Accedi Registrati

Login to your account

Username *
Password *
Remember Me

Create an account

Fields marked with an asterisk (*) are required.
Name *
Username *
Password *
Verify password *
Email *
Verify email *

J'Accise - Da 17 giorni consecutivi benzina e gasolio aumentano. E lo stato si arricchisce con le accise che Meloni e Salvini avevano giurato di tagliare. La rabbia aumenta, il governo la teme ma il problema è quello più grande della transizione dal fossile. E di chi la paga

BENZINA SUL FUOCO. Il «prezzo medio» arriva a 2,019 euro al litro; 1,928 per il gasolio I consumatori: è tutta colpa delle accise, serve tagliarle subito. «Trasparenza» era l’obiettivo del decreto di maggio del governo: sta succedendo l’esatto contrario

Pompa senza freni: 17 giorni di aumenti e di speculazioni

 

Il prezzo della benzina in Italia sembra inarrestabile. Sale per il diciassettesimo giorno consecutivo sulla rete autostradale. In base all’aggiornamento dei dati fornito (e voluto in nome della «trasparenza») dal ministero delle Imprese e del Made in Italy, il prezzo medio della benzina per il «self» sale a 2,019 euro al litro: il 14 agosto era a 2,015 euro. Aumenta anche il costo del gasolio a 1,928 (1,921 alla vigilia di Ferragosto). Fra le regioni il prezzo medio più alto è ancora in Puglia a 1,969 euro a litro e il più basso nelle Marche (1,924 euro). I consumatori protestano: in tempo di ferie, di rientri ma anche di partenze per le vacanze, il pieno è un salasso.

Lo spettro della speculazione si aggira lungo la penisola. E in molti casi è realtà. L’«elevata volatilità che condiziona l’andamento del prezzo del carburante per autotrazione» viene monitorato dalla Guardia di finanza che ha intensificato i controlli a tutela dei cittadini in materia di trasparenza dei prezzi. In particolare, nel periodo dal primo al 15 agosto 2023, sono stati complessivamente eseguiti 1.230 interventi, riscontrando irregolarità in

Commenta (0 Commenti)

POLITICA. Lettera della premier a Bonaccini: «Stanziati già 4,5 miliardi», ma per il presidente dell’Emilia-Romagna e i sindaci: «Nulla è arrivato»

La ferrovia di Conselice (Ravenna) un mese dopo l’alluvione Ansa La ferrovia di Conselice (Ravenna) un mese dopo l’alluvione - Ansa

È sempre più feroce lo scontro sui fondi destinati alla Romagna colpita dall’alluvione. Dopo la lettera scritta al governo da Stefano Bonaccini e dai sindaci delle zone colpite per sollecitare lo stanziamento di fondi, Giorgia Meloni ha risposto con una missiva di cinque pagine indirizzata al presidente della Regione: «Il governo ha già stanziato 4,5 miliardi per la ricostruzione delle zone alluvionate. Uno degli obiettivi dell’Esecutivo è anche quello, oltre alla messa in sicurezza e alla ricostruzione delle infrastrutture, di risarcire tutti i privati che hanno subito danni». Meloni insiste poi sulla «richiesta di acquisire i dati relativi alla cura e manutenzione di questo territorio, richiesti già nel primo incontro e ancora oggi non trasmessi dalla Regione e che si rendono comunque indispensabili per verificare quale fosse la situazione di cura e sicurezza idrogeologica prima dell’alluvione. Chi abita e lavora in quelle zone ha il diritto di vivere senza il timore di trovarsi ciclicamente colpito da eventi simili come invece sta avvenendo sempre più spesso in Romagna». Ed in effetti sul lato della sicurezza idrogeologica e cura del territorio, da tempo anche le associazioni ambientaliste e l’Ispra evidenziano che l’Emilia Romagna svetta per consumo di suolo in zone alluvionali e a rischio.

La lettera di Meloni ha fatto però infuriare Bonaccini e sindaci. «Al di là di quanto attivato da me insieme al Dipartimento nazionale di Protezione civile, nulla è arrivato in termini di indennizzi a famiglie e imprese colpite: certo, i due Decreti adottati dal Governo hanno definito una serie di misure che però, lo si chieda ai cittadini, in questo momento non risultano funzionare, né per il ritorno alla normalità delle famiglie, né per la ripartenza positiva delle imprese».

