Quelli che sul serio pensano che dall’alluvione dobbiamo imparare che “non si può ricostruire come prima” diano un segnale concreto… rispetto ad annunciate nuove urbanizzazioni in zone potenzialmente a rischio, il caso più noto, ancora oggetto di discussione, iniziative, petizioni, ecc. è quello dell’area della Ghilana ma, come abbiamo recentemente indicato, ve ne sono anche altri (un’area attigua alla rotonda XXV Aprile, vicino alla “casa sul fiume”, un’altra in via Chiarini, ecc.).
Allora noi avanziamo una proposta rivolta in primo luogo agli amministratori pubblici e poi a tutti i soggetti privati coinvolti, oltre che alla cittadinanza: fermiamoci un attimo, facciamo una moratoria su tutti questi progetti, prima venga discusso e approvato il famoso Piano Urbanistico Generale (PUG) e poi alla luce di quelle indicazioni si discuta del resto.
Oggi il problema non può essere una discussione burocratica sulle norme su: “diritti acquisiti”, quali modifiche ai progetti (magari in deroga a norme vigenti), quali “compensazioni”, ecc. , ma piuttosto il disegno generale della città che tenga conto dei cambiamenti necessari per far fronte a possibili altre emergenze.
È una richiesta che rivolgiamo agli amministratori, ma anche a tutti i consiglieri comunali e dell’URF (forse dovremmo fare meno affidamento su quelli dell’opposizione – che si caratterizzano per polemiche strumentali, ma sono in prima fila per sostenere nuove costruzioni – ma almeno da dentro la maggioranza qualche sensibilità in più sarebbe auspicabile).
La richiesta è rivolta anche a tutti i soggetti privati coinvolti. È comprensibile che le proprietà interessate si dolgano delle perdite economiche (o dei mancati introiti) che ne deriverebbero, ma anche se avessero il via libera per costruire sono sicuri che queste villette siano così appetibili?
Noi abbiamo avanzato l’idea che forse anche questi danni potrebbero ricadere tra i ristori che il Governo Meloni ha garantito al 100%. In ogni caso non va dimenticato che vi sono cittadini che dall’alluvione hanno già perso molto di più, in particolare in rapporto al rispettivo patrimonio.
Proprio nella prospettiva di un diverso disegno della città, che il nuovo PUG dovrà indicare – privilegiando la riqualificazione e la rigenerazione del patrimonio già costruito – sarebbe possibile che le proprietà che dovessero rinunciare a vecchi progetti di nuove costruzioni possano trovare opportune agevolazioni.
A questo proposito vorremmo ricordare un caso positivo, quello della rigenerazione dell’ex sede USL in Via Masoni, proprio ad opera di CO.ABI, una delle proprietà coinvolte nell’area della Ghilana.
Chi ha, o dichiara di avere, qualche sensibilità sociale e ambientale in più, dia qualche segnale concreto. Un altro modo di costruire è possibile!
Circolo Legambiente Lamone Faenza
Italia gigante dai piedi d’argilla sempre più soggetto ad alluvioni e piogge intense
In 14 anni di monitoraggio registrati dall’Osservatorio Città Clima di Legambiente
684 allagamenti e 86 frane da piogge intense, 166 le esondazioni fluviali
In Emilia Romagna due eventi alluvionali in pochi giorni nel mese di Maggio hanno messo in ginocchio la Romagna.
