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CRONACHE DI PALAZZO. La presidente del consiglio parla di giustizia e rivendica la nota informale contro le toghe. Niente scontri, ma alle sue condizioni

 Giorgia Meloni - LaPresse

Molla La Russa. Difende Delmastro con passione. Fa scudo anche a Santanchè, ma con l’espressione di chi deve e non vorrebbe. Dopo una plumbea settimana di silenzio seguita al comunicato guerresco firmato “fonti”, Giorgia Meloni si decide a dire la sua sull’intero capitolo giustizia. Che le costi un surplus di tensione è reso evidente dall’espressione sofferente: saranno pure le scarpe che «fanno malissimo», come le scappa sussurrato a microfono aperto, ma si vede che la scarpetta si allarga e si restringe a seconda dell’argomento trattato in conferenza stampa da Vilnius. Non è mai tanto scomoda come quando si parla di toghe e indagati.

LA TENSIONE NON implica reticenza. La rivendicazione del comunicato che ha dato fuoco alla prateria è secca: «Mi identifico con le fonti di Chigi, certo». Meloni è altrettanto esplicita sui tre casi alla

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STRASBURGO. L’Europarlamento approva la proposta sul Ripristino della natura (rivista al ribasso)

Il green deal resiste. Fallisce la prova di forza Ppe-sovranisti Un applauso dopo il voto del Parlamento europeo - Ansa

L’offensiva reazionaria del negazionismo climatico non è passata. Ieri l’Europarlamento ha votato a favore, con 336 voti (300 contro e 13 astensioni), della proposta della Commissione, pur rivista al ribasso in modo minimalista, sul Ripristino della natura, che è uno dei pilastri del Green Deal europeo. Un voto precedente alla plenaria di Strasburgo ha bocciato l’emendamento della destra per respingere l’ipotesi del Regolamento (con 324 voti).

È una sconfitta dei conservatori, che alla guida del capogruppo Ppe Manfred Weber falliscono il test che puntava a mettere in scena il primo grande atto della nuova alleanza destra classica-estrema destra, un anticipo di quello che, nelle loro intenzioni, sarà il prossimo parlamento europeo, che uscirà dalle urne in giugno.
«RINGRAZIO IN PARTICOLARE gli scienziati e i giovani che ci hanno spinto per ottenere questo», ha commentato il relatore, il socialista spagnolo Cesar Luena, che ha ricordato che «negli ultimi 40 anni la Ue si è riscaldata a un ritmo doppio di quello globale» e che Ripristino della natura significa anche lottare contro le zoonosi. È il primo testo per proteggere la biodiversità votato in trent’anni, ha ricordato Greenpeace. La Ue «aggiunge una corda al suo arco di lotta ambientale preoccupandosi direttamente del deterioramento della biodiversità» ha affermato l’eurodeputata verde Karima Delli. Anche se una parte dei Verdi deplora una «legge edulcorata» e una «vittoria dal gusto amaro».

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Difatti, per avere la possibilità di far passare il testo, il gruppo centrista Renew ha costruito un compromesso: presentare un testo molto vicino a quello approvato dal Consiglio europeo, con la speranza di convincere una parte dei deputati del Ppe a votare in sintonia con i governi di cui fanno parte o sono alla guida. Nel Ppe c’è stata una spaccatura, 21 hanno votato con S&D, Verdi, Left e i due terzi di Renew (in particolare le defezioni sono state degli irlandesi). I centristi erano l’ago della bilancia: 31 hanno votato contro (in particolare olandesi, che hanno il problema della crescita del partito agrario Bbb, che ha vinto le elezioni locali e minaccia alle politiche di novembre, ma anche danesi, svedesi, finlandesi e tedeschi).
PASCAL CANFIN (RENEW), presidente della commissione Envi (Ambiente), ha di nuovo sottolineato ieri i guasti fatti dalle fake news diffuse dalla destra, che si è schierata contro le normative del Ripristino della natura in nome dell’economia: «Il 10% delle terre agricole congelate non è mai esistito – ha affermato – c’è rabbia per non poter avere un dibattito razionale». C’è un degrado della biodiversità, c’è necessità di un restauro degli ecosistemi che nel medio-lungo periodo andrà anche a vantaggio degli agricoltori e dei pescatori, al contrario di una scelta miope di privilegiare i profitti nell’immediato.

Il testo di Bruxelles non estende le zone protette dappertutto, non esclude l’attività economica. La Commissione è soddisfatta: «È la prima grande legge ambientalista da 30 anni, un esempio unico al mondo», ha commentato il commissario all’Ambiente, Virginijus Sinkevicius.

