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Studenti e lavoratori, la protesta dei giovani contro la riforma delle pensioni. Eliane, facoltà di lingue: «Siamo tutti d’accordo che questa riforma distrugge il nostro futuro, distrugge i nostri genitori, e siamo riusciti a fare questo spezzone, ma possiamo fare molto di più nelle prossime settimane»,

In città e in provincia, i figli a difesa dei genitori. Voci dal corteo di Parigi Manifestazione a Parigi contro la riforma delle pensioni - Lapresse

Lo sciopero generale «lo si prepara», hanno martellato i sindacati francesi in questi giorni, sollecitando lavoratori e studenti ad attivarsi nei luoghi di lavoro, nelle scuole e nelle università. E già prima dell’alba, nella notte tra lunedì e martedì, son cominciati i primi blocchi nei depositi dei trasporti che puntellano la circonferenza esterna della capitale. Al deposito dei bus a Lagny, nel 20esimo arrondissement, così come a St. Denis, banlieue nord, o ancora nei corridoi deserti della stazione St. Lazare, lavoratori e attivisti hanno srotolato striscioni incuranti del freddo e dell’arrivo della polizia, decisa a lasciar passare almeno qualche mezzo di trasporto.

Ma non c’era niente da fare: i sindacati volevano una mobilitazione storica, e l’hanno ottenuta. Poche ore dopo, alle prime luci del mattino, gli studenti dei licei parigini hanno bloccato gli ingressi delle loro strutture, accatastando piccole montagne di cassonetti alle porte. Giravano così intorno ai mucchi della spazzatura, in attesa del corteo nel pomeriggio, tutti intabarrati – un po’ contro il freddo, un po’ contro i poliziotti in borghese che li sorvegliavano da lontano.

Per raggiungere la manifestazione dei sindacati, in piena rive gauche, bisogna attraversare una città bloccata; qua e là, per strada, s’incrociano bande di manifestanti, bandiere al vento, intenti a marciare verso sud. Una volta giunti a destinazione, si resta intasati sul boulevard Raspail, con il grattacielo di Montparnasse sullo sfondo, talmente il corteo è imponente.

A un angolo di strada, Olivier Besancenot distribuisce dei volantini. È uno dei portavoce del Nouveau Parti Anticapitaliste, di ispirazione trotzkista. Grazie all’abilità nel destreggiarsi nei talk-show televisivi, è diventato una specie di figura mediatica. «Un ciclo di mobilitazione così non lo vedevamo, non so, dal ’68?», dice, mentre chiede a un collaboratore di fare un video col telefono al corteo che si snoda sul boulevard. «Ci sono tanti elementi nuovi rispetto al passato recente, per esempio il fatto che ci siano grandi mobilitazioni anche in provincia, si sente che i Gilets jaunes sono passati di là. Però oggi quello che mi colpisce sono i giovani», dice, proprio mentre sta passando lo spezzone delle università.

Non è scontato che gli studenti si attivino per una riforma delle pensioni, eppure già da qualche settimana si sono moltiplicate assemblee e iniziative un po’ ovunque nelle università e nei licei. «È come il dentifricio, una volta che esce è complicato rimetterlo dentro il tubetto», scherza Raphaël, professore di matematica in un liceo di Aubervilliers, nella banlieue parigina. «I miei studenti stanno a metà del tubetto: non sono tra quelli che tradizionalmente si mobilitano di più, e se vengono in piazza vuol dire che c’è movimento», afferma, mentre passeggia coi colleghi dietro allo striscione della sua scuola. Quello che lo ha colpito, ascoltando i suoi alunni, è che «sono preoccupati per il loro avvenire, ma soprattutto sono infuriati per quello che il governo vuole imporre ai loro genitori».

