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DESTRA ASOCIALE. Il «padre» del Reddito di cittadinanza: il governo cancella l’unico sussidio esistente a 600 mila persone. E si tagliano 4 miliardi. Oltre ai 250 mila di venerdì, dal 2024 altri 350 mila perderanno ogni tutela. E la «presa in carico» promessa è una presa in giro

Tridico: «Meloni fa una cinica guerra ai poveri» Una manifestazione per chiedere un reddito universale - Foto LaPresse

Pasquale Tridico, ex presidente Inps e padre del Reddito di cittadinanza. Venerdì l’Inps ha comunicato a 169 mila nuclei familiari la fine del sussidio. Cosa ha provato?
Un sentimento contrastante. Mi aspettavo che accadesse, la legge parlava chiaro: alla scadenza dei 7 mesi del 2023 il Reddito di cittadinanza finisce per i cosiddetti occupabili. Quindi l’Inps ha fatto quello che doveva fare, comunicando alle persone che sarebbe stato l’ultimo mese. Detto questo, mi ero augurato che da parte del governo ci fosse un ravvedimento perché nel frattempo la crisi economica morde e l’inflazione è da profitti: favorisce i ricchi e penalizza i meno abbienti, come confermano Bce e Fmi. Di questo, personalmente, mi dispiaccio moltissimo, è un colpo al cuore perché sono intimamente convinto della giustezza della misura: il Reddito di cittadinanza è uno strumento di lotta alla povertà moderno e funzionale. Tanto è vero che l’Unione europea ha chiesto a tutti i paesi di creare un «salario minimo» senza prevedere esenzioni, come invece ha fatto il governo Meloni, distinguendo

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PNRR. Il professore di Roma Tor Vergata: bene che torni l’Ecobonus. Serve puntare su comunità energetiche, eolico off shore e colonnine per arrivare alla democrazia energetica dal basso. Eni deve essere riconvertita al green
Becchetti: «Senza senso tagliare sul dissesto idrogeolico, troppi ritardi sulla transizione» Un impianto di energia eolico off shore - Foto Ap

Professor Leonardo Becchetti, docente di Economia politica a Roma Tor Vergara, il governo taglia 16 miliardi del Pnrr di progetti su riqualificazione urbana e dissesto idrogeologico proprio nei giorni in cui il cambiamento climatico mostra la sua accelerazione da Milano a Palermo.
Stralciare i fondi sul rischio idrogeologico proprio due giorni dopo aver annunciato un piano del governo su questo tema è senza senso. È sempre stato un tallone d’Achille del nostro paese e siamo già in grave ritardo. Ora che le risorse finalmente c’erano e che molti comuni avevano presentato progetti importanti, ritardare gli investimenti è grave. Oltre ai fondi sulla rigenerazione urbana, sottolineerei anche il taglio del miliardo per l’utilizzo dell’idrogeno che è fondamentale per esempio per convertire l’acciaieria a Taranto.

Le modifiche decise nella cabina di regia coordinata dal ministro Fitto hanno anche riesumato l’Ecobonus dopo la cancellazione del Superbonus.
Io ho sempre sostenuto che cancellare il Superbonus era una follia: prima abbiamo fatto avanti tutta dando il credito d’imposta a tutti e poi lo abbiamo abolito completamente. Bastava fissare un tetto di spesa massima per favorire le famiglie meno abbienti. Ora, utilizzando i fondi Repower Eu, il governo fa un passo indietro e penso sia giusto. In più viene ripresa la proposta fatta con un Cna di un credito di imposta da 1,5 miliardi per le imprese da utilizzare sull’energia: è l’unico modo per favorire l’utilizzo delle fonti rinnovabili. Su questo fronte è vergognoso che da un anno e due mesi non ci sia ancora il decreto attuativo sulle comunità energetiche che consentirebbe ai piccoli comuni di produrre energia e utilizzarla in loco. In questo modo si bloccano 2,2 miliardi confermati nel Pnrr. Anche se in questo caso il ritardo è più del governo Draghi.

