PRIORITÀ DI DESTRA . Presentate le slide sulla delega fiscale: confermato l’accorpamento delle aliquote centrali, la cancellazione dell’Irap e i «concordati». Tassa piatta «incrementale» anche per i dipendenti. Tagli alle detrazioni
l ministro dell'Economia Giancarlo Giorgetti - Foto Ansa
Dopo gli annunci, le prime conferme. La riforma fiscale del governo Meloni ha come obiettivo la flat tax. E per coprirne i costi (altissimi) si useranno i tagli a Reddito di cittadinanza e Superbonus. E come era facile prevedere, mettendo mano e tagliando alle attuali detrazioni e deduzioni che nell’attuale sistema incidono quanto e forse di più delle aliquote, specie per le famiglie meno abbienti.
INSOMMA, LA DESTRA FA la destra: toglie ai poveri, al capitolo sociale e ambientale per regalare a ceto medio, imprese ed evasori fiscali. Tanto è vero che le prime simulazioni della Fondazione nazionale dei commercialisti prevede tra 700 e 1.150 euro in meno di tasse per chi ha un reddito intorno ai 50 mila euro.
La delega con cui il governo chiederà al parlamento il via libera per la riforma andrà in consiglio dei ministri la settimana prossima. Divisa in 4 parti e 21 articoli, la riforma mette mano a tutto il sistema, dai tributi agli accertamenti, dalla riscossione alle sanzioni. Un’unica defezione: quella riforma del catasto che consentirebbe di ridare un po’ di equità al sistema abitativo e che – sebbene richiesta dalla commissione Europea con annesse tensioni ai tempi di Draghi – il governo Meloni ha deciso di cancellare per far felice il suo elettorato.
In attesa di vedere nero su bianco il disegno di legge, i contenuti della riforma sono ormai definiti. Spiegati in un plico di 32 slide messe a punto dal Mef, sono stati illustrati dal viceministro Maurizio Leo – che inciampa nell’improvvido paragone con la riforma degli anni Settanta – nel suo intervento alla presentazione dei risultati annuali dell’Agenzia delle Entrate, mentre il ministro Giorgetti è intervenuto da remoto a ribadire l’obiettivo centrale: «Un graduale processo di riduzione del carico fiscale». Obiettivo figlio della vera pax fiscale fra FdI e Lega.
RISPETTO ALLE PRIME BOZZE il governo cerca di ovviare al chiaro rischio di incostituzionalità per la flat tax – la progressività fiscale è il caposaldo dell’articolo 53 – allargandone l’attuazione «incrementale» anche ai lavoratori dipendenti. In pratica, chi fa carriera avrà uno sconto fiscale, in pura visione meritocratica Valditariana.
In più usa l’arma del populismo fiscale annunciando l’azzeramento dell’Iva sui prodotti più comuni come pane, pasta e latte: una norma che avrà un’incidenza bassissima sulle tasche dei meno abbienti, mentre l’abolizione dei bolli è una proposta storica – e mai attuata – di Berlusconi fin dal 1994. Per il resto tutto confermato: riduzione degli scaglioni Irpef, revisione dell’Ires, la graduale abolizione dell’odiata Irap e l’accertamento semplificato.
L’ARTICOLO 5 DELLA BOZZA di riforma interviene sull’Irpef «nel breve periodo con la transizione a 3 scaglioni e aliquote più basse» ma «come obiettivo di legislatura» il governo indica la «flat tax per tutti». Non sono ancora state fissate le aliquote ma la novità più rilevante sarebbe quella di accorpare gli scaglioni centrali e prevedere uno schema con aliquota al 23% per i redditi fino a 15mila euro, al 27% per i redditi da 15mila a 50mila euro e 43% per redditi oltre i 50mila euro. Se così fosse, a guadagnarci sarebbero soprattutto i ceti medio alti, che ora fra i 28 e i 55 mila euro annui pagano un aliquota del 38%.
Arriva poi la nuova Ires sui redditi della società. Il governo prevede una nuova imposta a due aliquote: all’aliquota ordinaria del 24% viene infatti affiancata una ridotta per chi fa investimenti qualificati o genera nuova occupazione. Previsto inoltre il graduale superamento dell’Irap attraverso l’introduzione di una sovraimposta con base imponibile corrispondente a quella Ires, per garantire – vedremo come e quanto – i livelli di finanziamento della spesa sanitaria.
