SINDACATI E MOBILITAZIONE. Il leader Uil risponde a Sbarra: nella manovra non c'è alcun respiro sociale. Avanti con la Cgil
Il segretario generale della Uil Pierpaolo Bombardieri - Foto Ansa
«Tutto vediamo in questa manovra tranne che un respiro sociale». Il segretario generale Uil Pierpaolo Bombardieri risponde alla lettera di Luigi Sbarra della Cisl che rinviava all’approvazione della legge di bilancio l’incontro su una mobilitazione unitaria di Cgil, Cisl e Uil.
«Rimangono senza risposte temi fondamentali: lavoro, precarietà e, cosa ancora più grave, sulla sicurezza sul lavoro; sulla previdenza, si va in pensione più tardi, non ci sono risposte per la pensione di garanzia per i giovani, vengono negati Ape Social e Opzione Donna. Questi temi sono per noi più che sufficienti per continuare la nostra mobilitazione con ore di sciopero e per lavorare per modificare la manovra», spiega Bombardieri.
«Noi andiamo avanti seguendo le indicazioni che arrivano dalla nostra organizzazione. Magari ci incontreremo alla fine del percorso di approvazione del testo definitivo», si congeda Bombardieri.
GLOBAL TAX EVASION REPORT 2024. Più di mille miliardi di dollari evasi. Lo ha calcolato l'Osservatorio fiscale europeo: sono i profitti trasferiti dalle grandi aziende nei paradisi fiscali in un anno: il 2022. Ma i governi sono molto lontani dal tassarli in modo efficace. Oxfam lancia la raccolta firme “La grande ricchezza”
Gabriel Zucman, direttore dell'Osservatorio fiscale europeo
Mille miliardi di dollari, quasi 950 miliardi di euro. La somma è impressionante, equivalente al prodotto interno lordo di Danimarca e Belgio messi insieme. Corrisponde ai profitti che le maggiori società mondiali hanno trasferito nei paradisi fiscali nel solo 2022, secondo il rapporto sull’evasione fiscale globale pubblicato ieri dall’Osservatorio fiscale europeo.
La ricchezza italiana offshore, secondo l’Ong Oxfam che ha rielaborato questi dati, ammonta a 198 miliardi di dollari, oltre 198 miliardi di euro, pari a quasi il 10% del Pil nazionale. L’ammanco erariale è stimato in circa 5,6 miliardi di dollari nel 2020 (poco meno di 5,3 miliardi di euro).
Ciò che è ancora più grave è che gli sforzi dei governi per tassare più efficacemente le multinazionali in futuro cambino radicalmente la situazione. In Italia, il problema nemmeno si pone, con il governo Meloni.
Ospitato dalla Paris School of Economics, istituito nel marzo 2021 e cofinanziato dalla Commissione europea, l’Osservatorio è diretta da Gabriel Zucman, un’economista giovane e promettente, formatosi alla scuola di Thomas Piketty, oggi insegna a Parigi e a Berkeley. Il rapporto da lui coordinato presenta i risultati di un lavoro di ricerca svolto da oltre cento ricercatori in tutto il mondo.
Tassare le multinazionali del 25% per ottenere 170 miliardi in più in Europa
Nell’evasione e di un’elusione fiscale di ingenti risorse da parte di pochi, c’è “del buono, del cattivo e del molto cattivo” ha detto Zucman.
Il “buono”: l’evasione fiscale offshore da parte di individui facoltosi – ovvero depositi bancari non dichiarati, azioni e altri titoli finanziari detenuti all’estero – è diminuita drasticamente, grazie allo scambio automatico di informazioni bancarie introdotto nel 2017 in un centinaio di Paesi. Nel 2022 la ricchezza offshore avrà un valore di 12.000 miliardi di dollari, pari al 12% del PIL globale. Oggi un quarto di questa ricchezza non viene dichiarata al fisco – e quindi sfugge alla tassazione – rispetto a oltre il 90% del 2007. Questo dimostra che è possibile compiere rapidi progressi quando c’è la volontà politica di farlo”.