Anche secondo il sindaco di Ravenna Michele de Pascale «la lettera purtroppo è totalmente negativa, prosegue nella narrazione surreale dei 4,5 miliardi già spesi dal governo per cittadini, imprese e opere pubbliche; rinvia ad ottobre le nostre due proposte per avere subito risorse reali per gli indennizzi a famiglie e imprese ed elude completamente la nostra richiesta di incontrarla subito personalmente per decidere insieme come procedere. In analogia con il Terremoto dell’Emilia nel 2012 chiedevamo anche di prevedere un credito di imposta, finanziato con mutuo contratto dallo stato, che permetta a famiglie e imprese di detrarsi dalle tasse tutte le spese sostenute per il ripristino dei danni. La premier ci ha risposto che la misura è in fase di studio da parte del Governo sin dal primo decreto ma ancora le strutture tecniche non hanno elaborato una proposta. Tre mesi per studiare un meccanismo già utilizzato? – chiede De Pascale, sottolineando – sarebbe meglio che la premier tornasse in Romagna, nei luoghi più colpiti, e che, se non si fida dei Sindaci (anche di quelli di centrodestra a quanto pare), dei sindacati e di tutte le associazioni di impresa, ascoltasse direttamente le persone colpite». Ma al fate presto, la prima ministra risponde: «È necessario non cedere ad una fretta e una frenesia che pare rispondere più al desiderio di qualcuno di avere un po’ di visibilità alimentando polemiche utili a qualche parte politica».

«Con i propri limitati bilanci, i Comuni non hanno più margini per intervenire economicamente oltre a quanto già fatto – sottolinea al manifesto il sindaco di Faenza Massimo Isola – Non è una polemica politica, è una questione ormai pratica. I cittadini a parte il piccolo contributo di sollievo dato dalla Regione e Protezione Civile, non hanno la certezza che neppure una piccola parte delle loro spese per la ristrutturazione della casa possa essere rimborsata, e non parliamo certamente del 100% come promesso in origine dalla Meloni. Come comuni abbiamo inoltre bisogno di personale in più per far fronte alle richieste anche burocratiche dei cittadini alluvionati. La struttura commissariale deve essere messa a fianco dei comuni».

Il sindaco di Cesena, Enzo Lattuca è colpito dalla freddezza che traspare dalla lettera di Meloni: «La premier mi sembra distante dalla realtà, e conferma la distanza con cui si sta occupando delle nostre vicende. Il tempo invece è vitale, sia per i Comuni che devono ricostruire che per i cittadini. Da quando è stato nominato commissario Figliuolo – fa notare Lattuca – il governo non ha più parlato dell’alluvione, come se la volesse nascondere. Da maggio la premier non è più tornata in Romagna, e questo è molto strano».

Anche a Lugo il primo cittadino Davide Ranalli commenta amareggiato: «Nei nostri territori i cittadini stanno vivendo nell’incertezza più totale e sentono forte la paura di essere dimenticati, di non essere considerati. I colleghi sindaci hanno avanzato proposte, se non le si vuole considerare si diano alternative ma soprattutto si agisca»

Commenta (0 Commenti)

Non si fermano i suicidi in cella. Ieri un detenuto si è tolto la vita in Calabria, mentre Nordio è andato a Torino dove venerdì erano morte in due. Dal ministro la vecchia ricetta: vuole più carceri, non meno carcerati

CARCERE. Il giorno dopo le due morti autoinflitte, il ministro in visita a Torino. Ma il suo problema è come fare spazio a più detenuti, non diminuirli

 L’ingresso della delegazione governativa ieri al carcere delle Vallette - foto Ansa

In quella propaggine a nord ovest della città si sta male, si soffre e ci si toglie la vita. È il carcere Lorusso Cutugno di Torino, meglio conosciuto come le Vallette dal nome del quartiere che lo circonda. Ieri, dopo il suicidio di due detenute venerdì, si è precipitato qui il ministro della Giustizia Carlo Nordio, anticipando in realtà una visita già programmata. «Non si tratta di una ispezione, né di un intervento cruento, ma di assoluta vicinanza», ha esordito il guardasigilli. Una visita, però, accolta da una rumorosa protesta dei detenuti: battiture sulle sbarre con gavette e altre stoviglie al grido di «libertà, libertà», urla da tutto il carcere in modo indistinto e anche qualche fischio.

