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ABBIAMO BISOGNO DI TE — Legambiente Faenza

Faenza 11 12 2023

Legambiente Lamone Faenza ha chiesto un incontro alla Cooperativa CO.ABI per valutare una moratoria sulle costruzioni in zone a rischio come “la Ghilana”.

Sulla base del nostro ultimo comunicato stampa “Quelli che sul serio pensano che dall'alluvione dobbiamo imparare che “ non si può ricostruire come prima” diano un segnale concreto... (che riportiamo in allegato) abbiamo chiesto un incontro alla Presidenza della cooperativa CO.ABI, per chiedere il loro punto di vista sulla proposta che abbiamo avanzato di una moratoria su progetti di costruzione in zone potenzialmente a rischio di allagamento.

Chiedendo contemporaneamente quali ritengono essere dal loro punto di vista le potenzialità che si possono aprire per progetti di riqualificazione e rigenerazione del patrimonio gà costruito, che la legge regionale indica e di conseguenza il nuovo PUG dovrà promuovere.

Ci sembra utile questa interlocuzione con una realtà cooperativa che ha dimostrato anche una certa sensibilità verso questioni sociali e che è già impegnata in progetti di rigenerazione urbana.

Naturalmente, le proposte che abbiamo avanzato, per dare seguito ai moniti che sono venuti da più parti, ossia che dal dramma dell'alluvione dobbiamo imparare che “ non si può ricostruire come prima” , sono rivolte anche agli Amministratori Pubblici, a tutti i consiglieri comunali e dell'URF, alle forze politiche e sociali, in particolare coloro che si sono caratterizzati per un'attenzione alle tematiche sociali e ambientali.

Almeno da qualcuno ci aspetteremmo qualche segnale concreto. Circolo Legambiente Lamone Faenza

 

Leggi il Comunicato stampa:

QUELLI CHE SUL SERIO PENSANO CHE DALL’ALLUVIONE DOBBIAMO IMPARARE E NON SI PUÒ RICOSTRUIRE COME PRIMA DIANO UN SEGNALE

I funerali si svolgeranno Martedì 12 dicemcre, il corteo partirà alle 15 dalla camera morturaria verso il cimitero dell'Osservanza.

SAbato 9 - 9 - 12,30 - Faenza Presidio per la pace- CESSATE IL FUOCO !

MARCIA DELLA PACE DI ASSISI. Domenica 10 dicembre: il Consiglio di sicurezza voti l'istituzione immediata del 194° Stato membro dell’Onu: quello palestinese che ora è solo «osservatore». Fermare la carneficina a Gaza, liberare gli ostaggi, per una sicurezza duratura sia per il popolo israeliano che per quello palestinese al quale vanno assicurati stessa dignità e diritti

La pace è possibile, riconoscere  lo Stato di Palestina

 

Domenica 10 dicembre, 75° anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, si svolgerà ad Assisi una nuova Marcia della Pace per fermare le stragi a Gaza e nel resto del mondo. Ecco le proposte che saranno presentate nell’incontro dei costruttori di pace che si svolgerà prima della Marcia ad Assisi.

È urgente fermare la carneficina a Gaza, fermare ogni altro spargimento di sangue in Palestina e Israele, liberare gli ostaggi, costruire una sicurezza duratura sia per il popolo israeliano che per quello palestinese, assicurare ai palestinesi la stessa dignità e gli stessi diritti che hanno gli israeliani, realizzare l’aspirazione del popolo palestinese a vivere in un proprio Stato indipendente. È urgente anche mettere fine a tutte le altre guerre che continuano nel Medio Oriente, fermare il traffico delle armi e promuovere un vero processo di disarmo nucleare e convenzionale del Medio Oriente, avviare un processo di vero sviluppo sostenibile e di costruzione della fiducia reciproca tra tutti i popoli della regione.

TUTTO CIÒ PUÒ ESSERE messo in moto accogliendo immediatamente la Palestina come Stato membro delle Nazioni Unite.
Il diritto del popolo palestinese all’autodeterminazione e all’indipendenza e il progetto di una soluzione a due Stati per il conflitto israelo-palestinese sono stati chiaramente stabiliti dall’Assemblea generale dell’Onu in numerose risoluzioni, tra cui le risoluzioni 181 (II) (1947), 3236 (XXIX) (1974), 2649 (XXV) (1970), 2672 (XXV) (1970), 65/16 (2010) e 65/202 (2010), nonché dalle risoluzioni 242 (1967), 338 (1973) e 1397 (2002) del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e dal parere consultivo della Corte internazionale di giustizia del 9 luglio 2004 (sulle conseguenze legali della costruzione di un muro nei Territori palestinesi occupati).

