Legge elettorale . Il Pd sembra tener fermo il rifiuto delle coalizioni e il mantenimento della soglia del 40% per l’assegnazione di un eventuale premio. Da una parte, è una scelta obbligata, perché non è in grado oggi di costruire una qualche coalizione; dall’altra, la soglia al 40% si presta a una campagna elettorale giocata tutta sul “voto utile” e sulla contrapposizione sistema/anti-sistema
Ottenuta la sua reinvestitura plebiscitaria, Matteo Renzi ha provato a scaricare sull’«accozzaglia» del No la colpa dell’impasse attuale sulla legge elettorale.
Sconcertante e demagogico, ma anche un gioco fin troppo scoperto: Matteo Renzi vuole solo far passare il tempo.
Perché pensa che il quadro attuale emerso dalle sentenze della Consulta, con alcuni minimi aggiustamenti da apportare in extremis, sia in fondo la soluzione per lui più conveniente. Dal punto di vista strategico, i punti cruciali sono due: le coalizioni, si introducono anche alla Camera o si eliminano anche al Senato? E che cosa si intende quando si proclama di voler conservare un qualche “correttivo maggioritario”?
Il Pd sembra tener fermo il rifiuto delle coalizioni e il mantenimento della soglia del 40% per l’assegnazione di un eventuale premio. Quale è la logica politica di questa posizione? Da una parte, è una scelta obbligata, perché il Pd non è in grado oggi di costruire una qualche coalizione; dall’altra, la soglia al 40% (e in ciò vi è una convergenza con il M5S) si presta ad una campagna elettorale giocata tutta sul “voto utile” e sulla contrapposizione sistema/anti-sistema. Un modo per forzare una dialettica bipolare su un terreno che non riflette in alcun modo la reale articolazione delle forze in campo.
È una scelta strategica insidiosa, ma che può anche essere smascherata di fronte agli elettori, se non altro per la scarsa probabilità che una singola lista possa toccare quella soglia. Se così sarà, il sistema diviene a pieno titolo proporzionale (salvo gli effetti delle soglie di sbarramento) e non vi è alcuna necessità di sottoscrivere alleanze o patti preventivi: ogni forza si presenta autonomamente agli elettori, chiederà consensi per rappresentare le proprie idee; ma sarà anche inevitabilmente costretta a dichiarare se e come metterà in gioco la propria forza nella futura dialettica parlamentare, in vista della formazione di una maggioranza di governo.
Se lo scenario più probabile è questo, cosa ne deriva per le possibili opzioni strategiche delle varie forze che si muovono a sinistra del Pd? In primo luogo, perde ogni immediata rilevanza la discussione lacerante sui rapporti con il Pd: compito della sinistra sarà quello di presentare agli elettori una proposta credibile, autonoma, che si ponga apertamente l’obiettivo di pesare nei futuri equilibri di governo, sulla base della forza che gli elettori le concederanno, senza auto-confinamenti in una “ridotta” minoritaria.
Anche con un sistema proporzionale, è bene ricordare, funziona – eccome! – il “voto utile”: ed è utile un voto percepito come un voto che “conta” e non rischia di essere sprecato. Pisapia, Bersani e molti altri continuano a parlare di un “centrosinistra largo e plurale”: si può essere d’accordo, se con ciò si intende la costruzione di uno schieramento ampio, che vada oltre le sigle attuali e, ad esempio, valorizzi le coalizioni civiche emerse in molte città o le energie emerse durante il referendum. Ma perché parlare ancora di un “centrosinistra”?
Non ci si può nascondere che il termine è oramai logoro, evoca stagioni passate e si rivela in sé poco mobilitante. Piuttosto, perché non dire e proporsi di voler ricostruire, semplicemente (si fa per dire…) una “sinistra”? Di ridare voce e rappresentanza a tante energie oggi disperse e silenziose, rivolgendosi, ad esempio, anche a quelle centinaia di migliaia di elettori che non si sono più sentiti coinvolti nelle primarie del Pd?
Su questa base, il problema del rapporto con il Pd non può certo essere eluso, ma si potrà porre su basi molto più concrete (ma così pure anche quello del rapporto con il M5S), sulla base cioè dei rapporti di forza che emergeranno dal voto e dal conseguente livello di mediazione programmatica (più o meno accettabile) che sarà possibile perseguire. E non si possono astrattamente, oggi, prefigurare i possibili scenari. Ad esempio, per quanto Renzi continui imperterrito con la sua sempre più stanca narrazione e scalpiti per il suo ritorno a Palazzo Chigi, l’identificazione tra segretario e “premier” è tutt’altro che scontata, nelle condizioni che potranno emergere dal voto.
