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Un paese due scuole. Al Sud Italia mancano tempo pieno, mense, palestre. Svimez quantifica la differenza con il Nord in un anno rubato per i bambini del Mezzogiorno, su cui lo Stato investe 300 euro in meno a testa: «L’autonomia costituzionalizza i divari»

DIRITTI DI CITTADINANZA NEGATI. I dati Svimez: senza mensa, tempo pieno o palestra, rubato un anno ai bambini del Mezzogiorno. Giannola: «Con l’autonomia differenziata le disparità educative rischiano di costituzionalizzarsi cioè di diventare costituzionalmente garantite, una garanzia in peggio»

Scuola di serie A e di serie B, divario enorme tra Nord e Sud Napoli, elementare De Amicis - Ansa

Un bambino di 10 anni del Centro Nord ha assicurato, in media, 1.226 ore di formazione dal sistema scolastico pubblico; un suo coetaneo del Sud dovrà invece arrangiarsi con 200 ore in meno, niente mensa e quindi niente dieta bilanciata e pure niente palestra. Su questo mattoncino si sviluppa il sistema di diseguaglianze che frena l’Italia nel complesso e nega diritti di cittadinanza almeno a un terzo degli abitanti. La fotografia di come funziona, male, il Paese l’ha fornita la Svimez con l’Altra Napoli onlus nell’incontro «Un paese due scuole».

LA REDAZIONE CONSIGLIA:

Scuola, la legge di bilancio taglia posti di lavoro al Sud

NEL SUD circa 650mila alunni delle primarie statali (79%) non beneficiano della mensa. In Campania se ne contano 200mila (87%), in Sicilia 184mila (88%), in Puglia 100mila (65%), in Calabria 60mila (80%). Nel Centro Nord gli studenti senza mensa sono 700mila, il 46% del totale. Di più: solo il

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LA STRAGE. Due sono deceduti nei porti di Civitavecchia e Trieste, un altro in un’officina del trasporto pubblico a Savona. L'Alleanza Verdi-Sinistra chiede la formazione di una commissione d'inchiesta parlamentare. Il sindacato Usb: istituire il reato di omicidio sul lavoro

Sciopero nei porti italiani contro gli omicidi sul lavoro:  tre operai morti Flash mob - Aleandro Biagianti

Sciopero di 24 ore in tutti i porti italiani indetto da Filt Cgil, Fit Cisl, Uiltrasporti e Usb contro la strage degli operai morti per il lavoro. È accaduto ieri quando alla notizia di un operaio morto nel porto di Trieste si è aggiunta quella di un altro operaio deceduto in maniera atroce a Civitavecchia.

Alberto Motta, 29 anni, è rimasto schiacciato ieri mattina da un mezzo per il trasporto container su una delle banchine del porto di Civitavecchia. L’operaio prestava servizio per la società che gestisce nello scalo il terminal dei container.

Ventiquattro ore prima un altro morto del lavoro è caduto nel porto di Trieste. Paolo Borselli, operaio di 58 anni, ha perso la vita dopo esser caduto in mare. Dipendente dell’Alpt, l’agenzia per i lavoratori portuali, Borselli è caduto mentre era impegnato in una retromarcia con il muletto. Subito dopo l’incidente i portuali triestini hanno organizzato una protesta al varco quattro.

Dai porti ai trasporti. Andiamo a Savona. Sempre ieri un altro operaio, il capo officina dell’azienda di Trasporto pubblico locale della città ligure, è morto. Si chiamava Stefano Macciò. Aveva 53 anni ed era nato a Sassello. È rimasto schiacciato mentre di staccare un autobus da un carro attrezzi. «La tragedia ha sconvolto tutti» hanno detto il sindaco di Savona Marco Russo e Simona Sacone, presidente dell’azienda locale di trasporto pubblico. «Questa morte – hanno sostenuto i segretari di Cgil, Cisl e Uil Liguria – è l’ultimo tassello di un’inaccettabile strage silenziosa che non può e non deve rimanere tale. La politica si faccia carico di vincere questa battaglia».

