UN DECENNIO DI PAPATO. I dieci anni che hanno sconvolto la chiesa. E ora la sfida del sinodo. Il bilancio del pontificato: troppo poche le modifiche interne. Anche se è arrivata l’apertura sul celibato
Papa Francesco da solo durante il messaggio Urbi et orbi il 27 marzo 2020 all'inizio del lockdown
Dieci anni non bastano per tracciare un bilancio del pontificato di Francesco, peraltro ancora in corso e a «tempo indeterminato», nonostante ipotesi di dimissioni che sembrano più interessate che reali. Sono però sufficienti per osservare in quale direzione si è mossa la Chiesa cattolica. Anzi in quali direzioni, perché le traiettorie sono almeno due, e non sempre hanno viaggiato in maniera convergente e alla stessa velocità.
Sul versante sociale, l’accelerazione impressa da Bergoglio alla Chiesa è stata decisa, tanto da costituire un vero e proprio cambio di linea rispetto a quella rigidamente dottrinale del proprio predecessore, con cui c’è stata anche un’inedita coabitazione – papa regnante e papa emerito – fino a gennaio.
Fra i tanti temi di questa «conversione sociale», tre emergono su tutti. Il primo è quello dei diritti dei migranti, reso evidente da uno primi atti del pontificato: il viaggio a Lampedusa, ad appena tre mesi dall’elezione alla cattedra di Pietro. Replicato tre anni dopo con un nuovo viaggio in un’altra isola «porta d’Europa», Lesbo. Poi le dure critiche alla «fortezza Europa» e la risignificazione delle «radici cristiane» dell’Europa, non in chiave identitaria ed esclusivista, ma umanistica e solidale. Fino alle parole di questi ultimi giorni, non quelle ovvie sulla necessità di fermare i «trafficanti di esseri umani» – strumentalizzate dal governo Meloni, che le ha scolpite su una lapide posta a Cutro con l’intento di coprire i propri errori –, ma quelle scomode sull’«accoglienza gratuita», non a caso oscurate dai media di regime. Il secondo è quello dell’ambiente, sintetizzato nell’enciclica Laudato si’ (2015), nella quale Bergoglio ha strettamente collegato ecologia e giustizia sociale. Infine quello della guerra, con la condanna di qualsiasi ipotesi di «guerra giusta», del «possesso» delle armi nucleari («illegali, immorali, illogiche: vanno abolite») e in generale della produzione e del commercio degli armamenti.
Più lento e soprattutto meno lineare è apparso invece il cammino sul fronte interno, ovvero sul terreno di
Leggi tutto: I dieci anni che hanno sconvolto la chiesa. E ora la sfida del sinodo - di Luca Kocci
Commenta (0 Commenti)TERRITORIO E AMBIENTE. Alla fine piazza Bovio era gremita, la manifestazione contro il maxi rigassificatore atteso a fine mese nel porto cittadino, e in generale contro le fonti fossili e per la giustizia climatica, è stata il consueto successo di partecipazione. Contestato il sindaco Ferrari (Fdi): "Ipocrita, anche la tua premier lo vuole"
Un momento della manifestazione - Biagianti
Alla fine piazza Bovio era gremita, la manifestazione contro il maxi rigassificatore atteso a fine mese nel porto di Piombino, e in generale contro le fonti fossili e per la giustizia climatica, è stata il consueto successo di partecipazione. Non certo sporcato da un blitz, la notte scorsa, con le immagini di Giorgia Meloni e di Eugenio Giani proiettate sul palazzo Comunale e la fortezza del Rivellino, e accompagnate da svastiche ed epiteti no vax. Si sono subito dissociate sia la Rete no rigas no gnl che la Rete per il clima fuori dal fossile, organizzatori di una iniziativa che ha visto arrivare in città delegazioni di comitati e di associazioni ambientaliste locali di mezza Italia, insieme ai rappresentanti dei sindacati di base Usb e Cobas, di Legambiente, Greenpeace e Fridays for Future, delle tute blu Gkn e, quanto alle forze politiche, dalla presenza di M5s, Rifondazione-Pap e Verdi-Sinistra.
Soddisfatto Ugo Preziosi del comitato locale La Piazza, una delle anime della protesta generalizzata che da mesi e mesi sta accompagnando l’avvicinamento della grande nave rigassificatrice Golar Tundra al porto cittadino: “I comitati per l’ambiente sono tutti qui, non siamo soli in questa battaglia civile”. C’erano naturalmente anche i piombinesi, sempre più preoccupati di fronte alla prospettiva di vivere per tre anni con un maxi rigassificatore a poche centinaia di metri dalle abitazioni. Non per caso in corteo c’erano anche i familiari delle vittime della strage di Viareggio.