In compenso il Governo Meloni dimezza le risorse destinate a contrastare il dissesto idrogeologico,
da 2,49 miliardi a 1,203 miliardi, in un Paese dove si sono spesi in media oltre 1,25 miliardi/anno
per la gestione delle emergenze
Legambiente: “Urgente definire una nuova governance che abbia una visione più ampia di conoscenza, pianificazione e controllo del territorio. Quattro le priorità da cui ripartire: serve approvare il PNAC,
una legge contro il consumo di suolo, superare la logica dell’emergenza agendo invece sulla prevenzione, definire una regia unica da parte delle Autorità di bacino distrettuale che preveda anche una maggiore collaborazione tra enti”
L’Italia è sempre più soggetta ad alluvioni e piogge intense, e sempre più fragile e impreparata di fronte alla crisi climatica. È quanto emerge dal “Rapporto Città Clima 2023 Speciale Alluvioni” realizzato da Legambiente, con il contributo del Gruppo Unipol, che quest’anno dedica uno speciale proprio al tema alluvioni denunciando anche i tagli che ci sono stati alle risorse destinate alla prevenzione del dissesto idrogeologico. I numeri parlano da soli: negli ultimi 14 anni-dal 2010 al 31 ottobre 2023 - sono stati registrati dall’Osservatorio Città Clima di Legambiente ben 684 allagamenti da piogge intense, 166 esondazioni fluviali e 86 frane sempre dovute a piogge intense, che rappresentano il 49,1% degli eventi totali registrati. In questi 14 anni, le regioni più colpite per allagamenti da piogge intense sono state: la Sicilia, con 86 casi, seguita da Lazio (72), Lombardia (66), Emilia-Romagna (59), Campania e Puglia (entrambe con 49 eventi), Toscana (48). Per le esondazioni fluviali al primo posto la Lombardia con 30 casi, seguita dall’Emilia-Romagna con 25 e dalla Sicilia con 18 eventi. Va segnalato anche il numero di frane da piogge intense che hanno provocato danni in particolare in Lombardia (12), Liguria (11), Calabria e Sicilia (entrambe con 9 eventi). Ad andare in sofferenza sono soprattutto le grandi città: in primis Roma, dove si sono verificati 49 allagamenti da piogge intense, Bari con 21, Agrigento, con 15, Palermo con 12, Ancona, Genova e Napoli con 10 casi. Per le esondazioni fluviali spicca Milano, con almeno 20 esondazioni dei fiumi Seveso e Lambro in questi anni, di cui l’ultima a fine ottobre; seguono Sciacca (AG) con 4, Genova e Senigallia (AN) con 3.
Numeri preoccupanti se si pensa che l’Italia è un gigante dai piedi d’argilla e ad elevato rischio idrogeologico con 1,3 milioni di persone che vivono in aree definite a elevato rischio di frane e smottamenti e oltre 6,8 milioni di persone sono a rischio medio o alto di alluvione (dati Ispra). Dal punto di vista economico, ricorda Legambiente, il Paese ha speso dal 2013 al 2023, oltre 13,8 miliardi di euro in fondi per la gestione delle emergenze meteo-climatiche (dati Protezione civile). Eppure, nonostante tutto ciò, il Governo Meloni nel rimodulare il PNRR ha scelto di dimezzare le somme destinate a contrastare il dissesto idrogeologico, passate a livello nazionale da 2,49 miliardi a 1,203 miliardi, in un Paese dove si sono spesi in media oltre 1,25 miliardi/anno per la gestione delle emergenze, mentre dal 1999 al 2022, per la prevenzione del rischio, sono stati ultimati 7.993 lavori per un importo medio di 0,186 miliardi/anno (fonte Rendis- Ispra).
Secondo Legambiente a pesare in questi anni in Italia l’assenza di una governance con una visione più ampia capace di tener insieme conoscenza, pianificazione e controllo del territorio. Per questo oggi l’associazione ambientalista, in occasione del lancio del suo report, ricorda quelli che devono essere i due pilastri cardine della buona gestione del territorio: ossia la convivenza con il rischio, che si attua con la giusta attenzione ai piani di emergenza comunali, all’informazione e formazione dei cittadini e la consapevolezza che un territorio come quello italiano non ha bisogno di essere ulteriormente ingessato, cementificato, impermeabilizzato, ma dell’esatto opposto, ovvero dell’adattamento. Al Governo Meloni lancia un appello affinché in tempi rapidi definisca una nuova governance del territorio, che riveda le politiche territoriali tenendo conto di quattro priorità su cui non sono ammessi più ritardi: 1) Occorre approvare in via definitiva il Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici e individuare le linee di finanziamento stanziando adeguate risorse economiche (a oggi assenti) per attuare il Piano. 2) Approvare la legge sullo stop al consumo di suolo che il Paese aspetta da 11 anni. Occorre, poi, far rispettare il divieto di edificazione nelle aree a rischio idrogeologico e i vincoli già presenti, riaprire i fossi e i fiumi tombati nel passato, recuperare la permeabilità del suolo attraverso la diffusione di Sistemi di drenaggio sostenibile (SUDS) che sostituiscano l’asfalto e il cemento. 3) Superare la logica dell’emergenza e degli interventi invasivi e non risolutivi. 4) Costituire una regia unica, da parte delle Autorità di bacino distrettuale, attualmente marginalizzate, per costruire protocolli di raccolta dati e modelli logico/previsionali che permettano di conoscere la tendenza delle precipitazioni e i loro impatti sul territorio, e rafforzare la collaborazione tra gli Enti in modo da avere priorità di intervento e vincoli di tutela coerenti tra i diversi livelli, con l’obiettivo anche di fornire un quadro costantemente aggiornato dei progetti e dei cantieri in corso.
