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La Fisac lancia le sue dieci verità contro le dieci fake news dell’esecutivo per sostenere le ragioni dello sciopero generale del 29 novembre. Susy Esposito: “Non dobbiamo essere indifferenti”

IMAGOECONOMICA IMAGOECONOMICA

La Fisac Cgil lancia una campagna social a sostegno dello sciopero generale del 29 novembre per smascherare le bugie del governo. Una sorta di fact checking, ovvero di verifica dei fatti, sulla manovra di bilancio e sulle fallaci dichiarazioni dell’esecutivo per smontare la sua narrazione tossica.

Come? Con la fredda verità dettata dai numeri, nonché dalle misure previste nero su bianco dalla manovra di bilancio. Di seguito la prima bugia, quella sulla sanità.

Diversi i temi al centro della campagna: si va dal finanziamento (inadeguato) al servizio sanitario nazionale al peggioramento della legge Monti-Fornero, dal caro vita alle questioni fiscali, dal lavoro al (mancato) intervento sugli extraprofitti, e altro ancora. In totale dieci bugie, tra le tante di questo governo, che accompagneranno il percorso di mobilitazione della categoria, fatto di assemblee con le lavoratrici e i lavoratori del settore, fino allo sciopero generale del 29 novembre.

Un’occasione, sostiene la segretaria generale della Fisac Cgil, Susy Esposito, per accendere un faro sulla distorta propaganda di questo governo e provare a sistematizzare la mole, oramai enorme, di falsità che vengono propinate. “Vogliamo fornire alle lavoratrici e ai lavoratori, in forma semplificata eppure aderente alla realtà, almeno dieci ragioni per sostenere le ragioni dello sciopero, contro le scelte ingiuste e sbagliate di questo governo. È il momento per ognuno di noi di non essere indifferenti e di farsi avanti. Come dice il nostro segretario generale Maurizio Landini: non voltarsi dall’altra parte rispetto alle diseguaglianze e mettersi insieme per cambiare le cose”, spiega.

 

Tutte le ragioni messe in campo da 24 organizzazioni per opporsi a un’opera inutile, dannosa e costosa, che in manovra ha già incassato un aumento di risorse

Ecco come potrebbe essere il Ponte sullo Stretto di Messina   GUARDA IL VIDEO

 

L’ultima sul ponte sullo Stretto? Che costerà ancora di più. Incassato il primo via libera dal ministero dell’Ambiente, il progetto ottiene in manovra di bilancio un aumento di risorse di tre miliardi: da 11,6 a 14,7 miliardi. È uno dei tanti, tantissimi motivi per i quali associazioni, enti, partiti, sindacati hanno dato vita alla mobilitazione "No al ponte sullo Stretto" contro un'opera ritenuta inutile, dannosa e, appunto, costosa.

“Non è il Ponte l’opera necessaria che possa rilanciare lo sviluppo della Sicilia e della Calabria e dello stesso Mezzogiorno – si legge nel documento presentato in conferenza stampa a Roma dalla cordata di 24 organizzazioni, tra cui la Cgil -. Infinite a oggi sono state le forzature per costruire un percorso che ne favorisse la realizzazione. Va inoltre aggiunto che nessuna effettiva risposta è stata data all’enorme problematicità della gestione dei 17 cantieri disseminati in tutta l’area dello Stretto e alla pressione del volume di traffico che sarà generato, che metterà in crisi, per anni, le città di Messina, Reggio Calabria e Villa San Giovanni. Poi c’è la delicatissima questione dell’approvvigionamento idrico, già oggi drammaticamente in crisi”.

Le associazioni promotrici dell’iniziativa No ponte sullo Stretto snocciolano tutte le criticitàdalla questione degli espropri alle osservazioni sul pericolo sismico e sulla presenza di una faglia attiva, che non hanno mai ricevuto risposta; dalle previsioni occupazionali, che poggiano su basi fantasiose, al bisogno che hanno Sicilia e Calabria di infrastrutture ferroviarie, a cui il Ponte non dà certo riscontri; dal dissesto idrogeologico ai disservizi della rete di approvvigionamento e distribuzione dell’acqua in Sicilia, che non sono considerati una priorità da affrontare.