La parte “cattiva”. Nel 2022, i profitti aziendali globali ammonteranno a circa 16.000 miliardi di dollari, di cui 2.800 miliardi saranno realizzati all’estero, cioè in un Paese diverso da quello in cui ha sede l’azienda – come i profitti registrati da Apple fuori dagli Stati Uniti. Di questi 2.800 miliardi di dollari, 1.000 miliardi sono stati trasferiti in paradisi fiscali, pari al 35% dei profitti realizzati all’estero. Per la maggior parte questi soldi sono indirizzati verso Irlanda, Paesi Bassi, Isole Vergini e Isole Cayman.
Le multinazionali americane sono in prima fila tra i campioni di questa fuga dei capitali dall’erario pubblico. Quasi la metà dei loro profitti esteri sono trasferiti nei paradisi fiscali, rispetto al 30% delle aziende di altre nazionalità. Questa pratica è il frutto di una concorrenza fiscale che non esisteva prima del 1975. E’ aumentataa nei primi anni 2010 ed è stata implementata dalla crescente digitalizzazione dell’economia. Per i governi, la perdita ammonta all’equivalente del 10% delle entrate raccolte a livello mondiale dalle imprese.
Nel 2021, più di 140 Paesi hanno concordato di introdurre un’imposta minima sulle società del 15% sostenuta dall’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (Ocse). Questo fatto è stato inutilmente festeggiato come una vittoria. Mai è stata tale. La tassa dovrebbe entrare in vigore nel 2024, ma il problema è che è stata “notevolmente svuotato da una serie di nicchie ed esenzioni” sostiene Zucman. Ad oggi si calcola che dovrebbe assicurare un ritorno fiscale dalle imprese solo del 4,8%, invece del 9,5% che era stato annunciato. Abolendo le esenzioni, i governi potrebbero raccogliere 130 miliardi di dollari in più di entrate fiscali.
Per l’Italia il gettito atteso (che si manifesterà a partire dal 2025) dalla misura si attesta a poco meno di 500 milioni di euro all’anno a regime, nello scenario prudenziale illustrato nella relazione tecnica al decreto attuativo dell’imposta approvato dal Consiglio dei Ministri il 16 ottobre scorso; su scala globale, i miliardari versano aliquote effettive d’imposta irrisorie (tra lo 0% e lo 0,5%), se raffrontate al valore dei loro patrimoni.
Tassa del 15% sulle multinazionali: «È ridicolmente bassa, premiati gli autori degli abusi fiscali»
Il rapporto registra anche nuove forme di concorrenza fiscale internazionale: la corsa ai sussidi e alle sovvenzioni per i produttori di energia verde, per esempio. Questa pratica è stata creata nel 2022 dagli Stati Uniti con il loro principale piano a favore dell’industria verde, l’Inflation Reduction Act. E da allora l’Europa sta cercando di imitare questo progetto. A tale proposito l’analisi di Zucman è interessante perché spiega come questo sia un altro modo per moltiplicare le diseguaglianze.
Questi aiuti accelereranno l’indispensabile transizione verde – sostiene – Ma se non sono accompagnati da misure di prevenzione, rischiano di ampliare le disuguaglianze favorendo le aziende che ne beneficiano e aumentando i profitti al netto delle imposte dei loro azionisti”.
Secondo le stime centrali del rapporto, questi crediti d’imposta sulle energie rinnovabili potrebbero costare l’equivalente del 15% delle entrate fiscali delle imprese nel prossimo decennio negli Stati Uniti e quasi altrettanto in Europa. Questo significa che i governi perdono risorse senza avere in cambio una spinta verso la “transizione verde”. Siamo al cuore del “green-washing”.
Negli ultimi quindici anni, molti paesi si sono fatti concorrenza fiscale sleale creando un numero crescente di regimi ultra-favorevoli per attirare persone ad alto reddito o pensionati. In Europa esistono ventotto regimi di questo tipo. Nel 1995 erano cinque. La Grecia concede generose esenzioni fiscali agli stranieri che investono almeno 500.000 euro sul suo territorio. In Italia esiste un regime molto simile. Il totale dei fondi sottratti al fisco dei paesi europei è di 7,5 miliardi di euro.
Senza contare che i miliardari non pagano praticamente alcuna imposta – dallo 0% allo 0,5% – sul loro patrimonio. Questo clamoroso risultato è ottenuto attraverso tecniche di ottimizzazione che permettono di evitare di essere tassati sui redditi e sui dividendi. Sono quindi meno tassati della classe media. Zucman sostiene che tassare il 2% della ricchezza dei 2.756 miliardari del mondo con un patrimonio complessivo di 13 mila miliardi di dollari porterebbe 250 miliardi di euro. Si tratta di stime. In realtà non conosciamo l’entità di questi patrimoni.