In ogni caso, ciò che conta è l’avvio di una ricostruzione della sinistra nel nostro paese. E il primo passo, evidentemente, sarà quello di costruire una lista unitaria a sinistra, e non solo per evitare la tagliola degli sbarramenti. Sembra che questa consapevolezza si stia facendo strada: presentarsi con tre o quattro liste a sinistra sarebbe soltanto suicida. Ma se è così, urge un’iniziativa politica, e in tempi brevi, evitando operazioni affrettate alla vigilia delle elezioni. Ci sono certo differenze programmatiche, e storie diverse alle spalle; ma è proprio così difficile trovare una base comune? Ed è davvero produttivo dedicarsi alla sistematica ricerca delle altrui incoerenze, passate o presenti? E chi può dire, poi, di esserne immune? Insomma, occorre muoversi: si ha l’impressione che tutti stiano a guardare le mosse degli altri: ma occorre lanciare la volata, e al più presto.
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Da questo Blog http://www.ribblog.it/416955755 abbiamo ritrovato questa intervista a Tiziano Dalpozzo, vogliamo ricordarlo anche così: un uomo di sinistra, profondamente innamorato della sua professione, ma fortemente sensibile alle questioni sociali.
Ciao Tiziano, sei riuscito a fare l'architetto, ma non solo !
Tiziano Dalpozzo, Architetto: che cosa metti tu nel tuo lavoro che ti distingue dai tuoi colleghi?
E' difficile mettere qualcosa che distingua. Sostanzialmente sono scelte culturali di fondo diverse rispetto alla maggioranza. Anzitutto la conoscenza del passato (prima delle avanguardie del '900) e la profonda convinzione della sua attualità. La conoscenza del passato consente di capire il profondo matrimonio che l'architettura del passato ha costruito con la natura. Un esempio in questo senso è La Cavallina di Brisighella, un complesso albergo, piscina, ristorante che molti ritengono preesistente al mio intervento. In realtà è completamente nuovo ma copiato dalla Brisighella antica arrampicata sui declivi delle colline con piccoli edifici, slarghi, scale, gradinate, sentieri tra gli alberi. Un secondo esempio è Casa Solaroli a Faenza, in cui si sono copiate la continuità muraria dei fabbricati (sono 2 ma sembrano uno solo), la corte interna ricchezza spaziale espribile in ogni centro storico europeo, il giardino al piano interrato di derivazione nordafricana da "Bulla Regia" (Egitto) sino ad oggi, come strumento di ricchezza spaziale e rapporto con l'ambiente (risparmio energetico, ecologico, ecc.). La casa come privatezza e protezione dagli sguardi atrui in completa contrapposizione con le facciate di vetro (Le Corbusier, Mies van de Rohe...) sempre a casa degli altri.
C'è grande confusione nel pubblico tra il ruolo di Geometra, Ingegnere e Architetto. Perché hai scelto di diventare proprio architetto e non altro? che cosa ti permette di fare e di essere, questo titolo?
La confusione è anzitutto legislativa, la Legge non distingue adeguatamente le competenze creando grande confusione e distruzione della qualità che ci ha distinto in passato. Tutti dimenticano che i grandi architetti italiani raggiungono il successo all'estero e operano all'estero. Poi in Italia si chiama un ingegnere ferroviario per fare un ponte (impraticabile con la pioggia) a Venezia senza che questi abbia visto il Ponte di Rialto (con le botteghe sopra) o il Ponte dei Sospiri (per condurre i carcerati in galera) fatti di pietra, marmo, mattoni e soprattutto di PROSPETTI. Come e perchè ne ricordiamo l'immagine? Volevo e vorrei fare l'architetto ossia colui che - cosciente del contesto - realizza l'immagine visibile, tattile, materica della costruzione da Vivere, città compresa. Il titolo, in sè non mi permette nulla di più e nulla di meno di quello che permette ad un ingegnere meccanico.
Sei un romagnolo che lavora in tutto il mondo. Quando lavori fuori dalla tua terra, porti in te, nei tuoi lavori, nei tuoi progetti, la tua "Romagnolità"?