“Il Mezzogiorno non può ridursi a una mera questione di infrastrutture – si legge nel documento - ma non c’è dubbio che per dare qualità a una nuova stagione di programmazione sia necessario dare risposta al grande tema della mobilità e della comunicazione, sia all’interno dell’area meridionale che nella Unione Europea”.

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Nella dichiarazione finale l’accorato appello agli stati ad unirsi all’Alleanza globale contro la fame e la povertà. E la sfida per il lavoro dignitoso

Si è trattata di una prima volta e di una scommessa senza precedenti quella del presidente Lula: riunire poco prima del Summit dei Capi di Stato e di governo del G20, tutti i rappresentanti dei gruppi di impegno a Rio de Janeiro per elaborare una dichiarazione che parta dal basso da consegnare al summit. I gruppi di impegno sono i gruppi della società civile, dei movimenti e delle parti sociali: sindacati, imprenditori, movimenti sociali informali, ong, etc.

La Cgil, che quest’anno ha avuto il compito di dirigere i lavori del Labour7 (il summit dei sindacati dei Paesi del G7), ha partecipato ai lavori del G20 social e alle iniziative collaterali organizzate a Rio de Janeiro. I lavori sono stati organizzati attorno a tre aree tematiche: lotta alla fame, alla povertà e alle diseguaglianze; sostenibilità, cambiamento climatico, transizione giusta; riforma della governance globale. La dichiarazione contiene un forte appello agli stati ad unirsi all’Alleanza globale contro la fame e la povertà, in linea con l’agenda 2030 e gli obiettivi di sviluppo sostenibile.

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Nella lotta alle diseguaglianze, diventa centrale il tema del lavoro dignitoso “in linea con gli standard dell’Oil, come elemento fondamentale per superare povertà e disuguaglianza. È imperativo combattere il lavoro schiavo, il lavoro minorile, la tratta di esseri umani e tutte le altre forme di

“Ho richiamato la rivolta sociale per dire alle persone di non voltarsi dall'altra parte”, spiega il leader Cgil al Corriere della sera. Dal fisco ai salari: tutte le misure da riscrivere

 

“Rivolta sociale significa non voltarsi dall'altra parte rispetto alle diseguaglianze e mettersi insieme per cambiare le cose”. Così il segretario generale Cgil Maurizio Landini in un’intervista apparsa oggi (lunedì 18 novembre) sul Corriere della sera: “Il governo ha la maggioranza in Parlamento ma non nel Paese, fa aumentare la povertà e non negozia con chi rappresenta tutti i lavoratori e i pensionati”.

Lo sciopero generale del 29 novembre

“Ci arriviamo dopo quelli di metalmeccanici, chimici, scuola, trasporti locali e le manifestazioni di pubblico impiego, pensionati e studenti. E dopo una legge di bilancio e un Piano strutturale che vincola il Paese a sette anni di austerità”, dice il leader sindacale: “Ho richiamato la rivolta sociale per dire alle persone di non voltarsi dall'altra parte rispetto alle diseguaglianze e mobilitarsi insieme”.

Landini sottolinea che “lo Stato sociale e i diritti nel lavoro esistono grazie alle lotte del sindacato. Del resto, è la Costituzione che dice che siamo una Repubblica fondata sul lavoro. Oggi non è così: si è poveri anche lavorando, i giovani sono precari e costretti a emigrare”.

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Lavoro

Sciopero generale contro la manovra il 29 novembre

Sciopero generale contro la manovra il 29 novembre

E respinge al mittente le accuse arrivategli di fomentare le piazze. “Chi sta fomentando la situazione è il governo e la sua logica autoritaria”, replica Landini: “Quando le persone si rivoltano contro le ingiustizie e scendono in piazza nessuno dovrebbe averne paura, perché conflitto e mediazione sociale sono il sale della democrazia”.

Una finanziaria da riscrivere

Per Cgil e Uil vanno anzitutto cambiati i provvedimenti fiscali, ritirando “flat tax e concordato, e tassando profitti e rendite finanziarie e immobiliari”. Vanno “restituiti i 17 miliardi di maggiore Irpef del 2024 a lavoratori e pensionati, nella sanità e non autosufficienza e nei contratti pubblici, ritirando l'intesa separata favorita dal governo”.

