VERSO I GAZEBO. Ieri in piazza a Roma con 2mila supporter: «La base chiede più coraggio su lavoro e clima». Bonaccini preoccupato: «Con lei i vecchi big. Nessuno può darmi lezioni di sinistra». Il governatore a Firenze con Nardella: «Smettiamola con la superiorità morale»
Elly Schlein durante il comizio a Testaccio - LaPresse
Elly Schlein comincia a credere davvero in una possibile vittoria alle primarie del 26 febbraio. Sarà per il nervosismo del competitor Bonaccini, che ogni giorno ripete come una litania la lista dei big che la sostengono, da Franceschini a Orlando e Zingaretti, per dimostare che lei non è una novità. Per altro dimenticando che tutta la prima fila del renzismo, da Guerini a Lotti, Marcucci, Picierno e Bonafè, sta con lui.
DOMANI SERA SU SKYTG24, alle 20.30, il primo e unico confronto tra i due sfidanti alle primarie. Mentre i dati dei congressi di circolo, che si chiudono oggi anche nel Lazio e in Lombardia, confermano la vittoria di Bonaccini al primo turno: per lui 71mila voti tra gli iscritti (54%), circa 25 in più di Schlein che si ferma a 44mila (33,9%). Per lei ieri pomeriggio la prova della piazza a Testaccio, Roma: circa 2mila i presenti.
Tanti selfie, strette di mano, soprattutto donne di tutte le età. «C’è entusiasmo», sussurra mentre scende dal palco. «Le persone che ho incontrato in giro per l’Italia vogliono tornare a crederci, è quello che serve per ricostruire il Pd». In queste settimane di tour quello che ha capito è che «la base chiede più chiarezza e più coraggio su lavoro, diseguaglianze, clima e diritti. È quello che vorrei fare se venissi eletta».
Sul palco con lei ci sono Zingaretti, Francesco Boccia, Alessandro Zan, Laura Boldrini, Livia Turco, il portavoce della mozione Marco Furfaro col figlio in braccio. In piazza anche i dirigenti di Articolo 1, da Arturo Scotto a Alfredo D’Attorre, freschi di rientro nel Pd e ora tutti al fianco della candidata.
UN MIX DI STORIE E CULTURE accomunate dalla convinzione che al Pd non basti qualche ritocchino. «Questa piazza piena di gente dopo la drammatica sconfitta delle regionali conferma che per tornare a vincere il Pd deve cambiare radicalmente», confida Zingaretti. «L’oggetto dello scontro congressuale è questo: si vince conservando o rinnovando?».
Anche Boccia pare ottimista: «Gli altri hanno fatto tutta la campagna sicuri di vincere senza problemi. E adesso stanno capendo che non è così». E ricorda: «Io le primarie le ho vissute tutte dal 2007, quasi mai ci sono stati comizi in piazza, forse ad eccezione di Veltroni. Si preferiva stare in luoghi chiusi».
Dal palco Schlein batte sui suoi temi: la lotta alla precarietà, «stare dalla parte di chi non ce la fa», «basta con i contratti a termine» che furono esaltati dal governo Renzi. E ancora: il clima e i diritti civili, «serve una legge contro l’omobilesbotransfobia». «Ci serve una linea più chiara, lo dico a chi è stato ossessionato dalla rincorsa al centro e non si è accorto che ci siamo persi i nostri per strada», dice Schlein. «La terza via ha portato i ceti medi a impoverirsi, ora bisogna cambiare questo modello di sviluppo. La destra fa la destra al governo, noi dobbiamo ricostruire la sinistra».
Una stoccata a Bonaccini, pur senza nominarlo: «Essere amministratori non è una linea politica». La conclusione è da combattimenti: «Noi vinceremo, sarò la prima segretaria femminista del Pd».
NELLE STESSE ORE il governatore emiliano è a Firenze, in casa del suo principale sponsor Dario Nardella, al Mandela Forum (davanti a un migliaio di persone). «Ho in mente un Pd che torni a vincere come ho dimostrato tre anni fa battendo la destra nelle urne e non nei talk show». «Voglio un gruppo di gente che consumi le suole delle scarpe, vada dove la gente vive, lavora e studia», ha detto ancora Bonaccini.
