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Avvengono secondo un copione consolidato, gli attacchi ordinati da Trump nella notte scorsa sulla base aerea siriana di Khan Sheikhou. Come da modello balcanico – vedi la strage inventata di Racak per l’intervento «umanitario» Nato in Kosovo nel 1999 – e con lo «stile» del governo israeliano del quale ancora non abbiamo smesso di contare le vittime civili per i suoi attacchi aerei su Gaza nel 2009.

I 59 missili Tomawak lanciati sulla Siria rompono l’ equilibrio di una saga immaginifica. Perché è tornata l’America, anzi questa è l’America. A smentire il povero Alan Friedman che dovrà scrivere almeno un altro libro.

Perché la davano per persa, l’America. Con un Trump descritto come filo-Putin, quindi addirittura anti-Nato, naturalmente tenendo fissa la barra degli interessi strategici verso Israele e l’Arabia saudita; ma deciso nella lotta contro l’Isis.

Invece con un dietrofront repentino, a pochi giorni dalla dichiarazione rilasciata all’Onu dalla rappresentante Haley che «la fuoriuscita di Assad non è più la priorità», subito dopo la strage di Khan Sheikhou ha ripreso la rotta che già fu di Bush per l’Iraq del 2003: ha autorizzato il capo del Pentagono «cane pazzo» Mattis all’azione di guerra. Senza il parere dell’Onu e del Congresso Usa, con il veto russo alla condanna unilaterale di Assad, e di fronte alla richiesta di una indagine internazionale indipendente.

Per una strage, è bene ribadirlo, che vede i ribelli armati, opposizioni democratiche, jihadisti e qaedisti, uniti ad accusare il governo di Damasco; che invece ammette la responsabilità dei bombardamenti ma a sua volta accusa che tra gli obiettivi colpiti c’era un deposito di armi chimiche in mano ai ribelli. Dentro questo conflitto senza tregua né regole, la ferocia appartiene a tutti e nessuno – tantomeno Assad – è innocente, non ci sono in Siria angeli e demoni.

Ma è assolutamente legittimo dubitare della verità unilaterale delle opposizioni subito accettata dalle cancellerie europee e dagli Stati uniti. Che è bene ricordarlo sono stati i Paesi destabilizzatori della Siria – che non esiste più, come l’Iraq e la Libia – da subito. Fin dal 2011 nel tentativo di fare a Damasco quello che era «riuscito» già a Tripoli. Così a suffragare le accuse ad Assad per l’uso del gas sarin c’è la Turchia dell’«umanitario» Erdogan, che fa le autopsie come Paese «terzo». Quando è stato invece la retrovia dei jihadisti con cui ha intessuto traffici in armi, addestramento e petrolio come testimoniato dalla stampa turca indipendente non a caso finita in galera. Ora il «democratico» Erdogan esulta, anche la piega degli avvenimenti lo aiutano nel suo referendum iper-presidenzialista della prossima settimana; e già rilancia la richiesta di no-fly zone sulla Siria libero di continuare a massacrare i curdi. Esulta Israele perché le modalità di Trump seguono in Medio Oriente le orme di sangue delle sue rappresaglie sui palestinesi e i tanti raid recenti contro la Siria; né deve essere bastato a Netanyahu la dichiarazione di Mosca dell’ultimo momento che, pur rispettando Risoluzioni Onu e soluzione dei Due Stati, ha riconosciuto Gerusalemme est capitale del futuro Stato di Palestina ma anche la parte Ovest capitale d’Israele. Plaude l’«umanitario» presidente egiziano Al Sisi. E naturalmente l’Arabia saudita, il finanziatore della jihad in tutta l’area, che massacra in Yemen gli sciiti senza che nessuno protesti. Ed esultano jihadisti, da Al Sharam a an-Nusra/Al- Qaeda (che a marzo a Damasco ha rivendicato due stragi, il 12 marzo con 74 morti e il 15 marzo con 30), fino all’Isis per questo non atteso sostegno alla loro campagna per abbattere Assad.