«Lo Stato non abbandona nessuno» e i suicidi in cella sono fardelli di dolore», ha detto Nordio che è entrato nella casa circondariale direttamente in auto. Ad accoglierlo, la direttrice della struttura penitenziaria, Elena Lombardi Vallauri, i garanti comunale, Monica Gallo, e regionale Bruno Mellano, insieme al responsabile dell’Asl per il carcere Roberto Testi; presente anche la vicesindaca Michela Favaro.

LA REDAZIONE CONSIGLIA:

Dall’inferno delle Vallette scappano anche i medici

AL TAVOLO, il ministro – che interpellato sulle proteste ha detto

Commenta (0 Commenti)

PALAZZO CHIGI. L’incontro con il governo sul salario minimo visto dall’altra parte del tavolo con le opposizioni che difendono la loro proposta dei 9 euro. Schlein: "Li abbiamo costretti a parlare dei lavoratori". Conte: "Ma non hanno una controproposta". Calenda: "Almeno nessuno è uscito sbattendo la porta". Fratoianni: "Continua la raccolta firme sulla nostra proposta"

Salario minimo: «Due mesi di dibattito al Cnel? Meloni butta la palla in tribuna» La segretaria del Pd Elly Schlein verso l'incontro a Palazzo Chigi - Ansa

La mossa della presidente del Consiglio Giorgia Meloni sul mega-tavolo al Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro (Cnel) con le parti sociali sul «lavoro povero e sui salari bassi», e non solo (o non tanto) sul salario minimo «che non risolve il problema della crescita», ha sorpreso e irritato le opposizioni, tranne Italia Viva che ieri non ha partecipato all’incontro di palazzo Chigi.

LA PRIMA REAZIONE è stata: sta prendendo tempo. Non ha detto né sì, né no. E, quando ha pronunciato la parola «Cnel» sembra che sia calato il gelo nella Sala Verde. Strano il destino di questo organo previsto dall’articolo 99 della Costituzione, oggi presieduto dall’ex di molte cose Renato Brunetta. Doveva essere chiuso a furor di referendum renziano. Oggi il governo delle destre lo riporta sull’onda della cronaca. I 3,5 milioni di lavoratori senza salario minimo, né contrattazione, tanti sarebbero stati censiti, dovranno aspettare – immaginiamo con

Commenta (0 Commenti)

Oggi le opposizioni si siedono con il governo a palazzo Chigi. Chiamate per parlare della loro proposta di salario minimo, rischiano di cadere in una trappola propagandistica. Arriva il testo della tassa sulle banche, già ridotta, e si scopre che non è previsto il gettito

GIOCHI DA TAVOLO. L’Istat: a luglio 5,6% globale ma i prodotti della spesa al 10,2% La «forbice» pagata dai meno abbienti aumenta dello 0,2%. Il trimestre anti rincari di Urso partirà solo a ottobre I dati confermano: l’industria alimentare è innocente

L’inflazione rallenta. Quella nel carrello no: è quasi il doppio Una donna osserva i prezzi in un supermercato - Foto Ap

L’inflazione cala. Quella sul carrello della spesa molto meno, risultando quasi doppia. E così si allarga la forbice fra il costo della vita generale e quella che colpisce chi deve tagliare anche sui beni di prima necessità pur di mettere assieme il pranzo con la cena. In una parola: i poveri.

IL TUTTO ALLA FACCIA del «trimestre anti-inflazione» varato dal ministro Urso che questa «forbice» doveva ridurre e che invece partirà solo a ottobre. Mentre anche la Bce torna a mettere in guardia con il suo bollettino economico in cui dice che «le prospettive su Pil e inflazione restano incerte» e negli Stati Uniti l’inflazione torna ad alzare la testa, seppur solo al 3,2%.

In Italia a luglio l’Istat ha rilevato un tasso di inflazione – l’Indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività (Nic) – del 5,9% su base annua, in calo rispetto al 6,4% di giugno. Il «carrello della spesa» che tiene conto dei prezzi al dettaglio dei beni alimentari, per la cura della casa e della persona rallenta meno: a luglio segna un più 10,2%, rispetto al +10,5% di giugno (ancora inferiore il calo dell’inflazione sui prodotti ad alta frequenza d’acquisto: da +5,7% a +5,5%).