La mia romagnolità (e italianità) la porto sempre con me e non me ne separo, sono le mie profonde radici culturali ed architettoniche. La casa come protezione e riparo, citata prima, riguarda la mia romagnolità, profondamente diversa da altri paesi anche europei. Potrei fare molti esempi. Quando mi è capitato di progettare un Caffè in una piazza Russa ho riportato elementi italiani (in quel caso anche le vetrate) ma soprattutto il concetto spaziale di caffè, luogo socializzante, luogo di incontro, marmi, luci espressive anche da spente. A maggior ragione in progetti più complessi: nel progetto di un villaggio turistico a Gruia (Romania) la memoria di Piazza Nuova (Bagnacavallo) e del Pavaglione (Lugo) con portici interni, con spazio all'aperto/ interno si sono trasferiti al luogo di incontro per antonomasia del villaggio: i bagni.
Innestati in qualche caso con elementi derivati dai luoghi : le memorie formali dei quartieri zingari di Bucarest o delle porte a tarsie lignee a Seoul.
Esiste uno stile architettonico Romagnolo?
Oggi è molto difficile, se non impossibile stabilirlo. Esistono alcuni (pochissimi) elementi urbani già citati (Piazza Nuova e il Pavaglione). G li elementi architettonici più tipici sono (erano) esclusivamente legati alle tipologie rurali, indagate a suo tempo da L. Gambi. Ma non è mai esistita una ricchezza locale che abbia creto un segno uno stile architettonico. Si Possono ricordare 3 momenti importanti il Neoclassicismo faentino attorno al 1.800 con G. Pistocchi e P. Tomba importante ma congiuntamente - propaggine del neoclassicismo europeo, l'architettura fascista di Forlì e Predappio degli anni'30 el'architettura balneare degli anni '60 nei paesi della costa. Su quest'ultima (per quanto resta) sarebbe opportuno studiarla ed esaminarla a fondo. La ricchezza improvvisa, la novità delle tipologie soprattutto la piccola pensione/ il piccolo albergo, la novità di alcuni materiali (il mosaico colorato e polimorfo da rivestimento), la relazione stretta con alcune espressività artistiche hanno consentito la nascita di numerose architetture - sconnesse tra di loro - di notevole valenza ed originalità formale. Purtroppo disdegante nel tempo sono state quasi completamente distrutte dal rinnovo. Curiosamente si può ricordare come esempio l' Hotel della città di Forlì, con il complesso edilizio adiacente di Giò Ponti che nulla aveva a che fare con la Romagna e la balneazione ma moltissimo con l'italianità .
Ed esiste uno stereotipo di cliente/committente Romagnolo?
Lo stereotipo forse coincide con l'uomo che si è fatto da sè che da artigiano si è trasformato con le sue capacità in imprenditore ed industriale o con la persona che coi risparmi ed i sacrifici di una vita raggiunge l'obiettivo di realizzare la casa dei sogni. la casa dei sogni coincide con la casa dei fumetti disneiani o con lo stereotipo (cornicione e caminetto) immaginato l'uno come definizione del volume e protezione dell'edificio, l'altro come luogo del calore, dell'incontro, della sicurezza ancestrale. Nessuno dei 2 ha a che fare con la realtà di una residenza contemporanea. persino nei film (grande immaginario collettivo) si vede mai un caminetto alimentato a legna. Sono tutti finti ed alimentati dal gas, ben nascosto. L'inesistenza del committente va di pari passo con l'inesistenza dell'architettura. In TUTTE le città della Romagna girnadole per tutte le periferie (quegli spazi che vanno dalla fine del centro storico (1940) ad oggi (2015) si rileva la TOTALE assenza di episodi urbani. Rilevare una architettura è una vera eccezione.
Puoi parlarci di tre opere da te realizzate che ti descrivano, ti raccontino?
In tutti e 3 i casi che cito si è riusciti ad instaurare un rapporto inusuale con la Committenza:
in Casa Solaroli (Faenza) si è instaurato un rarissimo rapporto di fiducia - anzitutto professionale - che ha consentito di attivare una dialettica felicemente procreativa. L'architettura è partita dalle esigenze profonde e minute della Committenza, accuratamente analizzate e trasferite dapprima sulla carta poi nei muri. Poi dall'analisi del sito e delle condizioni ambientali. L'orientamento ha determinato la creazione di uno spesso muro curvilineo a Nord per proteggere dal freddo. Su un lato del fabbricato si era a stretto contatto con un vicinato che distruggeva di fatto ogni privatezza e ci si è contrapposti con un lungo ed ininterrotto muro rosso di protezione. L'edificio si è poi aperto all'esterno con terrazze, finestre e vetrate tradizionali e portici in vetro e muratura sulle 2 prospettive "libere". Si è quindi, coscientemente realizzata una architettura "schizofrenica" con 3 tipi di facciate completamente diverse l'una dall'altra che, da un lato sanciva lo stato di fatto esistente e determinato dai muri edificati, dall'altro una stretto rapporto con l'operare della storia. E' sufficiente guardare la facciata di una chiesa o di un palazzo per verificare che la facciata di ingresso sul corso è completamente diversa dalla facciata sul vicolo per l'ingresso di servizio.
