha suonato fin da subito come una posizione unicamente difensiva. Non è stato il massimo. E da lì di risposte alle nostre domande ne sono arrivate poche ed evasive».

Il comitato: “Ci vuole un cambio di passo o cambieremo interlocutori”

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Ad acutizzare le tensioni tra i residenti è stato anche l’acquazzone della scorsa settimana, che ha portato a nuovi allagamenti in cantine, piani terra e strade. «Il problema delle fogne in Borgo è concreto – sottolinea Arfelli – e lo abbiamo toccato nuovamente con mano in via Pellico, via Ragazzini, via D’Azeglio. Servono risposte e cronogrammi certi, che l’Amministrazione lunedì scorso non ha dato. Si è parlato sempre in via ipotetica: “sulle fognature i lavori dovrebbero partire a settembre”, ma a noi servono certezze, perché l’autunno è alle porte». Il comitato vorrebbe dunque un’Amministrazione più forte e decisa nel tutelare i cittadini in questa fase, specie nei confronti dei servizi di Hera. «Se non sarà così, il comitato valuterà di prendere altre strade e interfacciarsi con altri interlocutori, perché noi abbiamo bisogno di una voce forte che ci rappresenti», commenta Arfelli.

Al centro dei disagi: il sistema fognario, gli argini, il ponte delle Grazie, la situazione rifiuti

Ricostruirsi una vita significa anche riportare decoro nel quartiere. Cosa che in questo momento non c’è. «Nelle vie ci sono polvere e montagne di rifiuti. Prima dell’alluvione i mezzi di Hera venivano a pulire le strade, ora dove sono finiti? È evidente che la situazione sia critica. Eppure è sembrato quasi che la giunta non si accorga di questi aspetti». Non convincono i tempi di ricostruzione del ponte delle Grazie ed è stato citato da più fonti come, in via provvisoria, si può costruire un ponte bailey che dopo la guerra venne costruito in soli tre mesi. «Durante l’assemblea – prosegue Arfelli – si è avuta sempre la percezione che, mentre noi cittadini parlavamo di vivere una situazione straordinaria, l’Amministrazione trattasse tutto come una situazione ordinaria. Viaggiamo a due diverse velocità. È il caso del ponte delle Grazie, le tempistiche per risolvere la situazione non possono essere quelle ordinarie». Ulteriori temi affrontati sono stati quelli degli argini e dei progetti urbanistici da rivedere per garantire la sicurezza del quartiere, con proposte emerse dai cittadini stessi. Il comitato si prenderà altri dieci giorni per riflettere su questo primo incontro, poi parteciperà martedì 25 luglio al campo sportivo di Santa Maria Maddalena all’incontro di costituzione del secondo comitato del Borgo, che fa capo più all’area di via Lesi-De Gasperi.

Samuele Marchi

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“Ricostruire velocemente e mettere in sicurezza il territorio, sono le parole d’ordine di questi giorni. Nella realtà sembra andare tutto a rilento. Prima l’ordinanza 1010 del dipartimento di Protezione Civile del 22 giugno 2023, poi il Decreto legge 5 luglio 2023, n. 88 e la nomina del generale Francesco Paolo Figliuolo a Commissario straordinario alla ricostruzione nei territori colpiti dall’alluvione verificatasi a far data dal 1° maggio 2023 che resterà in carica sino al 30 giugno 2024. Speriamo in una accelerazione e a degli sviluppi concreti, alla possibilità di intervenire il prima possibile su un territorio devastato; se non si interviene prima delle piogge, e siamo già a fine luglio, il numero degli attuali sfollati raddoppierà. Oggi è il 20 luglio, due mesi fa in Romagna avevamo appena passato il secondo evento meteo-idrogeologico del 16 e 17 maggio con fiumi straripati e frane in montagna, noi romagnoli immaginavamo qualcosa di difficile, sicuramente non un’apocalisse, la memoria anche in questo caso ci ha tradito. Parlo della memoria, che ci avrebbe dovuto ricordare quanto accaduto nel 1939, le cronache di allora, e la memoria di tutte le situazioni di criticità succedutesi negli anni”. Ad affermarlo è Paride Antolini, Presidente dell’Ordine dei Geologi dell’Emilia-Romagna. 

“L’enorme quantità di pioggia dello scorso maggio, superiore anche a quella del 1939, non ci esime però dal lanciare l’ennesimo appello (forse inutile) per una maggiore attenzione nella gestione del nostro territorio e di adeguarci a quelli che sembrano gli standard futuri del clima. Se continuiamo a invocare quali principali problemi la pulizia dei fiumi e l’eliminazione delle nutrie, delle volpi, dei tassi, degli istrici e l’innalzamento degli argini sicuramente non abbiamo capito nulla  – continua Antolini – e ci prepariamo al prossimo catastrofico evento. Il vero tema è dare spazio all’acqua, dare spazio ai fiumi, e imparare a convivere con un sistema molto complesso, solo così possiamo affrontare il futuro e continuare ad interagire con il territorio.”
 

“Nello stesso tempo occorre un’attenta valutazione per rimediare agli errori del passato e, soprattutto, un’attenta analisi sulle aree edificate e in previsione edificatoria situate in prossimità dei fiumi. A monte della via Emilia le aree allagabili, i così detti “terrazzi alluvionali di fondovalle”, formati dai depositi dei fiumi negli ultimi 2000 anni, devono mantenere una destinazione agricola e non essere interessati da costruzioni. Queste aree classificate, nella carta geologica regionale, con la sigla AES8a, devono essere mantenute libere da edifici, e costituire aree di laminazione naturale per i fiumi. Da ora in avanti occorre un energico intervento sulla pianificazione, una revisione generale delle previsioni di sviluppo scegliendo o, meglio, imponendo il massimo rigore” conclude Paride Antolini.

Frana
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