Ambrogio Lorenzetti - Effetti del buon governo in città - Siena Palazzo Pubblico
E così a Faenza avremo un altro supermercato. Incredibile. Quando ne ho sentito parlare pensavo ad uno scherzo.
Quale amministrazione al mondo può seriamente pensare di acconsentire l’apertura di un nuovo discount in una città di circa 60000 abitanti dove ci sono già cinque supermercati Conad, tre Coop, un LIDL, due discount e due Despar. Il nuovo discount della catena austriaca Hofer sorgerà di fronte al supermercato Le Cicogne e a poche centinaia di metri dall’ex Cisa, dove dovrebbe collocarsi il nuovo LIDL. Tra l’altro, tutti e tre, in una zona ad altissimo impatto ambientale per la mole di traffico presente. Tutto questo dopo anni in cui si chiede inutilmente di valorizzare le piccole botteghe commerciali, artigianali e il centro storico della città.
Perché allora? Naturalmente la domanda è stata posta in ogni sede in cui sia ancora presente un minimo di buon senso. La risposta della nostra amministrazione comunale è stata: ci sono regole (fatte da loro, è bene precisare) che impediscono di opporsi! Segnalo che di solito si dice che lo vuole l’Europa, qui si vola già più basso e si incolpa l’Unione della Romagna faentina. Bene. Ricordo che quando contestammo l’allargamento del Conad stradone che devasterà irrimediabilmente l’Arena Borghesi, ci risposero che eravamo faziosi. Quando ci lamentammo dello spostamento della Casa della Salute che sta creando notevole disagio ai cittadini, ci dissero che era stata una apposita commissione dell’Azienda Sanitaria a scegliere il posto, dove però, guarda caso, c’erano dei locali sfitti del Conad da affittare. Quando facemmo notare l’obbrobrio della pulizia etnica del fiume Lamone, dove è stato estirpato ogni genere di vegetale esistente, stravolgendo ambiente e paesaggio, ci risposero scaricando la colpa sulla ditta incaricata della pulizia. E si potrebbe tranquillamente continuare così.
Esasperato da queste continue incomprensioni ho cercato allora una risposta nella semantica; ho aperto il vocabolario alla parola “amministrare” e ho letto che significa: avere cura. Non si dice semplicemente che bisogna dirigere in modo disattento o burocratico, niente affatto, si afferma invece un principio importante e preciso: amministrare un bene che è della collettività è cosa da fare con la massima attenzione e sollecitudine (come si cura anche un ammalato).
Mi spingo oltre, dicendo che le Amministrazioni comunali migliori, quelle rimaste scolpite nella memoria dei cittadini italiani, svolgevano il loro compito in modo addirittura amorevole. Ebbene, questa Amministrazione, alla luce di tutti questi fatti, può dire di governare il territorio faentino in modo attento e amorevole? Può dire che sta prendendosi cura di tutti noi?
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Stamattina mi sono trovato tra le mani l'articolo, fresco di stampa (on line) dell'amico Gilberto Borghi, che trovate qui di seguito.
Quello descritto dall'articolo è un esempio fulgido di quello che sostenevo nei miei ultimi scritti e cioé che bisogna andare a fondo nel confronto sincero fra opinioni diverse; è un esempio concreto di come scovare i conflitti, dove ce ne sono, di risoluzione dei conflitti - con coraggio e determinazione - in una cornice condivisa. Pensare quindi ad educare e ad educarci andando alle radici di una convivenza democratica. E poi viverla finalmente questa democrazia, non solo agognarla, svilendola come succede a volte. Una democrazia non solo decantata, incensata ed edulcorata, ma soprattutto una democrazia praticata.
Giorgio Gatta
In classe la discussione sui fatti di Macerata degenera in uno scontro. Così finiamo a parlare di che cos'è la democrazia
Non me lo aspettavo. Finora era una classe tranquilla, disponibile a lavorare, ma senza particolare interesse. E ci sta. Ma mentre entravo in classe, dal fondo, attraversando le due file di banchi, Alberto, quasi in "scivolata", da dietro, mi ha sorpreso: "Prof. lei che cosa farebbe ai due immigrati di Macerata?". Ero assorto. "Scusa, non ho capito". "Prof. quelli che sono accusati per la morte di Pamela. Sembra li abbiano scagionati dall'omicidio (quel giorno a leggere i giornali sembrava così ndr), ma sono rimasti indagati. Che cosa dovremmo fare con tipi del genere?".