LA PARTE CHE INTERESSA di più al viceministro Leo e a FdI è sicuramente quella degli accertamenti fiscali che strizza l’occhio in modo visto a evasori ed elusori. La parola magica è «concordati preventivi». Invece che controlli, la nuova riforma prevede per le imprese una semplificazione dei rapporti delle aziende con il fisco. Per le più piccole si ricorrerebbe a un uso incrociato delle banche dati su fatturazioni e Iva. Sulla base di queste ecco i concordati preventivi. Unica misura che va incontro alle richieste sindacali è la l’equiparazione della no tax area per lavoratori dipendenti e pensionati, che oggi sfavorisce i pensionati
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IL CORTEO DI PALAZZO CHIGI. Un drappo bianco sui balconi. Ma c’è anche chi urla «assassini» e «dimissioni» alla volta dei ministri. La carovana di governo non si ferma a visitare i parenti. Neppure un fiore in omaggio.
Le proteste contro il Consiglio dei Ministri - Ansa
L’aereo di Stato sorvola i cieli con vista Jonio ed atterra ad una manciata di chilometri dalla spiaggia di Steccato. L’aeroporto Sant’Anna di Crotone è un luogo di geometrica potenza suggestiva delle politiche migratorie di questi anni. Davanti all’aerostazione civile c’è infatti un’ex base militare. Dagli anni ’90 del secolo scorso è stata convertita in luogo concentrazionario degli asilanti. Prima Cpt, poi Cie, ora Cara. È qui che sono stati parcheggiati i sopravvissuti del 26 febbraio. Non tanto un «carico residuale», piuttosto una zavorra d’ingombro.
Fino a ieri erano reclusi in due magazzini, un hotspot improvvisato: metà a dormire sui letti e metà su panche rabberciate. Donne e minori in mezzo agli uomini adulti. Il bagno in comune. Le pareti scrostate, nessun riscaldamento. Niente lenzuola. Niente scarpe chiuse. C’è voluta un’ispezione parlamentare per ridare loro un letto ed una condizione degna: li hanno trasferiti in albergo. Guarda caso alla vigilia del “Gran Consiglio”. La carovana di Palazzo Chigi, in testa la premier, non si ferma a visitarli, non porta neanche un fiore in ricordo dei morti. Ma sfreccia sulla statale Jonica e muove in direzione Cutro.
LA SPIAGGIA DELLA MORTE dista una dozzina di chilometri dal palazzo del Municipio. Una strada tortuosa, nell’altipiano del Marchesato di Crotone. Le dune giallo ocra e lo «scenario da western», come ebbe a scrivere Pasolini in una delle sue tante incursioni a queste latitudini, ben si adattano alla giornata cutrese del governo. Volano pupazzi di bambini contro il passaggio delle uomini e delle donne in auto blu davanti al presidio di protesta. Un peluche sfiora la vettura su cui viaggia la presidente del Consiglio.
Molti balconi presentano il drappo bianco. È il simbolo della protesta silenziosa. I circa 200 manifestanti arrivati perlopiù dal resto della Calabria, invece, si fanno sentire eccome. Urlano «assassini» e «dimissioni» all’indirizzo del ministro Piantedosi. Cutresi ce ne sono pochi. Il sindaco del paese è un vigile urbano in pensione. Da subito si è schierato con Piantedosi. «Siamo rimasti in 10mila a vivere qui. In 20mila se ne sono andati al nord tra gli anni Settanta ed Ottanta», ci spiega Tina, pensionata, ex dipendente della regione Emilia Romagna. In fondo alla piazza una claque formata da un drappello di giovani iscritti a Fratelli d’Italia e alla Lega, provenienti dai centri vicini, cerca di conquistare i microfoni delle Tv nazionali.
Familiarizzano con gli agenti dell’imponente servizio d’ordine allestito per garantire il transito indisturbato dei componenti il consiglio dei ministri. La Digos teme un lancio d’uova marce. Il reparto celere circonda il presidio dei contestatori e tenta invano di farli indietreggiare a distanza di sicurezza dal passaggio delle auto.
TRA I MANIFESTANTI c’è Mimmo Voce, cutrese doc, molto attivo nello sport popolare e nell’associazionismo. «Sono morte 72 persone che si potevano salvare – ci dice – . Questo governo non ha voluto onorare le loro bare. Adesso è venuto a lavarsi la coscienza. Le persone naufragate davanti alle nostre coste hanno avuto un destino simile a migliaia di calabresi. Noi qui aspettiamo lo Stato dal 1946. Tantissimi nostri corregionali sono emigrati per mancanza di lavoro e prospettive. Ecco perché sappiamo bene che se non cambiano le politiche migratorie, non esiste una soluzione possibile. Gli scafisti devono essere arrestati. Su questo siamo tutti d’accordo. Ma le persone in mare devono essere aiutate. È un principio di umanità che non si discute».
