GARANTISMO POSTICCIO. Il tentativo di cambiare rotta dopo le incaute dichiarazioni del ministro Nordio
No, la fiaccolata no. Troppo pericolosa, troppo alto il rischio di contestazioni e se dovessero arrivare da Maria Falcone e Salvatore Borsellino il danno d’immagine sarebbe ai confini dell’irrecuperabile. Per Giorgia Meloni il trentunesimo anniversario della strage di via D’Amelio è una faccenda delicata. Deve provare a conciliare l’inconciliabile, l’inflessibilità che è sempre stata propria delle tradizioni missine e il garantismo che Berlusconi le ha lasciato come scomoda eredità. Le incaute dichiarazioni del ministro Nordio hanno peggiorato di molto la situazione: il concorso esterno che aveva messo nel mirino nel momento peggiore non è l’abuso d’ufficio, reato che anche sindaci e amministratori di sinistra vorrebbero veder cancellato. È un pilastro nella strategia antimafia ispirata dal lavoro proprio di Borsellino e Falcone. La rapidissima retromarcia imposta a Nordio non basta a restituire a Meloni la patina di strenua guerriera antimafia di cui ha sempre cercato di dotarsi.
La premier sa che oggi avrà tutti gli occhi puntati addosso. Ogni sua parola sarà pesata col bilancino. Per parare l’accusa di aver tradito l’eredità del magistrato missino che lei stessa ha sempre indicato come suo principale punto di riferimento non le basterà evitare affermazioni che autorizzino il sospetto di aver abbassato la guardia. Dovrà di fatto smentire l’impostazione complessiva del suo guardasigilli e probabilmente, nella sostanza, è pronta a farlo. L’annuncio di un decreto a breve per bloccare le conseguenze della sentenza di Cassazione 34895 del marzo 2022 è da questo punto di vista indicativo e Meloni potrebbe riprenderlo nel corso della giornata di oggi a Palermo.
Quella sentenza, che accoglieva il ricorso contro l’uso indebito delle intercettazioni ambientali nel caso di un imputato esterno all’organizzazione criminale, non è un pronunciamento isolato, in discontinuità con l’approccio della Suprema Corte al reato associativo e alla criminalità organizzata. Al contrario è omogenea e conseguente a altre sentenze, tutte concordi nell’affermare che si possano considerare fenomeni di criminalità organizzata, e applicare pertanto gli strumenti investigativi permessi esclusivamente in quel caso, «solo fattispecie criminose associative». Proprio perché in realtà non diceva nulla di nuovo, la sentenza in questione non suscitò alcun clamore quando fu emessa, quasi un anno e mezzo fa.
La premier ha deciso dunque di smontare per decreto l’intero approccio al fenomeno della Corte di Cassazione per dimostrare, con un gesto eclatante, la sua determinazione nel combattere il crimine organizzato, rovesciando così l’immagine titubante derivata dall’annuncio di Nordio. Si spiega così, del resto, anche l’anomalia di un discorso pronunciato in consiglio dei ministri e fatto poi pervenire parola per parola a giornali e agenzie di stampa.
Se proverà davvero a dar seguito all’impegno, però, l’ambiguo equilibrio grazie al quale Meloni tiene insieme la sua maggioranza in materia di giustizia sarà scosso nelle fondamenta. Il magico incontro tra rigorismo “galerista” e garantismo consiste infatti, nella formula da lei più volte illustrata, in una giustizia che protegge i diritti dell’imputato nel processo ma diventa inflessibile dopo la condanna. Ma i princìpi affermati dalla Cassazione riguardano invece proprio i diritti nel processo e in particolare la facoltà di usare strumenti investigativi eccezionali, non consentiti senza l’appartenenza a un’associazione criminale. Per questo oggi la premier dovrà scegliere e tutto lascia pensare che deciderà di scrollarsi di dosso l’abito posticcio di garantista, nel quale del resto non si è mai trovata a proprio agio