Il fumo che si alzava dal ponte di Crimea la scorsa notte non era quello di un’esercitazione. Gli ucraini hanno colpito di nuovo, dimostrando che le difese russe non hanno ancora imparato a premunirsi da queste incursioni a sorpresa. Tuttavia, il fatto che stavolta Kiev abbia rivendicato subito la propria responsabilità è preoccupante: vuol dire che sono caduti molti tabù e che c’è un gran bisogno di dimostrare che si può ancora far male, nonostante la controffensiva non stia andando come previsto.
TRA LE 3.04 E LE 3.22 della notte tra domenica e lunedì «delle forti esplosioni» non meglio specificate sono state udite dalla zona del 145° pilone del ponte. Subito la circolazione è stata chiusa, ma da Mosca si motivava la decisione appellandosi a una generica «emergenza». La notizia di due morti, una coppia di civili in villeggiatura, ha fatto in fretta il giro del mondo. Poi, con le prime luci dell’alba è stato chiaro che si era verificato un attacco. Due droni marini di superficie, secondo le prime indiscrezioni, lanciati dagli ucraini. Si era già pronti a cercare di cogliere qualche indizio nelle dichiarazioni pubbliche ucraine, o magari a registrare le battute sarcastiche dei funzionari di Kiev, qualcosa di simile a «non siamo stati noi ma potremmo essere stati noi e comunque siamo molto felici che sia avvenuto».
TUTTAVIA, Mentre i giornali iniziavano a pubblicare le prime analisi, la testata Rbc-Ucraina ha citato una fonte anonima dell’Sbu (i servizi segreti di Kiev) che affermava chiaramente: «L’attacco notturno al ponte di Crimea è un’operazione speciale delle forze navali e del servizio di sicurezza dell’Ucraina. Il ponte è stato attaccato con l’ausilio di droni di superficie. È stato difficile raggiungerlo, ma alla fine ci siamo riusciti». Al momento possiamo affermare che nessuno dei piloni è stato danneggiato è che, quindi, i danni al ponte non sono irreparabili.
«SI TRATTA di terrorismo», è stata la prima reazione di Mosca. Il capo del Consiglio filo-russo della Crimea, Vladimir Konstantinov, ha poi accusato: «Kiev doveva sapere che la sezione automobilistica del ponte è una struttura esclusivamente civile», affermazione inesatta in quanto dall’inizio della guerra tale direttrice è usata anche dai mezzi militari su gomma. Konstantinov ha anche sottolineato che «i binari ferroviari non sono stati danneggiati dall’attacco. La Crimea è collegata alla Russia continentale attraverso un corridoio terrestre nel nord e abbiamo un buon servizio di traghetti. Non siamo isolati». I funzionari russi hanno poi invitato i turisti che si trovano in Crimea a rientrare a casa passando via terra, ovvero attraverso i nuovi territori ucraini occupati. Una strada molto più lenta, più pericolosa e interrotta dai controlli militari continui.
A metà mattinata il capo dell’Sbu, Vasyl Malyuk, aveva ribadito che «il ponte era un obiettivo perfettamente legittimo per l’Ucraina» in quanto «le norme del diritto internazionale, l’analisi della situazione operativa e le tradizioni di guerra consentono di tagliare le rotte logistiche del nemico». Il portavoce dell’Sbu, Artem Dekhtyarenko, ha poi chiarito che i dettagli dell’attacco saranno rivelati «solo dopo la vittoria». «Per ora» ha aggiunto Dekhtyarenko, stiamo osservando con interesse come uno dei simboli del regime di Putin ancora una volta non sia riuscito a sopportare il carico militare».
IL PONTE DI KERCH era già stato colpito l’8 ottobre 2022. Per ripararlo erano serviti mesi e da Mosca avevano annunciato che le difese erano «state rafforzate significativamente». Di conseguenza al Cremlino l’imbarazzo non dev’essere mancato. Soprattutto se consideriamo i molti filmati delle esercitazioni difensive diffusi dai canali governativi nei mesi scorsi. Anche a Kiev erano serviti mesi per rivendicare quell’attacco, nove per la precisione. Ieri, invece, sono bastate poche ore, segno che anche la prudenza comunicativa è ormai stata abbandonata