INTANTO LA PIAZZA è attraversata dal secondo trenino di auto blu. Parte un’altra bordata di fischi, imprecazioni e slogan contro il governo. Tra le più rumorose, la comitiva dei crotonesi che in questi giorni hanno condiviso da vicino la tragedia dei familiari dei naufraghi, intorno al Palamilone. «Sono ancora scioccato per quello che ho visto nelle ultime ore – sottolinea Raffaele Muraca, storico attivista sociale crotonese -. Ho conosciuto i familiari afgani delle vittime. Hanno tanta dignità negli occhi. E continuano a chiedersi come sia stato possibile che tutto ciò sia avvenuto. L’unico elemento di conforto, in tutta questa immane tragedia, è la solidarietà spontanea delle famiglie crotonesi nei confronti di questi uomini e donne. Ieri notte ho visto con i miei occhi dei signori che portavano coperte e generi di prima necessità ai familiari delle vittime, accampati nei pressi del Palamilone. C’è stato chi ha aperto la propria porta di casa per ospitarli e non lasciare che dormissero all’aperto».
MENTRE IL CDM è in corso di svolgimento, si formano dei capannelli. Presenti anche i portavoce di alcune delle comunità migranti insediatesi in Calabria. «Poco è cambiato da quando 25 anni fa sbarcammo su queste cose – racconta il curdo Talip Heval -. L’Europa ha elargito 9 miliardi al dittatore turco Erdogan per detenere migliaia di esseri umani provenienti dai Paesi come l’Afganistan, dove gli eserciti occidentali hanno seminato morte e disperazione, lasciando al potere i talebani. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: 25mila morti annegati nel Mediterraneo e nessuna reale volontà politica di affrontare la questione. Sabato noi saremo di nuovo qui, parteciperemo alla manifestazione nazionale».
Cala il tramonto su Cutro. Soltanto pochi curiosi rimangono in piazza per assistere al controesodo delle auto governative. Nella piazza che celebra Giò Leonardo Di Bona, campione cutrese di scacchi, si ha la consapevolezza che la partita si è già conclusa con una grave sconfitta per l’umanità intera. Sulla spiaggia di Steccato di Cutro. Dodici giorni fa
Commenta (0 Commenti)IMMIGRAZIONE. Il leghista vuole norme più dure dei suoi decreti del 2019. La premier tratta con l’Ue. Oggi il cdm a Cutro
In superficie la concordia è perfetta: nessuna distinzione tra le impostazioni di Meloni e Salvini sull’immigrazione. Sott’acqua invece le divisioni ci sono eccome e per certi versi le strategie sono quasi opposte. Per questo il preconsiglio dei ministri che ieri pomeriggio avrebbe dovuto scrivere il copione per il cdm di oggi a Cutro è slittato a stamattina e ieri sera molto era ancora in forse. Non solo la sostanza ma anche la forma: decreto unico o misure distinte? Molto probabilmente prevarrà la prima ipotesi, sponsorizzata da Chigi ma neppure questo è ancora certo.
Più che di un braccio di ferro si tratta di una partita a dama, nella quale ciascuno cerca di avanzare e conquistare posizioni. La presidente non ha alcuna intenzione di uscire dalla riunione del governo a Cutro con appiccicata addosso l’etichetta dell’aguzzina. Il lavoro sull’immagine è di senso opposto e non le sfugge che la location è destinata ad amplificare tutto. L’irrigidimento contro scafisti e trafficanti, sul quale sono tutti d’accordo, è garantito. Aumenteranno le pene, attualmente da 1 a 5 anni, e le multe, per ora di 15mila euro. Verrà introdotta l’aggravante in caso di decessi tra i migranti trasportati. Sin qui è tutta discesa.