Landini sottolinea la necessità della “riforma delle pensioni, della detassazione degli aumenti contrattuali, delle assunzioni di ispettori per la sicurezza sul lavoro e il superamento del subappalto. Infine, il ripristino dei fondi per automotive e Sud e il ritiro del decreto sicurezza”.

Il rapporto con il governo

“L’esecutivo ha la maggioranza in Parlamento, ma non nel Paese”, argomenta il segretario generale Cgil: “Non metto in discussione il governo eletto, ma quando la metà degli elettori non va a votare, dico che il governo non ha la maggioranza nel Paese e non è autorizzato a mettere in discussione i diritti di lavoratori e pensionati”.

Il governo “va avanti senza ascoltare chi rappresenta la maggioranza del Paese”. Il sindacato, invece, rappresenta “tutti i lavoratori e i pensionati. Quando facciamo accordi, li firmiamo anche per chi vota per questo governo. Ma questo governo, pregiudizialmente, non negozia. Noi vogliamo contrattare secondo un modello democratico, mentre il governo sta cambiando la Costituzione a colpi di maggioranza”.

L’autonomia differenziata

La Cgil è tra i promotori del referendum sull'autonomia differenziata. “La sentenza conferma in parte la nostra contrarietà”, conclude Landini: “Leggeremo le motivazioni e saremo rispettosi delle decisioni della Cassazione, ma andremo a sostenere le nostre ragioni e quelle di 1,3 milioni di firmatari: per noi il referendum resta in piedi perché non vogliamo solo modifiche, ma abrogare questa legge”.

Generico novembre 2024

A tre giorni dalla chiamata alle urne per l’elezione del presidente e dell’Assemblea Legislativa della Regione Emilia-Romagna, Legambiente torna ad appellarsi a coloro che potrebbero sedere, se votati, nei seggi del parlamentino bolognese, allo scopo di far comprendere anzitutto che non si può più perdere tempo per assumere provvedimenti che riportino in carreggiata un territorio che sembra essersi stancato degli esseri umani visti come una sorta di devastatori della natura.

Dopo la presentazione regionale avvenuta a Bologna, il circolo Legambiente Lamone di Faenza ha esposto le proposte per l’agenda della prossima legislatura regionale, invitando gli organi d’informazione, associazioni, cittadini e le persone candidate locali che compongono le varie liste e si presentano alle elezioni regionali di domenica e lunedì prossimi.

Ad illustrare i punti principali delle proposte per la legislatura regionale 2024-2029 raccolte in un documento è stato il direttore regionale Francesco Occhipinti, introdotto da Massimo Sangiorgi, presidente di Legambiente Lamone.

Nella sala delle associazioni “Maria Laura Ziani” nella tarda mattinata di mercoledì 13 novembre si sono presentati diversi candidati all’Assemblea Legislativa della zona di Faenza in rappresentanza degli schieramenti che sostengono i quattro candidati concorrenti alla presidenza: qualcuno non è riuscito ad esserci per motivi di lavoro, mentre i presenti hanno ascoltato in silenzio, perché Legambiente “ai candidati, per una volta, viene chiesto solo di venire ad ascoltare. Peraltro a loro non mancano e non mancheranno le occasioni per esprimersi ed eventualmente tenere conto di queste proposte nella loro attività futura”.

Le lezione delle alluvioni

Il direttore Occhipinti non poteva che partire dalle alluvioni che nel 2023 e nel 2024 hanno martoriato la Romagna in particolare, per la dimensione degli eventi, Faenza e il suo territorio per evidenziare che “il siparietto delle reciproche accuse alimenta solo una rabbia e una disaffezione che non giova a nessuno, mentre quello che deve essere fatto è lavorare di concerto, offrendo ai territori soluzioni credibili e strutturali”.
“Sarà opportuno che chi governerà questa regione – ha sottolineato Occhipinti – si dia come priorità la mitigazione della crisi climatica e l’adattamento agli eventi estremi che purtroppo dovremo affrontare. Per ogni evento si perde tempo per decidere il chi, il come e il quanto, purtroppo dettati più da convenienze politiche contingenti e non già dall’assillo di fare presto e bene”.