"Ok, ragazzi, provate a sistemarvi intanto che rispondo ad Alberto. Indagato non vuol dire colpevole. Capisco che la giustizia italiana non sia sempre attendibile, ma fino a prova contraria in una democrazia non c'è da fare nulla contro chi è solamente indagato". "Va beh, prof - prosegue Alberto - non mi vorrà dire che secondo lei sono innocenti. Hanno ammesso anche loro che erano lì dove Pamela è morta. Puliti puliti non devono essere". La classe intanto si è messa in silenzio e le ultime parole di Alberto sono arrivate chiare e limpide fino all'ultimo banco. Fino alle orecchie di Elisabetta, minuta, viso sereno, pulita, solitamente attenta e tranquilla.
"Ma tu non puoi continuare tutte le volte che parli a sputare veleno contro gli immigrati. No davvero! Sta roba mi sta troppo bruciando. Anche ieri con italiano hai sparato una sentenza contro chi viene a portarci via il lavoro. Come se il lavoro noi ce l'avessimo!! Ma ti rendi conto che sei razzista!!". Il volume della voce, il tono, e lo sguardo di Elisabetta sono stati un fulmine a ciel sereno. Tutta la classe si è girata verso di lei, incredula. Alberto compreso. Un istante lunghissimo di silenzio ha tranciato l'aria. Io, sbigottito dalla furia e dall'impeto con cui Elisabetta è esplosa, non ho trovato le parole per sbloccare il momento. Enrico, dal primo banco, dritto in piedi ha detto: "Anche a me ieri ha dato fastidio la frase di Alberto, ma non c'è bisogno di reagire così Betta. Alla faccia della razionalità laica!"
Ancora più stupito chiedo: "Ragazzi che cosa sta succedendo? Fatemi capire". "No prof. - continua Enrico - è che ieri abbiamo discusso un po' nell'ora di italiano per la faccenda di Macerata. E alla fine il prof. ha richiamato la classe perché se si discute bisogna farlo senza emozioni, utilizzando la razionalità laica, attraverso la quale ci si fa capire". "Ah, - rispondo -. Mi colpisce che vi si chieda di discutere lasciando da parte le emozioni. Noi siamo sempre tutt'interi. E se Elisabetta non ha trovato modo di esprimere le sue emozioni ieri, forse oggi sono ancora più forti e difficilmente governabili proprio per questo. La scommessa di una buona educazione è quella di permettervi di discutere con le emozioni, ma senza che queste diventino ingestibili. Se uno sputa sentenze contro gli immigrati lo fa perché emotivamente non è tranquillo. Qualcosa della questione lo tocca personalmente. E se uno sputa sentenze su chi sputa sentenze sugli immigrati è nelle stesse condizioni dell'altro. Qualcosa lo tocca personalmente. Dire con violenza a qualcuno "sei razzista", rischia di farci essere altrettanto razzisti".
Intanto ho fatto finta di non guardare Elisabetta, ma non l'ho perso di vista un istante. Ha sbuffato un paio di volte, ha alzato la testa con attenzione e poi però si è rintanata nel banco, dietro una carezza della compagna di banco. "Betta - proseguo - credo tu abbia tutti i diritti di esprimere la tua emozione sulle parole di Alberto. E altrettanto lui ha diritto di esprimere le sue sugli immigrati. Ma questo va fatto senza dare giudizi. Quando generalizziamo così tanto perdiamo di vista le persone reali. E la nostra emozione ha campo libero per devastare le nostre idee. Stiamo coi piedi per terra, cioè non perdiamo mai di vista le persone reali. Betta, davvero pensi che Alberto sia razzista?".