La cavallina (Brisighella), La Cavallina è una ex-stazione di posta a Brisighella di cui ho seguito in un complesso lavoro di restauro e costruzione ex-novo la realizzazione di un ristorante, di un piccolo albergo, di un parco e di una piscina. L'intervento ha tenuto conto del sito, costruendo in stretta aderenza alle curve di livello. Dalla strada di accesso si intravedono i 2 piani della casa; in realtà il complesso si articola su di un dislivello reale di 8 piani complessivi. Sul posto, durante i lavori sono state ritrovate numerose sorgenti che sono state accuratamente restaurate. In un alla del fabbricato, sorta sopra una sorgente si è copiata una finestra "termale" romana. Nei reperti si sono trovati anche i cosidetti "mattoni romani" con apposito incasso per le mani. Sono state realizzate fontane, pergolati, passeggiate sentieri da cui si accede alle stanze ed ai vari servizi del complesso, copiando la struttura preesistente del paese abbarbicata sotto i 3 colli.
Casa Togni, Forlì. Questa casa è stata pubblicata in una rivista di architettura col titolo "Una casa forlivese". L'elaborazione del progetto è partita dalla rilettura della facciata del Duomo di Forlì con l'obiettivo di costruire (in periferia) una sacralità ed una iconografia perduta all'edificio. I temi dell'architettura storica e dell'Andrea Palladio di Villa Almerico sottostanno alla ricerca iconografica, nel tentativo di ridare dignità all'edilizia residenziale. La ricerca locale si è affiancata alle ricerche su temi profondamente disdegnati dalla cultura accademica italiana (che vive di insegnamento e non di architettura) come quelle di Robert Stern nella Casa Lang e Robert Venturi a Chestnut Hill.
Che cosa ti aspetti dalla tua carriera nel prossimo futuro?
R. Spero di poter fare l'architetto.
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A tutti è capitato di vedere qualche volta alla televisione una elegante pubblicità dei supermercati Conad. Il filmato chiude mentre in sottofondo una voce, con tono pacato e rassicurante, recita: Persone oltre le cose.
Si vuole evidentemente sottolineare come, nella loro filosofia di vendita, siano in realtà prioritari e determinanti soprattutto i rapporti umani e non le cose che commerciano. Si parla quindi di etica. Tutto molto bello ed edificante, appunto; peccato che usciti dalla fiction le situazioni sembrino andare un po’ diversamente.
Abbiamo scritto e letto molto in queste settimane della questione Arena Borghesi di Faenza che rischia di venire irrimediabilmente deturpata proprio da un supermercato Conad e da quell’intreccio di interessi poco chiari anche a causa, ad oggi, delle mancate o non complete risposte degli amministratori comunali, tanto che si legge di singolari donazioni e Case della salute che vengono, contro ogni logica, spostate dove, forse, non dovrebbero stare. Tutto questo proprio contro i bisogni reali delle persone.
E la famosa etica?
Ora si apprende dai giornali, che a Lugo c’è un progetto per la costruzione di un mega complesso commerciale Conad, che si farà, naturalmente, sempre in barba alle proteste (già in atto) di quei rompiscatole dei cittadini e che vedrà al suo interno collocata la famosa Casa della salute di quella città. E’ singolare che dalle nostre parti le Case della salute, come avessero una calamita, finiscano sempre per essere misteriosamente attratte da un Conad.
Sempre e solo coincidenze?
E poi diciamolo, pare francamente incomprensibile continuare a spingere sul modello di sviluppo commerciale fatto di mega aggregati omni-comprensivi. Modulo che appare ormai sempre più in crisi e inattuale persino in America, loro patria di origine e dove si registra una inversione di tendenza. Baracconi che sembrano voler inglobare tutti i bisogni dei cittadini. Anche le future prestazioni sanitarie?
E’ comprensibile, certo, che un privato decida di investire e si voglia allargare: possiamo non solo dire che ne ha la facoltà, ma sappiamo anche bene che a volte questo è addirittura un segno di benessere per tutta la comunità. Magari ci permettiamo solo di suggerirgli coerenza con i suoi giusti principi etici, che tutti noi condividiamo. Quello che si chiede invece alle amministrazioni pubbliche è che facciano veramente la parte di garanti dei cittadini: ascoltino chi esprime dubbi o dissenso, e nelle decisioni da prendere non prevalga sempre e solo la convenienza economica spicciola, ma un minimo di progetto e idea di futuro, proprio come sembra suggerirci la bella pubblicità del Conad: prima le persone, poi le cose.