Dunque la «forbice» si

Commenta (0 Commenti)

MINIMO SINDACALE. Fuoco ad alzo zero di lobby e media contro il prelievo fiscale ai banchieri E oggi parla l’Abi

Extraprofitti, è già guerra per banche dentro il governo (e il Pd è ammutolito) iorgia Meloni nel collegamento social "Gli appunti di Giorgia" - Ansa

Le ricostruzioni su scontri tra Chigi e Mef sulla tassa per gli extraprofitti delle banche “sono totalmente inventate e frutto della fantasia di chi ne ha scritto. Il testo della norma è stato messo a punto dal Mef in piena sintonia con l’intero governo”. Parola delle immancabili “fonti di palazzo Chigi” ma non basterà a sedare la sensazione che di tensioni ce ne siano state eccome. Il coro mediatico ha individuato il colpevole nel sottosegretario Fazzolari, animato da una sorta di cieca volontà punitiva nei confronti delle banche e dunque in contrasto con il ministro dell’economia Giorgetti, ben più amichevole e bendisposto.

Qualcosa di vero in questa lettura probabilmente c’è. Però all’origine del provvedimento non c’è un sottosegretario invasato ma la premier e la campagna mediatica, partita un po’ in sordina e diventata poi assordante, ha il solo obiettivo di difendere una lobby molto potente. Il fuoco, ieri, è stato ad alzo zero e l’accusa di essere tornata al “populismo”, buona per tutti gli usi e sempre pronta quando c’è da difendere interessi forti, è ancora il minimo. C’è di tutto e di più, inclusa la “pianificazione sovietica”, con Faraone, Iv, che già vede il Piano quinquennale alle porte.

Martellamento non disinteressato: l’intervento di Giorgetti e del Mef, salutato in coro come salvatore della Patria, ha già più o meno dimezzato la portata del prelievo, grazie al tetto al prelievo fissato allo 0,1% del totale attivo. Ora però bisogna trasformare l’annuncio in testo e le pressioni, esercitate soprattutto ma non solo sulla sponda forzista, mirano a modificare la norma già in questo passaggio.

La strada dovrebbe essere un incontro tra governo e Abi, che riunisce stamattina i suoi vertici, per trovare delle soluzioni in modo omogeneo. Lo chiede il capogruppo azzurro Barelli che martella: «La solidità di un Paese dipende dalla solidità e affidabilità del suo sistema bancario». Poi arriverà il turno della conversione in Parlamento a settembre, e qui è lo stesso Tajani, il nuovo capo, ad anticipare che «la tassa potrà essere approfondita durante l’esame in Parlamento». Si scrive approfondire, si legge modificare e alleggerire e va da sé che gli interessi di Mediolanum con i dubbi azzurri abbiano parecchio a che vedere.

Di fronte a un simile martellamento la premier difende la scelta ma pesando le parole e senza calcare la mano: «La misura più importante approvata dal cdm è quella sulla tassazione dei margini ingiusti delle banche. Viviamo una fase complicata e in questa situazione difficile è necessario che il sistema bancario si comporti in modo il più possibile corretto». Come d’abitudine Salvini è ben più greve: «Le banche sono state molto veloci ad aumentare i costi dei prestiti ma non gli interessi e stanno macinando miliardi. La tassa è un’opera di redistribuzione economicamente e socialmente doverosa».

Con i centristi che strillano contro la stalinizzazione dell’Italia e i grillini a cui preme soprattutto a ricordare che i primi a chiedere la tassa sono stati loro, il partito in maggiore difficoltà è quello di Elly Schlein. Un po’ perché la sterzata “né a destra né a sinistra” di Meloni li ha spiazzati, ma molto anzi moltissimo perché attaccare un provvedimento che piace alla stragrande maggioranza della popolazione anche e forse soprattutto di sinistra non si può, ma neppure entrare in conflitto con gli ambienti e i poteri e i media che sono stati l’ambiente naturale del Pd per decenni. Meglio rispolverare il magico detto per cui “un bel tacer non fu mai scritto”.

Posizione miope: quali che siano le motivazioni di opportunismo e propagandismo che spingono il governo, il completo riassorbimento della tassa sarebbe una sconfitta anche per la sinistra.

Intorno alla sostanza concreta del problema, del resto, si articolano strategie politiche da tutte le parti. Salvini sgomita per accreditarsi quasi personalmente una decisione certamente popolare. Renzi e Fi sondano la possibilità di un gioco più sottile: la costruzione di un asse dall’interno e dall’esterno della maggioranza capace di fare massa critica nei momenti opportuni e con reciproco vantaggio a breve e poi, se le condizioni si riveleranno favorevoli, andare anche molto oltre

Commenta (0 Commenti)