Trump dunque va alla guerra. Rispettando la tradizione della storia americana, come risposta alla sua debolezza interna a nemmeno tre mesi dal suo ingresso alla Casa bianca e smentendo gran parte ormai delle sue promesse di un approccio diplomatico alle crisi. Soprattutto dopo avere incassato un disastro dietro l’altro, sulla nomina del suo staff di governo, sulla promessa di cancellare l’Obamacare, sulla Corte suprema, sul presunto Russiagate ora brillantemente smentito a suon di missili. E così facendo prova a rimettere in riga ogni critica interna e aggiustando con la colla i cocci occidentali. Zittisce le critiche dei Repubblicani e dei Democratici; Hollande e Merkel firmano uniti il loro apprezzamento; Gentiloni, si accoda all’alleato americano. E infine oscura la visita in Usa di Xi Jinping con un messaggio esplicito sulla crisi nordcoreana ai confini con la Cina.

Trump riporta questa Pasqua 2017 al mondo in ansia per la terza guerra mondiale dell’estate 2013. Quando, anche allora su un raid al presunto gas nervino, Obama era pronto alla guerra e venne fermato sia dalla preghiera mondiale del papa che da quel momento cominciò a denunciare la maledetta guerra e quelli che «fanno la guerra dicendo di fare la pace»; sia da Putin che si fece garante con l’Onu dello smantellamento dell’arsenale chimico di Damasco. Ecco il punto. Trump è intervenuto «per i bambini siriani». Ma meritano davvero una tale vendicatore? L’azione di guerra di Trump avviene infatti appena dopo l’ammissione da parte degli Stati uniti, solo venti giorni fa, di avere massacrato, «per sbaglio» e «per sconfiggere l’Isis», a Mosul più di 150 tra donne e bambini come testimoniato dall’Onu e non raccontato dai media mainstrem; che tacciono sulle migliaia di civili uccisi in Afghanistan dai raid occidentali. Esistono dunque bambini di serie A e bambini di serie B. Forse che cluster bomb, uranio impoverito e bombe al fosforo sono meno micidiali del gas sarin? Un salto cultural-motivazionale: dalla «guerra umanitaria» siamo alla «guerra per i bambini» con fissa l’immagine tv sui loro occhi innocenti.

Ma attenzione. Vista l’irresponsabilità del gesto trumpista ora provano a dire che non è successo nulla, che i danni sono limitati. È vero il contrario. La reazione dell’Iran, che sul campo si oppone militarmente allo jihadismo, è rabbiosa: si trova esposta e nel mirino. E quella della Russia di Putin non lo è da meno. La rottura del collegamento diretto con il Pentagono e del coordinamento per i voli dei caccia militari in Siria è prodromo ad un confronto, anche involontario, diretto, non più per procura. Siamo a un passo dal precipizio. Pezzo per pezzo, nella terza guerra mondiale.

 

 

 

 

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Pd. Una legislatura proporzionale è il passaggio necessario, sganciandosi dal disegno di Renzi per aprire il nuovo campo con la legge elettorale. Adesso tocca al M5S, una fase è finita, i pentastellati vanno sfidati sul terreno delle proposte, aiutati su quello del governo, ascoltati su quello del futuro da costruire

Il Pd è di Renzi. In alcuni circoli hanno partecipato pochi e votato molti, in altri tutti per Renzi, oppure gli iscritti sono lievitati all’ultimo giorno. Anomalie di un sistema non regolato bene, ma accettato.

Vittoria netta con 141.000 voti che hanno incoronato Renzi. Altrettanto netto è anche il senso politico: la lunga mutazione renziana è compiuta, il Pd con la R o senza è questo, il referendum, pur segnando una sconfitta, ha ricompattato quel che restava, la massiccia vittoria a Roma dell’asse Renzi-Orfini su quello Orlando-Bettini-Zingaretti dimostra che non ci possono essere parti in commedia che si improvvisano all’ultimo minuto come nel teatro pirandelliano.

Insomma la lunga evoluzione della più grande struttura partitica organizzata – che non a caso molti percepiscono ancora come la prosecuzione-evoluzione del Pci, con i connessi aspetti della trasmissione del culto del capo e del senso della comunità che non si deve dividere – hanno portato qui: il Pd è questo e con esso, piaccia o no, dovranno fare i conti coloro che pensano di riproporre un nuovo centro-sinistra, anche se hanno giudicato Renzi uomo divisivo o uomo-killer del centro-sinistra.

QUESTE PRIMARIE POSSONO rilanciare un leader, ma non rigenerano la democrazia.

Il 30 aprile i numeri si moltiplicheranno per tre o quattro, ma l’esito è scontato. Competitors e media ce la metteranno tutta per aumentare l’audience, ma non saranno i titoli e l’attenzione morbosa delle telecamere a superare la stanchezza ed a scaldare i cuori della gente. I voti potranno diventare mezzo milione, ma daranno l’investitura al leader di un partito del 30% e non si tradurranno in una maggioranza di governo certa.

