Accedi Registrati

Login to your account

Username *
Password *
Remember Me

Create an account

Fields marked with an asterisk (*) are required.
Name *
Username *
Password *
Verify password *
Email *
Verify email *

IL FLASHMOB. Davanti al Colosseo srotolato uno striscione per chiedere la protezione di tutti i civili. «Israele metta fine all'occupazione e all'apartheid»

Ebrei per il cessate il fuoco. Protesta a Roma Il flashmob del Laboratorio ebraico antirazzista - Giansandro Merli

«Cessate il fuoco. Liberate gli/le ostaggi. Stop occupazione». Tre messaggi netti, scritti su uno striscione rosso aperto domenica davanti al Colosseo: è la prima azione di protesta del Laboratorio ebraico anti-razzista. Il collettivo, che riunisce giovani ebree ed ebrei italiani, ha voluto aggiungere la sua voce al coro che a livello globale invoca la fine del massacro di Gaza e la tutela di tutti i civili coinvolti nello scontro.

In Italia le recenti manifestazioni sono state animate soprattutto da palestinesi e gruppi politici solidali. Perciò quella di ieri rappresenta una novità. Piccola, perché a partecipare c’erano una trentina di persone, ma significativa, perché si collega alle mobilitazioni di tanti ebrei che in giro per il mondo – dagli Usa alla Francia, passando per la Gran Bretagna – stanno esprimendo un forte dissenso verso il governo Netanyahu, ma anche la richiesta di mettere fine all’occupazione e all’apartheid praticati da Tel Aviv. «Serve una soluzione politica che garantisca libertà, uguaglianza e sicurezza per tutti gli abitanti e i popoli della regione», hanno detto gli attivisti dal microfono.

Parole importanti anche sulla questione dell’antisemitismo. «È un problema serio che non deve essere strumentalizzato. Non si può combattere insieme all’estrema destra che usa il sostegno al governo di Israele per cancellare il suo passato e presente di odio, razzismo, islamofobia e antisemitismo», ha detto Bruno Montesano, uno degli attivisti del Laboratorio. Il ragazzo ha anche sottolineato come questo pericoloso fenomeno non possa essere strumentalizzato per silenziare le voci dei palestinesi e di chi è indignato per la carneficina in corso a Gaza. Al termine del flashmob, durato alcuni minuti, la polizia ha identificato tutti i presenti. Giornalisti compresi

 

La morte di Giulia è il solito drammatico copione di un Paese che si indigna ma non cambia. E il governo sceglie l’inutile strada della repressione

 

Abbiamo sperato sino all'ultimo in un lieto fine, ma il "copione" dell'incubo era già drammaticamente noto. Un uomo, un ex, che non accetta la fine di una storia. Una giovane donna che stava per raggiungere una meta importante, che arrivava all'obiettivo che si era data con le proprie forze, da persona indipendente, libera e compiuta: la propria laurea.

E poi da lì chissà cosa le avrebbe riservato il futuro, quando quel cordone un pò lacerato, che la teneva legata al passato, si sarebbe definitivamente reciso. Questo deve aver scatenato la rabbia dell'uomo che le ha tolto la vita. E tutto questo conferma, se mai ce ne fosse bisogno, che ad armare la mano del femminicida non è una patologia e nemmeno un raptus.

È la cultura del possesso che ti impedisce di accettare. Lei che decide che è finita e tu che subisci una sua decisione: la cosa ti offende, ti denigra, ti umilia. Lei è una cosa. Ed è tua. Quindi puoi anche decidere che lo deve rimanere per sempre. Costi quel che costi. Quante ne abbiamo lette e ascoltate di storie simili? La risposta è troppe, perché queste assonanze siano casuali.

Qualcuno scrive sui social che le donne non dovrebbero mai accettare l'ultimo appuntamento. Ma che sarà l'ultimo purtroppo lo sai quando è troppo tardi. E magari se non accetti lui ti aspetta sotto casa con un martello o con una bottiglia di acido. Magari fa del male ai tuoi o ai vostri figli. Abbiamo anche quelle storie nell'archivio del terrore. Possiamo andare avanti dicendo alle donne "mi raccomando non accettare l'ultimo appuntamento e poi chiuditi in casa, non andare al lavoro, non uscire mai più con gli amici, non innamorarti di nuovo"? Smetti di vivere e di essere una donna, se no sei a rischio. In una società sana le "istruzioni per non farsi ammazzare dall'uomo che ti amava" non dovrebbero nemmeno essere contemplare. Ma davvero a qualcuno non suona stonato?