Trieste, Civitavecchia, Savona. In tutti questi casi la magistratura ha aperto un’inchiesta. Ci si augura che le responsabilità siano appurate e che queste morti non siano dimenticate.

Tre operai morti in un giorno. La media della strage è mantenuta. è quello che accade ogni giorno in Italia mentre si spendono parole inutili sulla sicurezza, sugli ispettori del lavoro, sulle leggi da fare o ripensare. Tutto resta uguale. Solo nel 2022 oltre mille morti. Il capitale va avanti, lo Stato è impotente, i lavoratori muoiono come mosche sui luoghi di lavoro, oppure per raggiungerli. E non parliamo degli incidenti. Una guerra nei cantieri, ovunque feriti. Nell’impotenza di un sistema che «deve» crescere anche sul sangue.

Per i sindacati «è urgente un intervento fattivo e concreto che fermi questa strage. Ci impegniamo fin da subito, nel mettere in campo iniziative con le istituzioni e parti datoriali, mirati a produrre azioni concrete e tempestive, a partire dall’attuazione dei dispositivi che prevedono l’accompagnamento all’esodo dei lavoratori portuali». È anche “indispensabile» il rafforzamento della formazione «che ridurrebbe sicuramente l’esposizione al rischio» e «l’aggiornamento della legge sulla sicurezza e salute dei lavoratori portuali».

«Un disastro – ha detto il segretario della Cgil Maurizio Landini al Congresso della Fillea Cgil a Modena – di fronte al quale bisogna cambiare radicalmente anche la cultura, si continua a pensare che la salute e la sicurezza siano un costo, invece devono essere un investimento. Soprattutto bisogna superare la logica del massimo ribasso, dello sfruttamento, che è quello che sta determinando anche questa situazione. C’è bisogno che il governo intervenga. E bisogna introdurre la patente a punti».

«Se c’è una guerra da dovere combattere l’unica è quella contro gli omicidi sul lavoro. Bisogna istituire il reato di omicidio di lavoro» sostiene il sindacato Usb.

Dello stesso avviso è Peppe De Cristofaro (Alleanza Verdi-Sinistra) che ha anche chiesto l’istituzione di una commissione di inchiesta parlamentare

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BRUXELLES. Accordo tra Socialisti, Ppe, Verdi e Sinistra. Scatenata la Lega: «Eurofollia turboambientalista, una patrimoniale mascherata». Favorevoli i 5S che chiedono maggiori risorse agli Stati per la transizione ecologica
 Impianto fotovoltaico

Case green, via libera ieri dalla Commissione industria, ricerca ed energia del Parlamento Ue alla proposta di revisione della direttiva sulle performance energetiche degli edifici. Il passaggio in plenaria a marzo, quindi i negoziati con il Consiglio. L’obiettivo è ridurre il consumo di energia e le emissioni di gas serra entro il 2030, rendendole climaticamente neutre entro il 2050. Gli edifici residenziali dovranno raggiungere una classe energetica minima di tipo E entro il 2030 e D entro il 2033. Gli edifici non residenziali e pubblici dovrebbero raggiungere le stesse classi rispettivamente entro il 2027 e il 2030; impianti solari sui nuovi tetti entro il 2028; eliminazione dei combustibili fossili negli edifici entro il 2035 (o il 2040).

Il testo approvato è un compromesso con target ambiziosi ma più flessibilità e tempi più diluiti. I piani nazionali di ristrutturazione dovrebbero includere misure per facilitare l’accesso a sovvenzioni e finanziamenti: le misure finanziarie dovrebbero fornire un premio importante per ristrutturazioni profonde più sussidi mirati per le famiglie vulnerabili. I monumenti sarebbero esclusi dalle nuove regole, mentre i paesi Ue potrebbero decidere di escludere anche gli edifici protetti da vincoli architettonici o storici, gli edifici tecnici e i luoghi di culto, gli alloggi pubblici sociali.