Insomma c’è una bella sproporzione tra questo rito delle primarie, per il quale comunque va dato atto al Pd di provarci, e l’assetto democratico del nostro paese nel quale la vita dei partiti non è regolata come la Costituzione prevede e le continue scorciatoie maggioritarie servono ad inventare di volta in volta il sistema migliore non per i cittadini, ma per i partiti prevalenti. Nessuno lo dice, ma tutti lo sanno che ci stiamo preparando ad una legislatura di transizione.

Accade ormai anche in altri paesi che le elezioni non risolvano il problema della governabilità ed è più che naturale che ciò accadrà in Italia dove abbiano un sostanziale tripolarismo, ma nessuna area è disposta ad allearsi con l’altra. Finora perlomeno.

ADESSO PENSO TOCCA PROPRIO al M5s. Esso fino ad oggi è stato trattato come se fosse solo il prodotto degli errori della vecchia classe dirigente. In parte è così e non c’è dubbio che avendo raccolto un malessere che poteva prendere lidi più estremistici e pericolosi esso ha contribuito a salvare la democrazia da derive pericolose.

Ma quella fase è adesso finita: con e di questo movimento, adesso che è diventato la prima forza politica del paese, bisogna parlare diversamente anche a cominciare dai temi della democrazia.

Le modalità sperimentate ed in corso di aggiornamento con la nuova piattaforma partecipativa hanno criticità evidenti: numero ed oggettiva selezione dei partecipanti, flessibilità delle regole che vincolino risultati e decisioni, confusione tra esigenze di garanzia e libertà di espressione. Altro si potrebbe dire, ma ergersi a giudici di questi tentativi di sperimentare forme nuove di democrazia di rete da parte di chi pratica la democrazia delle cordate e della trasmissione del potere mi sembra troppo e bene farebbero anche molti ex Pci a ricordare che il Berlinguer riflessivo del dopo compromesso storico aveva intuito la portata straordinaria del computer per l’evoluzione della società e della partecipazione, intuizione abbandonata come quella dell’austerità connessa ad un diverso modello di sviluppo.

Adesso il M5s sta davanti ad una fase nuova della sua vita che impone una svolta in termini di pensiero e cultura di governo. Le esperienze di governo locale stanno mostrando oggi tutti i limiti di una forza che arriva improvvisamente ad assumere responsabilità di governo proprio in una fase di svuotamento dei poteri degli enti locali e di forti vincoli di austerità ai governi nazionali. Additarli a fascisti guidati da un guru va bene per chi vive di confronto muscolare tra populismi, ma non aiuta una evoluzione positiva ed un nuovo clima di dialogo di cui il nostro paese ha bisogno. Questo movimento va sfidato sul terreno delle proposte, aiutato su quello del governo, ascoltato su quello del futuro da costruire.

ULTIMO PUNTO. DAVANTI ALLA sinistra multipla di oggi stanno oggi due scelte: perseverare in politiche di alleanze di piccolo cabotaggio accodandosi al disegno renziano vincente ed accettando i ruoli di supporto che il leader rilegittimato vorrà offrire o, al contrario, riaprire il gioco a tutto campo a partire dalla legge elettorale. Una legislatura proporzionale è il passaggio necessario. Ricostruire la politica nel senso nobile del termine, rigenerare un’area di pensiero e sociale attorno al tema della redistribuzione del reddito e del lavoro, redistribuire tra paesi ricchi e paesi poveri per governare e civilizzare i flussi migratori è la sfida alta che abbiamo davanti.

Proviamo a proporre questo ai giovani ed ai movimenti sociali e politici, aprendoci al dialogo ed alla collaborazione. Il futuro deve ancora cominciare e non è mai troppo tardi.

 

 

 

 

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Se fossimo a “Porta a porta” si potrebbe fare un plastico, ma noi non abbiamo questi mezzi. Proviamo comunque a fare un riassunto di massima.
C'è bisogno di sinistra? Molti lo pensano, ma come e su quali idee-forza potrebbero riaggregarsi le diverse espressioni oggi in campo?