Commenta (0 Commenti)Continuiamo la pubblicazione di interventi per sollecitare una riflessione sulle prospettive della sinistra, tra le varie forze organizzate, ma anche, e soprattutto, tra le persone che si sentono coinvolte in questo campo.
Pubblichiamo alcuni stralci del documento conclusivo del recente congresso di Rifondazione Comunista (il testo completo è scaricabile QUI)
Il X Congresso Nazionale del Partito della Rifondazione Comunista – Sinistra Europea ... impegna tutto il partito nell’attuazione degli indirizzi e degli obiettivi democraticamente assunti.
...
La battaglia delle idee, l’analisi e l’inchiesta, l’internità nei movimenti e nelle lotte, l’impegno per lo sviluppo e la ricomposizione dei conflitti sociali sui luoghi di lavoro e sul territorio, le pratiche del partito sociale, il mutualismo e la solidarietà sono gli assi di lavoro principale su cui imperniare la ridefinizione del ruolo ed il rafforzamento culturale, politico ed organizzativo di un partito che supera una visione incentrata sulla presentazione del proprio simbolo alle elezioni. Per costruire un blocco sociale alternativo è necessario che la lotta ideologica, politica e sociale si accompagni alla risposta concreta ai bisogni materiali delle classi subalterne qui ed ora. Occorre quindi sviluppare il partito sociale e operare per costruire “comuni solidali” che sul territorio diventino punto di ricomposizione sociale e di ostacolo concreto alle guerre tra i poveri.
La gravità della crisi sociale, le conseguenze delle politiche neoliberiste e dell’austerità, la stessa degenerazione del sistema politico ci impongono di continuare a lavorare per superare l’attuale frammentazione della sinistra sociale e politica.
La vittoria nel referendum in difesa della Costituzione ci indica il dovere di non disperdere un risultato storico. La disponibilità di energie, intelligenze e passione civile e il malcontento nei confronti delle politiche liberiste del governo Renzi che si sono manifestati nella campagna e nel voto popolare rischiano di non incrociare una proposta politica credibile della sinistra.
Rilanciamo con forza la nostra proposta di costruzione di un soggetto unitario della sinistra antiliberista che raccolga il complesso delle forze sociali, culturali e politiche che si pongono sul terreno dell’alternativa alle politiche liberiste, dunque alternativo al PD ed ai socialisti europei. Insistiamo sulla necessità di andare oltre le forme delle aggregazioni unitarie elettorali perché una proposta per essere credibile deve avere le caratteristiche di processo democratico e partecipato che coinvolga da protagonista la stragrande maggioranza delle persone di sinistra e attive nei movimenti sociali che oggi non militano in nessun partito. La definizione di un programma dell’alternativa e un profilo di netta rottura sul piano della collocazione politica quanto dei comportamenti e della questione morale rispetto a una classe dirigente sempre più delegittimata sono altresì fondamentali.
Continuiamo a lavorare in questa direzione valorizzando tutti i percorsi unitari sin qui costruiti, a partire dalle esperienze già sperimentate nei territori e dall’iniziativa della rete delle “città in comune” con l’obiettivo di dar vita ad un processo di aggregazione.
Invitiamo le altre formazioni della sinistra di alternativa a intraprendere con determinazione un percorso che vada oltre l’ottica della mera lista unitaria e a condividere un progetto che vada oltre il perimetro degli attuali partiti senza chiedere a nessuno di sciogliersi.
Unire le lotte e unire le formazioni politiche esistenti sono due obiettivi fondamentali in questa fase se non vogliamo che la crisi sociale continui a tradursi nella crescita di spinte razziste, xenofobe e pericolose per la democrazia, se vogliamo contrastare efficacemente le politiche di privatizzazione, precarizzazione del lavoro, smantellamento del welfare e saccheggio dei beni comuni.
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Qualcuno ha scritto che se l'Italia non affonda mai è merito della sua provincia sempre piena di risorse e fantasia. Sulle immaginifiche peculiarità dei furbi provinciali si sono scritti fiumi di inchiostro. Chi non ricorda, ad esempio i sensali, astuti villani, che una volta calcavano le nostre piazze, capaci tra una madonna e l'altra di strappare contratti e affari di ogni genere. Seguiti a ruota dai fattori, sempre col cappello ben piantato in testa a testimoniare una solida autorità. Arguzia e scaltrezza messe in evidenza anche dalla commedia dell'arte con Brighella o il famoso Bertoldo dalle scarpe grosse e dal cervello fino.