La proposta è passata con 46 sì, 18 no e 6 astenuti: a favore Socialisti e democratici, Verdi e Sinistra. La maggior parte degli europarlamentari di Renew (a cui aderisce Azione – Italia viva) hanno votato sì ma con due voti contrari e tre astenuti. Anche il Ppe (a cui aderisce Forza Italia) si è diviso: 13 sì, 5 no. I partiti della maggioranza di governo (FdI, Lega e Fi) si sono schierati sul fronte contrario. Non una novità visto che in Italia stanno accompagnando il Superbonus verso la graduale dismissione. Tra i primi a tirare il freno a mano, ieri, il ministro forzista dell’Ambiente Pichetto Fratin: «La realtà italiana ha una caratteristica che la differenzia rispetto all’Europa dove non c’è la microproprietà, da noi non è un Spa che deve fare la ristrutturazione. La trattativa si riaprirà a livello degli Stati».

Scatenata la Lega: «La maggioranza del Parlamento europeo guidata dalla sinistra confeziona uno schiaffo alle imprese, ai lavoratori e alle famiglie italiane. L’Italia faccia squadra per fermare questa eurofollia turboambientalista». E Salvini: «Una patrimoniale mascherata. Pd e M5s hanno votato contro l’interesse degli italiani. Che vergogna». Da Fi Massimiliano Salini: «Abbiamo espresso voto contrario a causa delle troppe incertezze. Chiederemo di emendare la proposta contro gli estremismi ideologici ultra green del testo iniziale». E FdI con Lucrezia Mantovani: «La casa non si può toccare, il diritto europeo non considera le peculiarità degli Stati e del loro tessuto sociale e urbano». Azione – Iv sulla linea dell’astensione: «Direttiva irrealizzabile nei modi e nei tempi» il commento di Raffaella Paita.

Dal lato opposto, il verde Angelo Bonelli: «La destra dice no a tutto per difendere privilegi, in questo caso delle lobby delle energie fossili: le abitazioni a uso civile in Italia hanno consumato, dati 2021, 22 miliardi di metri cubi di gas, più 50% rispetto alla media Ue. Il governo Meloni ha smantellato il sistema degli ecobonus e del superbonus ed è contrario all’innovazione». Sulla notizia è balzato Giuseppe Conte: «M5S continuerà a battersi in Parlamento per il Superbonus, di attualità anche in Europa dove si lavora a una direttiva per le case green. L’efficientamento è più che mai attuale».

La capodelegazione 5S in Ue Tiziana Beghin: «Il testo chiede la creazione di un fondo dedicato, Energy performance renovation fund, che andrebbe a sostenere gli Stati per centrare gli obiettivi. Esistono già una serie di fondi, compresi quelli di coesione, il Recovery Fund e il Fondo sociale per il clima ma, per rendere la transizione davvero equa per tutti, i governi devono avere maggiori risorse». Sul tavolo la richiesta di esentare dal Patto di stabilità i finanziamenti volti ad ammodernare il parco edilizio e i crediti d’imposta come il Superbonus

 
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A un anno dall’invasione, senza spiragli di pace, Volodymyr Zelensky interviene al Parlamento e al Consiglio europei. È giornata nera, invece, per Meloni: esclusa dal vertice Macron-Sholz, niente bilaterale con il presidente ucraino, e a mani vuote anche sui migranti

BILATERALE A BRUXELLES. La premier all’attacco per il mancato invito all’Eliseo con Scholz. Il presidente francese la gela

 Giorgia Meloni a Bruxelles in attesa dell’inizio del Consiglio europeo - Ap

Doppio sgarbo, umiliazione su umiliazione. Prima l’estromissione dalla cena dei grandi, quella di mercoledì sera all’Eliseo. Poi il bilaterale a Bruxelles saltato all’ultimo momento, sostituito da un incontro di gruppo di Zelensky con altri sei capi di governo, al termine del quale il presidente ucraino e la premier italiana si sono solo intrattenuti faccia a faccia per alcuni minuti. Per Meloni una giornata nerissima.