Sì perché il punto non può essere quello che fa o non fa la vittima, ma quello che ha fatto il carnefice e perché lo ha fatto. E, soprattutto, cosa dobbiamo fare noi Cgil. Il governo ha approvato un nuovo "Dl sul contrasto alla violenza sulle donne e contro la violenza domestica" che inasprisce le pene e ha una visione repressiva. Un piccolo insufficiente passo avanti che non avrebbe cambiato l'esito nefasto di questa terribile storia.

E allora cosa facciamo? Quello che le donne della Cgil chiedono da sempre. Educhiamo gli uomini. Dalla scuola dell'infanzia all'università chiariamo loro che le donne sono persone autonome che possono cambiare idea, smettere di amarli, innamorarsi di un altro, essere più in gamba di loro. E che questo è normale. Che non c'è nulla di umiliante a essere lasciati e nemmeno traditi. Perché tutte le persone sono libere. D'altronde il nostro è il Paese dello ius corrigendi e del delitto d'onore e per sradicare questa cultura centenaria che marginalizza e colpevolizza le donne serve un grande investimento perché tutte e tutti l'abbiamo introiettata.

Non bastano le poche ore di lezione di esperti promosse dal ministro Valditara serve inserire l'educazione al rispetto e all'affettività nelle scuole. E un modulo per il contrasto a tutte le forme di violenze e molestie sulle donne nella formazione obbligatoria sulla salute e sicurezza nei posti di lavoro. Perché le lavoratrici e i lavoratori spesso sono anche genitori di figli maschi e magari, tornando a casa dal lavoro, potrebbero in questo modo trovare le parole per spiegare loro che la violenze è davvero l'ultimo rifugio degli incapaci. Abbiamo perso sin troppo tempo.

Lara Ghiglione è segretaria confederale della Cgil

Un folto gruppo di docenti de La Sapienza di Roma chiede di andare oltre le asimmetrie di giudizio per trovare una soluzione al conflitto israelo-palestinese 

“Apriamo il dibattito, prendiamo posizione per la pace”. Questo il titolo del documento sul conflitto israelo-palestinese sottoscritto da oltre 120 docenti dell’Università La Sapienza di Roma che si uniscono agli appelli lanciati in questi giorni da 150 colleghi bolognesi e da alcune migliaia di docenti e studiosi/e di tutta Italia.

Le richieste riguardano l’immediato cessate il fuoco e il rispetto delle risoluzioni dell’Onu (compresa quella adottata a maggioranza, con l’astensione dell’Italia, lo scorso 27 ottobre); la garanzia della libertà di parola e del diritto al dibattito dentro e fuori l’università, la promozione nell’ateneo di spazi di riflessione critica fondata su una lettura profonda, articolata e puntuale della storia; l’adozione da parte del Senato Accademico di una risoluzione di solidarietà nei confronti della popolazione di Gaza e di tutte le vittime civili del conflitto; l’apertura di una discussione pubblica all’interno dell’ateneo per la cooperazione con le università palestinesi e per il disinvestimento da società che finanziano l’occupazione illegale di territori da parte di Israele.

IL BISOGNO DI FARE CHIAREZZA

Il primo firmatario, Gianni Ruocco, docente associato di Pensiero politico della colonizzazione e della decolonizzazione e Democrazia e critica della società contemporanea, ci spiega che la stesura di tale documento è stata dettata dall’esigenza di “moltiplicare le voci in un momento in cui, in continuità con il passato recente, si è costruita una narrazione ufficiale che impedisce una riflessione pacata attorno a questa questione. Una narrazione ‘avvelenata’ spostata sul punto di vista di Israele attorno alla quale si è consolidato il mondo occidentale e che non nasce da ragioni oggettive”.

Le ragioni stanno invece in una posizione di forza che Israele impone "ricollegandola alla sua storia di sofferenze e minacce a partire dal 1948 – dice Ruocco – e che si ricollega strettamente alla Shoah e all’antisemitismo in Europa, impedendo di essere soggetta a critiche, come invece accade per il resto dei soggetti che agiscono nella storia”.

