Professor Leonardo Becchetti, docente di Economia politica a Roma Tor Vergara, il governo taglia 16 miliardi del Pnrr di progetti su riqualificazione urbana e dissesto idrogeologico proprio nei giorni in cui il cambiamento climatico mostra la sua accelerazione da Milano a Palermo.
Stralciare i fondi sul rischio idrogeologico proprio due giorni dopo aver annunciato un piano del governo su questo tema è senza senso. È sempre stato un tallone d’Achille del nostro paese e siamo già in grave ritardo. Ora che le risorse finalmente c’erano e che molti comuni avevano presentato progetti importanti, ritardare gli investimenti è grave. Oltre ai fondi sulla rigenerazione urbana, sottolineerei anche il taglio del miliardo per l’utilizzo dell’idrogeno che è fondamentale per esempio per convertire l’acciaieria a Taranto.
Le modifiche decise nella cabina di regia coordinata dal ministro Fitto hanno anche riesumato l’Ecobonus dopo la cancellazione del Superbonus.
Io ho sempre sostenuto che cancellare il Superbonus era una follia: prima abbiamo fatto avanti tutta dando il credito d’imposta a tutti e poi lo abbiamo abolito completamente. Bastava fissare un tetto di spesa massima per favorire le famiglie meno abbienti. Ora, utilizzando i fondi Repower Eu, il governo fa un passo indietro e penso sia giusto. In più viene ripresa la proposta fatta con un Cna di un credito di imposta da 1,5 miliardi per le imprese da utilizzare sull’energia: è l’unico modo per favorire l’utilizzo delle fonti rinnovabili. Su questo fronte è vergognoso che da un anno e due mesi non ci sia ancora il decreto attuativo sulle comunità energetiche che consentirebbe ai piccoli comuni di produrre energia e utilizzarla in loco. In questo modo si bloccano 2,2 miliardi confermati nel Pnrr. Anche se in questo caso il ritardo è più del governo Draghi.
Sul fronte dell’energia non crede che lo spostamento di risorse sia una delega in bianco a Eni e Enel per spendere fondi senza controllo?
Il problema è cosa fanno le grandi aziende. Il rischio c’è forse per Eni che deve essere riconvertita alla transizione dal fossile producendo colonnine elettriche e facendo vera chimica verde. Per Terna invece penso che le risorse messe a disposizione siano necessarie per migliorare la rete: è l’azienda che dovrà gestire il passaggio all’elettrico. Pensi che ormai ci sono un milione e mezzo di italiani che producono energia e la mettono in rete: l’infrastruttura deve essere all’altezza. Su Enel invece va proseguita la svolta fatta negli ultimi anni da Starace, puntando sul solare e sull’eolico off-shore, sbloccando le procedure sui tanti progetti presentati. In Italia invece abbiamo aziende che propongono agli agricoltori di affittare i campi per metterci pannelli fotovoltaici, una vera follia. Serve governare il processo.
Ma il governo Meloni non lo sta facendo. Anzi. Fa il contrario: De Scalzi è il vero ministro dell’Ambiente.
Tutto il mondo va verso la transizione, verso la fine dell’energia fossile. È un processo irreversibile, ci sarà di sicuro una accelerazione nei prossimi anni.
Lei è uno fra i pochi economisti ad aver firmato l’appello contro il negazionismo climatico. Non pensa che la sua categoria sia molto retrograda?
Sto preparando un altro appello con 30 colleghi. Io penso che il 70 per cento degli economisti italiani sia sintonizzato sul cambiamento climatico. Ma facciamo fatica a manifestarlo. La battaglia per la democrazia energetica con la rivoluzione che parte dal basso con le comunità energetiche alla fine avrà la meglio.
Non sarà troppo ottimista? Nel settore dall’auto la battaglia contro la direttiva Euro 7 e la richiesta di posticipare lo stop ai motori endotermici dopo il 2035 sembra vincente e il governo Meloni l’appoggia.
Sulle auto il processo verso l’elettrico è segnato. Già oggi il costo d’uso a 5 anni fra un auto elettrica e una a fossile è uguale. Fra pochi anni si produrranno auto elettriche utilitarie a prezzi sempre più bassi. E anche sul fronte occupazionale si stanno creando nuove filiere per i componenti. Serve però puntare sulla formazione dei lavoratori.
Il governo Meloni però è pieno di negazionisti climatici così come il mondo dei media.
I negazionisti sono molto meno di quanto appaiono in televisione e sui social, dove però spiccano i contrari che come i no vax e i no euro sono minoranze dell’1 per cento. Come dimostra il dimezzamento dei voti a Vox in Spagna, le prossime elezioni le vincerà sempre di più chi avrà la ricetta migliore sul clima per convincere le giovani generazion