Non è stato aggiunto alcun posto a tavola per la cena a tre dell’Eliseo di mercoledì sera, ospite Macron, illustri invitati Scholz e Zelenszy, Cenerentola di turno Giorgia l’Underdog: un’improvvisata che ha colto l’Italia di sorpresa e mandato fuori dai gangheri la premier. Tanto da farla contravvenire a un dogma della

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IL LIMITE IGNOTO. Dal premier britannico Sunak, per ora, il presidente ucraino incassa un «niente è escluso». E oggi vede Macron e Scholz. A stretto giro la reazione di Mosca: «Conseguenze militari e politiche per l’Europa e il mondo intero»

 L'incontro tra Volodymyr Zelenskyy e re Carlo a Londra - Ap/Aaron Chown

«Vinceremo la guerra«, ha detto ieri nella Hall di Westminster il presidente ucraino, il leonino Volodymyr Zelensky. «Abbiamo la libertà, dateci le ali per proteggerla», ha poi aggiunto nel corso del suo appassionato – e spettacolare in tutti i sensi – intervento davanti al parlamento britannico riunito in una sessione congiunta, in estasi e a un passo dal chiedergli l’autografo. Avrebbe poi incontrato re Carlo terzo e i piloti di jet da combattimento e marines ucraini addestrati dalla Raf.

LA FRASE  sulla libertà alata era anche scritta sul casco di un asso dell’aviazione ucraina che Zelensky ha donato al presidente della Camera dei Comuni, Lindsay Hoyle. Avviluppata nell’infiorescenza poetica, la richiesta nuda e quasi brutale pronunciata del resto ormai infinite volte: «Dateci gli aerei». E reiterata ancora in previsione del suo successivo incontro con il re, che in gioventù aveva fatto il pilota di elicotteri. «Il re è un pilota dell’Air Force: ebbene, oggi, in Ucraina, ogni pilota dell’Air Force è un re».

Nessun dubbio circa l’operazione simbolica del Churchill ucraino che parla ai successori del Churchill inglese, la Kiev sotto attacco russo alla Londra del Blitz: «Il Regno unito sta marciando con noi verso la vittoria più importante della nostra vita. Sarà una vittoria sull’idea stessa della guerra», ha detto Zelensky nella sua ormai classica mise militare.

E poi, riferendosi alla sua prima visita ufficiale dopo la sua elezione: «Lasciando il parlamento britannico due anni fa, vi ho ringraziato per il delizioso tè inglese. Oggi lo faccio ringraziando tutti voi in anticipo per i potenti aerei inglesi (sic)».

Zelensky si è poi lasciato sommergere dagli applausi nella stessa sala dove era stato esposto il feretro della monarca defunta. Mentre scriviamo è appena atterrato a Parigi dove incontrerà Emmanuel Macron e Olaf Scholz.

«Niente è escluso», gli avrebbe risposto indirettamente più tardi – nella conferenza stampa conclusiva pomeridiana in Dorset, davanti a un carrarmato come quelli già inviati da Londra – il primo ministro britannico Sunak, riferendosi naturalmente agli aiuti militari. Quanto agli aerei invocati dal presidente ucraino e causa precipua del suo tour europeo alla temuta vigilia di quella che si annuncia come una massiccia offensiva russa a ridosso del primo – umiliante per Mosca – anniversario dell’invasione, rimangono «parte della conversazione».

IN PRECEDENZA, lo stesso Sunak aveva detto ai parlamentari che il suo governo voleva vedere l’Ucraina raggiungere una «vittoria militare decisiva» quest’anno. Unica stecca di una dimostrazione altrimenti impeccabile di accordo e alleanza la domanda della corrispondente ucraina della Bbc, che ha chiesto a Sunak come mai Londra non abbia ancora inferto un colpo mortale al riciclaggio di fiumi di denaro oligarchico che ancora scorrono nei caveau londinesi.