Giuseppe Prezzolini nel 1921 scrisse la lapidaria frase: i furbi non usano mai parole chiare. I fessi qualche volta.
Ebbene, alla storia dei furbi e dei fessi abbiamo pensato immediatamente in questi giorni, apprendendo dai giornali che l’AUSL ha messo all’asta l'intera area su cui si trova l’Arena Borghesi di Faenza. Anzi, c’è molto di più, perché i giornali danno per scontato che sarà acquisita dal supermercato Conad, mentre lo stesso assessore Isola, intervistato, si dice sicuro che poi l'Arena sarà regalata al Comune.
Io non so se in questa strampalata vicenda ci sono dei furbi o c’è qualcuno che cerca di farlo, ma come domandano Legambiente e Italia Nostra in un loro comunicato e come hanno spiegato nella conferenza stampa di martedì 18 aprile (domande e osservazioni sul RUE che è bene dirlo, non hanno mai avuto risposte, mentre va segnalato che, seppur con un linguaggio criptico, le hanno prontamente avute quelle fatte dalla rappresentanza legale del Conad ), si chiede innanzitutto come può l’AUSL fare una cosa simile in presenza di un accordo di programma col Comune, accordo del 2013 che prevede un percorso preciso e nettamente diverso nella gestione dell’Arena Borghesi? Ancora più strana pare l’ipotesi sicura che l’acquirente sarà Conad Arena, naturalmente con l’implicita concessione del contestato ampliamento a favore del supermercato, ampliamento che è bene ripetere prevede il taglio di un quinto dell’intera area. Dobbiamo pensare forse che non si tratta di un’asta libera? Perché se è tale, come si può sapere in anticipo chi vincerà? E perché, ci si domanda, se anche l’operazione dovesse riuscire, il supermercato dovrebbe regalare tutto al Comune? Non risulta da nessuna parte che Conad si sia espresso pubblicamente in questo senso. E se anche fosse, oltre a tenere per sé un quinto dell'attuale area per allargare il supermercato, vorrebbe altri vantaggi?
Come si vede non ci sono parole chiare in tutta questa vicenda, che pare essere una stranezza di inizio estate, se non fosse che però di nuovo ruotano attorno ad un supermercato Conad, come la collocazione della discussa e sempre più contestata Casa della salute sistemata inopinatamente negli edifici del Conad Filanda. Tutto casuale?
Scrivevo prima che in questa storia non sappiamo se ci sono presunti furbi, ma sicuramente ci sono cittadini che si sentono fessi. Sono tutte quelle persone che in questi mesi sono coinvolte per discutere e mettere a punto il D.P.Q.U, ovvero il documento per la qualità urbana del Comune di Faenza. Persone e associazioni coinvolte dietro lo slogan: disegniamo assieme la città e che già si sono espresse contro l’ampliamento del supermercato e il taglio delle piante dell’Arena. Da una parte quindi si chiamano i cittadini a collaborare per migliorare e riqualificare le aree sensibili della nostra città e poi dall’altra si progettano o si fanno accordi sotto banco che vanno in direzione contraria?
Due parole sul D.P.Q.U. è bene spenderle, per rimarcare la giustezza della intuizione di Prezzolini. Una volta si sarebbe chiamato semplicemente Piano Regolatore e stabiliva, in sostanza, come e dove costruire nuovi edifici e case. Semplice, no? Una volta era così, tutto meno complicato, anche perché le cose venivano chiamate col loro nome: il cemento era cemento, l'aria in città era semplicemente aria, non: miscela eterogenea di gas e particelle. Chi puliva le strade era lo stradino, non l'operatore ecologico, e si potrebbe continuare quasi all'infinito.
Piano Regolatore. Due parole semplici, tutto sommato comprensibili e tranquillizzanti. Una volta, forse, oggi le cose sono così tanto cambiate che solo a nominarle quelle due pacate parole farebbero saltare sulla sedia tutti gli ambientalisti e brindare con bottiglie di champagne tutti i costruttori edilizi. Uno sconquasso da evitare.