Elisabetta non si muove, diventa rossa, e si trattiene. Il silenzio imbarazza la classe. Poi finalmente: "Ok, prof. Ho sbagliato, non era il tono giusto. Non condivido quello che Alberto dice, forse ammetto che lui abbia buoni motivi per pensarlo. Ma non credo che lui abbia il diritto di dirlo in questo modo, perciò anche lui dovrebbe scusarsi". "Grazie Betta, e onore a te, per la tua sincerità. Alberto, che ne dici?" "Prof. io ho detto quello che penso, non posso mica cambiare idea solo perché qualcuno non è d'accordo con me!". Lo interrompo. "No, Alberto la questione non è questa. La questione è sul modo con cui dici le cose. Nessuno ti sta chiedendo di cambiare idee, ma di trovare modi più rispettosi di esprimerle. Su questo Elisabetta ha ragione, dovresti chiedere scusa".
"Eh, prof. io sono fatto così. Mica potete chiedere di cambiarmi!". "No, no, Alberto - ribatto - non sei fatto solo così. Se ti esprimi con tanto rancore contro gli immigrati ci sarà un motivo. Non credo che tu parli sempre così di ogni cosa, con ogni persona. Perciò mostraci che puoi fare meglio. La democrazia comincia proprio qui, quando io, nelle mie relazioni, provo a dare il meglio che ho. Per me stesso. Per sentire che sono all'altezza di essere almeno uomo. È per questo stesso motivo che da sempre l'uomo emigra, quando le condizioni di vita non gli permettono più di essere almeno uomo. Dobbiamo farci insegnare da loro ad essere uomini?".
La classe mi guarda fissa, in silenzio, attenta. Non era mia intenzione parlare della democrazia, ma mi è uscita così. E capisco che aspettano che io tiri l'ultimo filo. "A proposito di elezioni, visto che qualcuno di voi voterà già, sarebbe serio, secondo me, poter scegliere persone che sanno gestire una discussione in modo umano, almeno umano. Un criterio di scelta strano se volete, ma credo che darebbe risultati un po' diversi da ciò che già ora i sondaggi mostrano".
PS. Finita la lezione, mentre uscivo e loro facevano ricreazione, con la coda dell'occhio ho visto Alberto alzarsi e andare verso il banco di Elisabetta.
SECONDO BANCO Essere almeno uomini
di Gilberto Borghi | 13 febbraio 2018
Quando l’indifferenza, la sottovalutazione, le giustificazioni più o meno in buona fede, entrano nei cuori e nelle menti delle persone il male lavora indisturbato.
Al mio amico Giorgio Gatta rispondo con un racconto tratto dalla vita della mia famiglia e che mi è stato (per fortuna) tramandato.
Sono nata nel 1942 quando la guerra, voluta da Mussolini, era in pieno svolgimento.
I miei genitori e i miei nonni hanno vissuto il ventennio fascista, da giovani i primi, da adulti i secondi.
I loro racconti hanno potuto fare un quadro generale nella mia mente perché descrivevano la vita di tutti i giorni, le sensazioni che vivevano i cittadini, i discorsi che giravano nei luoghi di ritrovo, l’incapacità di capire appieno quello che stava succedendo.
La mia famiglia è stata testimone dei rastrellamenti, delle incursioni dei tedeschi nelle case dei contadini alla ricerca dei partigiani e degli oppositori che venivano segnalati loro dai fascisti del paese in Toscana dove vivevamo.
Prima della guerra l’escalation della furia fascista, a partire dagli anni Venti, fu assorbita gradualmente dal popolo italiano galvanizzato dall’uomo forte che prende in mano le redini della vita di tutti e ti fa sentire protetto e al sicuro. (Quanto ci costa la sicurezza in libertà, autodeterminazione, creatività, arte, cultura e tutto quello che rende la vita degna di essere vissuta?)
Le gente non si accorse o non volle accorgersi di quello che si andava delineando all’orizzonte, finché non iniziarono a passare i treni merci pieni di deportati nei campi di sterminio.
Fu indifferenza? fu sottovalutazione? fu “Io mi faccio i fatti miei perché voglio vivere tranquillo”? Facciamo decantare, poi ognuno tornerà alla sua vita di sempre come se niente fosse accaduto.
Così arrivarono le leggi razziali nel 1938, gli ebrei furono stanati casa per casa (Salvini: “Se arriverò al governo andrò a prendere i clandestini casa per casa”), ma neanche allora il popolo italiano insorse.
Neanche allora tutti ebbero veramente coscienza di quello che accadeva sotto i loro occhi, soltanto alcuni addetti ai lavori (mio padre lavorava alla stazione ferroviaria di Compiobbi, sulla linea allora Napoli-Roma-Firenze-Bologna-Milano).