ADESSO, CON il meccanismo del “trilogo”, si aprono i negoziati con i 27. La presidenza semestrale spagnola si è impegnata a farne una priorità, ma questa promessa rischia di essere tradita se a fine luglio il governo del socialista Pedro Sanchez sarà sconfitto dal Partido Popular. Il Consiglio ha approvato un testo più o meno analogo il 20 giugno, sulla base della proposta della Commissione rimaneggiata. Il nuovo Regolamento però non verrà applicato subito, prima la Commissione dovrà fornire i dati sulle condizioni per garantire la sicurezza alimentare nel lungo periodo, che è stato il principale argomento dell’opposizione del Ppe – il timore di penurie alimentari, di rialzo dei prezzi in un periodo di inflazione, di dover importare prodotti che non rispettano le norme europee.

I paesi Ue dovranno quantificare le superfici da ripristinare e la gestione sarà di competenza nazionale. Il testo prevede anche possibilità di sospensione del processo, nel caso si debba far fronte a «effetti socio-economici eccezionali». Ci sono poi esenzioni per progetti di impianti di energie rinnovabili e per le infrastrutture della difesa.

Martedì l’europarlamento ha ridimensionato drasticamente i progetti della Commissione sulla regolazione delle emissioni industriali di gas a effetto serra: la destra è riuscita a far passare l’esclusione degli allevamenti di bestiame e un emendamento Ppe che riduce i risarcimenti per le vittime di inquinamento

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VERTICE NATO . Il ministro britannico Wallace (papabile prossimo leader) sbotta per la lista di richieste di Kiev

«Non siamo Amazon», anche i falchi contro le pretese dell’Ucraina Il presidente dell’Ucraina Volodymyr Zelensky al centro della foto conclusiva del vertice Nato a Vilnius - Ap

Il secondo giorno del vertice Nato è stato ancora marcato dal botta e risposta fra i paesi membri e gli aspiranti ucraini. Secondo il Washington Post, le critiche di Zelensky alla Nato per la mancata ammissione hanno fatto infuriare la delegazione americana a Vilnius. Più esplicita Londra, il cui ministro della difesa, Ben Wallace, ha rimproverato pubblicamente il presidente ucraino accusandolo d’ingratitudine verso gli alleati: «Mi sono fatto 11 ore di treno per incontrarlo e ricevere una lista di richieste militari – non siamo Amazon!». Una dichiarazione clamorosa, poiché prodotta da un papabile al posto di segretario generale Nato dopo Stoltenberg.

IN UN CRESCENDO di arroganza, Zelensky ha reagito durante il briefing finale: «Siamo sempre stati e sempre saremo grati. Non so come ancora dovremmo esserlo. Forse dovremmo svegliarci la mattina e ringraziare il ministro. Che mi scriva come e io lo ringrazierò». Durante la mattinata, anche altri esponenti di Kiev hanno ribadito insoddisfazione, come il ministro degli esteri Dmitry Kuleba che ha affermato di non conoscere esattamente «elenco dei requisiti che il paese dovrà soddisfare per ottenere l’agognata tessera del club atlantico».

Nel pomeriggio tuttavia, gli ucraini sono rientrati nei ranghi ed hanno abbassato i toni. Dopo l’incontro bilaterale con Joe Biden, Zelensky ha assunto il ruolo di diplomatico. Nel briefing finale, ha definito buoni i risultati del vertice, «ideali se ci avessero ammesso», ma comunque «un successo per l’Ucraina», che ha compreso come «le condizioni necessarie per l’ingresso nella Nato saranno raggiunte solo quando ci sarà la pace». Il segretario Stoltenberg e gi altri leader Nato hanno insistito sul messaggio che rispetto a quelle dei vertici precedenti le attuali promesse di membership ucraina sono qualitativamente nuove e definitive.

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MA ANCHE IN TERMINI pratici, gli ucraini hanno ottenuto una serie di concessioni. Sul piano militare è stato stabilito che già ad agosto inizierà in Romania la preparazione dei piloti ucraini all’uso dei caccia F-16, premessa per la fornitura di tali armi strategiche. Soprattutto, Biden e Stoltenberg hanno fatto una sorpresa a Kiev ingaggiando i paesi del G7 in un impegno formale a fornirle garanzie di sicurezza.