“Se i cittadini non pensano che tutti paghino la loro giusta quota di tasse – soprattutto i ricchi e le grandi imprese – inizieranno a rifiutare la tassazione” ha scritto Joseph Stiglitz, premio Nobel per l’Economia nel 2001, nell’introduzione al rapporto dell’Osservatorio. Questa situazione può mettere a rischio “il corretto funzionamento della nostra democrazia, indebolendo la fiducia nelle nostre istituzioni, erodendo il contratto sociale”.
L’evasione fiscale da parte di multinazionali e dei capitalisti è stata accettata come un inevitabile effetto collaterale della globalizzazione. Come dimostra il rapporto dell’Osservatorio è invece il risultato di scelte politiche. Gli autori della ricerca sostengono che esistono i mezzi per reagire. Anche partendo da un numero ristretto di paesi che possono accordarsi.
“Similmente agli intendimenti dell’Osservatorio Fiscale Europeo, per Oxfam l’introduzione di un’imposta europea sui grandi patrimoni rappresenta una grande opportunità di riconciliare la globalizzazione con una maggiore giustizia fiscale. – ha detto Mikhail Maslennikov, policy advisor su giustizia fiscale di Oxfam Italia – Una misura in grado di garantire maggiore equità del prelievo e generare risorse considerevoli – fino a 16 miliardi di euro l’anno per il nostro paese, se l’imposta si applicasse allo 0,1% dei contribuenti italiani più ricchi – per affrontare le sfide impellenti del nostro tempo come il contrasto alle crescenti disuguaglianze economiche e sociali e la lotta ai cambiamenti climatici”.
Un’imposta Ue sui patrimoni: la «grande ricchezza» è per tutti
La motivazione della proposta è in linea con i propositi della recente Iniziativa dei Cittadini Europei su un’imposta europea sui grandi patrimoni. La raccolta firme #LaGrandeRicchezza, promossa da Oxfam Italia e collegata alla campagna europea Tax The Rich sostenuta insieme a Campagna Sbilanciamoci, NENS, Rosa Rossa e Tax Justice Italia, è iniziata il 17 ottobre scorso
Dalla lotta ai rave al decreto sicurezza, dalla cancellazione del reddito di cittadinanza all'incentivazione della precarietà: 12 mesi vissuti a colpi di spot
Il 22 di ottobre del 2022 il governo guidato da Giorgia Meloni giurava al Quirinale, il 23 la cerimonia della Campanella a Palazzo Chigi per il passaggio di consegne da Mario Draghi alla leader di Fratelli d’Italia, il 31 aveva luogo il primo Consiglio dei ministri e il nuovo esecutivo si qualificava così da sé: via libera al decreto rave. Norme per limitare le manifestazioni pubbliche, elaborate a seguito di un rave party a Modena che aveva richiesto l’intervento delle forze dell’ordine, ma che contenevano, tra l’altro, anche misure che indebolivano la cosiddetta legge spazzacorrotti. Immediata l’impressione non solamente che il decreto potesse essere una limitazione della libertà di manifestare, ma che questo esecutivo si sarebbe connotato per la capacità di cavalcare l’emotività e procedere con criminalizzazioni di comodo.
Tra Natale e Capodanno arriva il primo decreto sicurezza e nasce una serie di norme in materia di immigrazione, tema che sta molto a cuore al governo, tanto che riesce per lunghi tempi a imporlo sulle prime pagine dei quotidiani e nei media in generale. Prima mossa colpire e limitare l’operatività delle Ong che con le loro navi soccorrono i migranti in mare, sino ad arrivare al decreto Cutro, seguito alla strage di migranti nei mari della Calabria, che potenzia i Centri di permanenza per i rimpatri, nell’ottica di “prevenzione e contrasto all’immigrazione irregolare”.