Tanto i sindacati quanto i partiti di sinistra desiderano ardentemente vedere i giovani sfilare in piazza, bloccare scuole e università contro la riforma delle pensioni. Louis Boyard, 22 anni, deputato della France Insoumise, ha persino lanciato l’hashtag #bloquetafac, invitando gli studenti a inviare le «più belle foto delle vostre occupazioni», promettendo una visita dell’Assemblée Nationale agli autori del migliore scatto.

«C’è fermento, facciamo assemblee e riempiamo le sale, ma siamo ancora lontani da una vera e propria mobilitazione di massa degli studenti», tempera Eliane, studente di lingue all’università Paris 8 Vincennes-Saint-Denis. «Siamo tutti d’accordo che questa riforma distrugge il nostro futuro, distrugge i nostri genitori, e siamo riusciti a fare questo spezzone, ma possiamo fare molto di più nelle prossime settimane», dice, facendo un gesto verso lo spezzone studentesco, effettivamente imponente. Per Eliane, tuttavia, bisogna fare un passo oltre per riuscire ad accendere gli animi: «Dobbiamo debordare queste manifestazioni, uscire dal quadro del corteo tranquillo organizzato dai sindacati, altrimenti Macron non avrà mai alcun incentivo ad indietreggiare»

 

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RELITTO IN STATO Il ministro dell'Interno va in parlamento per parlare del naufragio di Cutro e conferma che le autorità italiane hanno scelto di trattare il caso del caicco come un evento di polizia. Perché non sarebbe stato a rischio e non aveva chiesto aiuto. Ma l’interpretazione di «pericolo in mare» fornita dal Viminale non ha alcuna base giuridica

Nell’informativa di Piantedosi tutti gli errori dei soccorsi mancati Il ministro dell'Interno Matteo Piantedosi durante l'informativa al Senato sul naufragio di Steccato di Cutro - Ansa/Angelo Carconi

Primo: alle 00.00 di domenica 26 febbraio l’unità della guardia di finanza (GdF) che cercava il caicco torna in porto. Per «un rabocco di carburante» e perché stima che ai migranti servano sette ore per l’ingresso nelle acque territoriali, il «presupposto per l’esercizio delle funzioni di polizia». Secondo: alle 3.30 due unità della GdF sono costrette a rientrare dalle «pessime condizioni del mare». Diciotto minuti più tardi chiamano la guardia costiera (Gc) di Reggio Calabria ma non aggiungono «eventuali criticità». Terzo: alle 3.55 la GdF di Vibo Valentia contatta i colleghi di Catanzaro e Crotone, carabinieri e polizia e chiede l’invio di pattuglie via terra. Specifica che le navi non hanno trovato il natante, «non può essere raggiunto a causa delle condizioni del mare». Quarto: intorno alle 4.00 al 112 arriva una richiesta di aiuto da un numero internazionale. L’informazione è trasmessa alla Gc di Crotone. «Qui si concretizza per la prima volta l’esigenza del soccorso per le autorità italiane», dice Matteo Piantedosi.

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I quattro punti sono i passaggi chiave dell’informativa sulla strage di Cutro tenuta ieri in parlamento dal ministro dell’Interno. Secondo il quale è tutto chiaro: la colpa è degli scafisti e

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Il governo non intende abolire il "reddito di cittadinanza", gli cambierà il nome: "Misura di inclusione attiva", cioè "Mia". Smentite le indiscrezioni, il testo, promesso a gennaio, «va approfondito». Esecutivo ostaggio dei paradossi delle "politiche attive del lavoro". I bersagli sono i poveri e i precari: alla ricerca degli strumenti per escluderli e ricattarli e finanziare il "business della disoccupazione"
 Napoli, una protesta contro l'abolizione del "reddito di cittadinanza" - Ansa

L’abolizione del «reddito di cittadinanza» e il suo sdoppiamento in una misura di «inclusione attiva» per gli «occupabili» e in una carta acquisti per i «poveri assoluti» doveva arrivare entro fine gennaio, poi a febbraio. Ora non è nemmeno chiaro quando arriverà in consiglio dei ministri che dovrebbe varare un decreto. Alla prova dei fatti, dopo avere annunciato la caccia ai poveri, il governo Meloni stenta a fare quadrare il suo cerchio.