Nell’anno in corso due alluvioni hanno sconvolto l’Emilia-Romagna: il 2 e 3 maggio la prima e tra il 15 e il 17 maggio la seconda, più grave e che ha coinvolto 44 comuni, principalmente nelle province di Ravenna, Forlì-Cesena, Rimini e Bologna. Le forti piogge hanno fatto straripare 23 corsi d’acqua e si sono verificate oltre 280 frane in 48 comuni. Sono stati evacuati grandi centri urbani come Faenza e frazioni del comune di Ravenna, mentre il centro storico di Castel Bolognese è stato allagato dall’esondazione del Senio. Numerose le strade e ferrovie chiuse e danneggiate.
Sono caduti più di 300 mm di piogge in due giorni e 21 tra fiumi e corsi d’acqua sono esondati; a inizio Giugno si contavano 936 frane principali e migliaia di microfrane attive, 726 strade chiuse totalmente o parzialmente . Il bilancio ufficiale è di 15 vittime, oltre alle 3 vittime dell’ondata di inizio maggio che aveva già compromesso abitazioni, viabilità e agricoltura. Il ripristino del territorio prevede 430 interventi per una spesa stimata di 360 milioni di euro.
“Ciò che è avvenuto a Maggio rischia di ripetersi ogni qualvolta ci sarà una pioggia intensa – dichiara Davide Ferraresi, presidente di Legambiente Emilia Romagna – Lo abbiamo visto solo qualche settimana fa quando in tutto l’appennino è scattata l’allerta rossa per forti piogge e possibili frane che ha poi innescato le allerte nei giorni successivi anche in pianura; per fortuna questa volta non è accaduto nulla, ma ogni allerta comporta chiusure di scuole, strade, ponti, un danno all’economia e una prova anche emotiva per le popolazioni. Occorre lavorare sulla mitigazione de rischio idrogeologo, restituendo spazio ai fiumi, delocalizzando le attività produttive realizzate in golena, disigillando i territori impermeabilizzati, realizzando opere di difesa passiva e di sfogo controllato come le casse di espansione. Ad esempio, sul fiume Senio l’unica cassa realizzata è stata fondamentale per contenere la piena a maggio, fin quando ha potuto, mancando ancora le altre; questi lavori vanno terminati e vanno pensati anche per altri fiume, come il Lamone, altro protagonista dell’alluvione di primavera.”
“La ricostruzione delle aree colpite dalle alluvioni, a partire dall’Emilia-Romagna -– spiega Andrea Minutolo, responsabile scientifico di Legambiente - deve essere l’occasione per ripensare la gestione del territorio, anche con coraggiosi cambi di uso del suolo, considerata l’ingente quantità di risorse pubbliche che saranno utilizzate. Sarebbe miope, infatti, pensare di ricostruire con la filosofia “dov’era, com’era”.
Dopo i successi elettorali regionali delle liste guidate da Elly Schlein, quella di Faenza Coraggiosa è stata l’unica esperienza che ha cercato di superare i confini della lista civica e di tradursi in una forma organizzata – l’associazione, appunto – per contribuire in modo più incisivo alla vita politica della propria comunità.