Sul fronte dell’energia non crede che lo spostamento di risorse sia una delega in bianco a Eni e Enel per spendere fondi senza controllo?
Il problema è cosa fanno le grandi aziende. Il rischio c’è forse per Eni che deve essere riconvertita alla transizione dal fossile producendo colonnine elettriche e facendo vera chimica verde. Per Terna invece penso che le risorse messe a disposizione siano necessarie per migliorare la rete: è l’azienda che dovrà gestire il passaggio all’elettrico. Pensi che ormai ci sono un milione e mezzo di italiani che producono energia e la mettono in rete: l’infrastruttura deve essere all’altezza. Su Enel invece va proseguita la svolta fatta negli ultimi anni da Starace, puntando sul solare e sull’eolico off-shore, sbloccando le procedure sui tanti progetti presentati. In Italia invece abbiamo aziende che propongono agli agricoltori di affittare i campi per metterci pannelli fotovoltaici, una vera follia. Serve governare il processo.

Ma il governo Meloni non lo sta facendo. Anzi. Fa il contrario: De Scalzi è il vero ministro dell’Ambiente.
Tutto il mondo va verso la transizione, verso la fine dell’energia fossile. È un processo irreversibile, ci sarà di sicuro una accelerazione nei prossimi anni.

Lei è uno fra i pochi economisti ad aver firmato l’appello contro il negazionismo climatico. Non pensa che la sua categoria sia molto retrograda?
Sto preparando un altro appello con 30 colleghi. Io penso che il 70 per cento degli economisti italiani sia sintonizzato sul cambiamento climatico. Ma facciamo fatica a manifestarlo. La battaglia per la democrazia energetica con la rivoluzione che parte dal basso con le comunità energetiche alla fine avrà la meglio.

Non sarà troppo ottimista? Nel settore dall’auto la battaglia contro la direttiva Euro 7 e la richiesta di posticipare lo stop ai motori endotermici dopo il 2035 sembra vincente e il governo Meloni l’appoggia.
Sulle auto il processo verso l’elettrico è segnato. Già oggi il costo d’uso a 5 anni fra un auto elettrica e una a fossile è uguale. Fra pochi anni si produrranno auto elettriche utilitarie a prezzi sempre più bassi. E anche sul fronte occupazionale si stanno creando nuove filiere per i componenti. Serve però puntare sulla formazione dei lavoratori.

Il governo Meloni però è pieno di negazionisti climatici così come il mondo dei media.
I negazionisti sono molto meno di quanto appaiono in televisione e sui social, dove però spiccano i contrari che come i no vax e i no euro sono minoranze dell’1 per cento. Come dimostra il dimezzamento dei voti a Vox in Spagna, le prossime elezioni le vincerà sempre di più chi avrà la ricetta migliore sul clima per convincere le giovani generazion

 
 
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GUERRA AI POVERI. L’Inps comunica la «sospensione» decisa dal governo. In Campania file e risse
negli uffici. La chimera della «presa in carico» e del Supporto alla formazione: niente è ancora prevsto
 

 Una manifestazione per chiedere un reddito universale - Foto LaPresse

Oramai con la tecnologia si può comunicare tutto con facilità. Anche le notizie più gravi. Con un sms parecchie aziende in questi ultimi anni hanno annunciato ai loro lavoratori l’improvviso licenziamento, ieri l’Inps ha comunicato a 169 mila famiglie italiane la fine del Reddito di cittadinanza. Perché il governo le considera «occupabili». Come dovrebbero trovare lavoro però è ancora un rebus. Irrisolto dal governo.

L’INVIO DELL’ULTIMA RATA dell’assegno per il Reddito o la pensione di cittadinanza è stata l’occasione per comunicare la sospensione del sussidio da agosto, decisa dal governo.
Il messaggino è arrivato a chi è in nuclei familiari nei quali non ci sono componenti disabili, minori o over 65, come prevede la nuova normativa definita nell’ultima manovra bilancio e poi definita dal decreto Lavoro della ministra Marina Calderone.