Anche sulle agevolazioni per i profughi non dovrebbero esserci grossi problemi. I corridoi umanitari, specialmente se arriverà il mezzo miliardo di euro promesso da von der Leyen, saranno di certo nominati. Lo snellimento delle pratiche per il riconoscimento d’asilo non dovrebbe incontrare ostacoli. Già molto meno liscio il capitolo flussi, quello che riguarda non i profughi ma i “migranti economici”, insomma quelli che fuggono solo dalla morte per fame. Saranno ampliati sia nel numero che nella durata ma quanto e per quanto è oggetto di contesa. Il ministro Lollobrigida aveva parlato di 500mila ingressi legali, il collega Piantedosi, che se non è un pupazzo del ventriloquo Salvini poco ci manca, aveva derubricato a 85mila ingressi l’anno, l’Agricoltura ritiene che ci sarà bisogno di 200mila paia di braccia,
Commenta (0 Commenti)CRISI UCRAINA. L’inchiesta del Die Zeit e di tre tv pubbliche tedesche svela i dettagli. Ma Scholz tace. Sentiti i servizi di vari paesi: sei persone, tanto esplosivo e uno yatch dalla Polonia
Il sabotaggio del Nord Stream 2
Uno yacht noleggiato da un’impresa polacca intestata a due ucraini ritrovato in un’isola danese con tracce di esplosivo a bordo. Cinque sub e una dottoressa con un furgone zeppo di «attrezzature speciali» presenti al porto di Rostock 20 giorni prima dell’attacco al gasdotto. L’informativa top-confidential spedita lo scorso autunno da «un servizio di intelligence occidentale» ai partner europei in cui si profilava il sabotaggio del Nord Stream per mano di un imprecisato «gruppo ucraino»: esattamente l’ipotesi del New York Times.
SONO I TRE CARDINI attorno a cui ruota l’inchiesta giornalistica congiunta del settimanale Die Zeit con i canali della tv pubblica Ard, Swr e Rbb che restituisce l’inedita versione tedesca del «mistero» del Nord Stream. In attesa della chiusura del fascicolo giudiziario sull’«attentato terroristico» aperto dalla procura di Karlsruhe, da cui continua a non trapelare nulla più di «finora nessuna prova del coinvolgimento della Russia».
La ricostruzione dei reporter tedeschi si basa sulle testimonianze degli investigatori dei Paesi impegnati nelle diverse indagini sulle esplosioni che il 26 settembre 2022 hanno distrutto tre dei quattro rami della pipeline di Gazprom. Sulle modalità non hanno dubbi: «È stata un’operazione sotto copertura portata a termine da una squadra di sei persone composta da un capitano, due sommozzatori, due assistenti-sub e un medico donna che ha trasportato gli esplosivi nel luogo di utilizzo».
Nessun indizio sui mandanti né sulla nazionalità degli autori: «Avevano passaporti falsi», specifica l’inchiesta secondo cui lo yacht sarebbe stato noleggiato da «una società con sede in Polonia apparentemente di proprietà di due ucraini».
MENTRE VIENE individuata con precisione la data-chiave dell’operazione: «Il gruppo è salpato da Rostock il 6 settembre 2022. L’attrezzatura per l’azione era stata precedentemente trasportata al porto a bordo di un furgone. Lo yacht è stato segnalato il giorno dopo a Wieck auf dem Darss (Germania) e successivamente sull’isola danese di Christiansø, a nord-est di Bornholm.
L’imbarcazione è stata restituita al proprietario con tracce di esplosivi sul tavolo della cabina». Per certificare il “come” e “quando” del sabotaggio i cronisti tedeschi hanno consultato fonti da diversi Paesi.
«Le agenzie di sicurezza di Germania, Danimarca, Svezia, Paesi bassi e Stati uniti sono state coinvolte nell’indagine sulla distruzione del Nord Stream», precisa Die Zeit. Senza escludere la possibilità teorica di essere incappati in una false-flag architettata a Mosca, sebbene «chi ha investigato non ha trovato elementi a supporto di questo scenario».
A BERLINO il governo Scholz non commenta l’inchiesta dei media nazionali. In compenso il portavoce fa sapere che ha «preso nota del recente rapporto del New York Times» nel rispetto della «sovranità sulle indagini della procura federale». Oltre che delle autorità giudiziarie di Svezia e Danimarca, le cui acque territoriali intersecano il quadrante di mare investito dalle esplosioni. Insieme alla Germania «alcuni giorni fa hanno informato il Consiglio di Sicurezza dell’Onu sulla mancanza di esito dei procedimenti giudiziari in corso».
È pur sempre una novità rispetto alla consegna del silenzio totale adottata dal governo Scholz dopo la pubblicazione del primo dossier sul sabotaggio di Seymour Hersh. Anche se a Berlino confidano sempre nei debunker con la spunta blu pronti a sgonfiare qualunque bufera mediatica a danno degli alleati.
Per ridimensionare il Pulitzer era bastata la piroetta di Der Spiegel (da «celebre cronista investigativo» a «controverso reporter») ma sarà davvero impossibile far passare per congetture l’inchiesta del magazine progressista di Amburgo in collaborazione con tre tv pubbliche.
ANCHE PERCHÉ non si può mettere la sordina alle informazioni che rimbalzano male tra le sponde del Baltico. Lo dimostra il caso di Jakob Berger Nielsen, capo della procura danese: il 21 febbraio ha fatto sapere di aver incriminato «un ex avvocato» per divulgazione di segreti di stato della Danimarca guardandosi bene dal fare il suo nome.