NO AI SENSI UNICI

La necessità, per il gruppo di docenti de La Sapienza, è quella di una “narrazione alternativa che possa aprire una riflessione e una discussione in cui ciascuno arriva con posizioni diverse tra loro, moltiplicando gli spazi nei quali questo possa avvenire. Quindi è importante che una parte di docenti prendesse una posizione diversa”. Ruocco ricorda che poco dopo il 7 ottobre La Sapienza ha espresso “una posizione unidirezionale, con la condanna di Hamas, ma senza vedere l’origine di quanto sta accadendo e quello che già si stava già scatenando a Gaza per opera del governo israeliano”.

Quanto si deve chiedere è “il riconoscimento del ruolo che ha ciascuno dei soggetti in campo, il chiamare le cose con il loro nome e prendere atto che la posizione assunta dall’Occidente già dal 1967, perdendo qualsiasi traccia di differenziazione, è dettata da un posizionamento stesso che riconosce nello Stato di Israele un pezzo forte dell’Occidente, mentre quello palestinese rimane un territorio senza alcuna soggettività e non egualmente riconoscibile”.

IL COLONIALISMO ISRAELIANO

C’è in sostanza “un’asimmetria che determina una narrazione avvelenata”, afferma il docente:  “Si tratta di una posizione coloniale che rinveniamo non tanto nel giusto diritto di Israele di esistere e difendersi, ma nell’atteggiamento verso i territori della Palestina: da un lato nuove residenze israeliane abusive a pioggia, tanto che è difficile riconoscere un territorio unico interamente palestinese, dall’altro l’atteggiamento delle forze armate di Tel Aviv che si arrogano la totale disponibilità della vita delle persone e del territorio, attraverso i controlli ai check-point, entrando nelle loro case e procedendo con arresti arbitrari”.

E, ancora: “Non si capisce a che titolo Israele agisca: se il governo pensa che Gaza sia territorio israeliano, dovrebbe agire nella legalità; se ritiene invece che sia territorio estero, agisce come fosse uno spazio coloniale, come una forza straniera che tratta liberamente la popolazione con modalità eminentemente razziste, considerando nei fatti i palestinesi come una popolazione inferiore, nei confronti della quale si può esercitare qualsiasi tipo di libertà”.

DOCENTI E STUDENTI ANCORA REATTIVI?

Alla domanda se non sia calata la sensibilità e la reattività nelle università a fronte dell’esplosione dei conflitti, Ruocco risponde che “il 7 ottobre c’è stata una reazione molto forte dettata da quanto compiuto da Hamas, identificato come forma di terrorismo, quindi qualcosa che negli anni passati ha toccato da vicino l’Europa. L’impasse è però costituita dalla difficoltà di assumere una posizione che non sia subito polarizzata e criminalizzata. Bisogna uscire dalla conta dei morti, riconoscere una situazione complessiva e ricostruire storicamente le responsabilità di tutti i soggetti in campo”.

La situazione di paralisi è anche dettata dall’impossibilità “di intervenire e agire senza violare uno spazio che Israele rivendica come suo e rispetto al quale non ha mai ascoltato alcuna voce - conclude - . È difficile se non impossibile prendere una posizione diversa. Nessuno è voluto intervenire su Israele e le forze palestinesi per cambiare la situazione. Dopo il 1993 e il 2005 si è determinato lo stallo e, se non si sblocca, la situazione rimarrà sempre irrisolvibile”.

 

 

 

Muro contro muro tra ministero dei Trasporti e Cgil-Uil che non arretrano di un millimetro: venerdì 17 lo stop resta generale e nazionale

Cgil e Uil confermano le ragioni dello sciopero generale e nazionale di venerdì 17 novembre. Il ministro dei Trasporti Matteo Salvini è pronto a firmare la precettazione, ma la protesta va avanti: restano intatte tutte le ragioni per incrociare le braccia, contro la legge di bilancio e le politiche sbagliate del governo.

Il ministero, fa sapere in una nota, “invierà la lettera formale per la riduzione dello sciopero del servizio di trasporto pubblico a sole 4 ore, a eccezione di quello aereo, su cui i sindacati avevano già annunciato un ripensamento dopo le osservazioni del Garante”. 