Queste famiglie potranno ricevere «350 euro al mese come Supporto alla formazione al lavoro attraverso gli sportelli dei Centri per l’impiego e l’Inps». Per il resto si attende il nuovo Assegno di inclusione che riguarderà sempre chi ha minori, anziani o disabili in casa. Ma la misura sarà attivata dal primo gennaio 2024. Il governo, per ultima cosa, si è inventato una nuova Social Card di «buono spesa» da 380 euro con distinzioni perfino sui

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POLITICA. Il generale Francesco Figliuolo diventa ufficialmente commissario straordinario alla ricostruzione

 Il commissario per la ricostruzione dell'alluvione in Romagna Francesco Paolo Figliuolo - foto Ansa

A due mesi dall’alluvione che ha devastato la Romagna, il Senato ha dato il via libera definitivo al decreto sugli interventi urgenti. Il generale Francesco Figliuolo diventa così ufficialmente commissario straordinario alla ricostruzione e, inoltre, sono state varate alcune misure sulla sospensione dei contributi per le popolazioni colpite, oltre a qualche stanziamento per sostenere il turismo e la cultura.

Il percorso, come si noterà dai tempi non esattamente fulminei con cui è stato infine varato il dl, è stato accidentato e pure in aula (dove comunque la maggioranza ha votato compatta: 102 favorevoli, 69 contrari e zero astenuti) lo scontro è stato molto intenso.
Il Pd, oltre a rilanciare le sue perplessità sulla mancata nomina a commissario del governatore emiliano Stefano Bonaccini, sottolinea come le varie promesse fatte dal governo non siano state mantenute.

«Per noi le scelte e le risorse del governo sono insufficienti – ha detto il presidente dei senatori dem Francesco Boccia -, è evidente dopo questo decreto che è stata tradita la promessa della presidente Meloni per i ristori al 100%, garanzia sempre chiesta dal Pd e attuata per terremoti e alluvioni precedenti». Sandra Zampa, poi, sottolinea come sia stato stanziato appena un terzo delle risorse necessarie per partire

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ECONOMIA. Il ministero si infittisce, le polemiche divampano. Antonio De Caro (Anci): "La notizia ci ha colpito molto. Vengono tolti ai comuni soldi che potrebbero spendere mentre ci sono soggetti attuatori che non hanno elaborato i progetti"

 Conferenza stampa del Ministro Fitto dopo la cabina di regia sul PNRR - foto LaPresse

I comuni protestano perché il governo Meloni intende spostare 13 miliardi di euro di fondi Pnrr sul programma RePowerEu lasciando le uniche amministrazioni pubbliche che hanno un’idea di come impiegare i soldi del Sacro Graal dell’economia italiana finanziata dalla Commissione Europea. I costruttori edili dell’Ance che si oppongono allo spostamento nel medesimo RePowerEu di circa 4,5 miliardi che sarebbero stati impiegati in teoria per la gestione del «rischio alluvione» e del «rischio idrogeologico» proprio nelle settimane dei disastri dell’acqua in Romagna e degli incendi in tutto il paese. E poi la Sanità: gli interventi previsti per le «Case della Salute» (da 1.350 strutture ridotte a 936), la telemedicina o gli interventi antisismici negli ospedali saranno ridotti. E pensare che il Pnrr, nel lontanissimo passato recente, era nato retoricamente per rimediare agli sfasci della sanità pubblica durante la pandemia. Infine 300 milioni di euro tolti alla valorizzazione dei beni confiscati alle mafie. Secondo Libera era già stata pubblicata la graduatoria definitiva di ammissione al finanziamento degli enti locali.

SONO ALCUNE delle «modifiche» da 15,9 miliardi di euro al «Piano nazionale di ripresa e resilienza» (Pnrr) che il governo Meloni intende presentare alla Commissione Europea entro il 30 agosto (e al parlamento martedì prossimo). Complessivamente sono 144 su 349, e sono contenute in una bozza di 150 pagine. In pratica, una mezza riscrittura. L’ha annunciata ieri in una conferenza stampa l’affaticato Raffaele Fitto, il ministro delegato al Pnrr messo degasparianamente «alla stanga» per tirare il peso del Sacro Graal dell’economia italiana. A vedere ieri il preoccupatissimo e affabulante Fitto, il calice da sorbire di questo piano malconcepito, di cui si iniziano a vedere gli effetti mancati, sembra decisamente amaro. «Se il Pnrr ha una portata decisiva per l’avvenire dell’Italia», come ha detto iero il presidente della Repubblica Mattarella, allora sull’avvenire il mistero si è decisamente infittito.

