Un folto gruppo di docenti de La Sapienza di Roma chiede di andare oltre le asimmetrie di giudizio per trovare una soluzione al conflitto israelo-palestinese
“Apriamo il dibattito, prendiamo posizione per la pace”. Questo il titolo del documento sul conflitto israelo-palestinese sottoscritto da oltre 120 docenti dell’Università La Sapienza di Roma che si uniscono agli appelli lanciati in questi giorni da 150 colleghi bolognesi e da alcune migliaia di docenti e studiosi/e di tutta Italia.
IL BISOGNO DI FARE CHIAREZZA
Il primo firmatario, Gianni Ruocco, docente associato di Pensiero politico della colonizzazione e della decolonizzazione e Democrazia e critica della società contemporanea, ci spiega che la stesura di tale documento è stata dettata dall’esigenza di “moltiplicare le voci in un momento in cui, in continuità con il passato recente, si è costruita una narrazione ufficiale che impedisce una riflessione pacata attorno a questa questione. Una narrazione ‘avvelenata’ spostata sul punto di vista di Israele attorno alla quale si è consolidato il mondo occidentale e che non nasce da ragioni oggettive”.
NO AI SENSI UNICI
La necessità, per il gruppo di docenti de La Sapienza, è quella di una “narrazione alternativa che possa aprire una riflessione e una discussione in cui ciascuno arriva con posizioni diverse tra loro, moltiplicando gli spazi nei quali questo possa avvenire. Quindi è importante che una parte di docenti prendesse una posizione diversa”. Ruocco ricorda che poco dopo il 7 ottobre La Sapienza ha espresso “una posizione unidirezionale, con la condanna di Hamas, ma senza vedere l’origine di quanto sta accadendo e quello che già si stava già scatenando a Gaza per opera del governo israeliano”.
Quanto si deve chiedere è “il riconoscimento del ruolo che ha ciascuno dei soggetti in campo, il chiamare le cose con il loro nome e prendere atto che la posizione assunta dall’Occidente già dal 1967, perdendo qualsiasi traccia di differenziazione, è dettata da un posizionamento stesso che riconosce nello Stato di Israele un pezzo forte dell’Occidente, mentre quello palestinese rimane un territorio senza alcuna soggettività e non egualmente riconoscibile”.
IL COLONIALISMO ISRAELIANO
C’è in sostanza “un’asimmetria che determina una narrazione avvelenata”, afferma il docente: “Si tratta di una posizione coloniale che rinveniamo non tanto nel giusto diritto di Israele di esistere e difendersi, ma nell’atteggiamento verso i territori della Palestina: da un lato nuove residenze israeliane abusive a pioggia, tanto che è difficile riconoscere un territorio unico interamente palestinese, dall’altro l’atteggiamento delle forze armate di Tel Aviv che si arrogano la totale disponibilità della vita delle persone e del territorio, attraverso i controlli ai check-point, entrando nelle loro case e procedendo con arresti arbitrari”.
E, ancora: “Non si capisce a che titolo Israele agisca: se il governo pensa che Gaza sia territorio israeliano, dovrebbe agire nella legalità; se ritiene invece che sia territorio estero, agisce come fosse uno spazio coloniale, come una forza straniera che tratta liberamente la popolazione con modalità eminentemente razziste, considerando nei fatti i palestinesi come una popolazione inferiore, nei confronti della quale si può esercitare qualsiasi tipo di libertà”.
DOCENTI E STUDENTI ANCORA REATTIVI?
Alla domanda se non sia calata la sensibilità e la reattività nelle università a fronte dell’esplosione dei conflitti, Ruocco risponde che “il 7 ottobre c’è stata una reazione molto forte dettata da quanto compiuto da Hamas, identificato come forma di terrorismo, quindi qualcosa che negli anni passati ha toccato da vicino l’Europa. L’impasse è però costituita dalla difficoltà di assumere una posizione che non sia subito polarizzata e criminalizzata. Bisogna uscire dalla conta dei morti, riconoscere una situazione complessiva e ricostruire storicamente le responsabilità di tutti i soggetti in campo”.
La situazione di paralisi è anche dettata dall’impossibilità “di intervenire e agire senza violare uno spazio che Israele rivendica come suo e rispetto al quale non ha mai ascoltato alcuna voce - conclude - . È difficile se non impossibile prendere una posizione diversa. Nessuno è voluto intervenire su Israele e le forze palestinesi per cambiare la situazione. Dopo il 1993 e il 2005 si è determinato lo stallo e, se non si sblocca, la situazione rimarrà sempre irrisolvibile”.