Come cantava il Bob del Nobel, i tempi sono cambiati e i nostri furbi provinciali, che questo l'hanno capito benissimo, cosa ti tirano fuori dal cappello? Il D.P.Q.U. appunto, un immaginifico pamphlet pieno di grafici, che ha come sottotitolo frasi fulminanti e funamboliche come: sintesi tra opportunità e necessità, oppure: rigenerazione della città, superamento del dualismo tra pianificazione e la programmazione. Ma poi non si accontentano e sempre per favorire la chiarezza si spingono al: Do nothing, Do minimum, Do something. E chiudono il tutto con termini chiaramente di ispirazione dialettale come: Layers, swot, blueprint e sistema smart, tutto chiaro,vero?
Altro che provincia, qui siamo al marinettismo, al futurismo balneare, o più semplicemente al Totò
che vendeva il Colosseo. Ed eccoci tornati al punto di partenza: la spiacevole sensazione che sotto tutto questo fumo ci sia qualcosa di poco chiaro, magari interessi e favori che alla fine vanno in direzione opposta agli interessi veri dei faentini. E’ bene ripeterlo: l’Arena Borghesi è dei faentini e se ci sono interventi da fare è per una sua vera riqualificazione, che non può passare certo da una svendita o da una cementificazione. L’Arena è il nostro Colosseo e visto come vanno le cose il riferimento a Totò sembra più di una battuta.
Purtroppo non siamo in un film all’italiana e non c’è nemmeno tanto da sorridere, dietro allo swot e alle stravaganze lessicali non si nasconde una commedia, ma una tragica realtà.
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Vorrei mettere al centro un punto che mi pare sottovalutato, ma che per chi fa politica è decisivo: le scelte di tattica politica.
Giustissimo dire che occorre da un lato avere contenuti programmatici corretti (diritti del lavoro, servizi pubblici non tagliati, ecc ecc), dall’altro ritornare nel sociale per radicarsi.
Giustissimo! Ma non basta.
Se un veterano come me si volta indietro e si interroga sui fallimenti della sinistra, si rende conto che il fallimento non ha riguardato i contenuti programmatici, né (almeno in certi periodi) il radicamento sociale.
Gli errori gravi sono stati nella strategia e nella tattica politica. È qui che abbiamo fatto errori enormi, spesso addirittura non avevamo nessuna tattica politica, perché non ci rendevamo proprio conto che una forza politica DEVE avere strategia e tattica. È questo che la differenzia dai movimenti sociali, dalle associazioni ecc: queste hanno radicamento sociale, ma non si pongono al livello politico-istituzionale. E non basta avere programmi giusti: una forza politica NON è un centro studi, un collettivo di “intellettuali organici” (per dirla con Gramsci).
Una forza politica DEVE portare a livello politico-istituzionale i suoi programmi e il suo radicamento.
Fra l’altro, per radicarsi nel sociale occorrono militanti (attivisti) molto motivati e numerosi. Se non sei credibile quanto a strategia e tattica, non troverai attivisti numerosi e motivati.
Quale deve essere oggi la strategia?
Il “campo progressista” di Pisapia si dà come strategia il revival del centro-sinistra. Ma da un lato il centro-sinistra ha fallito perché incapace di opporsi al neo-liberismo (distruttore di diritti sociale e di servizi pubblici universalistici). Dall’altro basta chiedersi: col PD di Renzi (quello che distrugge i diritti del lavoro e la sanità pubblica con le mutue corporative e il “welfare aziendale” -che ovviamente non sono per tutti-) che centro-sinistra si può fare?
Fra l’altro il “campo progressista” dovrebbe interrogarsi su un fatto semplicissimo: se avesse vinto il SÍ al referendum, in che situazione ci troveremmo ora? Saremmo sotto la cappa di piombo di un ducetto autoritario e delle sue politiche tutte filo-Confindustria!
Occorre una strategia altra dal centro-sinistra e, almeno, puntare alla costruzione di un quarto polo decisamente di sinistra. Che sappia recuperare elettorato di sinistra dall’astensionismo e dal M5S.
Qual è la tattica giusta verso la costruzione del quarto polo?
Io sono di Sinistra Italiana. Noi speravamo che SI fosse il centro di attrazione di questo polo. Ma SI nasce con il pesantissimo handicap in partenza di una scissione anticipata. Questo ha chiare ripercussioni pesantemente negative sia a livello di immagine pubblica sia a livello di motivazione dei militanti.
E non possiamo dare per scontato che gli “altri” debbano venire a noi…
Proviamo a pensare ad un possibile scenario alle prossime elezioni (che, anche se le manovre di Renzi fallissero, sono comunque vicine: l’anno prossimo). Come si presenterà la sinistra radicale? Con quante liste divise fra loro? Sarebbe un suicidio colossale.