«Usiamo un linguaggio per cui ci capisca chi ha due lauree ma anche chi non ha potuto studiare, perché il loro voto pesa allo stesso modo. E cancelliamo alcune parole che ci hanno resi antipatici, guardando troppo spesso gli altri con la puzza sotto al naso, l’idea che avevamo sempre ragione noi: non siamo superiori moralmente a nessuno, la ragione te la danno i cittadini».
IL GOVERNATORE IN QUESTI ULTIMI giorni sta cercando di sterzare a sinistra. E così annuncia un referendum per il salario minimo e insiste sulla lotta alla precarietà. «Sono figlio di un camionista e di un’operaia del Pci, non prendo lezioni di sinistra da nessuno», la bordata lanciata alcuni giorni fa a Schlein. «Non ci serve un partito di protesta».
Lei si rivolge ai sostenitori in piazza: «Dovete convincere chi non ci crede più, e ce la faremo». Nell’ultima settimana batterà le grandi città, da Milano a Bologna a Palermo, dove già il voto nei circoli le ha dato risultati sopra la media. Anche a Roma, con metà circoli scrutinati, sta al 40% contro il 46% del rivale. Per lei è essenziale portare ai gazebo tante persone fuori dai circuiti di partito. Solo così può sperare di ribaltare i pronostici
Commenta (0 Commenti)IL CASO. La denuncia di Alleanza Verdi-Sinistra. Confindustria: «Pronti ad acquistare i crediti bloccati. Conte: «Sui costi Meloni mente». Gentiloni: «Lo stop è comprensibile, fermare la spirale»
Sul Superbonus quello che «lascia perplessi e non convince» è che il governo prende «decisioni così affrettate, gettando nel panico imprese e famiglie e poi convoca le parti – ha detto ieri il presidente di Confindustria Bonomi all’assemblea degli industriali di Savona – Non era meglio convocarci prima, pensare l’uscita tampone e poi fare il provvedimento? Non vorrei – ha aggiunto – che si facesse un disegno di legge quando non è ancora finita l’indagine parlamentare». Quando invece le imprese potrebbero indicare le soluzioni. E ieri, in occasione di un incontro con il governo, Bonomi ha avanzato l’idea di una cessione tra privati dei crediti bloccati dal governo con il decreto del 16 febbraio: «Come industria ci dobbiamo assumere la nostra responsabilità: se il governo creasse condizioni per le cessioni di primo grado tra privati, le imprese potrebbero comprare i crediti che oggi sono fermi». Ance e Abi ritengono che l’utilizzo degli F24 sia «indispensabile per risolvere il problema dei crediti incagliati. Gli istituti bancari – sostiene l’Abi – hanno assunto impegni per crediti fiscali nell’ultimo biennio pari a 77 miliardi «saturando la loro capacità fiscale».
Mentre dilaga il panico creato dal governo che ha bloccato i crediti senza consultare nessuno negli ultimi giorni è cresciuta l’attenzione sui redditi bassi e gli incapienti. «Ora il rischio è che il Superbonus sia stato abolito solo per i più poveri, quelli che non hanno liquidità immediata per sostenere le spese. Un pasticcio all’italiana – ha detto Peppe De Cristofaro, capogruppo dell’Alleanza Verdi e Sinistra in Senato – Sarebbe stato meglio limitare fin dall’inizio l’uso del Superbonus per le villette o le seconde case, privilegiando invece i condomini».
«Gli oneri della misura per il bilancio pubblico restano comunque ingenti», e sono cresciuti nel biennio, «riflettendo la forte accelerazione nel ricorso alla misura. i costi legati all’utilizzo dei crediti d’imposta maturati si registreranno invece in larga misura nei prossimi anni» ha detto Giacomo Ricotti di Banca d’Italia in un’audizione in commissione Finanze al Senato.