TRA LE SUE OMBRE ieri si aggirava per esempio Antonio De Caro, sindaco di Bari e presidente dei comuni dell’Anci. De Caro ha detto che «la notizia ci ha colpito molto» perché vengono tolti ai comuni soldi che potrebbero spendere mentre ci sono i soggetti attuatori come in ministeri «che non hanno ancora elaborato i progetti». De Caro ha chiesto al governo «garanzie immediate sul finanziamento delle opere che in molti casi sono state realizzate come quelle finanziate dal ministero dell’Interno». Vista la sorpresa, ci si chiede cosa si siano detti, De Caro con il suo corregionale Fitto, nella cabina di regia. Non sempre l’accentramento dei poteri a Palazzo Chigi – tanto voluto dal governo Meloni – favorisce la comunicazione.

UN’ALTRA PERSA nella nebbia del Pnrr ieri era la presidente Ance Federica Brancaccio: “Non condividiamo la scelta di stralciare dal Pnrr fondi destinati al dissesto idrogeologico e alla rigenerazione urbana – ha detto – I Comuni e le imprese sono fortemente impegnati su tutti i territori nel portare avanti questi interventi urgenti e non più procrastinabili visti anche i continui eventi calamitosi. Peraltro il monitoraggio della spesa sta premiando finora proprio i Comuni e gli interventi diffusi».

DAVANTI AI PRIMI annunci online sulle modifiche («colpi di spugna» urlavano i titoli) Fitto ha pregato i giornalisti di non parlare di «definanziamento». Dato che si dà per certa l’incapacità di spendere i soldi del Pnrr nelle modalità fin’ora stabilite, si tratterebbe di una riprogrammazione. O di una partita di giro con il RePowerEu. Agli ignari della sofisticatissima arte delle finanze resta però un dubbio: ma come si finanziano le opere di cui per esempio parla De Caro e sono partite? Nel regno dell’approssimazione che è il Pnrr l’esecutivo ha promesso di «utilizzare anche il 7,5% delle risorse delle politiche di coesione 2021-2027, già destinate a obiettivi assimilabili a quelli del RePowerEu».

DALLE OPPOSIZIONI sono volate ieri parole grosse. «Fallimento», «governo incapace», «disastro», «danno». Come se questa vicenda la cui storia va ancora scritta non rivelasse la straordinaria mancanza di un confronto politico mai avvenuto anche quando erano loro a governare, e ad avere concepito il piano neoliberale maestosamente farraginoso con il governo «Conte 2» e quello di Draghi

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CLIMA. Appello del Nobel Parisi e 100 scienziati: basta dire maltempo, è cambiamento climatico. Mattarella: «Appaiono sorprendenti tante discussioni sulla fondatezza dei rischi, sul livello dell’allarme, sul grado di preoccupazione che è giusto avere»

Le fiamme raggiungono il villaggio di Gennadi, in Grecia foto Ap Le fiamme raggiungono il villaggio di Gennadi, in Grecia - foto Ap

Quello che riceve il «ventaglio» dai cronisti della stampa parlamentare per il tradizionale appuntamento di fine stagione non sembra il solito Mattarella. Quando parla di ambiente, il capo dello Stato appare proiettato più che mai sulle azioni da intraprendere. «Occorre assumere la consapevolezza che siamo in ritardo» dice ai giornalisti. «Occorre agire da una parte cercando di incrementare l’impegno per la salvaguardia dell’ambiente e per combattere le cause del cambiamento climatico: sappiamo che sarà un impegno difficile su scala globale i cui effetti vedremo nel tempo. Dall’altro lato – prosegue – è necessario operare per contenere già oggi gli effetti dirompenti di questi cambiamenti, predisponendo strumenti nuovi e modalità di protezione dei territori».

IL MATTARELLA in versione «Ultima Generazione» attacca chi sottovaluta la crisi ambientale in atto: «Appaiono sorprendenti» dice «tante discussioni sulla fondatezza dei rischi, sul livello dell’allarme, sul grado di preoccupazione che è giusto avere per la realtà che stiamo sperimentando». È (anche) una frecciata a

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