Tutti i leader dei “sette grandi”, compresi i vertici dell’Ue, hanno sottoscritto una dichiarazione che parla di condivisione dell’intelligence e di assistenza concreta nello sviluppo dell’industria della difesa ucraina, tramite il trasferimento di “equipaggiamento militare moderno, nei domini terrestre, aereo e marittimo, con priorità alla difesa aerea, all’artiglieria e al fuoco a lungo raggio, ai veicoli blindati e ad altre capacità chiave, come l’aviazione da combattimento – promuovendo una maggiore interoperabilità con i partner euro-atlantici”. Come contropartita, l’Ucraina si impegna a realizzare le ormai proverbiali riforme in campo giudiziario economico e della “trasparenza” del sistema politico, pretese dal martoriato paese dall’inizio del suo cammino verso l’area atlantica.

Si è trattato di uno sviluppo del tutto inedito: la prima volta che un consesso economico quale il G7 assume un ruolo in campo militare. Tuttavia, tale sviluppo non stupisce alla luce dell’altro leitmotiv del summit a fianco del conflitto ucraino, ossia “la sfida sistemica posta dalla Cina all’ordine internazionale basato sulle regole”. L’inedito outsourcing della Nato nei confronti del G7 permette infatti d’inglobare ulteriormente il Giappone all’interno dei meccanismi bellici atlantici in preparazione dello scontro con Pechino.

SUL FRONTE EUROPEO, su iniziativa polacca la Nato ha anche promosso i dissidenti bielorussi, in primo luogo Svetlana Tikhonovskaja (“presidente eletto” secondo gli atlantici), la quale ha rivolto appelli ai leader occidentali ad ostracizzare ulteriormente il presidente Lukashenko e a fornire a Kiev tutte le armi necessarie.

DA NOTARE INFINE le dichiarazioni finali di Erdogan. Da un lato, il raiss si è rivolto a Putin invitandolo a visitarlo ad agosto, così da discutere l’estradizione dei capi dell’Azov. Dall’altro, Erdogan ha ulteriormente punzecchiato il collega russo usando la tribuna di Vilnius per annunciare un ritiro delle forze di pace russe dal Nagorno-Karabakh nel 2025. Nel conflitto caucasico la Turchia ha finora avuto un ruolo di garante esterno, subordinato alla Russia. Con un simile inatteso statement Ankara si pone come attore di primo piano su questo teatro. Un altro affronto al prestigio internazionale di Mosca, a cui quest’ultima si sentirà obbligata a rispondere

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Arriva all’europarlamento la proposta sul Ripristino della natura Il Ppe di Weber fa asse con i sovranisti. Renew ago della bilancia

Ue, prove di alleanza contro il Green deal Oggi un voto in bilico 

I due campi ieri si sono schierati in piazza a Strasburgo, oggi lo saranno in aula, il Parlamento europeo mette al voto in seduta plenaria la proposta della Commissione sul Ripristino della natura. Il risultato è incerto. In piazza è arrivata Greta Thunberg, un tentativo dell’ultima ora per convincere gli eurodeputati a «stare dalla parte giusta della storia», a «scegliere la natura, la gente, non i profitti e l’avidità», perché «l’agricoltura e l’ambiente devono andare mano nella mano». Ma c’erano anche i trattori e i lobbisti dell’agrobusiness. Christiane Lambert, che è stata a capo della Fnsea (Confagricoltura francese), denuncia «una legge punitiva».

IN AULA OGGI, LA CONTA sarà all’ultimo voto (705 eurodeputati, contano quindi gli assenti). La proposta della Commissione, presentata nel giugno 2022, è stata bocciata in due commissioni dell’europarlamento, Agricoltura e Pesca, mentre alla commissione Ambiente Envi ci sono state due votazioni, finite entrambi 44 a 44: non è passato l’emendamento contro la legge né quello a favore. L’estrema destra (due gruppi: Ecr e Id) è da sempre contraria, mentre di recente c’è stato il voltafaccia del Ppe, guidato da Manfred Weber (Csu): il capogruppo che ha il dente avvelenato contro la presidente Ursula von der Leyen (era lui lo Spitzenkandidat nel 2019, ma si è fatto soffiare il posto alla testa della Commissione dalla sua connazionale, scelta da Macron e Merkel), tesse sul rifiuto della svolta ambientale un rovesciamento delle alleanze al Parlamento europeo dopo le prossime europee del giugno 2024: tagliare fuori i socialisti per unirsi all’estrema destra Ecr (il modello è il governo Meloni, con esempi già in Svezia e Finlandia). La proposta della Commissione è stata invece approvata al Consiglio europeo, anche da governi di destra classica e per questo il gruppo-chiave, i liberal di Renew hanno proposto un compromesso: presentare un testo analogo a quello passato in Consiglio, così da convincere parte dei deputati Ppe a non tradire i rispettivi governi. Per Pascal Canfin (Renew), presidente della commissione Envi, «l’ultima cosa che vogliamo è la vittoria delle fake news e del populismo di estrema destra».