La situazione è in divenire: i fuorusciti dal PD hanno costituito il Movimento Art.1 Democratici e Progressisti e stanno definendo i propri orientamenti; Sinistra Italiana e Rifondazione Comunista hanno svolto i loro congressi nelle settimane scorse; c’è Civati con il suo Possibile; i Comunisti Italiani; e c’è Pisapia con il suo “Campo progressista”. Senza contare altre realtà (non vogliamo dimenticare nessuno), alcune più locali  e “intrecciate”, come L'altra Faenza” e L'altra Emilia Romagna che hanno preso spunto anche dall'esperienza de L'Altra Europa
Cosa pensano di fare le varie parti di questo arcipelago di forze?

Ancora prima di pensare ad una rappresentanza elettorale – sulla quale inciderà la legge elettorale –  come pensano di conquistare consenso sociale e su quali contenuti?
Come rispondere ad una frammentazione – sociale prima ancora che politica – che porta alla disillusione verso i cambiamenti desiderabili, alla caduta della partecipazione sociale oltre che al voto; una frammentazione che può dare spazio a pulsioni di destra, come accade negli USA e in Europa, dalle quali l'Italia non è certo immune? 

Non è compito di questo sito indicare strategie o individuare interlocutori privilegiati, ma sollecitare confronti e approfondimenti. Possiamo e vogliamo farlo.
Ospitiamo spesso interventi di esponenti nazionali di diversi orientamenti, appartenenti comunque all’area politico-culturale della sinistra. Ma forse è più utile sentire cosa pensano, e cosa intendono fare, coloro che qui, nei nostri territori, fanno in qualche modo riferimento a questo schieramento.
Vorremmo in sostanza che si aprisse un confronto libero, aperto e ampio: ci piacerebbe che a cogliere questo invito fossero tutti coloro che sentono di avere qualcosa da dire, a partire dagli esponenti del Movimento 5S (che pensiamo non possa continuare a proclamare l'autosufficienza), ma anche esponenti del PD (che magari non siano solo “renziani” e liberisti). Poi anche, e soprattutto, vorremmo che esprimessero le loro opinioni i tanti uomini e donne che non hanno un’appartenenza organizzata, pur riconoscendosi in valori e contenuti progressisti. Persone provenienti dal mondo della sinistra, ma anche da quello cattolico, dell'associazionismo, del volontariato. 

In un periodo nel quale, da più parti, si pensa “all'uomo solo al comando” (cosa che a nostro parere non è di sinistra), forse è meglio tornare a chiederci non cosa stanno facendo per noi i capi delle sinistre, ma piuttosto cosa facciamo noi per la sinistra?
Dopo l'importante intervento di Giuseppe Casadio, auspichiamo che altri se ne aggiungano.

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Vieni a trovarmi alla Penny?” mi dice Gloria, una collega con cui ho lavorato e che stimo molto.

Penny? Il nome non mi è nuovo, e mi diventa conosciuto quando lo collego ad Affinati, scrittore italiano che si è sempre occupato di scuola; ricordo di aver avuto per le mani il suo libro Italiani anche noi. Corso di italiano per stranieri. Il libro della Scuola Penny Wirton.

Ma cos’è la Scuola Penny Wirton? È una scuola di lingua italiana per stranieri, che aiuta i migranti nel loro percorso di apprendimento. È organizzata senza classi e, pur registrando i progressi, rinuncia a ogni forma di giudizio, voto e competitività. La possono frequentare tutti: giovani, adulti, bambini; non ha obbligo di frequenza né per gli allievi, né per i docenti che sono tutti volontari.

Si lavora per piccoli gruppi, anche “one to one”, per far fronte ai diversi livelli e alle diverse esigenze.

A volte si parte completamente da zero, con persone che non hanno mai preso una penna in mano, altre volte da elementi che hanno anche frequentato scuole superiori nei loro paesi d’origine. I risultati si ottengono grazie a disponibilità, flessibilità e accoglienza, componenti che caratterizzano la proposta formativa.

A Faenza “Penny” è partita da un gruppo d’insegnati: Gloria Ghetti, Vania Bertozzi, Kombola Ramadhani Mussa e Maria Rosaria Scolaro, poi, lungo strada si sono aggiunte molte volontarie, docenti e non. Accoglie richiedenti asilo e chi in genere ha bisogno di imparare o perfezionare l’uso della lingua italiana ed è in Italia regolarmente anche da tempo. Da gennaio l’ASP ha messo a disposizione il foyer del Teatro dei Filodrammatici, che ha sede nella struttura del Residence Fontanone, e una fotocopiatrice.