LE INDISCREZIONI giornalistiche sulla bozza alla quale starebbe lavorando il ministero del lavoro e delle politiche sociali guidato da Marina Calderone sono state smentite ieri dal ministero dell’Economia secondo il quale «nessuna bozza sulla riforma del reddito è all’esame degli uffici, né mai è pervenuta la relazione tecnica indispensabile per qualsiasi valutazione». Anche il ministero del lavoro è stato costretto a precisare che la bozza non è da ritenersi «un valido testo di riferimento per la riforma». Servirà il tempo necessario per «un approfondito confronto tecnico con altri ministeri, le regioni, i comuni e gli enti competenti». Insomma, a quanto pare, tempi lunghi. Eppure si era parlato di due settimane per varare il decreto.

NELL’INCERTEZZA che dura da un mese e mezzo, calcolando i tempi dettati da diversi esponenti del governo, quello che si sa è che il nuovo strumento dovrebbe chiamarsi «Misura di inclusione attiva» (Mia). La formula è simile a quella usata per il «Sostegno all’inclusione attiva» (Sia) già in vigore dieci anni fa, un’evoluzione della «Carta acquisti» adottata nel 2008 da un governo Berlusconi.

L’«INCLUSIONE ATTIVA» è funzionale alle «politiche attive del lavoro», il nome usato in Europa per il Workfare. Gli individui sono tenuti ad accettare un lavoro, indipendentemente dalla sua qualità, altrimenti non avranno più diritto a un sussidio. Ciò permetterebbe di ridurre la spesa sociale. Idee, va ricordato, già presenti nel «reddito di cittadinanza» ma mai applicate a causa del Covid e soprattutto dei problemi strutturali che impediranno anche al governo Meloni di ottenere significativi risultati.

L’IPOTETICO «MIA» conferma i vicoli ciechi del Workfare e, salvo una nuova scala di equivalenza per le famiglie numerose, peggiora le condizioni di accesso. Sarebbe tagliato l’Indicatore della situazione economica equivalente (Isee), uno degli attuali criteri di accesso, da 9.360 a 7.200 euro. Ciò implicherebbe un taglio di possibili beneficiari di un terzo, forse un milione di persone su una media di circa 3 milioni. È stato stimato un risparmio che potrebbe arrivare a tre miliardi all’anno (sugli 8 complessivi di oggi). Si dice che saranno reinvestiti nelle politiche attive per il lavoro. Auguri. Per ora l’unico dato certo è che il governo ha tagliato il 20% i fondi contro la povertà dal 2024.

NELLA BOZZA sarebbe previsto un assegno da massimo 500 euro medi (contro gli attuali 780) per le famiglie composte da persone non integrabili al lavoro. Per quelle che hanno almeno un membro «occupabile», oltre ai single, previsti 375 euro (contro gli attuali 580). Diversamente da quanto annunciato dal governo, a partire dal prossimo agosto-settembre un sussidio sarà comunque erogato agli «occupabili», anche se tagliato in media di almeno il 25%. Chiuso con il «reddito di cittadinanza» potranno fare domanda per il «Mia». I pochi «occupabili» che ci riusciranno dovranno fare attenzione alla durata del beneficio: non più di 18 mesi ma 12. Per il primo rinnovo dovranno aspettare sei mesi; per il secondo un anno; per il terzo, un anno e mezzo. Il rifiuto di un’offerta di lavoro per contratti brevi e precari potrebbe costare la perdita dell’assegno sociale. Ecco, questo è il paradosso dell’espressione «inclusione attiva». Più che gli «inclusi» saranno invece moltissimi ad essere esclusi. E la vita dei beneficiari sarà una corsa ad ostacoli. Proprio quando la povertà aumenta per la policrisi in corso.