A QUESTO SI DEVE aggiungere che lo Stato di Palestina è stato ammesso all’Onu in qualità di «Stato osservatore non membro» con la Risoluzione 67/19 dell’Assemblea generale del 29 novembre 2012 ed è stato riconosciuto da 139 dei 193 Stati membri delle Nazioni Unite (la stragrande maggioranza della comunità internazionale).

IL CONSIGLIO di Sicurezza dell’Onu, con il voto favorevole dei cinque membri permanenti, deve proporre all’Assemblea generale di ammettere immediatamente la Palestina all’Onu come «Stato membro» e impegnarsi a fornire sostegno politico, operativo e finanziario all’attuazione del Piano «due Stati per due Popoli».

La Risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite deve includere i seguenti punti:
1. l’istituzione immediata della Palestina come 194° Stato membro dell’Onu, con i confini del 4 giugno 1967, con capitale a Gerusalemme Est;
2. il rilascio immediato di tutti gli ostaggi israeliani a Gaza e dei palestinesi ingiustamente detenuti nelle prigioni israeliane;
3. il cessate il fuoco permanente di tutte le parti;
4. l’invio immediato di tutti gli aiuti umanitari indispensabili per salvare e curare la popolazione di Gaza;
5. il ritiro dell’esercito israeliano da Gaza;
6. la costituzione e l’invio di una “forza di pace” dell’Onu in Palestina.

L’APPROVAZIONE di questa Risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite deve essere accompagnata da una paziente quanto intelligente e determinata iniziativa di dialogo politico con tutte le parti. Israeliani e palestinesi devono essere aiutati ad accettare i compromessi necessari.

L’Onu, con il deciso sostegno dell’Italia e dell’Unione Europea, si deve assumere la responsabilità di garantire la sicurezza sia d’Israele che della Palestina. L’invio in Palestina di una “forza di pace” dell’Onu sotto diretta autorità del Segretario generale può rispondere al bisogno di sicurezza di entrambi i popoli.

INOLTRE, LA COMUNITÀ internazionale, con un atto simbolico di grande forza, deve decidere di trasferire la sede dell’Onu a Gerusalemme trasformando per davvero questa città nella capitale della pace e della riconciliazione, una capitale per i due popoli e i due Stati, una città aperta a tutte le religioni e ai tutti i popoli di tutto il mondo.

La comunità internazionale, riunita nell’Onu e nelle altre istituzioni internazionali democratiche, deve agire nell’interesse superiore della pace, dei diritti umani, della sicurezza internazionale nel mondo.
L’Italia deve fare la sua parte, com’è serio e realistico fare, nella consapevolezza dei suoi limiti ma anche dei suoi interessi vitali, della sua prossimità e delle sue responsabilità. L’inazione di altri non può più giustificare la nostra.

L’ITALIA PUÒ FARE molto.
Ma deve cambiare: smettere di essere di parte, assumere un ruolo attivo, propositivo e progettuale.
L’Italia deve assumere un’iniziativa politica e deve operare coerentemente affinché venga fatta propria dall’Unione Europea.
Per la realizzazione di questa politica, l’Italia può contare sul consenso della stragrande maggioranza dei propri cittadini e sull’impegno fattivo di un’ampia rete di gruppi, associazioni, Enti Locali e Regioni, attiva da più di trent’anni, ricca di relazioni, competenze, progetti ed esperienze con entrambi i popoli.

Per questo deve agire come “sistema paese” con una strategia e un piano di lavoro integrati. La diplomazia dei popoli e delle città può arrivare dove i governi non arrivano e provare a costruire dal basso le condizioni di una pace che non può più attendere.

A NOI LA SCELTA. Possiamo fingere di non sapere oppure guardare in faccia alla realtà.
Possiamo schierarci con gli uni contro gli altri, oppure possiamo cercare di capire le ragioni di entrambi cominciando dalle vittime.
Possiamo stare dalla parte del problema o cercare di essere dalla parte della soluzione. A noi la scelta. «La pace è possibile. Ci vuole buona volontà. La pace è possibile. Non rassegniamoci alla guerra! E non dimentichiamo che la guerra sempre, sempre, sempre è una sconfitta.