LA LEGGE SUL RIPRISTINO della natura fa parte del Green Deal. Ci sono 100 miliardi di finanziamento nel bilancio pluriennale Ue. Il vice-presidente della Commissione, Frans Timmermans, mette in guardia: senza questo regolamento che mette la Ue in linea con la convenzione sulla biodiversità dell’Onu, approvata a Montreal nel dicembre 2022, sarà «quasi impossibile» per l’Unione rispettare l’obiettivo di riduzione del 55% delle emissioni di Co2 entro il 2030. 310 milioni di tonnellate di Co2 dovrebbero venire assorbite dalla natura ripristinata. Timmermans parla di discussioni «tribali»: il «negazionismo sul clima e lo scetticismo erano ai margini della politica, adesso se il centro-destra si muove in questa direzione penso che avremo dei problemi». Il Ppe invoca l’economia: con gli effetti della guerra in Ucraina e l’inflazione, non è il momento di colpire l’agricoltura, Weber sventola minacce sull’approvvigionamento alimentare europeo. «“Siamo totalmente impegnati a prendere sul serio la biodiversità – afferma – ma dobbiamo farlo con gli agricoltori e le zone rurali». Weber chiede alla Commissione di presentare un nuovo testo di legge.

IL GRUPPO RENEW è l’ago della bilancia. Ma è diviso al suo interno. Il capogruppo Stéphane Séjourné, ieri, ha assicurato che il 70% dei parlamentari Renew oggi voteranno a favore. La legge raccoglierà i voti di S&D, della Left e dei Verdi, tutti appoggiano il «compromesso» di Canfin. Per César Luena (Psoe), è una «decisione pragmatica», mentre il Ppe è ormai «reazionario». Per il commissario all’Ambiente, Virginijus Sinkevicius, la Commissione è «al 100% impegnata per trasformare la proposta in legge». Ma se il Parlamento non approva oggi, ormai il pacchetto passerà alla prossima legislatura, con un orientamento probabilmente più a destra (la caduta di Mark Rutte in Olanda è un segnale negativo, alle elezioni di novembre potrebbero aumentare i voti degli agrari del Bbb).

LA PROPOSTA della Commissione per un Regolamento con obiettivi giuridici vincolanti (senza dover passare per un voto ai parlamenti dei 27) in difesa della biodiversità mira a riparare l’80% degli habitat europei degradati, terrestri e marini, almeno il 20% entro il 2030 e la totalità nel 2050. Significa piantagione di alberi, più verde nelle zone urbane, misure drastiche contro l’inquinamento, garantire la resilienza degli ecosistemi e l’attenuazione degli effetti del cambiamento climatico, migliorare la salute. C’è anche un capitolo sui pesticidi, il cui uso dovrà diminuire del 50% entro il 2030.

IL REGOLAMENTO sul Ripristino della natura non significa che ci saranno zone protette dappertutto. Non è esclusa l’attività economica. Secondo i calcoli della Commissione, tra il 1997 e il 2011 la perdita di biodiversità è costata fino a 18 miliardi all’Unione europea e per ogni euro investito negli eco-sistemi c’è un valore aggiunto tra gli 8 e i 38 euro.

La Commissione ha registrato ieri l’Iniziativa civica europea per raccogliere un milione di firme in almeno 7 stati con l’obiettivo di imporre una tassa europea sui grandi patrimoni, per destinare i proventi alla transizione climatica

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SINISTRA. L’assemblea nazionale di Roma lancia il processo costituente di Unione popolare. Dopo la sconfitta al voto di settembre si riparte da temi considerati «maggioritari»

Uno «spazio politico» contro guerra, povertà e disuguaglianze L'assemblea nazionale di Unione Popolare - Patrizia Cortellessa

Già di per sé la notizia sarebbe clamorosa, forse del tutto inedita per una formazione di sinistra: non si smobilita dopo un passo falso. E così, dopo il deludente 1,4% delle elezioni politiche di settembre Unione popolare lancia il suo percorso costituente. Lo fa in un’accaldata assemblea che domenica ha impegnato almeno duecento persone sotto il tendone della festa di Rifondazione comunista, nella periferia del quartiere Tiburtino.