Secondo Nomisma i cantieri finora conclusi sono stati circa 232 mila e coprirebbero meno del 2% del parco edifici residenziali in Italia. L’irrisorietà degli obiettivi raggiunti, davanti all’enormità della spesa, non dovrebbe però arrestare gli incentivi da pensare basi diverse rispetto a quelle del «Conte 2». Nomisma stima in 195,2 miliardi l’impatto complessivo sull’economia e in 641mila addetti in più nelle costruzioni (351mila nei settori collegati) l’impatto sull’occupazione. Conte (M5S) ha incontrato ieri alla Camera una delegazione di imprenditori e sindacati edili. «L’unico buco non è nel bilancio, ma quello generato dal governo che rischia di generare 130 mila disoccupati». Il 6 marzo scade il termine degli emendamenti. Il decreto dovrebbe andare in aula alla Camera il 27. Si sta lavorando su come recuperare i 19 miliardi dei crediti incagliati. Nella maggioranza si attende un emendamento dal governo
Commenta (0 Commenti)A tre giorni dall’anniversario dell’invasione, torna il muro contro muro atomico. Putin annuncia l’uscita di Mosca dal trattato Start sulle armi nucleari: «L’Occidente sa che non può batterci sul campo». Dura replica di Biden: «L’Ucraina non sarà mai sconfitta»
Giorgia Meloni e Volodymyr Zelensky - Ansa/Sergey Dolzhenko
«Le nazioni si fondano sui sacrifici che i popoli sono disposti a compiere». È un passaggio del discorso della presidente del consiglio italiano, Giorgia Meloni, nella conferenza stampa di ieri. Nella sala stampa di Palazzo Mariinskij, a Kiev, di fianco al presidente ucraino Volodymyr Zelensky, Meloni non ha esitato a connotare la resistenza delle forze armate ucraine di rimandi ideologici. E neanche il Risorgimento è stato risparmiato.
Parlando di «amor di patria», di «senso di comunità» e scandendo chiaramente la frase «il popolo ucraino sta combattendo per ognuno di noi», la premier italiana ha fugato il campo da ogni dubbio. «Il governo italiano è al fianco dell’Ucraina fino alla vittoria» o, perlomeno, «fino alla pace giusta che Kiev deciderà autonomamente e che noi non possiamo imporgli». Secondo Meloni, in Ucraina è in atto un processo accomunabile all’Ottocento italiano, «quando l’Italia era solo un’entità geografica» e oggi «resistere alla Russia vuol dire dimostrare che la nazione ucraina esiste».
LOGICO PENSARE che la prima ministra italiana veda nella guerra in corso un contesto cara alla sua storia politica. Ai giornalisti presenti in sala non è stato permesso di porre domande che non fossero concordate e solo quattro colleghi hanno potuto interrogare i capi di stato.
La metà delle domande si è incentrata sulle spine nel fianco della maggioranza italiana. Le dichiarazioni di Berlusconi e i trascorsi di Salvini sono stati evocati
Commenta (0 Commenti)CONGRESSO PD. Confronto tv a Skytg24. Lui punta sull’affidabilità, lei su una svolta a sinistra. Sintonia sull’Ucraina, divisi sul tipo di opposizione
Il confronto tra i candidati alla segreteria del Pd Stefano Bonaccini ed Elly Schlein negli studi di Sky Tg24 - foto Ansa
Chiusi i congressi di circolo del Pd. Tra gli iscritti vince Stefano Bonaccini con 79.787 voti (52,87%), seguito da Elly Schlein (52.637 voti, 34,88%). Terzo Gianni Cuperlo con 12.008 voti (7,96%), seguito da Paola De Micheli (6.475 voti, 4,29%). Saranno quindi Bonaccini e Schlein, come da pronostico, a sfidarsi alle primarie del 26 febbraio: 5mila i seggi in tutta Italia, aperti dalle 8 alle 20. Possono votare i maggiori di 16 anni e gli stranieri residenti in Italia.
Schlein vince però in alcune grandi città come Roma, Milano e Napoli. Nella Capitale, la deputata dem raccoglie 2.194 voti, contro i 1.854 di Bonaccini (ma nel Lazio il governatore è avanti di circa 2 punti percentuali). La sfidante vince anche a Genova, Venezia, La Spezia, Verona, Catania, Siena e Pisa. A Bologna invece vince Bonaccini con il 47,44% davanti a Schlein che arriva al 40,50%. In Emilia Romagna, la regione guidata da Bonaccini (Schlein è stata la sua vice fino all’autunno 2022), il governatore vince più nettamente: 55,42% contro 33,15%.
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Lui punta sull’«esperienza», sulla capacità di «tenere unito il partito» e di presentarsi come credibile alternativa per palazzo Chigi. Lei parla al diffuso popolo di sinistra che in questi anni ha voltato le spalle al Pd, invitandoli a votarla per cambiare tutto e farne un partito di sinistra.