Quando i circa tremila manifestanti sono arrivati in piazza Bovio, dopo una pacifica marcia a suon di tamburi, fischietti e bandiere della pace in una città blindata dalle forze dell’ordine, c’è stato un minuto di silenzio per i migranti annegati a pochi metri dalla spiaggia di Steccato di Cutro. Poi gli interventi dal palco, compreso quello del sindaco Francesco Ferrari, di Fdi, che però ha smesso di parlare quando dalla folla gli è stato urlato: “Ipocrita, anche la tua premier lo vuole”.
In corteo anche Maurizio Acerbo del Prc: “E’ importante dire no al rigassificatore, sul sì all’impianto si è creata un’unità nazionale che va dal Pd a Calenda fino alla Meloni, che ha tradito Piombino. Invece di comprare il gas liquido dagli Usa, estratto con la tecnica del fracking vietata in Europa, e pagandolo tre, cinque volte di più di quello russo, bisogna investire e creare lavoro nella filiera delle fonti rinnovabili”. Soddisfatto anche Eros Tetti dell’Alleanza Verdi Sinistra: “La lotta compatta dei piombinesi è un esempio per tutti. La risposta alla crisi climatica in corso non può essere certo quella dei rigassificatori”
Commenta (0 Commenti)In 10mila sfilano sulla spiaggia di Cutro con mazzi di fiori e senza sorrisi. Mimmo Lucano guida il corteo dietro alla croce fatta con i legni del naufragio che ha ucciso 76 migranti, gli ultimi due ritrovati ieri. Dolore, rabbia e una promessa: non finisce qui
La manifestazione svoltasi a Steccato di Cutro - Ansa
Una croce in legno guida il fiume umano di tre chilometri nei campi di finocchio di Steccato. L’hanno costruita con i resti del caicco naufragato. La portano a spalla, alternandosi, i manifestanti. Primo fra tutti, Mimmo Lucano. È una moltitudine di 10mila anime. È colorata ed in parte taciturna. Ci sono silenzi che strillano più delle urla. In testa i gonfaloni dei Comuni e quello dei partigiani. In tanti recano in mano mazzi di fiori. E non ci sono sorrisi. Ci si saluta sottovoce quando nel corteo si ritrovano amici e compagni dopo tanto tempo. Volti spenti, velati di tristezza, scorrono per le vie intitolate a capitali extraeuropee. È uno sciame senza frontiere, spontaneo, estraneo alla logica degli apparati, introdotto dallo striscione d’apertura «Fermare la strage subito». Lo reggono gli organizzatori: Cgil, Arci, Anpi, Il manifesto, Amnesty International, Comunità di Sant’Egidio, Caritas e le altre sigle storiche del movimento antirazzista italiano.
TRA I TANTI SINDACI presenti, marcia la fascia tricolore del capoluogo regionale. «Era doveroso esserci oggi – spiega Nicola Fiorita, primo cittadino di Catanzaro -. Rincuora il fatto di ritrovarsi uniti. La speranza è che non dovremo mai più vivere giornate tristissime come questa». Sfila lo spezzone di Emergency, corposa la delegazione di medici. «È inaccettabile che non ci sia un coordinamento in mare delle istituzioni preposte», tuona Mara, psicologa di Msf. Una lunga onda di stoffa blu fende la nutrita pattuglia di Mediterranea: tre pullman da tutta Italia. «Dopo tanti anni questo è il posto e il momento giusto dove essere, un luogo in cui poter condividere un comune sentire, ma soprattutto dissentire dall’indegna rappresentazione offerta dal governo. Oggi qui prende corpo un aspetto umano e prepolitico che diventa essenziale per qualsiasi prospettiva di cambiamento», sottolinea Sandro Metz, armatore sociale della Mediterranea Saving Humans. Insieme a lui, il marinaio eretico Luca Casarini: «Riaffermiamo un principio di istituzionalità dal basso, una legalità altra. L’Italia è un paese di transitanti. Lavoriamo insieme per costruire ferrovie sotterranee che consentano a milioni di esseri umani di raggiungere gli approdi che vogliono. Mi sono commosso vedendo il lancio di peluche contro le auto blu del governo Meloni. Abbiamo bisogno di simboli e riti che comunichino il senso delle lotte che portiamo avanti».