Linee guida per il futuro

Il documento che fa da guida alle proposte di Legambiente indirizzate ai prossimi governanti dell’Emilia-Romagna è stato redatto prima delle alluvioni dello scorso autunno, “eventi che purtroppo non hanno fatto altro che elevare le preoccupazioni circa la necessità di fare presto a intervenire, ma soprattutto a smettere di perdere tempo” ha detto il direttore regionale.
Nel documento non mancano le critiche ai vari livelli di governo. “Nessuno è esente da colpe – si legge -. Il Governo nazionale ha accentrato la Struttura Commissariale a Roma, affidandola a chi non conosce la regione né la visita; e ha istituito delle complicatissime procedure per ottenere i risarcimenti, che hanno fatto rinunciare in partenza molte persone. Dall’altra parte, chi ha governato l’Emilia-Romagna negli ultimi decenni ha favorito un’antropizzazione eccessiva: la regione è ogni anno ai primi posti nella classifica ISPRA per il consumo di suolo, che significa maggiore cemento e impossibilità di assorbire acqua, e i fiumi sono stati deviati e costretti in argini artificiali senza spazio per esondare, con interi quartieri al loro fianco, dove non si dovrebbe costruire. Anche gli alberi e la vegetazione spontanea vengono tagliati in nome dell’ordine e della pulizia, privando il terreno delle radici che lo rendono meno franoso”.

Le strade da percorrere

Il direttore regionale ha richiamato le priorità di Legambiente per l’Emilia-Romagna.

Stop agli investimenti sulle fonti fossili, sostegno alle rinnovabili: occorre il coinvolgimento di tutti gli attori del territorio regionale per raggiungere gli obiettivi al 2035; supporto ai processi di formazione dei tecnici della transizione energetica e all’informazione rivolta a cittadini e imprese; assumere l’approccio dell’agroecologia per favorire l’evoluzione dell’attività agricola verso una riduzione degli impatti e dei consumi di acqua; ridurre l’impatto degli allevamenti sul territorio regionale diminuendo il numero di capi allevati e sostenendo forme di allevamento non intensive; promuovere la transizione ecologica nelle diete, attraverso campagne di sensibilizzazione e il coinvolgimento di mense scolastiche; ridurre davvero il consumo di suolo eliminando le deroghe presenti nella legge urbanistica; eliminare gli investimenti sulle grandi opere stradali e investire sulle ferrovie; recuperare l’ambizione nel settore della gestione dei rifiuti sostenendo l’adozione di modelli di conferimento capaci di garantire la qualità delle raccolte differenziate; ampliare la rete delle aree protette e aumentare il riconoscimento del ruolo delle aree naturali; tutelare la costa adriatica dando respiro agli ecosistemi marini e individuando le modalità per garantire la protezione del territorio costiero dall’erosione; promuovere forme di partecipazione reale dei cittadini ai processi decisionali, dando spazio alle persone e alle organizzazioni che desiderano contribuire fattivamente alla transizione ecologica; riduzione dei consumi energetici attraverso investimenti sull’efficienza.

L’attenzione di Legambiente va quindi a una maggiore produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili ma anche al calo dei consumi di energia evitando conseguenti spreco e inquinamento dei luoghi di lavoro e delle abitazioni.

“I nostri edifici vanno riqualificati con uno sforzo ulteriore della Regione – ha evidenziato Occhipinti -. Le industrie si vanno attrezzando, ma serve mettere in campo incentivi per le abitazioni.

Oltre il 70 % degli edifici residenziali è stato costruito prima degli Anni ’90: in essi andranno elettrificati i consumi”.