LA BOZZA premia il cosiddetto «business della disoccupazione»: coinvolgere le agenzie private di collocamento. Il beneficio potrebbe valere il 10% di quanto riconosciuto al datore di lavoro. A quest’ultimo sarebbe riconosciuto per due anni l’esonero dal versamento del 100% dei contributi previdenziali in caso di assunzioni stabili o l’abbattimento dell’Ires. Si dimentica che due terzi degli «occupabili» ha la terza media ed è lontano dal mercato del lavoro. Cè spazio per i minorenni non impegnati negli studi dai 16 anni. Saranno obbligati a partecipare alla formazione in cambio del sussidio. Un’esigua minoranza. Ciò che conta è la pedagogia autoritaria.

L’UNICO DATO POSITIVO sarebbe l’abbassamento da 10 a 5 degli anni di residenza per i cittadini stranieri per chiedere l’accesso al «Mia». Un passo obbligato per evitare la procedura di infrazione avviata dalla Commissione europea

 
 
 
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IMMIGRAZIONE. Il presidente della Cei, Zuppi: «Emigrare è un diritto». Parolin: «Salvare vite e accogliere. Stop agli scafisti? Tutti d’accordo, ma non basta»

 

Oscillano fra il ridicolo e il patetico le esternazioni dei leader di governo Meloni e Salvini e i commenti dei giornali di destra che si appropriano di sette parole pronunciate da papa Francesco all’Angelus di domenica scorsa («i trafficanti di esseri umani siano fermati») e le trasformano in una benedizione pontificia delle politiche contro i migranti degli attuali inquilini di Palazzo Chigi.

Evidentemente in Vaticano, e alla Cei, i quotidiani li leggono, e ieri si sono succedute dichiarazioni che, senza fare nomi, hanno rispedito al mittente le strumentalizzazioni politiche della destra. Occorre «un rinnovato impegno nel favorire lo spirito dell’accoglienza e della solidarietà» nei confronti dei migranti», ha detto Bergoglio in un messaggio ai partecipanti al seminario «La cattedra dell’accoglienza», in corso alla Fraterna Domus di Sacrofano (Roma). Il papa, si legge nel messaggio a firma del cardinale segretario di Stato vaticano Parolin, «incoraggia a considerare la presenza di tanti fratelli e sorelle migranti un’opportunità di crescita umana, incontro e dialogo». Sulla necessità di fermare gli scafisti, ovviamente «siamo tutti d’accordo, ha aggiunto Parolin, ma «non ci si può ridurre a combattere solo gli scafisti. Prima di tutto bisogna salvare vite umane».

Sull’altra sponda del Tevere, lato italiano, interviene il cardinal Zuppi, presidente della Cei, in un’intervista al Sir, l’agenzia dei vescovi. «L’accoglienza è l’unico messaggio possibile. Chi non ha casa, va accolto», ha detto Zuppi, che poi è sembrato correggere le scomposte e ciniche affermazioni del ministro Piantedosi: «Dobbiamo metterci sempre nei panni degli altri. Chi ha perduto tutto e deve scappare, deve trovare accoglienza. Non ci sono alternative. Quello all’emigrazione era un diritto garantito per tutti gli uomini, prima che

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La lettera aperta a Meloni del sindaco Vincenzo Voce. Intanto al palazzetto dello sport che ospita le salme regna il caos, presunte irregolarità nell'applicazione della normativa per i superstiti
«Nessun sostegno dal governo, la Presidente venga a Crotone come madre» Il sindaco di Crotone Vincenzo Voce - foto Ansa