Avanzano le bandiere rosse della Cgil meridionale. «Riprende voce chi non accetta la disumanizzazione. Il governo si è così screditato dinanzi all’opinione pubblica e si è indebolito al suo interno. Per questo motivo ritengo che sia stato un errore per la Cgil invitare la premier Meloni al prossimo congresso di Rimini, un fatto che non avveniva dal 1996. Ma siamo pronti a contestarne l’arrivo», ci dice Delio Di Blasi, dirigente della sinistra Cgil.
LA COPERTA DELLA MEMORIA colorata e solidale di Lampedusa introduce gli attivisti impegnati nei soccorsi nel canale di Sicilia. «Oggi registriamo un cambio di passo che ci dà la forza di perseguire nuovi obiettivi: gli accessi legali per i migranti, fuori dal meccanismo perverso delle quote; la cancellazione della legge Bossi-Fini, l’allargamento dei corridoi umanitari. Infine, dobbiamo fermare l’assurda guerra politico-giudiziaria alle organizzazioni che prestano soccorso in mare», rimarca Francesco Piobbichi, di Mediterranean Hope.
Un raggio di sole squarcia il cielo grigio mentre il corteo irrompe nella spiaggia della morte. Il vento è impetuoso come nella maledetta notte del 26 febbraio. Gira a ponente e solleva onde alte due metri. Pare rivivere il dramma dei 180 naufraghi del «Summer Love». I famigliari delle vittime (ieri la 76esima è stata restituita dalle acque) e dei dispersi depongono corone di fiori intorno alla croce di legno conficcata nella sabbia. Un filo di rose rosse cinge la battigia. Ci sono i preti cattolici e gli imam. È uno straordinario momento emotivo. I peluche, simbolo della protesta, sono deposti sulla sabbia. Alle 16,50 i manifestanti formano un tappeto umano in segno di raccoglimento. A seguire, dalle potenti trombe vintage, restaurate dai militanti della «Base» di Cosenza, parte la girandola degli interventi improvvisati. «Nelle ore successive al naufragio è avvenuta una passerella inutile. C’erano solo quattro sommozzatori su uno specchio di mare vastissimo. Ho visto carabinieri con gli scarpini lucidi arrancare sulla spiaggia», ricorda Nando Fazio, soccorritore della Protezione civile. Gli fa eco Michelangelo Galati di Equosud Reggio Calabria: «Sono uno di quelli che hanno avvertito l’impulso naturale di correre sulla spiaggia nella speranza di salvare vite umane. Ho trovato il passaporto di un ragazzo pakistano che ho consegnato alle autorità. Adesso vorrei tanto sapere quale sia stata la sorte di questa persona».
«UNA MANIFESTAZIONE riuscita, unita e plurale. Non era facile. Diecimila testimoni del popolo dell’umanità, espressione anche delle 40 associazioni che hanno depositato un esposto in procura a Crotone. Ma oggi è solo il primo passo. Adesso bisogna costruire una grande manifestazione nazionale», annuncia Filippo Sestito dell’Arci. Arrivederci a Roma
Commenta (0 Commenti)Netanyahu parte, le proteste degli israeliani lo inseguono. Lasciati alle spalle i blocchi stradali che giovedì hanno rischiato di non farlo imbarcare per l’Italia, ieri – mentre incontrava il ministro Urso (con il primo Forum economico per le imprese italiane con interessi in Israele) e poi la presidente del consiglio Meloni – il premier israeliano le proteste se le è ritrovate a Roma.
Duecento tra israeliani ed ebrei italiani in Piazza Santi Apostoli hanno ribadito gli slogan sentiti a Tel Aviv e Gerusalemme, ma anche nelle manifestazioni organizzate nelle città di mezzo Occidente: «Democrazia», in riferimento alla riforma della giustizia immaginata dal governo di ultradestra guidato da Bibi e che vorrebbe consegnare all’esecutivo i poteri autonomi della magistratura.
PROTESTE che spaccano le comunità ebraiche all’estero. Quella romana non fa differenza, con la sua presidente Dureghello che giovedì accoglieva Netanyahu ribadendo la vicinanza al conservatorismo israeliano. Contraddizioni che accompagnano Israele fin dalla sua nascita e che ieri, nel cordialissimo incontro con Giorgia Meloni, hanno raggiunto nuovi apici.
A capo di un partito post-fascista, si è sentita dire da Netanyahu quanto sorprendente sia la sua leadership. Parole già dedicate anche ad altri leader, spesso illiberali, in alcuni casi apertamente antisemiti, o provenienti da una storia politica di chiara estrazione fascista (vedi il gruppo Visegrad, uno dei principali asset europei di Tel Aviv).