Poco dopo la fine della conferenza stampa, l’immediata replica di Mosca. L’ambasciata russa a Londra metteva in guardia il governo britannico dall’inviare aerei da combattimento in Ucraina: ciò avrebbe «conseguenze militari e politiche per il continente europeo e il mondo intero».

La dichiarazione di Sunak sull’illimitato credito militare a Kiev sembra quanto mai prevedibile visto il contesto in cui era espressa, ma anche in sostanziale coerenza con la linea di Londra di sostegno militare incondizionato agli ucraini già all’indomani dell’inizio dell’«operazione militare speciale», come Mosca chiamava l’invasione quando ancora lo stato maggiore russo la credeva una passeggiata.

Il Regno unito è il primo alleato occidentale ad aver offerto addestramento a piloti ucraini su velivoli standard della Nato, mossa che arriva dopo aver offerto carri armati Challenger il mese scorso davanti a Stati uniti e Germania. Il governo proprio ieri annunciava nuove sanzioni a otto individui e un’organizzazione collegati a «nefaste reti finanziarie che aiutano a mantenere ricchezza e potere tra le élite del Cremlino», ha detto il governo britannico in una nota.

ANCHE PER QUESTO nel suo discorso a Westminster, rivolgendosi direttamente all’ex premier Boris Johnson, Zelensky lo ha elogiato per aver unito gli altri paesi europei dietro l’Ucraina quando sembrava «assolutamente impossibile» riuscirci (Johnson fu il primo leader di un paese straniero a visitare Kiev, il 9 aprile 2022 la prima visita di tre). Ora Macron e Scholz, che lo incontrano oggi a Parigi potranno solo cercare di dimostrarsi altrettanto militarmente generosi, assicurando un protrarsi incredibilmente pericoloso del conflitto.

Quella di ieri a Londra era la prima visita di Zelensky nel Regno unito da quando la Russia ha invaso il suo paese e il suo secondo viaggio internazionale dall’inizio della guerra. La prima era stata… negli Stati uniti. La giornata è stata a dir poco vorticosa. Atterrato al mattino a Stansted in un velivolo della Royal air Force, dove è stato accolto da Sunak, Zelensky ha parlato a Westminster, visitato re Carlo terzo a Buckingham Palace e omaggiato i suoi soldati, sempre in felpa

 

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Ormai 12mila le vittime del sisma in Anatolia, Erdogan si presenta sulle macerie, chiede unità ma blocca i social. Ha resistito a crisi, inflazione e corruzione, ma le case che crollano in un istante lo mettono davvero in difficoltà, cresce la rabbia dei turchi (e dei siriani)

Un appello di aiuto del Congresso Nazionale del Kurdistan

SIRIA/TERREMOTO. Intervista a padre Haroutioun. «Facciamo la nostra parte per aiutare chi ha perduto tutto ma non basta. Senza la fine delle sanzioni non sarà possibile fare di più per la popolazione»

 La torre del castello di Aleppo - Haroutioun

Aleppo città martire, colpita da bombardamenti durante la guerra in Siria e ora devastata delle tre scosse di terremoto che hanno ucciso migliaia di persone e distrutto decine di migliaia di edifici nella Turchia meridionale e nel nord-ovest della Siria. La popolazione della seconda città siriana per importanza, nota per la sua bellezza e una lunga storia, lotta per sopravvivere e superare questa nuova dura prova. Accanto alle Ong e alle autorità locali, anche le Chiese cristiane partecipano all’assistenza degli abitanti gettati dal sisma nella disperazione. Ad Aleppo è presente anche il nunzio apostolico in Siria, il cardinale Mario Zenari. Ieri abbiamo raggiunto al telefono ad Aleppo padre Haroutioun, un francescano impegnato negli aiuti ai terremotati, per avere un quadro della situazione

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