CONFRONTO TV IERI SERA a Skytg24 tra Stefano Bonaccini e Elly Schlein. Il presidente dell’Emilia-Romagna e quella che è stata la sua vice fino a pochi mesi fa. E infatti il clima tra loro è amichevole (i loro supporter invece si menano sulle responsabilità del jobs act). Alla fine, oltre alla rituale stretta di mano, c’è anche un abbraccio con bacio sulla guancia. Lui punta sulla rassicurazione, vira un poco a sinistra ma senza rinnegare nulla delle scelte del passato. Si limita a voler cambiare «un gruppo dirigente che ha subito troppe sconfitte», sostituendolo con gli amministratori locali, senza indicare le ragioni di quelle sconfitte. Lei infila il coltello in un partito che «non è stato all’altezza in sfide come la lotta alle diseguaglianze, la precarietà e il clima». «Voglio ridare una casa a chi si è sentito orfano della sinistra», dice Schlein, che torna più volte sugli errori fatti dai dem, soprattutto ai tempi di Renzi, dal Jobs act ai decreti Poletti che estesero i contratti a termine. E indica il modello della Spagna che «ha limitato i contratti precari». Il governatore emiliano invece auspica che il lavoro precario «costi di più» e propone «incentivi alle imprese che assumano a tempo indeterminato». Lei rilancia: «Non basta far pagare meno il lavoro a termine, servono più tasse sulle rendite finanziarie, e una diminuzione dell’orario di lavoro a parità di salario».
I DUE SFIDANTI DICONO cose simili sulla guerra in Ucraina: «Sì al sostegno anche militare ma serve più diplomazia». Schlein rimarca il fato di sentirsi «pacifista», ma al dunque la linea è la stessa. Così anche sul 41 bis, che nessuno dei due vuole abolire, ma nessuno andrebbe oggi in carcere a trovare l’anarchico Alfredo Cospito. E sulla sanità pubblica che entrambi vogliono difendere dai tagli. Sintonia anche sulle alleanze: entrambi non si sbilanciano, e preferiscono concentrarsi sulla ricostruzione del Pd. A domanda su chi imbarcherebbero in un camper da loro guidato, tutti e due dicono di voler portare con sé lo/la sfidante, e poi Gianni Cuperlo e Paola De Micheli. Nessuno vuole Giuseppe Conte o Carlo Calenda. Schlein a sorpresa, oltre a una giovane neolaureata in cerca di lavoro, indica Meloni, «per dirle che non ce ne facciamo nulla di una premier donna che non difende le altre donne». Bonaccini se ne guarda bene. E indica tra i suoi passeggeri ideali Liliana Segre, Veltroni e Mario Draghi.
SUL GIUDIZIO VERSO il governo Bonaccini si corregge: «Io darei un 4, per scelte come il superbonus, le accise sulla benzina, la lotta alle ong. Ma se dicessimo che Meloni è incapace dopo che ci ha battuto saremmo ridicoli». Schlein insorge: «Bisogna essere più netti nel dire che questo governo colpisce i più poveri, è brutale contro i migranti e non ha neppure il coraggio di condannare l’aggressione squadrista agli studenti di Firenze». Bonaccini controreplica: «Non voglio vincere perché parlo male degli altri, ma perchè gli elettori mi ritengono affidabile».
DUE IDEE DIVERSE DEL RUOLO di opposizione: più battagliera lei, lui più preoccupato di apparire affidabile anche agli occhi di chi ha votato a destra. Sul reddito di cittadinanza, lei annuncia barricate per difenderlo lui è più timido: «Non ha funzionato nel creare occupazione». Distanze anche su autonomia differenziata e migranti. Il governatore ricorda che lui aveva proposto un’idea diversa di autonomia «che non toccava sanità e scuola», lei è più netta: «Un disegno pericoloso che va rigettato con forza. Non possiamo essere favorevoli al nord e contrari al sud». Sui migranti lei ricorda il sì del rivale alle politiche di Minniti di finanziamento alla guardia costiera libica, dice «mai più» e propone di abolire la Bossi-Fini. Lui è d’accordo sulla legge da abolire, e anche sullo ius soli. Lei insiste sulla legge Zan, sul matrimonio per le coppie lgbtqi+ e per i diritti dei loro figli. Lui dice sì alla Zan, sugli altri punti non si pronuncia. E avverte: «Per far avanzare i diritti bisogna convincere la maggioranza degli italiani».