Cortocircuiti ideologici che di fronte alle potenzialità del business si spengono senza troppi mal di pancia. Negli otto minuti di conferenza stampa congiunta sono emerse tutte, quelle potenzialità. Un elenco dettagliato che nasconde altri cortocircuiti.
Meloni lo ha detto subito: «Accrescere il livello di cooperazione nei settori più innovativi. Intelligenza artificiale, cibernetica, cybersicurezza e tecnologia applicata all’agricoltura: abbiamo parlato molto, a fronte della crisi idrica che l’Italia sta vivendo».
DOPOTUTTO, ha aggiunto, «Israele ha fatto un lavoro straordinario trasformando quella che era una possibile debolezza in un grande punto di forza». La narrativa che dimentica quel che era la Palestina prima del 1948: uno dei territori più fertili della regione, esportatrice di agrumi e verdure in tutto il mondo arabo.
Dal 1967 Israele controlla ogni risorsa idrica, nel proprio territorio e in quelli palestinesi occupati, in violazione del diritto internazionale, provocando il prosciugamento del fiume Giordano e la morte del mare di Gaza.
E poi la cybersecurity, fiore all’occhiello israeliano, che non poche grane ha provocato negli ultimi anni: start up e aziende che hanno esportato a regimi molto poco democratici strumenti di spionaggio e controllo sociale che hanno allargato le maglie delle repressioni interne. Vedi Pegasus, della Nso, il caso più eclatante, creato da ex funzionari dell’esercito e operativo grazie alle autorizzazioni governative.
L’Italia si accoda, il prodotto interessa e Meloni promette una crescita della cooperazione, da discutere in «un nuovo incontro intergovernativo tra Italia e Israele, non si tiene dal 2013, il prossimo si dovrebbe svolgere in Israele».
LE FA ECO Netanyahu che vede «spazio per un’enorme collaborazione»: «Si possano fare molte cose: collaborazione sull’acqua e le risorse idriche perché Israele ha risolto il problema della siccità». Ma soprattutto energia, con l’Italia a fare da «hub di fornitura di gas (israeliano) verso l’Europa».
Su questo Bibi ha premuto l’acceleratore, forte delle necessità crescenti di un’Europa che vorrebbe sganciarsi dalla Russia e di un’Italia che vaga nel Mediterraneo a caccia di accordi energetici.
Intanto dall’altra parte di quel mare, un palestinese veniva ucciso da un colono. Abd al-Karim Badie al-Shaikh, 21 anni, è stato freddato nella colonia di Ma’ale Shomron. Secondo l’esercito israeliano, si era introdotto con un coltello.
L’ULTIMA di una lunga serie di violenze che fanno del 2023 l’anno più sanguinoso dal 2000 (quando iniziò la seconda Intifada): 13 israeliani e 77 palestinesi uccisi. Da esercito e coloni.
Su queste uccisioni Meloni ha tenuto di non dover dire nulla, nemmeno di fronte a raid militari diurni nelle città palestinesi o dei pogrom dei coloni: «Ho portato la solidarietà italiana e la condanna di fronte agli attacchi terroristici». I morti di una parte sola
1.300 persone in pericolo nello Ionio e ondata di barchini a Lampedusa. La risposta dei soccorsi stavolta c’è e si vede. A Cutro riaffiora il corpo di un bimbo di 6 anni, è la 73esima vittima. Oggi manifestazione nazionale a fianco di famigliari e popolo dei peluche
Sarà la prima volta. Mai sinora una grande manifestazione nazionale si era conclusa su una spiaggia. Ma non c’è stata possibilità di scelta. È qui che si è consumata la tragedia. Per l’esattezza, una strage del mare, piena di buchi neri, con 73 vittime, un numero imprecisato di dispersi che ora meritano risposte precise alle domande di verità e giustizia che in questi giorni sono state poste.
Sarà compito della magistratura individuare le responsabilità. Intanto il popolo dei peluche si mette in marcia oggi pomeriggio alle 14. Dal lancio di pupazzi sulla carovana meloniana al suo ingresso giovedì scorso a Cutro, il peluche è ormai divenuto un simbolo di contestazione, ma anche un richiamo all’umanità naufragata.
Steccato è la frazione balneare di Cutro, 16 chilometri a valle del paese, che giocoforza si è trovata ad affrontare il trauma di un evento drammatico, inaspettato ma non imprevedibile. Perché il 26 febbraio non è che il frutto marcio di politiche repressive e proibizioniste in tema di immigrazione. Basti considerare i tre soccorsi effettuati ieri nelle stesse acque: salvataggi, stavolta andati a buon fine, di altri barconi con migliaia di migranti in questo lembo di costa jonica.
