Si vota in Spagna, l’ultimo grande paese europeo in cui la sinistra governa da sola. I post-franchisti di Vox puntano a entrare nella maggioranza. I progressisti credono nella “remontada”. In gioco c’è anche l’Europa
Le destre trumpiane di Partido popular e Vox sembravano avanti, ma il blocco progressista di Sánchez e Díaz ora grida "Sí se puede
Un poster elettorale del partito PSOE a Madrid - Ansa
Oggi in Spagna si celebrano le elezioni politiche convocate da Pedro Sánchez lo scorso 29 maggio, il giorno dopo la batosta ai partiti del governo di coalizione progressista arrivata dalle elezioni regionali e municipali, in anticipo di pochi mesi sulla scadenza naturale della legislatura. In principio si parlò allora di azzardo del presidente del governo nel convocare anticipatamente l’appuntamento elettorale, ma subito apparve chiaro come fosse l’unico modo possibile per non rimanere preda del continuo dileggio delle destre, tanto più in pieno semestre europeo a guida spagnola, e provare a mobilitare l’elettorato democratico e progressista contro l’apparente irresistibile avanzata delle destre. Se Sanchez abbia centrato l’obiettivo lo si vedrà questa sera al momento dello scrutinio del voto, ma intanto dalla campagna elettorale durata poco meno di un mese, si possono trarre alcune considerazioni.
UNA CAMPAGNA torrida per le alte temperature estive, giocata prevalentemente utilizzando il medium più tradizionale, la televisione, con interviste ai singoli candidati e dibattiti tra gli stessi. È stato Sánchez a imprimere questo ritmo, accedendo a programmi televisivi da sempre ostili al suo esecutivo, nel tentativo di ribaltare la narrazione delle destre. Perché le destre europee hanno imparato da Trump e da Bolsonaro: usano la bugia come strumento della dialettica, parlando alla pancia delle persone che hanno la percezione di non essere
ascoltate dalla politica nei loro problemi. E il leader del Pp, Alberto Núñez Feijóo, si è rivelato un campione in questo, tanto da mettere in seria difficoltà Sánchez nel dibattito faccia a faccia di inizio campagna.
UNA PRIMA SETTIMANA complicata per il blocco progressista, che sembrava incapace di replicare alle menzogne, di dare valore ai molti provvedimenti legislativi approvati per sostenere il reddito e l’occupazione delle fasce più fragili della popolazione, di rivendicare il grande lavoro fatto in materia di diritti delle donne e del collettivo lgtbi. E per un paio di giorni è sembrato che la sconfitta delle sinistre fosse inevitabile. Poi, lentamente, Psoe e Sumar hanno cercato di recuperare il terreno della speranza e del “Si se puede”. Perché sulle elezioni contano molto le aspettative e se si combatte con l’intenzione di vincerle e si risulta credibili nell’avanzare una prospettiva di questo tipo al proprio elettorato, questo aumenta la partecipazione al voto e perciò le probabilità di vittoria.
L’ULTIMA SETTIMANA in difficoltà è quindi apparso Feijóo, meno baldanzoso dell’inizio, e perfino Santiago Abascal, leader di Vox, ha iniziato a dubitare della sconfitta del cosiddetto “sanchismo”. Lo si è visto nell’ultimo dibattito televisivo a tre, dove il leader popolare ha scelto di non partecipare e dove il tandem Pedro Sánchez e Yolanda Díaz ha funzionato per evidenziare la sintonia politica tra Pp e Vox e non solo quella strumentale, come peraltro dimostrano i programmi e le azioni di governo nei municipi e nelle regioni in cui governano insieme. Così, in chiusura di campagna, Sánchez e Diaz hanno appellato alla remontada, non più come espressione di un desiderio ma come qualcosa che starebbe davvero accadendo.
LA NOVITÀ DI QUESTE elezioni è che non si tratta di un normale avvicendamento di partiti al potere, la classica alternanza che sempre si dà nelle democrazie. Questa volta il fatto nuovo riguarda la possibile formazione di un governo nazionale con la presenza dell’estrema destra, la prima volta in democrazia, e con un’estrema destra che parla un linguaggio antico che si pensava desueto, eppure troppo recente nella memoria spagnola. Vox è un partito neofranchista e il suo paradigma politico radica nelle proibizioni, nello sciovinismo e nella censura di quell’epoca. Il suo programma è un attacco alla libertà femminile e al riconoscimento dei diritti delle minoranze, l’idea di una Spagna angusta e impaurita. E quel che è più grave è che l’estrema destra può arrivare al governo del paese perché il Pp glielo permette, fino a diventare indistinguibile. Perciò José Luis Rodríguez Zapatero si è buttato a capofitto in campagna elettorale, per rivendicare il suo ruolo nella modernizzazione del paese e difendere le conquiste fatte in materia di diritti sociali e di cittadinanza.
MA IL VOTO DI OGGI in Spagna non ha conseguenze solo all’interno dei confini nazionali. L’Unione europea sta col fiato sospeso, in attesa dei risultati elettorali che potrebbero modificare i futuri equilibri tra i paesi e nel governo delle istituzioni comunitarie, che potrebbero cambiare la natura del progetto europeo. Tra un anno si vota in Europa e tutti aspettano di conoscere che cosa accadrà nell’unico grande paese europeo governato negli ultimi quattro anni dalle sinistre