Sulle differenze tra loro, Bonaccini non insiste: «Lo valuteranno gli elettori». Schlein invece ci tiene a sottolinearle. Lui le chiede se sarà leale in caso di sconfitta: «Sì, abbiamo già dimostrato in Emilia di saper lavorare bene insieme». Obiettivo comune: almeno un milione di persone domenica ai gazebo
Commenta (0 Commenti)NON SI FA CREDITO. Incontro tra il governo, banche e costruttori per cercare una soluzione al problema provocato dalla decisione di bloccare le cessioni dei crediti e gli acquisti da parte delle regioni e altri enti locali. Il governo ha mostrato apertura alla possibilità di compensare i crediti fiscali delle imprese utilizzando, in parte, i debiti fiscali delle imprese attraverso il modello F24, secondo la proposta avanzata dall’Ance e dall’Abi. Avanzata l'ipotesi di mantenere la possibilità della cessione per i lavori legati al post sisma e agli incapienti. Il decreto varata il 16 febbraio scorso inizia l'esame giovedì in commissione Finanze alla Camera. Opposizioni sulle barricate. Giuseppe Conte attacca Meloni e Giorgetti e smentisce il buco di bilancio di cui parlano
Cantieri edili a Roma - LaPresse
Dopo avere creato il panico con il decreto legge che ha bloccato i crediti fiscali a cominciare dal Superbonus, ieri il governo ha incontrato a palazzo Chigi i rappresentanti delle banche e dei costruttori per cercare una soluzione a un problema conosciuto, ma sottovalutato dalla stessa maggioranza almeno fino al 16 febbraio scorso.
LA STRADA per lo sblocco dei crediti incagliati potrebbe essere quella di intervenire attraverso le banche con il meccanismo della compensazione con gli F24. Questa ipotesi, avanzata dall’Abi e dai costruttori dell’Ance, oltre che da Luigi Marattin (Azione-Italia Viva), intende sollecitare l’acquisto di crediti da società pubbliche controllate dallo Stato. In pratica le banche non possono più acquistare nuovi crediti perché hanno esaurito lo spazio di ’smaltimento’ fiscale. Con questa soluzione potrebbero scaricare i debiti compensandoli con gli importi dei pagamenti fiscali fatti dai clienti con i modelli F24 ai propri sportelli.
L’IPOTESI, prospettata da Fratelli d’Italia, sulla «cartoralizzazione» ieri sembrava accantonata. Il meccanismo prevede l’individuazione delle risorse incagliate, la costruzione di ’pacchetti’ di crediti da cedere poi sul mercato con società veicolo specializzate. È uno strumento di mercato e al momento appare accantonata anche perché potrebbe prevedere tempi lunghi. Il governo avrebbe valutato l’intervento Cassa Depositi e Prestiti e della Sace. Tuttavia questa ipotesi richiede mesi per elaborare strumenti finanziari complessi. Per questo motivo è stata ritenuta improponibile dalle associazioni delle imprese edili per risolvere nell’immediato l’urgenza creata dallo stesso governo.
«SE TUTTO QUESTO prevede la costituzione di una società veicolo, la necessità di chiedere pareri e autorizzazioni, nel frattempo le imprese sono già belle e morte, i condomini scoppiati e i lavori bloccati” ha detto la presidente dell’Ance, Federica Brancaccio. Nel frattempo le 25 mila imprese messe a rischio dal governo con il suo decreto rischierebbero il fallimento. E 100 mila persone rischierebbero di finire disoccupati, è la stima della Fillea Cgil. La soluzione degli F24 è uno strumento di finanza pubblica che prevede compensazioni tra crediti e debiti fiscali. Ance ha comunque chiesto «un’apertura da parte delle partecipate a comprare i crediti pregressi». È stato affrontato il problema dello sconto in fattura per alcune fasce di reddito e per gli incapienti, penalizzati dal decreto. Dal 17 febbraio chi potrà chiedere lo sconto sarà solo chi ha un reddito più che alto.