Nelle nostre intenzioni e forte dell’ottimo consenso elettorale raccolto alle elezioni amministrative, la nostra associazione voleva essere uno stimolo per strutturare la sinistra fuori del PD nel territorio, con l’ambizione di offrire un punto d’incontro, confronto, proposta e azione politica.
A distanza di tre anni, il nostro percorso si ferma qui, per ragioni molteplici che abbiamo a lungo discusso prima di arrivare a prendere questa decisione.
Non le ricapitoliamo perché sono parte di un dibattito pubblico che si dipana da oltre un anno, dalla decisione di Elly Schlein di candidarsi nelle liste del PD alle ultime elezioni politiche e poi alla sua guida, partecipando alla corsa alla Segreteria con un successo per molti inaspettato e per alcuni aspetti clamoroso.
La vittoria di Schlein ha convinto Art.1 – uno dei partiti animatori di Coraggiosa – ad aderire formalmente al PD, nel suo ultimo congresso nazionale, per portare il suo sostegno diretto all’interno del Partito Democratico, insieme ad una parte degli indipendenti che avevano sostenuto Coraggiosa fin dai suoi primi passi nella campagna per le elezioni amministrative a Faenza e prima ancora alle regionali. Al contrario, le altre forze politiche nazionali interne a Coraggiosa (a Faenza i Socialisti e Sinistra Italiana) hanno deciso di proseguire la loro autonomia organizzativa.
L’esperienza di Coraggiosa, soprattutto a Faenza, è stata per noi ben altra cosa che un tradizionale accordo tra partiti: a Faenza ha saputo mettere insieme i sostenitori di Articolo 1, de L’Altra Faenza, di tanti rappresentanti del volontariato laico, cattolico e dell’ambientalismo, ma anche tanti indipendenti, giovani e meno giovani, che si avvicinavano alla politica per la prima volta o che alla politica tornavano dopo periodi più o meno lunghi di sfiducia, convinti dalla freschezza e dall’energia del programma di Schlein. La nostra lista, alle ultime elezioni, piena di giovani, di donne, di candidati riconosciuti e stimati per il loro impegno sociale, era lo specchio di un entusiasmo rinnovato su un radicamento storico e su pratiche quotidiane di solidarietà e attivismo.
Non nascondiamo che le contingenze, locali e nazionali (la pandemia, un lockdown spinto e poi i disastri climatici che hanno ferito il nostro territorio quest’anno) ci hanno tarpato un po’ le ali.
Oggi non possiamo non prendere atto di scelte differenti tra noi: c’è chi ha deciso di iscriversi al PD per continuare lì la sua battaglia per la democrazia e i diritti, in un partito già dotato di una sua struttura e oggi guidato da una segretaria che già aveva scelto tre anni fa, e chi invece, iscritto ad altri partiti o indipendente, sceglie di continuare ad animare il campo a sinistra del PD.
Siamo convinti che il patrimonio politico, di idee e di confronto, accumulato in questi tre anni di attività di Faenza Coraggiosa non debba andare perduto, ma che anzi tutti noi, ognuno all’interno delle proprie riflessioni e decisioni, debba fare tesoro di questa esperienza, Coraggiosa davvero in tutti i sensi, e portarla lungo le strade che abbiamo deciso di percorrere.
Tutti noi siamo d’accordo che per il Paese e per Faenza c’è bisogno di più sinistra.
La differenza di visione sulle scelte organizzative e future non dovrà e non produrrà “rotture”, ma al contrario ci troverà uniti nella volontà comune di dare voce e rappresentanza alle istanze e ai valori di una sinistra plurale, che trovi la sua espressione nell’amministrazione ma anche nella città e tra i cittadini.
Per gli adempimenti formali sarà convocata a breve un’assemblea straordinaria dell’associazione.