I resti della settantesima vita umana sono stati rinvenuti nel pomeriggio di ieri. È l’ennesimo bambino restituito dal mare, di un’età presunta tra 10 e 11 anni. Poche ore prima ne è stato ritrovato un altro. Forse aveva 3 anni, non si conosce il suo nome e gli è stata associata la sigla Kr69m3. Sale così a 70 il numero delle vittime accertate nella strage di Cutro. Sono in tanti a sospettare che almeno altri 20 corpi, gran parte dei quali bambini, giacciano ancora incastrati tra i rottami di una parte della stiva che sarebbe incagliata sul fondale marino.
Intanto regna il caos intorno al Palamilone che ospita le salme. La disorganizzazione è palpabile: non c’è una regia negli aiuti, mancano i medicinali, non è stato attivato un supporto psicologico per i sopravvissuti e per i parenti delle vittime. Commoventi gli sforzi dei cittadini crotonesi che stanno cercando di colmare il vuoto istituzionale: gli alloggi per i familiari delle vittime sono messi a disposizione dai volontari. Nella giornata di ieri sono giunti in città molti parenti di superstiti e deceduti. Arrivano dall’Australia, dagli Usa e dal resto d’Europa. Oltre al dolore, esprimono tanta rabbia per la mancanza di risposte certe dal governo italiano e dagli enti preposti. Da giorni chiedono informazioni, senza ottenerle, sulle modalità di rimpatrio delle salme e sulla documentazione da presentare per i ricongiungimenti familiari. C’è infatti il rischio che i parenti tornino nei rispettivi Paesi di residenza, ma i superstiti restino qui. E sono persone disperate, a cui non è rimasto nessuno.

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LE ASSOCIAZIONI calabresi attive nell’accoglienza lamentano gravi irregolarità nell’applicazione della normativa. Sinora nessuno avrebbe comunicato ai superstiti l’informativa d’asilo, mentre i minori non accompagnati sarebbero stati trasferiti in strutture non abilitate ad accoglierli. Un esposto per verificare le responsabilità, firmato tra gli altri dall’Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione, sarà presentato in procura nelle prossime ore.
Il sindaco di Crotone, Vincenzo Voce, ha rivolto alla presidente del consiglio Giorgia Meloni una lettera aperta dai toni amari, esortandola a recarsi nella città pitagorica. «Abbiamo aspettato una settimana – scrive il primo cittadino -, la comunità crotonese colpita da un dolore enorme, ha aspettato un suo messaggio, una sua telefonata, un suo cenno, che non sono arrivati. In questa settimana i crotonesi si sono stretti nel dolore per le vittime di una tragedia immane ed in ogni modo, anche con una semplice preghiera, portando un fiore o un biglietto hanno voluto manifestare la loro vicinanza e solidarietà. Ma – denuncia Voce – è mancato il Governo, è mancata lei, Presidente. Allora le chiedo, se non ha ritenuto portare la sua vicinanza come Presidente del Consiglio, venga a Crotone a portarla da mamma. Venga a conoscere cosa si è vissuto in un palazzetto dello Sport destinato alla vita, trasformato in luogo di dolore e lacrime. Venga a condividere, da mamma, il dolore di altre mamme, dei figli senza più genitori, di donne, uomini, bambini che avevano una speranza ed ora non hanno neppure più quella».

AL PRESIDIO svoltosi ieri pomeriggio davanti alla prefettura hanno partecipato centinaia di persone. La rete «26 febbraio», che raccoglie più di 270 strutture del terzo settore, associazioni e collettivi, lancia l’appello per una grande manifestazione nazionale a Crotone, il prossimo sabato 11 marzo: «A tutti i cittadini e le cittadine che vogliono dire basta alle morti in mare. Vi invitiamo a testimoniare qui con noi la vostra indignazione. La Calabria e le altre regioni del Mediterraneo non dovranno mai più essere i cimiteri d’Europa. Al sostegno umanitario, che stiamo compiendo con amore, bisogna unire la forza della ragione. Non è accettabile che tra qualche giorno dovremo ritrovarci a Lampedusa o in qualsiasi approdo della disperazione, per piangere sulla tomba di altri bambini»

 
 
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POLITICA. A Firenze ci saranno Elly Schlein e Giuseppe Conte: per la prima volta dopo la rottura del luglio scorso, alle origini della vittoria travolgente della destra, Pd e M5S sfileranno insieme