E fu così che di notte incominciarono a passare dalla stazione treni bestiame carichi di un’umanità umiliata, divenuta merce di scarto trattata peggio degli animali da buttare al macero.
Quando la storia non viene più raccontata, quando nelle scuole non c’è traccia della storia del ‘900, quando ai giovani non viene trasmessa la memoria, tutto diventa normale o quasi, “Ma sì, in fondo sono solo episodi, abbiamo gli anticorpi, tranquillizziamoci, lasciamo decantare, non alziamo i toni”. Invece dobbiamo alzare barriere di resistenza, far sapere che non resteremo inerti perché la tragedia che è accaduta non si ripeta, dobbiamo essere delle sentinelle della Costituzione repubblicana che ripudia il fascismo, l’antisemitismo e il razzismo in ogni sua forma e manifestazione.
Prima vennero a prendere gli zingari, e fui contento perché rubacchiavano. Poi vennero a prendere gli ebrei, e stetti zitto perché mi stavano antipatici. Poi vennero a prendere gli omosessuali e fui sollevato perché mi erano fastidiosi. Poi vennero a prendere i comunisti, e io non dissi niente perché non ero comunista. Un giorno vennero a prendere me, e non c’era rimasto nessuno a protestare.
Bertolt Brecht
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Al Ministro dell’Interno Marco Minniti
Al Presidente del Consiglio Paolo Gentiloni
La scelta che avete fatto di vietare la possibilità di manifestare sabato prossimo a Macerata è sbagliata e pericolosa.
Quello che è successo a Macerata ha un nome preciso. Si tratta di un atto di terrorismo. Una tentata strage, le cui ragioni hanno una matrice precisa: fascismo e razzismo. Non il gesto di un folle, di un pazzo, di un criminale isolato. Qualcosa di molto più grave. Quando dalle parole di passa alle pistole succede qualcosa che non possiamo ignorare. E di fronte a cui occorre reagire.
In tutta Europa, per fortuna, la risposta al terrorismo dell’Isis ha mobilitato un dispositivo largo, composito, determinato. Oggi, qui, occorre una risposta che abbia le stesse caratteristiche. E dobbiamo dirvi che troviamo gravi le parole di chi, come il Sindaco di Macerata, chiede di evitare le manifestazioni in nome di un silenzio rispettoso della città, e delle sue ferite. Non tutte le manifestazioni sono uguali. In questi giorni prima Casa Pound e poi Forza Nuova che annuncia di voler farsi carico delle spese legali di Traini (immaginate cosa sarebbe successo ad una organizzazione che in un qualsiasi posto d’Europa colpito dall’Isis avesse annunciato una simile volontà) manifestano a Macerata.
Fascismo e Antifascismo non sono in nessun modo paragonabili. Né possiamo accettare che in nome di una malintesa responsabilità torni la teoria degli opposti estremismi. Il rischio, altrimenti, è quello di spianare la strada al ritorno delle peggiori culture che abbiamo conosciuto. Per tutte queste ragioni manifestare non è mai un errore. Perché manifestare l’antifascismo, celebrare la nostra religione civile, la nostra Costituzione è sempre giusto. E necessario.
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Giuseppe Civati
Nicola Fratoianni
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Un importante gruppo di giuristi:
Felice Besostri, Anna Falcone, Vincenzo Vita, Lara Trucco, Gianni Ferrara, Emma Imparato, Paolo Maddalena, Giovanni Palombarini, Antonio Esposito, Antonio Caputo, Aldo Giannuli, Pietro Adami, Giovanni Scirocco, Aldo Ferrara
propongono e si impegnano su un preciso patto in vista delle elezioni
La vittoria referendaria del 4 dicembre 2016 e il rifiuto da parte del corpo elettorale, per la seconda volta, di una riforma verticistica, che avrebbe stravolto natura democratica e modello parlamentare della nostra Carta fondamentale, ridotto gli spazi di democrazia e compromesso il primato della sovranità popolare, impongono un impegno stringente a quanti vogliano rispettare le indicazioni del corpo elettorale e farsi garanti delle ulteriori richieste che da quella vittoria sono scaturite: l’attuazione e la messa in sicurezza della Costituzione.