Soltanto guadagnano i fabbricanti di armi»: Papa Francesco, 19 novembre 2023

* Fondazione PerugiAssisi per la Cultura della Pace
** Centro Diritti Umani Antonio Papisca, Università di Padova

La Camera ha votato il testo sostitutivo alla proposta di legge delle opposizioni che va in senso contrario a quanto chiesto anche dalla Cgil 

Marco Merlini

La Camera vota e affossa la proposta di salario minimo a 9 euro l’ora. Con 153 sì, 118 no e 3 astensioni i deputati hanno infatti dato il via libera alla proposta di legge che era nata per iniziativa delle opposizioni, ma è stata snaturata dalla maggioranza attraverso la trasformazione in delega al governo in materia di "retribuzione dei lavoratori e di contrattazione collettiva nonché di procedure di controllo e informazione" e con l’eliminazione di fatto dei riferimenti a un salario minimo legale che la proposta fissava a 9 euro l’ora.

“Vergogna, vergogna”, ha urlato in aula l’opposizione, che ieri, dopo l’approvazione in commissione da parte del centrodestra di un emendamento della maggioranza interamente sostitutivo, ha unitariamente ritirato la firma dalla proposta di legge.

Dalla Cgil, impegnata a sostenere l’esigenza del salario minimo, il segretario generale, Maurizio Landini, già ieri aveva dichiarato che è “un errore grave quello che il governo sta facendo, scegliendo di non fare nessuna trattativa sul salario minimo. Il governo si è fatto votare una delega dal Parlamento addirittura per introdurre gabbie salariali, perché pensano che i salari debbano essere diversi a seconda del Paese o della regione in cui sei".


Il nuovo testo prevede che i decreti legislativi del governo definiscano "per ciascuna categoria, i contratti collettivi maggiormente applicati" per "prevedere che il trattamento economico complessivo minimo del contratto maggiormente applicato sia, ai sensi dell’articolo 36 della Costituzione, la condizione economica minima da riconoscersi ai lavoratori nella stessa categoria". Dovrebbero quindi essere estesi i “trattamenti economici complessivi minimi dei contratti collettivi, individuati in base al criterio di maggiore applicazione, a quei gruppi di lavoratori non raggiunti da alcuna contrattazione collettiva, applicando il contratto della categoria più affine".

Il provvedimento passerà ora al Senato, ma potremmo già dire che l’approvazione può essere considerata definitiva, visto il monocameralismo di fatto al quale è passato il nostro Parlamento negli ultimi tempi.

IRES Emilia Romagna

È possibile scaricarlo direttamente da qui

Presentazione

Appendice Statistica

L’OSSERVATORIO IN SINTESI

Nell’ultimo anno la popolazione di Ravenna è lievemente cresciuta (+353 unità). Si tratta di un timido incremento registrato per il secondo anno successivo, che segue un decennio di decrementi, seppur lievi del numero di residenti. Al 1° gennaio 2023 gli stranieri residenti a Ravenna ammontano a 48.378, pari al 12,5% del totale della popolazione (in linea con l’incidenza regionale 12,8%). La stragrande maggioranza si concentra nel comune di Ravenna (18.519 residenti).

I paesi di provenienza sono per quasi la metà europei. L’età media degli stranieri (36,7), seppur più contenuta di quella degli italiani (età media totale della popolazione a Ravenna 47,8) è in aumento anch’essa.

Il territorio ravennate è abbastanza eterogeneo da un punto di vista geografico: vi sono zone costiere, zone pianeggianti e parte della provincia si sviluppa sulle colline appenniniche. Gli ecosistemi che compongono la provincia sono tra i più diversificati della regione: non solo da un punto di vista delle attività e delle economie, ma anche da un punto di vista naturalistico e di posizionamento geografico. Ravenna si trova all’interno del bacino idrografico della pianura padana e si affaccia sul mare adriatico; inoltre, è attraversata da diversi fiumi naturali e artificiali. Viene attraversata da intensi volumi di traffico via terra e via mare, e rappresenta un nodo strategico per l’approvvigionamento di tutta la regione. Il porto ha registrato nel 2022 un record storico di movimentazioni di merci e passeggeri; nel 2023, invece si registra un calo importante rispetto all’anno precedente.

La provincia di Ravenna presenta una percentuale di suolo consumato (10,2%) superiore a quella media regionale (8,9%). In fase post-pandemica, lo sblocco della situazione economica e produttiva ha dato il via a una fase intensa di progettazione e messa in opera di progetti, sia pubblici che privati.