RESTA LO SCIOPERO GENERALE

I sindacati sono stati convocati alle 18 nella sede dicastero dei Trasporti. Al termine della riunione ha parlato la segretaria confederale della Cgil, Maria Grazia Gabrielli: “Riconfermiamo le ragioni dello sciopero e soprattutto la natura della mobilitazione, che è e resta uno sciopero generale”, queste le sue parole.

Nel dettaglio, spiega, “pensiamo che le motivazioni portate al Garante e che abbiamo portato anche oggi all'incontro al Mit restino in tutta la loro importanza e rilevanza e questo ci porta anche a continuare sullo sciopero che abbiamo indicato per il 17 novembre”.

La segretaria quindi aggiunge: “Si prova in ogni circostanza a soffermarsi molto sul metodo, mentre le ragioni che hanno portato alla proclamazione non ci sembrano oggetto di discussione. Invece questo è il tema principale da mettere al centro dell'agenda politica di questo Paese”.

CGIL E UIL: LE RAGIONI DELLO STOP NON VENGONO MENO

Prima dell’incontro, Cgil e Uil avevano ribadito la loro posizione: “Siamo a comunicare che non sono venute meno le ragioni dello sciopero che continuiamo a considerare sciopero generale nazionale”. Queste le loro parole, in risposta a una lettera inviata in giornata dallo stesso ministero, che chiedeva di “rivedere la mobilitazione”, ovvero uniformarsi alle richieste di rimodulazione degli scioperi avanzati dal Garante sugli scioperi.

Allo stesso tempo occorre ricordare “che le modalità di astensione sono state previste garantendo servizi minimi e ogni altra garanzia, che non faccia venir meno il diritto alla mobilità dei cittadini come la stessa legge prevede”, hanno concluso le sigle.

LA CONFERENZA STAMPA DI LANDINI E BOMBARDIERI 

I segretari generali di Cgil e Uil, Maurizio Landini e PierPaolo Bombardieri, terranno una conferenza stampa mercoledì 15 novembre, alle ore 15.30, presso la sede nazionale della Uil, in via Lucullo 6. Al centro dell’incontro lo sciopero generale, proclamato dalle due confederazioni.

Le confederazioni ribadiscono le modalità dello stop: “Non condividiamo la decisione della Commissione di garanzia, ci sono i requisiti” 

“Confermiamo la proclamazione dello sciopero generale e le sue modalità di svolgimento per la giornata del 17 novembre”. Lo affermano, in una nota, Cgil e Uil.

Foto di Simona Caleo 

Non condividiamo la decisione assunta dalla Commissione di garanzia. Si tratta - proseguono le due Confederazioni - di un’interpretazione che non riconoscendo la disciplina dello sciopero generale, mette in discussione nei fatti l’effettivo esercizio del diritto di sciopero sancito dalla Costituzione a tutte le lavoratrici ed i lavoratori”.

Per Cgil e Uil “l’astensione del lavoro del 17 novembre non può essere interpretata in altro modo: rientra nella disciplina dello sciopero generale. Siamo attenti e rispettosi delle regole, tanto che abbiamo richiesto noi un confronto con la Commissione che, nonostante le nostre puntuali argomentazioni, ha deciso di confermare il provvedimento”.


“La Commissione non spiega su quali basi normative ha deciso che non si tratta di uno sciopero generale. Confermiamo, infine, la nostra disponibilità ad aderire alle indicazioni della Commissione per il settore dei vigili fuoco e quello del trasporto aereo", concludono Cgil e Uil.

IL GARANTE DICE NO

Il Garante aveva confermato la posizione sullo sciopero dei trasporti proclamato per il 17 novembre da Cgil e Uil contro la manovra, ritenendo che manchino i requisiti per procedere allo sciopero generale. “All'esito dell'audizione odierna con le Confederazioni sindacali Cgil e Uil, in merito alla proclamazione dello sciopero nazionale del 17 novembre, la Commissione di garanzia - spiega una nota - ha ritenuto di confermare il contenuto del provvedimento adottato in data 8 novembre, ai sensi dell'articolo 13, lett. d) della legge n. 146/90”.

Lo sciopero, “così come proclamato dalle Confederazioni sindacali (con esclusione di numerosi settori) non può essere considerato, come da consolidato orientamento della Commissione, quale sciopero generale, ai fini dell'applicazione della disciplina che consente delle deroghe alle normative di settore sui servizi pubblici (delibera n. 03/134)”. 

