La morte di Giulia è il solito drammatico copione di un Paese che si indigna ma non cambia. E il governo sceglie l’inutile strada della repressione
Abbiamo sperato sino all'ultimo in un lieto fine, ma il "copione" dell'incubo era già drammaticamente noto. Un uomo, un ex, che non accetta la fine di una storia. Una giovane donna che stava per raggiungere una meta importante, che arrivava all'obiettivo che si era data con le proprie forze, da persona indipendente, libera e compiuta: la propria laurea.
E poi da lì chissà cosa le avrebbe riservato il futuro, quando quel cordone un pò lacerato, che la teneva legata al passato, si sarebbe definitivamente reciso. Questo deve aver scatenato la rabbia dell'uomo che le ha tolto la vita. E tutto questo conferma, se mai ce ne fosse bisogno, che ad armare la mano del femminicida non è una patologia e nemmeno un raptus.
È la cultura del possesso che ti impedisce di accettare. Lei che decide che è finita e tu che subisci una sua decisione: la cosa ti offende, ti denigra, ti umilia. Lei è una cosa. Ed è tua. Quindi puoi anche decidere che lo deve rimanere per sempre. Costi quel che costi. Quante ne abbiamo lette e ascoltate di storie simili? La risposta è troppe, perché queste assonanze siano casuali.
Qualcuno scrive sui social che le donne non dovrebbero mai accettare l'ultimo appuntamento. Ma che sarà l'ultimo purtroppo lo sai quando è troppo tardi. E magari se non accetti lui ti aspetta sotto casa con un martello o con una bottiglia di acido. Magari fa del male ai tuoi o ai vostri figli. Abbiamo anche quelle storie nell'archivio del terrore. Possiamo andare avanti dicendo alle donne "mi raccomando non accettare l'ultimo appuntamento e poi chiuditi in casa, non andare al lavoro, non uscire mai più con gli amici, non innamorarti di nuovo"? Smetti di vivere e di essere una donna, se no sei a rischio. In una società sana le "istruzioni per non farsi ammazzare dall'uomo che ti amava" non dovrebbero nemmeno essere contemplare. Ma davvero a qualcuno non suona stonato?
Sì perché il punto non può essere quello che fa o non fa la vittima, ma quello che ha fatto il carnefice e perché lo ha fatto. E, soprattutto, cosa dobbiamo fare noi Cgil. Il governo ha approvato un nuovo "Dl sul contrasto alla violenza sulle donne e contro la violenza domestica" che inasprisce le pene e ha una visione repressiva. Un piccolo insufficiente passo avanti che non avrebbe cambiato l'esito nefasto di questa terribile storia.
E allora cosa facciamo? Quello che le donne della Cgil chiedono da sempre. Educhiamo gli uomini. Dalla scuola dell'infanzia all'università chiariamo loro che le donne sono persone autonome che possono cambiare idea, smettere di amarli, innamorarsi di un altro, essere più in gamba di loro. E che questo è normale. Che non c'è nulla di umiliante a essere lasciati e nemmeno traditi. Perché tutte le persone sono libere. D'altronde il nostro è il Paese dello ius corrigendi e del delitto d'onore e per sradicare questa cultura centenaria che marginalizza e colpevolizza le donne serve un grande investimento perché tutte e tutti l'abbiamo introiettata.
Non bastano le poche ore di lezione di esperti promosse dal ministro Valditara serve inserire l'educazione al rispetto e all'affettività nelle scuole. E un modulo per il contrasto a tutte le forme di violenze e molestie sulle donne nella formazione obbligatoria sulla salute e sicurezza nei posti di lavoro. Perché le lavoratrici e i lavoratori spesso sono anche genitori di figli maschi e magari, tornando a casa dal lavoro, potrebbero in questo modo trovare le parole per spiegare loro che la violenze è davvero l'ultimo rifugio degli incapaci. Abbiamo perso sin troppo tempo.
Lara Ghiglione è segretaria confederale della Cgil