Faenza, piazza del popolo, 25 novembre
Dal Tavolo Asilo e immigrazione l’appello ai parlamentari perché non firmino l’accordo italo-albanese sui migranti, imponendo al governo il suo ritiro
Il governo cambia idea e il ministero degli Esteri, Antonio Tajani, annuncia nel suo intervento alla Camera dei deputati che il protocollo Italia-Albania sui migranti dovrà essere sottoposto alla ratifica del Parlamento, contrariamente a quanto sostenuto fino a ora. Un protocollo che, ricordiamo, ha l’obiettivo di esternalizzare le frontiere e il diritto d’asilo costruendo in Albania centri di detenzione dove collocare i migranti messi in salvo da navi italiane, con il rischio di gravi violazioni dei diritti umani.
Proprio la volontà dell’esecutivo di non sottoporre il protocollo a ratifica è la prima delle criticità rilevate dal documento che chiede il ritiro dell’accordo e che è stato presentato ieri dal Tavolo Asilo e Immigrazione, al quale aderiscono oltre trenta associazioni. Tra queste c’è anche la Cgil, il cui responsabile dell'ufficio immigrazione, Kurosh Danesh, spiega che quanto sottoscritto da Roma e Tirana non rispetta i trattati internazionali e nemmeno la nostra Costituzione.
È proprio questo uno dei temi più volte battuti nella conferenza stampa di ieri, alla quale hanno partecipato, tra gli altri, il responsabile immigrazione dell’Arci, Filippo Miraglia, il portavoce di Amnesty international, Riccardo Nouri, e la portavoce della Ong Sea Watch, Giorgia Linares. Durante l’incontro, visto quanto dichiarato da Tajani, è stato rivolto un appello ai parlamentari affinché non votino la ratifica, quindi sono stati illustrati i temi del documento presentato, alla presenza di alcuni deputati e senatori dell’opposizione, compresa la segretaria del Pd Elly Schlein.
Vi è un capitolo che riguarda le competenze giurisdizionali, come anche la previsione dell’applicazione extraterritoriale di norme Ue, che non è consentita dal diritto europeo. Quindi il Tavolo passa a evidenziare che, nel caso “dovessero essere portate in Albania persone salvate in operazioni Sar nel Mediterraneo si configurerebbe senz’altro il mancato rispetto delle linee guida sul soccorso in mare dell’Imo che fanno riferimento alla minima deviazione possibile dal luogo in cui è stato effettuato il soccorso”. E ancora: “Nel testo del Protocollo non c’è menzione né dell’esclusione delle persone minori e vulnerabili dal trasferimento in Albania, né delle procedure per il corretto accertamento dell’età e la tempestiva individuazione e presa in carico delle vulnerabilità”.
Ci sono poi problemi di compromissione della possibilità di controllo giurisdizionale e di mancata garanzia di diritto di difesa e a un ricorso effettivo, vista “l’impossibilità per le persone trattenute di beneficiare dell’assistenza di un legale. Non si comprende come si potrà determinare la competenza del giudice che dovrà convalidare il trattenimento, né come sarà possibile per i trattenuti, in caso di diniego di una domanda di protezione internazionale, presentare tempestivamente ricorso”.
A preoccupare anche il fatto che “le persone trattenute dovranno essere immediatamente trasferite fuori dall’Albania una volta che ‘venga meno, per qualsiasi causa, il titolo di permanenza nelle strutture’. Non è inoltre chiaro cosa succederà ai richiedenti asilo che non ottengano risposta entro i 28 giorni previsti dalla procedura accelerata”.
Infine i costi: quelli che l’Italia dovrà sostenere non sono chiari, ma si preannunciano ingenti. Si parla di una prima tranche di 16,5 milioni di euro, seguita da una lunga serie di spese che il governo italiano dovrà rimborsare a quello albanese per almeno cinque anni. Ci saranno poi le spese per i trasferimenti, l’alloggio, il mantenimento, il controllo delle persone trattenute nei centri, tutti a carico dell’Italia, e di tutte le forze dell’ordine italiane che saranno impegnate in suolo albanese.
Più volte, durante la conferenza stampa, si è menzionata la violazione del diritto internazionale e costituzionale, come anche l’intento propagandistico del governo nel firmare un protocollo che si rivelerà presto inapplicabile, avendo però nel frattempo favorito l’Albania. Tutto questo sulla pelle dei migranti.