«SIAMO UNA SPARUTA minoranza ci dobbiamo chiedere cosa fare per diventare davvero ‘Unione popolare’» dice Luigi De Magistris, che della coalizione composta da Prc, Potere al popolo, DeMa e Manifesta è stato il candidato premier ed è attualmente il portavoce. Un portavoce, precisa l’ex sindaco di Napoli, «senza legittimazione dal basso». Questa legittimazione, insieme allo statuto, al manifesto politico e all’organigramma, dovrà avvenire tra settembre e ottobre prossimi, quando è prevista l’assemblea costituente di Unione popolare. In quella sede convergeranno gli iscritti alle quattro organizzazioni, che automaticamente si considerano aderenti al soggetto unitario, e quelli nuovi, che i promotori contano di coinvolgere nel corso della campagna di adesioni che si terrà da qui all’autunno. Dai prossimi giorni sarà possibile aderire al progetto, sottoscrivendo almeno 5 euro, guadagnandosi anche la possibilità di dire la propria sulla piattaforma telematica che sarà uno degli strumenti del nuovo soggetto. Che non si presenta come un «partito», piuttosto come uno «spazio politico» cui De Magistris aggiunge l’aggettivo «necessario». «I soggetti fondatori di Unione popolare non scompaiono – spiega ancora De Magistris – Il cittadino da oggi in poi deve percepire l’esistenza di un soggetto unico, non solo coalizione elettorale sommatoria di soci fondatori ma uno spazio politico per realizzare l’alternativa».

LO SCHEMA è quello che diede il via alla stagione dei cosiddetti «populismi di sinistra»: esiste un «noi», cioè il popolo, e un «loro» al quale si ascrivono l’establishment, «quelli che sono stati al governo e quelli che hanno governato negli ultimi anni». Da questo schema deriva l’ambizione controegemonica di Unione popolare. Ci sono questioni, è il ragionamento, che la maggioranza degli italiani condivide e che non hanno uno spazio politico adeguato. La prima è il conflitto in Ucraina. «Dobbiamo portare dentro il palazzo della politica il no alla guerra», sostiene Giorgio Cremaschi, che rappresenta gli effetti politici della mobilitazione bellica su una dimensione multilivello «come una matrioska». «La prima bambola diceva che c’era un aggredito e un aggressore – spiega Cremaschi – Si è arrivati al secondo livello: bisognava inviare armi. Poi è arrivata la questione delle armi più o meno letali. Da qui il nuovo quadro: quello che prospetta la vittoria dell’Ucraina. Allora siamo giunti al punto in cui si dice che dopo un anno di combattimenti non c’è spazio per il negoziato e la realpolitik. Da cui deriva l’economia di guerra che subiamo. Infine, la democrazia di guerra: se vivessimo in Russia saremmo all’opposizione di Putin, ma ci dicono putiniani». Dalla dimensione che si considera maggioritaria dell’opposizione alla guerra consegue il dibattito sulle prossime elezioni europee. L’ex europarlamentare Eleonora Forenza, ad esempio, dice: «Dobbiamo confrontarci con il mondo che attorno a Massimo Cacciari e Michele Santoro esprime posizioni critiche». Anche De Magistris e il segretario Prc Maurizio Acerbo parlano della necessità di «verificare le possibilità di una lista pacifista».

L’ALTRA LEVA per uscire dalla dimensione minoritaria è il salario minimo. Nelle ultime settimane Up ha raccolto le firme per una proposta di legge di iniziativa popolare che fissi il salario minimo legale a 10 euro l’ora. «I sondaggi dicono che due italiani su tre sono d’accordo» afferma Giuliano Granato, uno dei due portavoce di Potere al popolo. Terzo ingrediente: la battaglia contro l’autonomia differenziata. Marina Boscaino, a nome dei comitati contro il progetto di Calderoli, rivendica la necessità di fermare una riforma che «riconoscerà diritti diversi a seconda del certificato di residenza». Da qui riparte una forza politica che si vuole radicata nelle mobilitazioni sociali. «È nelle lotte che facciamo capire che siamo fuori dal sistema ma anche credibili», teorizza sempre De Magistris. Granato è più esplicito quando disegna uno schema che rompe con la tentazione, circolata anche nella sinistra radicale, di trasformare i temi dell’egemonia e del consenso soprattutto in questioni discorsive e performance comunicative. «Non contano i bravi portavoce ma le mobilitazioni – dice Granato – In Francia si fanno sentire non perché hanno Mélenchon ma perché scioperano da settimane». «Gli eversivi agiscono attraverso l’esercizio del potere e della legalità formale – aggiunge De Magistris sul rapporto tra lotte e governo di destra – Chi sarà bersaglio del sistema dovrà sentirsi tutelato da Up»

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