L’esperienza è partita con quattordici persone e oggi ne conta quasi trenta.

È aperta al martedì e al giovedì, dalle 14,30 alle 16,30.

Considerate le richieste, si pensa di programmare anche l’attività in estate.

Gli utenti provengono da Costa d’Avorio, Pakistan, Afghanistan, Egitto, Ghana. Paesi che purtroppo conosciamo per la quotidiana cronaca di guerre e sopraffazioni.

In un ambiente luminoso - tre pareti sono di vetro - attorno a piccoli tavoli sono in sette, tre, due, a seconda delle necessità e del livello. In ogni tavolo, un insegnante o un tutor e su questo la sorpresa è grande. Ci sono infatti alcuni studenti del liceo linguistico “Torricelli” di 3ªA – 3ªB e 3ªC; sono partiti come volontari, poi è stato possibile inquadrare la loro azione nell’ambito dell’alternanza scuola-lavoro, in sostanza svolgono uno stage. Incuriosisce sapere cosa li ha spinti a questa esperienza. Tania, di 3ªC, dice che in questo modo perfeziona il suo inglese che usa come lingua veicolare con un afghano, ex studente di medicina. In pratica “si dà, ma si riceve anche”. In quale altra situazione si potrebbe realizzare un vantaggio simile per Tania e gli altri a costo zero? Ma ciò che colpisce di più è la motivazione di fondo di questa ragazza e penso anche dei suoi compagni: non ritiene di fare ciò per insegnare, ma solo per dare una mano a raggiungere una certa autonomia a chi, per via della lingua, si trova in difficoltà. Un vero esempio di rispetto dell’altro e della sua dignità.

Anche chi di professione fa l’insegnante avverte che questa esperienza è diversa, coinvolge molto per la relazione personale che si instaura con gli allievi, e si sente gratificato.

Tutto appare preparato su misura, e così è. Gli insegnanti si incontrano tra loro per programmare gli interventi e ogni 5-6 settimane si svolge anche un incontro con i ragazzi: un modo per responsabilizzarli sempre più e coinvolgerli in un cammino che si riorienta a seconda delle esigenze, ma che ha un obiettivo preciso, l’integrazione.

Di fronte a questa esperienza viene spontaneo pensare ai discorsi sui migranti che si sentono in città, mentre si è in fila in attesa di essere serviti in un negozio o per strada o al bar; discorsi superficiali, che generalizzano, che mancano di conoscenza, che si basano solo su impressioni che per molti diventano verità.

Ecco, forse conoscere questa realtà, che non “fa molto rumore”, ma realizza tanto, può essere utile a capire come l’integrazione passi sempre da un rapporto di relazione che riconosce l’altro ed è arricchente per tutti.

 

Antonella Baccarini

 

 

 

 

 

 

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"Partecipazione",  un concetto spesso rivendicato, sbandierato, promesso...ma più spesso disatteso o travisato... A questo proposito pubblichiamo di seguito un interessante intervento di Enzo Scandurra - Direttore del Dipartimento di Architettura e Urbanistica per l'Ingegneria all'Università la Sapienza di Roma - La benedetta partecipazione dal sito eddyburg.it

 

Può servire anche per avviare una riflessione sui cosiddetti "processi partecipativi" che hanno interessato e stanno interessando le nostre Amministrazioni locali.

Ricordiamo due questioni passate:

- la predisposizione del Piano di Azione per l'Energia Sostenibile (PAES) dell'Unione della Romagna Faentina, dove già nell'impostazione iniziale le Amministrazioni si ponevano l'obiettivo di ascoltare solo gli "stakeholder (che significa le parti interessate, i portatori di interesse) primari" ossia, testualmente, "gli Ordini professionali, le Associazioni di categoria, gli Istituti Bancari e finanziari;

- la discussione sulla Conferenza Economica e il percorso verso il Patto per lo sviluppo, fatto legittimamente con le organizzazioni imprenditoriali e i sindacati, ma scegliendo di escludere dal confronto i Consigli Comunali, quindi sia i gruppi politici di opposizione che di maggioranza, oltre che le molte associazioni della società civile;

e due ancora aperte, per le quali la procedura dovrebbe essere, almeno formalmente, diversa (in questi casi sono in campo i famosi facilitatori di cui parla Scandurra):

- Da qualche mese è aperta la consultazione sul Documento programmatico per la qualità urbana (DPQU) , alcune associazioni hanno già avanzato osservazioni e proposte;

- Più recentemente si è avviato un percorso di analisi e studio per dotarsi di un Piano Urbano della Mobilità Sostenibile (PUMS), per il quale sono stati programmati 4 focus group.