Altre norme hanno poi aumentato il tempo di permanenza dei migranti nei Cpr, sino ad arrivare al decreto dello scorso settembre che prende di mira i minori non accompagnati, presunti mentitori che dovranno, in caso di dubbi sulla loro età, essere sottoposti a rilievi antropometrici. Non solamente, se hanno più di sedici anni è possibile collocarli nelle strutture per adulti, prive naturalmente di servizi a loro adeguati. È stabilita anche una stretta sui permessi per la protezione speciale. Un insieme di misure che ha sollevato una vasta gamma di proteste, dai sindaci, alle forze dell’ordine alle associazioni umanitarie.
E il lavoro? Affermare ‘non pervenuto’ sarebbe inesatto, ma per trovare un provvedimento esclusivamente dedicato al problema principe del
Leggi tutto: Governo Meloni, l'anno della propaganda - di Simona Ciaramitaro
Il 27 ottobre saremo nuovamente nelle piazze italiane per ribadire le ragioni dell’appello «Fermiamo la guerra, riprendiamo per mano la pace», condividendo l’invito di papa Francesco e l’iniziativa di Amnesty International e dell’Associazione delle ong italiane di cooperazione e di solidarietà
ISRAELE/PALESTINA. La distruzione di Gaza e l’accanimento contro la sua popolazione non porterà la sicurezza d’Israele. Il seme della vendetta piantato da Hamas è veleno, se raccolto il conflitto si allarga
Tante sono le iniziative che si stanno realizzando nelle città italiane e del mondo per dire basta a questa ennesima guerra, per evitare che al terrore seminato da Hamas, vinca la vendetta di Israele sulla popolazione civile di Gaza, dove 2,3 milioni di persone sono imprigionate senza più cibo, servizi sanitari, abitazioni, acqua, un disastro umanitario che nessuno sembra in grado di fermare.
Va detto e ridetto questa è la sconfitta di tutti. Nessuno si può salvare da questa responsabilità di lasciar consumare un crimine di guerra in mondovisione, in attesa dei bollettini di guerra che aggiornano numeri di morti, di distruzioni, di emergenze e richieste di aiuto inascoltate.
Non sarà la distruzione di Gaza e l’accanimento contro la sua popolazione a portare la sicurezza d’Israele. Il seme della vendetta piantato da Hamas e dai suoi alleati, è un seme avvelenato che non va raccolto se non si vuole andare ad una
Leggi tutto: Fermiamo la guerra, riprendiamo per mano la pace - di Sergio Bassoli *
Presidi, fiaccolate, momenti di silenzio, azioni di solidarietà previste in tutte le città italiane per chiedere lo stop al conflitto israelo-palestinese
Continua in tutta Italia la mobilitazione per chiedere Pace in Palestina e Israele, con appuntamenti in numerose città in questa fine settimana e in vista dell'iniziativa nazionale diffusa del prossimo venerdì 27 ottobre. Presidi, fiaccolate, momenti di silenzio, azioni di solidarietà sono avvenute nei giorni scorsi a Bologna, Brescia, Milano, Modena.
La Rete italiana pace e disarmo fa sapere che da oggi ai prossimi giorni sono previste iniziative a Reggio Emilia, Massa, Ferrara, Verona, Piacenza, La Spezia, Firenze, convocate sui contenuti e le prospettive del documento "Israele-Palestina: fermiamo la violenza, riprendiamo per mano la Pace", promosso dalla Coalizione "Assisi Pace Giusta" che sta raccogliendo numerose adesioni.
L'obiettivo è di rafforzare le richieste della società civile italiana, con la pressione sul Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite per attivare il cessate il fuoco, fermare le violenze e garantire gli aiuti umanitari, arrivare alla convocazione di una Conferenza di pace che risolva la questione Palestinese applicando la formula dei 'due Stati per i due Popoli', stimolando realtà palestinesi e israeliane ad attivarsi congiuntamente per rendere evidente la loro contrarietà rispetto a chi agisce con violenza contro la Pace.
"In questi giorni di continuo insopportabile orrore - spiegano dalla Rete -, Amnesty International Italia ha deciso di lanciare insieme ad AOI e a tante altre realtà della società civile un appello alle istituzioni italiane per chiedere di rimettere al centro dell'azione politica il rispetto dei diritti umani e della vita delle persone. Al fine di rilanciare i contenuti di questo appello verranno organizzate in tutta Italia per il pomeriggio di venerdì 27 ottobre manifestazioni silenziose in cui poter ribadire tutta l'urgenza di attivare
DIARIO AMERICANO. La cronaca dei tre giorni dei delegati italiani a supporto del lungo sciopero: la nuova leva del sindacato sfida i giganti dell’auto chiedendo un aumento del 40%
La scorsa settimana, con una delegazione della Fiom guidata dal segretario generale Michele De Palma, siamo stati davanti ai cancelli delle fabbriche dell’auto statunitensi, per portare la nostra solidarietà ai lavoratori in sciopero dal 15 settembre e capire questa lotta che ha sorpreso molti; persino il presidente Usa Joe Biden che si è recato ai picchetti per un inedito comizio elettorale.