L’incidenza del rischio franoso nella provincia di Ravenna è abbastanza limitata rispetto al complessivo panorama regionale e riguarda inoltre comuni. Il territorio dei 18 comuni è particolarmente interessato invece dal rischio idraulico. Questo è dovuto a conformazioni specifiche del territorio e all’attività dell’uomo. A Ravenna ricade in HPH (Alta probabilità di allagamento) il 22,2% del territorio, in media probabilità il 79,9% e in bassa probabilità l’80%: sostanzialmente quasi il 100% del territorio di Ravenna provincia è a rischio basso, medio o alto di allagamento. L’intera regione nel biennio 2021-2022 è stata interessata da una severa siccità che, assieme ad altre cause (naturali e artificiali) ha determinato l’incapacità del suolo di Ravenna (e non solo) di assorbire il quantitativo di pioggia caduta nel mese di maggio dell’anno in corso.

L’esplosione della produzione e la ripresa delle attività economiche conosciute nel post-pandemia sono destinate a rallentare: in termini di valore aggiunto, la crescita in Emilia-Romagna è stimata per il 2023 pari a +0,8% e per la provincia di Ravenna la stima è ancora inferiore (+0,3%): è evidente l’effetto negativo degli eventi metereologici di maggio. Anche nel 2024 la crescita del valore aggiunto dovrebbe assestarsi su valori simili al 2023 (+0,4% al momento la stima). Sono ancora il settore delle costruzioni e dei servizi a trainare l’economia in regione così come in provincia di Ravenna. Il settore dell’agricoltura, incerto per definizione, nel 2023 registra un calo del 5,4% in provincia: si tratta del naturale riflesso dell’alluvione avvenuta in maggio; tuttavia, il settore, guardando alla serie storica, registra un andamento fortemente mutevole.

Nel 2021 e nel 2022 per la prima volta assistiamo ad un aumento del numero di imprese attive, a Ravenna come nel resto della regione, dopo un decennio di decrescita. L’incremento del numero di imprese attive a Ravenna è da attribuirsi sia ad imprese artigiane che non artigiane, in prevalenza a quelle artigiane. Il settore che ha contribuito maggiormente all’incremento dell’ultimo biennio è quello delle costruzioni (totale industria 199, di cui 187 costruzioni).

5 Nel comparto turistico dopo lo shock del 2020, si registra un ulteriore trauma causato dall’alluvione: i dati registrati nei mesi estivi in corrispondenza delle voci di arrivi e presenze risultano inferiori sia rispetto al 2019, sia rispetto al 2022. Le variazioni totali del periodo gennaio-settembre 2023 rispetto all’anno precedente ammontano a +0,2% per quanto riguarda gli arrivi, e a -0,9% per quanto riguarda le presenze, si tratta nel complesso sì di variazioni negative, ma in una certa misura contenute per effetto di un importante recupero del turismo nei mesi invernali.

Nella provincia di Ravenna il numero di occupati nel 2022 ammonta a 172.445 persone, dato in crescita di 762 unità rispetto all’anno precedente (+0,4%), in continuità, seppur in modo più contenuto, con quanto già registrato nel 2021.

Il calo dell’occupazione che ha caratterizzato il 2020 ha aumentato le fila degli inattivi e dei disoccupati. Nel 2021 e 2022 parte dei disoccupati ha trovato un’occupazione, ma i livelli restano ancora superiori a quelli registrati nel 2019. Per quanto riguarda gli inattivi, nel 2020 si registra un aumento del 7%, ma già l’anno successivo il dato è in forte calo, abbastanza, da portare il numero delle non forze di lavoro al di sotto del livello registrato nel 2019; il calo viene ulteriormente riconfermato nel 2022 quando si registra un’ulteriore contrazione di 306 persone. I dipendenti dei settori dell’agricoltura e della selvicoltura e della pesca, assieme ai dipendenti del settore del commercio, alberghi e ristoranti, conoscono, nell’ultimo anno, un calo di oltre 2700 unità lavorative. Si registra un incremento del numero di occupati importante nel comparto delle costruzioni (+2.336) e dei servizi (+947).