 Elly Schlein e il presidente del M5s Giuseppe Conte - ANSA/ETTORE FERRARI

Ci saranno il sindaco Nardella e il governatore Giani, sconfitti, al congresso del Pd. Ci saranno Nicola Fratoianni, segretario di Sinistra italiana, una delegazione della renziana Italia viva, quasi certamente il segretario della Cgil Landini. Non ci sarà Calenda, ha paura che la manifestazione sulla scuola e in difesa della Costituzione indetta per oggi da Cgil, Cisl e Uil a Firenze si traduca in una manifestazione contro Giorgia Meloni, e vai a capire cosa lo spaventi tanto nella probabilissima eventualità. Soprattutto a Firenze ci saranno Elly Schlein e Giuseppe Conte: per la prima volta dopo la rottura del luglio scorso, alle origini della vittoria travolgente della destra, Pd e M5S sfileranno insieme.

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Ovvio che soprattutto nel Pd molti mettano le mani avanti: è solo una manifestazione su un tema specifico, nessuna prova generale di rinnovata alleanza. Sono chiacchiere. La valenza politica della partecipazione dei due leader, molto accentuata dal fatto che si tratterà della prima uscita pubblica della nuova segretaria è evidente. Del resto i due si sono già sentiti telefonicamente nei giorni scorsi, Conte ha proposto di lavorare insieme in Parlamento sui temi comuni e ha indicato una possibile convergenza su un argomento, il salario minimo, che è stato uno dei principali cavalli di battaglia di Schlein nella campagna congressuale.

Anche a Milano oggi si svolgerà una manifestazione, convocata in pochissimi giorni da otto Ong sull’immigrazione dopo l’orrenda tragedia di Crotone. La lista delle adesioni, in un paio di giorni, è diventata folta come un elenco telefonico. Tutte le associazioni della società civile hanno risposto all’appello delle Ong e anche molti partiti. Non i 5S ma è probabile che molti militanti saranno presenti lo stesso. Gli organizzatori hanno voluto segnalare l’evidente punto di giunzione Firenze. La manifestazione è convocata lì dopo l’aggressione fascista contro gli studenti del liceo Michelangiolo ma anche dopo quella subita dalla preside Savino, da parte del ministro Valditara per la sua lettera. Nella quale «il valore delle frontiere» e l’onorare «il sangue degli avi in contrapposizione ai diversi» sono citati come esempi eminenti di una degenerazione culturale e politica in corso, della quale questo governo è insieme mallevadore e frutto avvelenato.

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Le due manifestazioni sono in effetti davvero una cosa sola: la resistenza opposta a un governo e una cultura politica non «conservatori» ma reazionari, a una destra che per la prima volta da molto tempo non gioca più sull’ambiguità, non finge neppure più di essere interessata alla sorte delle fasce massacrate dalla diseguaglianza o alla difesa delle garanzie ma mira a coniugare Almirante e il neoliberismo, la Vandea sul fronte dei valori e il rigorismo a tutto vantaggio dei più ricchi su quello dell’economia.

Se la partita verrà giocata come d’abitudine solo nei confini soffocanti della politica parlamentare e di vertice, contrastare questo progetto sarà impossibile. Conte e Schlein possono anche nutrire le migliori intenzioni ma tra un anno Pd e M5S si conteranno, col proporzionale, nell’arena delle elezioni europee: saranno entrambi costretti a marcare le differenze più che i possibili punti di incontro. Le primarie del Pd riflettono l’immagine di un partito diviso quasi a metà: l’ipoteca della parte più moderata e conservatrice si farà sentire, alimentata dalle manovre di Renzi e Calenda, e sarà pesante. Ma se da quel cerchio angusto si riuscirà a uscire, e solo una presa autorevole di parola dal basso può farlo, le regole stesse del gioco possono essere rovesciate

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