“La Commissione di garanzia, con la decisione assunta - conclude la nota - non intende in alcun modo mettere in discussione l'esercizio del diritto di sciopero, ma continuare ad assicurare l'osservanza delle regole che ne garantiscono il contemperamento con i diritti costituzionali della persona”.

CGIL: C’È LA NATURA DELLO SCIOPERO GENERALE

I sindacati era in attesa di ulteriori valutazioni da parte della commissione di garanzia che ha chiesto di rimodulare lo sciopero di venerdì 17 in alcuni settori, tra cui i trasporti. La segretaria confederale della Cgil, Maria Grazia Gabrielli, e il segretario organizzativo della Uil, Emanuele Ronzoni, hanno confermato la contrarietà rispetto alla nota inviata dalla commissione, sostenendo che si tratta di uno sciopero generale di alcune categorie e quindi di non comprendere perché siano state sollevate obiezioni. Parlando con le agenzie di stampa, Gabrielli ha dichiarato: “È utile e necessario capire quali riflessioni farà la commissione, poi le nostre organizzazioni valuteranno. La natura dello sciopero generale c'è e per questo non può essere disciplinato o interpretato in maniera diversa”.

In mattinata il segretario generale dello Spi Cgil, Ivan Pedretti, è intervenuto in favore del diritto di sciopero e in risposta alla polemica aperta dal ministro dei Trasporti, Matteo Salvini, che ieri ha attaccato il sindacato proprio sulla mobilitazione prevista per il 17 novembre, con lo stop delle regioni del centro e dei settori pubblico e dei trasporti sull'intero territorio nazionale. "Il ministro della paura Matteo Salvini – ha affermato - straparla senza preoccuparsi dei bisogni dei lavoratori né del loro salario. Salvini non si pone il problema dei prezzi saliti alle stelle, né dei morti che il lavoro continua a mietere e neppure degli orari insostenibili a cui i giovani sono costretti per racimolare a stento mille euro al mese".

Pedretti ha poi voluto ricordare al ministro “innanzitutto l'abc: scioperare è un diritto costituzionale, non una concessione della politica. In secondo luogo, temiamo che il ministro non si sia interrogato a fondo sui perché di questo sciopero: ebbene si sciopera anche per colpa sua, a causa delle troppe promesse su pensioni e salari che il governo non ha mantenuto e di un fisco che continua a far pagare le tasse sempre e solo agli stessi, favorendo i redditi più alti e gli evasori. Come se non bastassero le ragioni del lavoro attivo, il governo ha scelto di tagliare la rivalutazione delle pensioni e di non stanziare un euro sulla legge per la non autosufficienza. Quindi, caro ministro Salvini – ha concluso –, venerdì eserciteremo un diritto costituzionale e lo faremo a causa delle ingiustizie del vostro governo".

WH_Pics - stock.adobe.com 

L'articolo 40 della nostra Costituzione è particolarmente breve perché formato da un unico comma che recita: “Il diritto di sciopero si esercita nell'ambito delle leggi che lo regolano”. Semplice, diretto, comprensibile a tutti. Perfino ad un ministro della Repubblica che ha il senso dello Stato pari ad un leghista in riva al Po.

Esprimendosi come un cabarettista dei peggior bar di Tik Tok, il ministro di cui sopra è però perfettamente consapevole dell’ennesima forzatura istituzionale che sta perpetrando. Lo sa e se ne frega. È da un anno che non tocca palla e deve inventarsele tutte per scavare la pietra e sfondare a destra della premier. Ma l’acqua rimane acqua e così il mojito non sa più di niente.

Ma non si abbatte, mostra il tipico atteggiamento guascon-dittatoriale di chi detiene il potere e lo esercita calpestando le libertà individuali e collettive. Si muove tra i cavilli di garanti compiacenti e gli anfratti di una giurisprudenza fai da te negando l’esercizio che è alla base di ogni democrazia: manifestare un disagio.

Lavoro dignitoso, maggiori salari, più sicurezza, salute pubblica, istruzione per tutti: sono grida altro che capricci. E un governo al servizio dei propri cittadini dovrebbe recepirle, comprenderle anziché reprimerle con la solita sadica spocchia di chi sembra uscito da uno spot dell’Esselunga.