In entrambi i casi vedremo in che modo saranno tenute in conto le proposte e le osservazioni che emergeranno. Ci rendiamo conto che probabilmente solo pochi addetti ai lavori sanno cosa significano queste sigle, come stanno andando le cose e cosa invece si potrebbe fare (e questo è già un gran problema) ma intanto sollecitiamo questi pochi a dire cosa ne pensano, può servire per allargare le conoscenze per tutti, che è la premessa per qualsiasi partecipazione.

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Nelle settimane scorse i mezzi d’informazione hanno ampiamente commentato la lettera-appello sottoscritta da 600 docenti e personalità accademiche per denunciare le carenze linguistiche dei giovani studenti italiani, mancanze dovute principalmente alla frequentazione di scritture veloci e al progressivo allontanamento dai libri e dalla lettura. C’è del vero e sul tema il dibattito è aperto. A Faenza però sono gruppi di giovani a dar vita a numerose ed interessanti realtà associative il cui scopo è proprio lo studio, la ricerca, l’interesse per la cultura e la storia.

Con l’intervista all’associazione “La Lampada” ci proponiamo di avviare un giro d’orizzonte per conoscere e far conoscere queste iniziative.

A cura di Fabio Mongardi

 

L'Associazione La Lampada e la rivista novantasei

 

Da dove nasce l’idea di un’associazione come la vostra?

Valerio: Era tanto che io e Mattia ci domandavamo come poter continuare le nostre passioni. Io sono sempre stato affascinato dalla letteratura, ed in particolare dalla riscoperta degli autori romagnoli. Mattia invece ha sempre avuto interesse per la storia. Poi ognuno dei due dava consigli all’altro, entrava nel “campo” dell’altro, perché i confini poi sono estremamente labili tra le nostre passioni. Bene. Ci siamo poi chiesti se ci fossero altre persone che, come noi, condividessero queste passioni: così è nata l’idea di creare un’associazione, per creare una rete tra persone che vogliano parlare, come noi, di letteratura, arte e storia, in Romagna…

Mattia: Al centro della nostra associazione vogliono esserci ragazzi giovani. In particolare ci siamo resi conto che molti nostri coetanei non hanno la possibilità di esprimere i loro interessi culturali: quante tesi di laurea ben fatte vanno a finire in un cassetto o, peggio, al macero? Ci siamo guardati in faccia e abbiamo pensato di dare la possibilità, opportunamente riducendo il testo, anche di pubblicare in una piccola rivista che è al centro della nostra attività (novantasei) i risultati delle proprie ricerche.

Valerio hai parlato di Romagna: ma cosa intendi per questa regione?

Mattia: Direi che per rispondere alla domanda sarebbe opportuno rileggere l’editoriale del primo numero di novantasei… in realtà abbiamo voluto accogliere l’ipotesi di Roberto Balzani di una regione “a geometria variabile”: possiamo in sostanza dividere storicamente la nostra zona in una “Romagna esarcale”, ed il confine era tra Faenza e Imola, dato che Castelbolognese non esistenza; la “Romagna medievale” potrebbe essere la Romandiola della Descriptio, ed in questo caso i confini giungerebbero quasi sino a Bologna; la “Romagna pontificia” invece è rappresentata dalla “Flaminia” della galleria delle carte geografiche in Vaticano. E qui la situazione si complica e ci si domanda: quali i confini della Romagna? La risposta alla quantificazione della Romagna è comunque sempre nell’editoriale del primo numero.

Valerio: Parlando ad esempio del secondo numero, abbiamo in quell’occasione ospitato un articolo su una installazione di Maurizio Cattelan a Rimini conclusasi nell’estate 2015. Ora Maurizio Cattelan non è romagnolo, che senso avrebbe parlarne? Solo perché si è fatto a Rimini? Io questo lo uso come metafora per spiegare cosa intendo per Romagna. Le emozioni che questo intervento ha suscitato tra i riminesi, le idee stesse che Cattelan ha rappresentato colpendo, ad esempio, il machismo del romagnolo, il dialogo che ha cercato di avere con la “Rimini storica”… tutto questo ha fatto si che fosse oggetto di studio e che rientrasse nel nostro interesse. Lo anticipo: Mattia sta lavorando su una donna, nata a Castiglione di Cervia, ma che ha vissuto buona parte della sua vita a Milano. E se non fosse stato così (siamo negli anni Trenta e Quaranta del Novecento) non avrebbe avuto modo di creare quello per cui, oggi, ci interessiamo a lei… Insomma – spero di non aver messo confusione – noi vogliamo intendere il senso più ampio possibile: una “Romagna spugna” che da acqua e che ne prende dal catino. Per questo non ci siamo posti limiti, se non che ci sia un filo conduttore che leghi la persona o l’evento con la terra, le persone o i fatti della Romagna.