L’AZIONE IMPROVVISATA del governo sarebbe stata causata dal fatto che l’Eurostat ha pubblicato il nuovo Manuale su deficit e debito pubblico, che dà l’interpretazione autentica su come vanno contabilizzati i crediti maturati. L’Italia aveva classificato tali crediti come detrazioni che generano una spesa immediata ma riducono le entrate future dello Stato. Il loro impatto era stato spalmato per cinque anni. Ora sembra che i crediti sarebbero invece pagabili e andrebbero contabilizzati nello stesso momento in cui sono generati. Il responso su questo mistero contabile dovrebbe arrivare tra qualche giorno, in marzo. Sembra che le detrazioni maturate nel 2021 e 2022 andranno ad aumentare il deficit di quegli anni. Allora si potrebbe aprire uno spazio finanziario per finanziare le misure sociali senza penalizzare altri interventi pubblici che pesano sul deficit. Dal 2023 potrebbero essere contabilizzati gli importi sul debito pubblico.I crediti incagliati avrebbero un impatto meno traumatico. Il meccanismo andava comunque interrotto, questo dicono dal governo, per evitare di far esplodere i conti nel 2023.
«LA SOLUZIONE che noi cerchiamo è sull’intero ammontare dei crediti, 110 miliardi di euro. L’urgenza ora è sullo stock dei crediti che in base alle rilevazioni dell’agenzia delle Entrate fanno riferimento alle imprese del settore edilizio, che hanno l’esistenza ad oggi di 19 miliardi circa di crediti «incagliati». Lo sforzo che noi faremo nei prossimi giorni con i tavoli tecnici è come far sgonfiare questa bolla», ha detto il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti.
IN ATTESA di una risposta che probabilmente nopn arriverà mai, ieri i Cinque Stelle hanno di nuovo rifiutato la responsabilità di avere creato la «bolla» dei crediti. Una responsabilità condivisa con tutti i partiti (Lega compresa) con cui ha governato in questi anni. «È attacco politico studiato a tavolino come sul reddito di cittadinanza» ha detto Mariolina Castellone (M5S), vicepresidente del Senato. «Un governo responsabile – ha detto Giuseppe Conte – non è che la sera senza preavvertire chiude tutto: si predispone con le forze in parlamento per trovare soluzioni e ce ne sono tante. Ora si tornerà al nero e ci saranno oltre 100 mila disoccupati. Il superbonus non tocca il debito, al limite impatta sul deficit, ma è assolutamente positivo per il sistema. È stato un volano». Lo conferma anche l’Ance: «È stato una misura di emergenza nata durante la pandemia, con un settore allo stremo e l’Italia in piena recessione. La narrazione di tutto questo è stata brutta».
LE DOMANDE, a questo punto, sono: i tavoli andrebbero fatti prima di fare i decreti che poi vengono stravolti. Oppure il governo è messo così alle strette da avere preso una decisione che ha portato al caos? Perché quelli precedenti hanno permesso di arrivare qui?
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CRISI UCRAINA. Visita a sorpresa, tra segreti e ore di treno: «La Russia ci voleva divisi ma siamo più uniti che mai». E porta nuove armi e aiuti. La più grande prova di forza dell’amministrazione Usa nei confronti del Cremlino dall’inizio della guerra. E le reazioni russe sono state tutt’altro che pacate
Biden con Zelensky durante la visita a sorpresa a Kiev - Ap
«Ma è davvero lui?», si chiedevano i giornalisti assiepati contro le transenne di fronte al Monastero di San Michele. Mentre Joe Biden usciva dal portone carta da zucchero fianco a fianco con il presidente ucraino Volodymyr Zelensky gli obiettivi delle macchine fotografiche scattavano raffiche nel tentativo di immortalare al meglio quel momento storico.
Perché il presidente statunitense che visita Kiev a sorpresa a quattro giorni dall’anniversario della guerra in Ucraina è un evento di enorme portata. In primis per il significato simbolico della sua stessa presenza nella capitale di un Paese in guerra contro il nemico storico della Guerra fredda. In secondo luogo perché, come è evidente, dal Cremlino avrebbero anche potuto colpire.
IN VIA DEL TUTTO ipotetica perché, come ha poi rivelato il Consigliere per la sicurezza nazionale Usa, Jake Sullivan: «Mosca era stata avvisata diverse ore prima» dell’arrivo di Biden. Anche perché, in teoria, Biden sarebbe dovuto arrivare a Varsavia stamattina per una visita di due giorni e i funzionari della Casa bianca avevano ripetutamente negato che vi fosse la possibilità che il presidente si recasse anche in Ucraina. Fino a pubblicare, domenica sera, una sorta di tabella di marcia che mostrava Biden ancora al lavoro a Washington durante la giornata di ieri e in partenza per Varsavia in serata, quando in realtà si trovava già a un oceano di distanza.