Per saperne di più è possibile scaricare il documento “Per una regione 100% sostenibile – L’Emilia-Romagna verso il 2030” a questo link: https://www.legambiente.emiliaromagna.it/wp-content/uploads/2024/10/Per-una-regione-100sostenibile_def.pdf; oppure collegarsi al sito https://www.legambientefaenza.it/

Il caso Rapporto Caritas 2024 sulla povertà: gli sconvolgenti risultati prodotti dal governo Meloni

Manifestazione per il reddito di base - Foto LaPresse Manifestazione per il reddito di base - Foto LaPresse

Il governo Meloni ha creato 331 mila famiglie «esodate» dal cosiddetto «reddito di cittadinanza» e ha peggiorato la loro condizione di povertà assoluta. Calcolando un minimo di tre persone a nucleo stiamo parlando di almeno un milione di persone. In pratica è la metà dei beneficiari che fino a poco più di un anno riceveva il «reddito di cittadinanza». Tutti colpiti dall’odio dei poveri.

Questo è il bilancio fatto dal nuovo Rapporto 2024 sulla povertà della Caritas pubblicato ieri. Nessuna famiglia è riuscita ad accedere all’«assegno di inclusione», o al «sussidio di formazione e lavoro», cioè le misure che teoricamente avrebbero dovuto sostituire il già malconcepito, e peggio realizzato, sussidio voluto dai Cinque Stelle e dalla Lega nel 2018 e rinominato a partire dal 2024.

Secondo la Caritas sui 331 mila nuclei familiari il 57% non ha presentato domanda e il 43% ha visto la propria richiesta respinta. Le categorie più penalizzate nel passaggio dal «reddito di cittadinanza» all’«assegno di inclusione» per i poveri assoluti giudicati inassimilabili dal mercato del lavoro o al «sussidio per la formazione e lavoro» riservato solo ai poveri ritenuti «occupabili» sono «nuclei monocomponenti», cioè single probabilmente giovani, in particolare residenti al Nord o in affitto. In pratica i soggetti più vulnerabili, e giovani, sono stati esclusi dall’assegno di inclusione. Perché, come spesso è stato detto dagli ideologi al governo, sarebbero capaci da soli di trovarsi un lavoro e dunque potenzialmente ritenuti «colpevoli» di essere «scrocconi». Si tratta dell’insulto più infamante partorito dalla torbida storia del Workfare che è stata importata in Italia già con il «reddito di cittadinanza» ed è servita al governo Meloni per escludere del tutto centinaia di migliaia di persone.

Sembrerebbe che, in quanto capaci di lavorare, gli esclusi dall’assegno di inclusione abbiano preso il ben più basso (350 euro) e restrittivo (ci vuole un Isee inferiore a 6 mila euro annui) «sussidio per la formazione e lavoro». La Caritas conferma che anche questo sussidio è stato fallimentare. Su oltre 212 mila nuclei idonei a ricevere quest’altro sussidio – si legge a pagina 183 del rapporto – non hanno invece presentato alcuna domanda. Sono più del 50% del totale. Dato che il governo non intende dare dati a tale proposito l’interpretazione di questo dato inquietante è complessa. L’Inps, e dunque il governo, suggerisce che il numero ridotto di beneficiari potrebbe essere legato alla congiuntura economica favorevole.
C’è anche un’altra spiegazione che non viene presa in considerazione: l’estrema rigidità dei parametri è stata concepita per escludere il numero più alto possibile di persone con il chiaro intento punitivo ed escludente. Dunque, cresce il lavoro povero e si nega ogni forma di tutela universale.

Interessante è la mappatura dell’assegno di inclusione. C’è una maggiore incidenza nel Sud Italia, fino al 10% in regioni come Sicilia, Calabria, Campania. E di meno del 4% nelle regioni settentrionali, dove però la povertà è in aumento. Tanto più cresce, tanto più si punisce. Questa è la logica. I più colpiti sono i senza dimora, le vittime di tratta, gli ex detenuti. Per loro accedere all’assegno di inclusione è quasi impossibili a causa di un iter di accesso proibitivo.

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Il reddito è di base

La Caritas chiede di ripristinare un sistema di supporto universale e continuativo contro la povertà. Tale sistema non è mai esistito con il «reddito di cittadinanza». Le condizioni di accesso erano più ampie ma non ha coperto la povertà assoluta e ha escluso milioni di persone. Un sostegno universale passa dall’abolizione delle condizionalità, da un allentamento radicale della selettività dei sussidi e da una rivoluzione dello Stato sociale. Condizioni difficili da realizzare nella torsione sciovinista del Welfare in corso con il governo Meloni