Invado avanti Per Washington il cessate il fuoco è possibile solo parallelamente al rilascio degli ostaggi. Un attacco aereo israeliano ha ucciso 36 persone nella storica città siriana di Palmira
Il premier israeliano Netanyahu a Gaza – Maayan Toaf/GPO
Nessuna sorpresa alle Nazioni unite. Il presidente uscente Joe Biden ieri ha ordinato ai rappresentanti Usa all’Onu di bloccare con il veto la bozza di risoluzione presentata dai 10 membri non permanenti del Consiglio di Sicurezza Onu per ottenere «un cessate il fuoco immediato, incondizionato e permanente» a Gaza, «il rilascio di tutti gli ostaggi» israeliani nella Striscia e «un ingresso sicuro e senza ostacoli di assistenza umanitaria su larga scala». Il veto americano ha reso inutili i voti a favore degli altri membri del CdS.
IL VICEAMBASCIATORE Usa all’Onu, Robert Wood, ha spiegato che la richiesta di rilascio dei circa 100 ostaggi contenuta nella risoluzione non è sufficiente perché la tregua e la liberazione dei sequestrati «sono due aspetti collegati in maniera inseparabile». In sostanza, per gli Usa dovranno concretizzarsi allo stesso tempo, altrimenti niente fine dell’offensiva israeliana che ha ucciso almeno 44mila palestinesi e distrutto Gaza. Soddisfatto l’ambasciatore di Tel Aviv all’Onu, Danny Danon, che aveva definito «vergognoso» il testo della risoluzione. Hamas da parte sua ha ribadito che non libererà gli ostaggi senza la tregua definitiva a Gaza.
Il voto all’Onu è avvenuto mentre si realizzava una nuova strage nella città storica di Palmira (Tadmur), nella Siria centrale. Un bombardamento aereo attribuito a Israele ha ucciso almeno 36 persone (circa 50 i feriti), secondo quanto riferito dall’agenzia statale Sana. A Palmira ricordano ancora il massacro del 2015 compiuto dall’Isis che uccise a sangue freddo 400 civili, tra cui donne e bambini, e, pochi mesi dopo, decapitò lo stimato archeologo Khaled al Asaad davanti alle antiche colonne romane. Ieri la nuova strage è avvenuta secondo fonti locali con tre attacchi aerei distinti nella regione di Palmira contro edifici che ospitano combattenti alleati di Damasco e dell’Iran. La Siria è il fronte di guerra non dichiarato dal governo Netanyahu. Per anni Israele ha colpito in Siria presunti obiettivi legati a Teheran, ora ha intensificato le incursioni aeree per fermare presunti rifornimenti di armi da Teheran e Baghdad al movimento sciita libanese Hezbollah, in transito per la Siria. Di recente è stata presa di mira la provincia di Homs, vicina al Libano. Damasco subisce e tace, con il fine evidente di non lasciarsi coinvolgere in maniera diretta nella guerra regionale che Israele conduce contro i suoi avversari su più fronti.
A GAZA intanto resta alto lo sdegno per il saccheggio sabato scorso, da parte di criminali, di 97 dei 109 camion di un convoglio di aiuti umanitari delle Nazioni unite. L’assalto avvenuto a breve distanza dalle postazioni israeliane al valico di Kerem Shalom. Il convoglio è stato intercettato da uomini armati che hanno costretto gli autisti ad abbandonare il carico e hanno ferito diversi operatori umanitari. I soldati israeliani non si sono mossi. Impossibile che non abbiamo visto quanto accadeva, peraltro i droni sorvolano in continuazione Gaza. Il saccheggio, dicono più parti, sarebbe la conseguenza del «crollo totale dell’ordine civile» causato dalla scomparsa delle strade della polizia civile, presa di mira dall’esercito israeliano. Netanyahu a inizio settimana ha ribadito che l’obiettivo dell’offensiva a Gaza non è solo quello di distruggere le capacità militari di Hamas ma anche quelle di governo.
INTANTO la carestia resta il pericolo più grave per due milioni di civili di Gaza. Ieri elicotteri giordani, autorizzati da Israele, hanno scaricato 7 tonnellate di generi di prima necessità nel sud della Striscia. L’aviazione di Israele invece su Gaza ha scaricato altre bombe che, secondo fonti giornalistiche locali, hanno ucciso almeno 28 persone. In Cisgiordania, nel villaggio di Kufr Dan (Jenin), un giovane palestinese è stato ucciso durante un raid dell’esercito.