Tuttavia, a Kiev, dalle prime luci dell’alba di lunedì era chiaro che stesse per accadere qualcosa di particolare. Il viale Khreschatyk, che taglia tutto il centro passando per piazza Maidan era particolarmente sorvegliato, squadre di militari e poliziotti a presidiare gli angoli delle strade e diverse pattuglie di ronda.
Alla fine della salita che termina su uno dei luoghi simbolo di Kiev, la piana che da un lato è dominata dalla cattedrale di Santa Sofia e dall’altra dal monastero di San Michele, posti di blocco e decine di militari. Al mattino presto l’accesso a quest’area era negato e a circa duecento metri dall’ingresso al monastero erano state posizionate delle transenne con dei militari armati di guardia.
A METÀ MATTINATA, dopo un volo notturno sull’Air force one e circa 10 ore in treno (più un probabile tragitto in elicottero, ma su questo non ci sono conferme), l’ottantunenne Joe Biden è sceso di fronte all’ingresso del monastero di San Michele e ha salutato Volodymyr Zelensky e la first lady, Olena, con calorose strette di mano e sorrisi.
Poco dopo i due capi di stato sono usciti in strada, senza giubbotti antiproiettili ed elmetti, e hanno camminato per poche decine di metri fino al «muro del ricordo» che ricopre tutto un lato delle mura di San Michele e sul quale sono affisse le fotografie e i nomi dei militari ucraini caduti nella guerra contro i separatisti in Donbass dal 2014. In quei pochi minuti l’allarme anti-aereo è risuonato nei cieli di Kiev ma non c’è stato alcun visibile cambiamento nel programma.
Durante la conferenza a margine dell’incontro il presidente statunitense non ha mancato di elogiare il coraggio della resistenza ucraina e di attaccare la Russia di Putin che «ci voleva divisa e sconfitta» e invece ora «ci vede più uniti che mai e determinati a combattere». Biden ha raccontato dei suoi timori di non poter più tornare in una «Kiev libera e democratica» dopo il 24 febbraio dell’anno scorso.
Ha promesso un nuovo pacchetto di armi all’Ucraina, compresi missili a più lungo raggio per gli Himars e il sistema di contraerea Patriot, oltre a un nuovo pacchetto di aiuti economici per garantire «il funzionamento minimo dello stato», si parla di circa 18 miliardi di dollari.
Ha evocato anche le sanzioni economiche alla Russia, che saranno inasprite, e ha ribadito il suo supporto all’Ucraina fino alla fine. Zelensky dal canto suo non ha menzionato gli F-16, contrariamente da quanto accade in ogni occasione pubblica, e si è mostrato molto sorridente, quasi emozionato. È chiaro che questa giornata per il suo governo e per lui nello specifico rappresenta una vittoria diplomatica e una garanzia per i prossimi mesi.
DIVERSI ANALISTI hanno interpretato la visita di Biden come la più grande prova di forza dell’amministrazione Usa nei confronti del Cremlino dall’inizio della guerra. Difatti, le reazioni russe sono state tutt’altro che pacate. Oltre ad accusare Washington di aver finalmente «gettato la maschera» e aver «mostrato al mondo chi è che sta muovendo i fili del governo nazista di Kiev», Biden stesso è stato accusato di essere «come Hitler» che durante la “Campagna di Russia” si era recato in visita ai territori dell’Urss temporaneamente occupati dalle forze dell’Asse.
In molti hanno parlato di aperta provocazione e neanche gli insulti di «demenza senile» per capo di stato sono mancati. Il tutto mentre il capo della diplomazia cinese, Wang Yi, era in visita a Mosca per «promuovere le relazioni con la Russia e tentare di mediare per la pace». O, come dicono da Washington, per parlare di forniture di armi all’esercito russo.
Oggi anche la premier italiana Giorgia Meloni sarà a Kiev per ribadire il supporto del suo governo alla causa ucraina e il saldo posizionamento atlantico di Roma, sferzato negli ultimi giorni dalle ultime dichiarazioni dell’ex-premier Berlusconi e dai problemi che alcuni colleghi giornalisti stanno avendo con le autorità locali
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