Utilizzando uno studio sugli indicatori complementari del mercato del lavoro della Fondazione di Vittorio è possibile affermare che la variazione positiva del numero di occupati e occupate riguarda soprattutto l’area del cosiddetto “disagio occupazionale”: infatti nel 2022 aumentano gli occupati a tempo determinato involontario (+17,9%), gli occupati a part-time involontario (+2,8%) e quelli contemporaneamente a tempo parziale e determinato involontario (+11,3%). Se non si tenesse conto dell’occupazione che rientra nell’Area di Disagio Occupazionale, nel 2022 la provincia di Ravenna registrerebbe un’occupazione minore rispetto a quella registrata nel 2021 del -2,8%. L’occupazione, insomma, aumenta, ma a questo dato non si accompagna quello sulla qualità del lavoro.

La retribuzione media giornaliera a Ravenna, con esclusione del settore agricolo e dei settori del pubblico, è stata nel 2022 pari a 92,7€ e si posiziona al di sotto della media regionale che ammonta a 98,6€. Altri divari si registrano in corrispondenza della qualifica professionale, del genere, della tipologia contrattuale, dell’età, e della presenza di tempo parziale. In base ai dati delle ultime dichiarazioni Irpef, relative all’anno di imposta 2021 (dichiarazioni del 2022), la provincia di Ravenna presenta un reddito imponibile medio annuo di 22.074 euro. Rispetto alla media regionale si posiziona al di sotto del reddito medio imponibile annuo pro-capite (23.686,42 euro), ma si conferma la provincia della Romagna a detenere i redditi più alti. Il reddito medio imponibile dell’anno di imposta 2021 risulta in aumento rispetto all’anno precedente del +4%.

XII Congresso nazionale di Legambiente “L’Italia in cantiere”: confermato Stefano Ciafani alla guida dell’associazione ambientalista insieme al resto del gruppo dirigente.

Legambiente risponde alla Presidente del Consiglio Giorgia Meloni: “La transizione ecologica va fatta bene e velocemente: è surreale parlare di Piano Mattei e del ritorno del nucleare in Italia nel pieno della COP28 di Dubai. L’Italia deve promuovere un Piano Bergoglio per l’Africa, diventare hub europeo delle rinnovabili e realizzare un piano nazionale per l’innovazione produttiva e l’economia circolare”.

Su questione nucleare, l’associazione risponde all’ex ministro Cingolani: “Il nucleare è una forma di produzione elettrica in via di estinzione. Il Paese ha piuttosto bisogno di un deposito unico per lo smaltimento definitivo delle scorie a media e bassa attività senza colpi di mano o scorciatoie”

Stefano Ciafani è stato confermato alla guida di Legambiente per i prossimi 4 anni.  Insieme a lui anche Giorgio Zampetti, direttore generale di Legambiente, Nunzio Cirino Groccia, amministratore, Serena Carpentieri, vicedirettrice, e Vanessa Pallucchi vicepresidente. L’intero gruppo dirigente è stato rieletto oggi pomeriggio nell’ultima giornata del XII Congresso nazionale di Legambiente dal titolo “L’Italia in Cantiere” che si è svolto dall’1 al 3 dicembre all’Auditorium del Massimo a Roma a cui hanno partecipato 800 delegati provenienti da tutta Italia e oltre 100 ospiti esterni.

L’associazione lavorerà nei prossimi anni per consolidare i dieci pilastri della transizione ecologica made in Italy (rivoluzione energetica; economia circolare; mobilità sostenibile; agroecologia; inquinamento e riconversione industriale; adattamento alla crisi climatica; rigenerazione urbana e periferie; giovani, università e scuola; aree protette e biodiversità; lotta all’illegalità) con i 30 obiettivi definiti dai gruppi di lavoro del Congresso. Proseguirà nei prossimi 4 anni la campagna itinerante “I cantieri della transizione ecologica” con cui Legambiente sino ad ora ha mappato in Italia 112 impianti, progetti e buone pratiche che coniugano già innovazione e sostenibilità. In vista delle prossime elezioni europee del giugno 2024, l’associazione ambientalista ha inoltre annunciato che si impegnerà a sostegno di un “Nuovo Green Deal Europeo”, in grado di coniugare ambiziose politiche di coesione sociale, in sinergia con altrettanto ambiziose politiche ambientali, climatiche ed energetiche.