L’organizzazione del corteo è andata avanti senza intoppi. Il percorso attraverserà il lungomare per terminare all’arenile dove ancora ieri il mare ha restituito i corpi dei migranti del caicco «Summer love». Nel bollettino drammatico infatti è stato aggiunto il corpo sfigurato di un bambino di sei anni. Anche per lui stamani una trentina di pullman si metteranno in viaggio da tutta Italia con destinazione la Calabria. Una corona di fiori sarà affidata alle onde del mare nel tratto interessato dal naufragio.
L’elenco delle adesioni alla manifestazione è
Commenta (0 Commenti)WORKFARE ALL'ITALIANA. Reddito di cittadinanza (e quello che verrà) nel caos. Il conflitto tra l'ex presidente di Anpal Servizi Cristina Tajani ed il governo contro la decisione del ministro del Lavoro Marina Calderone, adottata d'intesa con il Mef, di revocare il Cda della società. Pubblicati dall'Anpal i nuovi dati dei centri per l'impiego aggiornati al 31 dicembre 2022: oltre il 70% degli "occupabili" sono difficili da occupare, ma su di loro saranno scaricate le responsabilità del sistema
La ministra del lavoro Marina Calderone - Ansa
Mentre il governo continua a disseminare false piste attraverso i giornali, informazioni confuse e parziali che impediscono all’opinione pubblica di apprendere cosa davvero intende fare sul «reddito di cittadinanza» e la sua trasformazione in un altra misura (che potrebbe anche non chiamarsi «Misura di inclusione attiva») ieri sono stati cambiati tra le polemiche i vertici dell’Anpal Servizi, una delle agenzie che dovrebbe occuparsi delle «politiche attive del lavoro».
L’ex presidente Cristina Tajani ha contestato la nomina al vertice della società in house del ministero del Lavoro e dell’Anpal di Massimo Temussi, manager considerato di area politica vicina al governo . In un’assemblea convocata ieri Tajani ha denunciato alla ministra del lavoro Marina Calderone, che ha proceduto d’intesa con il Ministero dell’Economia, «la nullità giuridica del decreto in quanto emesso in mancanza di potere, non essendo tra le attribuzioni dei ministri in carica quella di revocare e/o nominare i membri del Consiglio di amministrazione di Anpal servizi spa». La stessa Tajani ha anche annunciato che pende di fronte al Tar di Roma un ricorso, a sua firma, che sarà discusso il prossimo 5 aprile. Al ministero del lavoro Tajani ha contestato anche una generale assenza di indicazioni. Il decreto di revoca della sua carica sarebbe stato «il primo ed unico atto dell’ente vigilante al Cda». Fino a ieri il vecchio organismo non avrebbe «ricevuto un riscontro» dal nuovo governo.
La vicenda è interessante per lo scontro politico sulle nomine in agenzie pubbliche importanti, pochi giorni dopo che la presidente del consiglio Meloni ha auspicato la presenza di una donna alla guida di aziende pubbliche importanti. Il contrario di quanto è accaduto all’Anpal. E, salvo i curricula di uno dei componenti del nuovo Cda di Anpal Servizi vicini a Confindustria, rivela ancora una difficoltà nell’ individuare una direzione in un settore da cui dovrebbe dipendere ciò che anche questo governo ha definito «attivazione degli occupabili». Ad agosto, questi ultimi dovrebbero perdere il loro «reddito di cittadinanza» che sarà chiamato diversamente.
Ieri sono passati inosservati i dati dei centri per l’impiego aggiornati al 31 dicembre 2022, quelli da cui si desume sia il fallimento delle politiche attive del lavoro agganciate al «reddito di cittadinanza». Sono comunicati dall’Anpal, ma ieri non è stato fatto il consueto comunicato stampa. Il rapporto è stato però pubblicato sul sito. Il dato è conosciuto, ma resta del tutto sottovalutato nel «dibattito» in corso: Nel 74,3% dei casi i beneficiari soggetti al «Patto per il lavoro», cioè gli «occupabili», non hanno mai avuto un contratto di lavoro dipendente o in para-subordinazione nei 36 mesi precedenti il 31 dicembre 2022. Il 70,7% ha al massimo un titolo di scuola secondaria inferiore. Qualunque «politica attiva» non riuscirà mai da sola a inserire queste persone nel mercato, se non dopo anni. Ma, se non ci riusciranno, è prevedibile che la responsabilità sarà scaricata sulle loro spalle, e non sarà addebitata al sistema. Ieri, come domani, è questo il normale funzionamento del Workfare
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