Sento molti che partono in quarta dicendo, per difendere il proprio settarismo egocentrico: “guardate il fallimento della lista “Arcobaleno”. “Non possiamo fare un’accozzaglia di gruppettini!”.
Ma l’Arcobaleno ha fallito non perché era un’unione di forze diverse. Ma per gli errori gravissimi precedenti.
Bertinotti fino al giorno prima, illudendosi della forza e della “giustezza” di linea del PRC, aveva completamente snobbato ogni unità con gli altri: snobbato i Verdi, non tenuto in seria considerazione l’ex sinistra PDS di Mussi e Salvi, addirittura contento per la fuoriuscita dei cossuttiani… Poi, all’ultimo momento, presi da disperazione, si fa all’improvviso un voltafaccia e una lista solo apparentemente unitaria. NON ERA CREDIBILE NÉ PER I MILITANTI NÉ TANTOMENO PER GLI ELETTORI. É questo l’errore che non va rifatto, non la ricerca dell’unità.
Io credo che DA SUBITO tutte le forze di sinistra radicale devono unirsi in una coalizione, con un patto unitario ben preciso, delegando (cessione) alcuni poteri alla coalizione stessa, impegnandosi in un cammino comune anche DOPO LE ELEZIONI.
Parlo di Sinistra Italiana che, a mio avviso, deve essere il motore di questa unità. Poi di Possibile di Civati (con cui qualche passo unitario è già stato fatto); poi di ciò che resta dell’ALTRA EUROPA. Quindi di DeMa di De Magistris. Ed anche di Rifondazione.
Questa coalizione politica unitaria deve parlare all’elettorato potenziale, recuperando slogan semplici ma centrali e NON intellettualoidi.
Al centro: LAVORO, ECOLOGIA, DIRITTI sociali. Questo dovrebbero essere i temi centrali per noi, da dire e scrivere ovunque.
Guarda caso, l’acronimo diventa: L.E.D.
Uno slogan possibile, allora, potrebbe essere: ACCENDI LED !!!
Non basta ancora. Dobbiamo costruire un polo di sinistra. Allora diventa importante il rapporto con i fuori-usciti dal PD e da SI.
Non dobbiamo lasciarci accecare dalla rabbia per la scissione dei nostri ex soci. La tattica giusta deve essere al centro dei nostri pensieri.
Dobbiamo lanciare continuamente sfide e ponti verso di loro, tutti loro.
Gli ex PD sono ancora molto scarsi, deludenti e vaghi sui contenuti. Ma non possono pensare di costruirsi uno spazio attaccando solo il PdRenzi. Devono uscire sui contenuti. La loro tattica verso il governo Gentiloni è in parte comprensibile (hanno bisogno che continui, per darsi il tempo di strutturarsi come forza politica). Ma non possono nemmeno suicidarsi a priori accettando tutto quello che Gentiloni fa. Devono sempre di più smarcarsi se vogliono essere credibili.
E, una volta che Renzi sarà tornato ad essere il padrone indiscusso del PD, come faranno a proporre
una maggioranza con quel PD?
Noi dobbiamo proporre e sfidare anche loro sull’unità della sinistra. Ma mentre con le altre forze di sinistra radicale è indispensabile costruire una coalizione unitaria, con MDP la proposta dovrebbe essere di due liste alleate. O almeno: tendenzialmente alleate.
Poi molto dipenderà dalla legge elettorale: se premiasse le coalizioni, a quelle dovremmo puntare. L’MDP potrebbe mai andare in coalizione con Renzi e Alfano?
Avete visto i sondaggi? Sappiamo quel che valgono (è il mio mestiere), ma sono comunque un segnale su cui riflettere.
SI da sola è data in calo clamoroso (in alcuni addirittura sotto il 2%). La scissione aprioristica è stato un colpo pesantissimo a livello di immagine! Ed è probabile che ci sarà una soglia di sbarramento almeno del 3% e forse di più.
Ciò rende urgentissima l’aggregazione unitaria di tutta la sinistra radicale (SI, Possibile, Rifondazione, De Magistris, Altra Europa).
Avete poi visto l’altro sondaggio che darebbe addirittura il 14,5 ad un polo che andasse dall’MDP fino a SI? Portando via non pochi voti anche ai grillini. Allora sì che un quarto polo di sinistra sarebbe credibile e possibile.
Penso che questa sia un’esigenza del nostro elettorato. E dobbiamo dare subito segnali (e anche sfide, ripeto) in questa direzione.
Leonardo Altieri
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