Dalla Capitale Legambiente, per voce del suo presidente Stefano Ciafani, ha indirizzato oggi pomeriggio un messaggio alla Presidente del Consiglio Giorgia Meloni e al suo Governo: la transizione ecologica deve essere fatta bene e velocementeSurreale e insensato parlare di Piano Mattei, ritorno del nucleare e Ponte sullo stretto di Messina. Il paese ha bisogno di risposte immediate e convenienti per cittadini e aziende: serve un Piano Bergoglio per l’Africa seguendo quanto detto dal Papa sulla lotta planetaria alla crisi climatica, occorre far diventare l’Italia un hub europeo delle rinnovabili velocizzando iter, diffusione e realizzazione degli impianti a fonti pulite, occorre mettere in pratica un piano nazionale per l’innovazione produttiva in tutti i settori e per l’economia circolare, realizzando mille nuovi impianti di riciclo sul territorio.

Queste le priorità per accelerare in prima battuta in Italia la transizione ecologica, senza però dimenticare l’urgenza di approvare le riforme legislative che ancora mancano all’appello – come, ad esempio, la legge contro il consumo di suolo e per la rigenerazione urbana, i decreti attuativi su rinnovabili e su agricoltura biologica, le norme per una lotta più efficace contro l’abusivismo edilizio, per l’inserimento dei delitti agroalimentari e contro gli animali nel Codice penale) – e promuovere una nuova stagione di partecipazione e controlli ambientali per prevenire le contestazioni territoriali e i rischi di infiltrazione criminale negli appalti pubblici, e per lo sviluppo di aree protette e la tutela della biodiversità.

E sulla questione nucleare, su cui oggi si è espresso anche l’ex ministro Cingolani parlando del nucleare come di una scelta corretta per il futuro, Legambiente risponde dicendo che “il nucleare è una forma di produzione elettrica in via di estinzione a causa dei tradizionali problemi irrisolti e degli elevatissimi costi che l’hanno estromessa dal mercato a livello mondiale, come ci indicano chiaramente tutti i dati anche di fonte industriale. L’unica cosa da fare con urgenza è realizzare il deposito unico per lo smaltimento definitivo delle scorie a media e bassa attività, restando dentro al percorso della Carta nazionale delle aree idonee, senza colpi di mano o autocandidature, mentre quelle poche volumetrie ad alta attività possono essere smaltite nel deposito internazionale previsto dalla direttiva europea”.

“Nella lotta alla crisi climatica – dichiara Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente -vincere lentamente equivale a perdere, e oggi ci sono ancora troppi rallentatori che pongono ostacoli. L’Italia questa sfida epocale la deve vincere spingendo il piede sull’acceleratore, per questo la transizione ecologica deve essere fatta bene e velocemente, come fanno già i protagonisti della nostra campagna sui cantieri della transizione ecologica. Serve una nuova stagione di riforme ambientali, politiche climatiche più coraggiose, a partire dalla graduale dismissione delle fonti fossili come abbiamo ribadito nei giorni scorsi con la manifestazione in nome del clima organizzata sotto la sede dell’ENI, all’Eur. L’Italia non perda altro tempo, lavori sulle priorità ambientali che servono per accelerare il processo di decarbonizzazione. Ce lo chiede il Pianeta, lo evidenziano i bilanci di famiglie e aziende, ce lo impone la crisi climatica che avanza in modo drammatico anche nel nostro Paese. Nei prossimi anni la nostra associazione svolgerà il ruolo di capocantiere insieme alle istituzioni, alle imprese, al mondo del lavoro, della ricerca e dei media e delle associazioni più coraggiose e coerenti, per completare la rivoluzione della decarbonizzazione italiana”

“Affrontare la crisi climatica – aggiunge Giorgio Zampetti, direttore generale di Legambiente – necessita oggi di coraggio, coerenza e concretezza della nostra azione, a tutti i livelli dell’articolazione associativa. Requisiti questi indispensabili per accelerare la realizzazione della transizione ecologica. Indugiare in questa fase significa semplicemente perdere la sfida della conversione ecologica che dobbiamo declinare su tutti i nostri territori”.

Sono stati confermati anche Daniela Ciancimino, Diego Aravini e Stefano Bigliazzi, rispettivamente avvocati del foro di Agrigento, Roma e Genova, come Copresidenti nazionali dei Centri di Azione Giuridica “Ce.A.G” di Legambiente, e Francesco Dodaro, avvocato del foro di Cosenza nel ruolo di Coordinatore Nazionale.

La tre giorni congressuale è stata raccontata suoi social di Legambiente, sul sito Nuovaecologia.it. e www.legambiente.it

#LegambienteXII
#ItaliaInCantiere
#CantieriDellaTransizione