Per questo i sottoscritti si impegnano a contrastare ogni ulteriore proposta di riforma che miri a modificare, palesemente o surrettiziamente, la forma democratica e parlamentare del nostro modello repubblicano, ovvero a costituzionalizzare principi neoliberisti o a limitare la sovranità popolare, i diritti fondamentali delle persone, i diritti politici e la partecipazione politica degli elettori.
Altresì, si impegnano a garantire, nell’ambito del programma elettorale e dell’azione politica della propria Lista o della Lista che sosterranno, la piena e completa attuazione dei principi fondamentali della Costituzione e del dettato costituzionale, con particolare riferimento:
1) All’art. 1 Cost., nell’inscindibile relazione che, nella nostra democrazia, lega l’esercizio della sovranità popolare alla garanzia del diritto al lavoro, e all’inclusione nei percorsi lavorativi delle persone con disabilità, impegnandosi a rendere effettivo tale diritto nella sua accezione più ampia e comprensiva dei diritti assistenziali e pensionistici, parimenti remunerato e tutelato per donne e uomini, per i lavoratori di tutte le categorie e di tutte le generazioni in attuazione del precetto dell’art. 36 Costituzione, per assicurare un’esistenza libera e dignitosa.
2) All’art 3, 2° comma Cost., riaffermando il ruolo della Repubblica, in tutte le sue articolazioni e poteri, nella rimozione delle diseguaglianze economiche, sociali, di genere, generazionali, territoriali che impediscono il pieno sviluppo della persona umana e la piena partecipazione di tutti i cittadini e di intere generazioni, gruppi sociali, ampie fasce della popolazione alla vita sociale, politica e democratica del Paese.
A tal fine è imprescindibile garantire la piena effettività di tutti i diritti civili e sociali e il rilancio del modello universalistico dei servizi, a partire da un alto e uguale livello di tutela della salute, come fondamentale diritto garantito dall’art. 32 Cost., e dell’assistenza sociale su scala nazionale e senza discriminazioni territoriali, dal rilancio e rifinanziamento della ricerca e dell’istruzione pubblica, dal diritto di accesso a una giustizia rapida e certa, parimenti accessibile con pari chance e possibilità per tutti i cittadini a prescindere dal reddito.
3) Alla piena attuazione del Titolo III della Costituzione sui «Rapporti economici» tramite un opportuno e necessario intervento pubblico in economia per la garanzia dei diritti fondamentali e dei diritti sociali, alla cui previa effettività devono essere conformate le scelte di bilancio e l’equilibrio dei conti pubblici.
4) All’interpretazione e revisione dei Trattati europei alla luce dei principi inderogabili dettati dalla Costituzione e della previa e preminente effettività dei principi e dei diritti fondamentali, nonché dell’autonomia politica del Paese, anche nell’ambito di una rafforzata cooperazione nella UE, nelle scelte di governo e nel modello di sviluppo più coerenti con il carattere democratico, personalista, pluralista e solidarista della Costituzione.
5) Agli art. 10 e 11 Cost., tramite la firma e la ratifica dei trattati per la messa al bando delle armi nucleari, la revisione delle politiche sui flussi migratori alla luce della piena effettività dei principi costituzionali sul diritto d’asilo, la cancellazione degli accordi che non garantiscano il pieno rispetto della dignità e dei diritti fondamentali delle persone, dei migranti economici e di quanti a qualsiasi titolo fuggano da regimi totalitari, territori di guerra o colpiti da crisi, carestie, disastri ambientali e violazioni dei diritti umani.
6) Alla piena garanzia, anche giurisdizionale, dei diritti di elettorato attivo e passivo, nonché dei diritti di partecipazione politica, impegnandosi a promuovere una legge elettorale conforme al prioritario rispetto del principio di rappresentanza democratica, dell’autonomia e della centralità del Parlamento e dei parlamentari, tale da sancire il diritto degli elettori a partecipare attivamente alla selezione delle candidature e alla scelta degli eletti, nel rispetto della parità di genere e dell’equilibrio fra generazioni. Di queste tutele è premessa essenziale l’attuazione dell’art. 49 Cost. e la messa in sicurezza dell’art. 138 Cost. da modelli elettorali e composizioni parlamentari che falsino il rapporto di rappresentanza fra elettori ed eletti.
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