Risultato: tutti hanno indicato Claus Hjort Frederiksen, 75 anni, ex ministro della Difesa, che conferma via Facebook. Spiegando che l’informazione spifferata è che la Nsa ai tempi del governo Obama (vicepresidente Biden) spiava il telefono di Angela Merkel con la complicità di Copenhagen. Attraverso i cavi telefonici posati in acque danesi passavano le conversazioni riservate della cancelliera. Anche quelle sul Nord Stream
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PRIORITÀ DI GOVERNO. Con i risparmi su Mia e Bonus 110% Giorgetti e Leo varano la cancellazione dell’Irap e l’accorpamento delle aliquote centrali
Una sede dell'Agenzia delle Entrate
Domenica il Mia che taglia il Reddito di cittadinanza e la spesa sociale di tre miliardi. Ieri l’annuncio del primo passo della riforma fiscale che taglia le aliquote, specie per i redditi medio alti e cancella tasse alle imprese.
La consecutio è chiara ed è tutta politica. E tiene assieme tutta la destra.
LA DELEGA MESSA A PUNTO dal ministro leghista Giancarlo Giorgetti e dal suo vice (responsabile economico) di Fratelli d’Italia Maurizio Leo dovrebbe approdare in Consiglio dei ministri la prossima settimana o al più tardi quella successiva. E spazia dalle imposte per passare a strizzare l’occhio agli evasori con una grande riduzione degli accertamenti e dei contenziosi nella riscossione del fisco.
La delega indicherà le misure poi toccherà ai decreti attuativi disporre nel dettaglio le norme esecutive.
Il governo annuncia di voler passare da quattro a tre gli scaglioni Irpef, con relativo ritocco delle aliquote. La novità più rilevante sarebbe quella di accorpare gli scaglioni centrali e prevedere uno schema con aliquota al 23% per i redditi fino a 15mila euro, al 27% per i redditi da 15mila euro a 50mila euro e 43% per redditi oltre i 50mila euro.
SULLA CARTA A GUADAGNARCI ci sarebbero soprattutto i ceti medio alti, che ora fra i 28 e i 55 mila euro annui pagano un aliquota del 38%. In realtà, come per ogni modifica fiscale, per tirare le somme bisognerà guardare con attenzione alle modifiche a detrazioni e deduzioni, tuttora indefinite.
La riforma, lo ammette lo stesso governo, ha comunque necessità di copertura. E, sebbene sia chiaro che le risorse verranno dal taglio della spesa sociale – il già citato passaggio dal Reddito di cittadinanza alla Misura di inclusione attiva – e di quella ambientale – la fine dei crediti di imposta per il Superbonus 110% – il governo si vende come fonte di entrate l’annunciato taglio degli incentivi fiscali alle imprese, già strombazzato senza alcun piano reale dal ministro Adolfo Urso, che prevederebbe una potatura delle oltre 600 tax expeditures, cioè le detrazioni e le deduzioni fiscali che oggi costano allo Stato circa 156 miliardi.
Se questa «potatura» è scritta nel cielo, per le imprese in cambio arriva la certa abolizione dell’odiata Irap e la revisione dell’Ires.
NEL PRIMO CASO, L’IMPOSTA regionale sulle attività produttive con cui l’allora ministro Pierluigi Bersani accorpò varie tassazioni viene completamente cancellata, con grande giubilo per la Confindustria di Carlo Bonomi e tutte le organizzazioni di piccole imprese, artigiani e commercianti.
Nel secondo, invece, per l’imposta sui redditi delle società l’aliquota base resterà al 24%, ma potrà scendere fino al 15% se l’impresa investirà nei due anni successivi i propri utili in investimenti innovativi o se li utilizzerà per assumere e aumentare l’occupazione.
I diritti d’autore non glieli chiediamo, tranquilli. In cambio facciano davvero queste cose e noi non mancheremo di agire nell’interesse della nazione
AD ANNUNCIARE TRIONFANTE il voto alla delega oltre alla destra compatta c’è l’ineffabile Luigi Marattin di Italia Viva. L’economista renziano ieri era scatenato: «I diritti d’autore non glieli chiediamo, stiano tranquilli. Ma in cambio facciano davvero queste cose, senza aggiungere populismi fiscali o scelte sbagliate. E noi non mancheremo di agire nell’interesse esclusivo di una nazione che da 50 anni non riforma il proprio sistema fiscale», ha dichiarato con sprezzo del ridicolo
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