Io vorrei farmi socio: spiegatemi chi cercate…

Valerio: Non è che cerchiamo qualcuno in particolare. Noi, come ha detto Mattia, curiamo una piccola rivista distribuita tra i soci dal titolo “novantasei”, dove dentro trovano spazio temi di letteratura, arte, storia e filosofia legati alla Romagna. Cerchiamo, anzitutto, persone che vogliono scrivere di questi argomenti. Per quanto riguarda infatti la letteratura, oltre a curare la riedizione di quelli che abbiamo definito “classici Romagnoli” (autori semisconosciuti e dimenticati, che forse hanno ancora qualcosa da dirci) vogliamo proporre dei testi inediti, di autori contemporanei. Questo perché crediamo, appunto, che la peculiarità di chi vive o di chi scrive in questa zona d’Italia sia tale da influire nel suo percorso. E questo confluisce nella sezione inediti, dove hanno scritto (vado a memoria) Alessandro Catani, Mario Gurioli, Stefano Baldazzi, Nevio Semprini e Fabio Mongardi.

Mattia: Per gli altri argomenti (storia, arte, filosofia) cerchiamo invece chi ha voglia di cimentarsi nella disamina delle questioni… come detto, ragazzi (e non solo) che abbiano magari svolto una tesi di laurea su un determinato argomento. Ma anche semplici appassionati che si avvicinano al tema: dietro di noi – ma in realtà ci stanno davanti, perché sono loro lo zoccolo duro della nostra associazione – sta un piccolo comitato editoriale, fatto da tre giovani (Silvia Mantovani, Isabel Tozzi e Pier Angelo Lazzari) che leggono, correggono, e dialogano con l’autore per migliorare il pezzo. Quindi diciamo che a noi può anche arrivare un “semilavorato”, poi insieme produciamo il “prodotto finito".

Valerio: Voglio solo aggiungere una cosa. Ovviamente non tutti se la sentono di scrivere: associarsi vuol dire anche contribuire semplicemente alla “vita” della rivista, versando la quota annuale, e facendo in modo che questo progetto vada avanti. E con questo contributo arriva a casa ogni quattro mesi un piccolo volumetto e degli extra che riusciamo a produrre con i disavanzi di cassa.

Ecco parliamo un po' di novantasei

Valerio: novantasei è un piccolo volumetto di circa cento pagine dove trovano posto questi interventi. Curiamo tre edizioni all’anno, ed un mese prima chiudiamo la raccolta del materiale. Ci occupiamo della veste grafica e dell’impaginazione e della correzione dei testi. La bellezza di questo piccolo libro risiede proprio nella varietà dei temi: ci si può trovare dentro di tutto, dall’Inquisizione al dialetto, dalla storia dell’Anic di Ravenna al futurismo di Arnaldo Ginna. È un prodotto per più palati, passami l’espressione culinaria in questi tempi di post-expò.

Mattia: novantasei è poi una scusa per incontrarci e parlare degli argomenti. Infatti organizziamo dopo ogni uscita una seduta dell’associazione pubblica e aperta a tutti, dove gli autori entrano in dialogo con chi legge. È un momento molto bello perché da alcune domande dei lettori sono nate riflessioni che poi sono state trasposte qui, su "novantasei". Ad oggi abbiamo organizzato più di dieci incontri, non solo a Faenza, ma anche a Santarcangelo di Romagna. Il nostro scopo è conoscere meglio anche le realtà di Lugo, Forlì e Cesena e del loro tessuto culturale…

Ultima domanda che mi frullla da un po': ma perché novantasei?

Valerio e Mattia: la spiegazione è contenuta nel primo numero, il cui editoriale è scaricabile gratuitamente dal nostro sito: https://lalampada.net/novantasei/

 

 

 

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