Anche i lavoratrici di Gm, Ford e Stellantis degli stabilimenti sparsi tra Ohio e Michigan erano sorpresi nel vederci: era la prima volta che una delegazione sindacale straniera (oltre a noi i britannici di Unite e i brasiliani della Gm di San Jose) partecipava a picchetti dello Uaw, lo storico sindacato dei lavoratori dell’automobile fondato nel 1937.
La vertenza è stata preparata con grande cura dal nuovo gruppo dirigente di Uaw – per la prima volta eletto direttamente dalla base – costruendo una piattaforma molto ambiziosa, che di fronte ai profitti record delle Big Three, a condizione di lavoro degradate e a redditi erosi dall’inflazione, chiede aumenti salariali in linea con i dividendi dei gruppi (attorno al 40%), la riduzione d’orario a 32 ore settimanali, la stabilizzazione dei precari, la rivalutazione delle prestazioni del welfare.
Ma in gioco c’è molto di più di un rinnovo contrattuale. Non è solo una vertenza redistributiva, né solo di un settore metalmeccanico, per quanto importante. Questo scontro rimette al centro la possibilità di invertire una tendenza globale che cancella il lavoro come soggetto, dando un segnale di svolta per questi blue collars che, con la stagione neoliberista avviata da Reagan, sono precipitati nella scala sociale da middle class a working poor.
Quando siamo arrivati a Detroit, il segretario della Uaw, Shawn Fain – con addosso la felpa della Fiom che gli abbiamo donato – annuncia l’estensione dello Stand Up Strike alla Kentucky Truck Plant della Ford a Louisville. Non è una fabbrica qualsiasi, è quella che fa più profitti, vi lavorano 8.700 operai che producono i pick-up Super Duty, le Suv Expedition e Lincoln Navigator. La strategia della Uaw, infatti, si basa su una progressiva estensione dello sciopero a oltranza, partendo da un gruppo limitato di stabilimenti per poi estendersi progressivamente agli altri, in corrispondenza con l’andamento delle trattative con le controparti. Che, al momento, non hanno fatto grandi progressi.
L’organizzazione della lotta ruota attorno ai picchetti, sostenuti dalle Locals, le unità di base del sindacato, che raccolgono la grande solidarietà che questa lotta sta raccogliendo nelle comunità coinvolte nelle loro sedi aperte ai lavoratori e ai movimenti di base. Da qui di snoda la catena logistica che sostiene i picchetti. Qui si organizzano i turni, si taglia la legna e si distribuiscono i viveri. Nella Union Hall si può mangiare, si fanno riunioni. Anche feste e raccolte fondi.
Chi sciopera riceve 500 dollari la settimana. A noi, questa enorme cassa di resistenza fa impressione, ma negli Usa si fa fatica con quei soldi. I picchetti sono tantissimi, uno per ogni ingresso delle fabbriche e coinvolgono migliaia di persone. Le lavoratrici, i lavoratori e i volontari ci sommergono di domande, vogliono sapere come si lavora in Stellantis da noi, come è il welfare, la scuola per i figli. Stringiamo mani, ci abbracciamo. Scandiamo slogan a ritmi tutti americani: “No justice, no Jeeps! When we fight, we win! Solidarity forever!” (Senza giustizia niente Jeep! Se lottiamo, vinciamo! Per sempre solidali!)
Al ritorno, dopo tre giorni di picchetti, comizi volanti e riunioni ci portiamo a casa un’esperienza straordinaria, l’incontro con chi lotta che insegna molto più di cento congressi. In quei luoghi “sacri” che sono i picchetti c’è qualcosa che trascende la migliore umanità. I nostri sindacati avranno questo legame speciale per sempre.
* Ufficio internazionale Fiom
** responsabile Fiom Mirafiori
***Rsa Fiom di Cassino