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Comunicato

A proposito di buche e di buchi

 

Alla mia interpellanza sullo stato delle strade e sulle conseguenti problematiche – illustrata e discussa in Consiglio comunale nel corso della seduta di lunedì 13 scorso – l’Amministrazione ha risposto con argomentazioni che possono essere riassunte nel motto “Più buche sulle strade e sui marciapiedi, meno buchi nel bilancio del Comune”.

Mettere a posto i conti è senz’altro importante, ma come la pensano i faentini? Dal 2010 al 31 dicembre 2016 sono stati asfaltati 35 km di strade dei 500 che costituiscono il sistema viario di competenza comunale, vale a dire il 7 per cento (l’1 per cento all’anno). L’Amministrazione, per bocca dell’assessore Zivieri, dice però che “ci sono strade larghe” e quindi fa il conto dei metri quadrati.

Parallelamente in Commissione Bilancio si stanno snocciolando i dati dei diversi capitoli e del Dup (Documento unico di programmazione) in vista del dibattito in Consiglio previsto per il 27 marzo. Ebbene, risulta che a fronte dei 500mila euro di spesa previsti per riasfaltare le strade, è prevista un’uscita di 240mila euro per l’acquisto di un autovelox e di alcuni “varchi” (telecamere di sorveglianza).

Da faentino mi chiedo: “Ma non si potrebbero destinare anche questi 240mila euro alla sistemazione di strade e marciapiedi?”. Giusto fare prevenzione, ma anziché ricorrere a costosissimi dispositivi percepiti come balzelli, è forse più opportuno ed efficace una maggiore presenza sulle strade della Polizia municipale.

 

Edward Jan Necki

Consigliere comunale de L’Altra Faenza

 

Faenza, 15 marzo 2017

 

 

 

 

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Visti i temi di attualità trattati anche da questo sito quali la legge urbanistica regionale e le problematiche delle città e delle persone che in città vivono come ospiti sgraditi (migranti e poveri), mi permetto di consigliare la lettura dell’ultimo libro dello scrittore e giornalista Suketu Mehta “ La vita segreta delle città”.

 

E’ un libro con storie dove i flussi migratori si mescolano con grattacieli e sviluppo.

Mehta racconta la “storia umana” delle metropoli chiamando in causa architetti, urbanisti e amministratori pubblici.

Se questi ultimi potranno trovare il racconto spesso banale, sono soprattutto coloro che le città le vivono che troveranno interessante questo saggio di scorrevole lettura.

La quarta di copertina recita:

Quale è la storia di una città? Quale è ad esempio la storia di Mumai, di New York, di Sào Paulo? In realtà non c’è una sola storia, ce ne sono tante.

Molto dipende da chi le racconta, e da chi le ascolta. Di ogni luogo esistono almeno due narrazioni: quella ufficiale, spesso dai toni euforici e giubilanti, e quella non ufficiale, più sobria e vera. Mehta ricerca le vite che nessuno racconta, quelle di chi le città le vive davvero, con passione, dolore e spesso molte difficoltà. Le città segrete dei poveri, dei migranti, delle famiglie, della gente in movimento. Perché l’essenziale è non dimenticare mai che le città sono fatte delle persone che le abitano e che le metropoli, che emarginano ed escludono, sono sempre di più luoghi vuoti, parvenze, simulacri di se stesse.”

  • Suketu Mehta, La vita segreta delle città. Einaudi, pp. 96, 16,00 –

 

Daniele Carroli

 

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Sabato 25 febbraio 2017 si è tenuta a Ravenna presso il circolo "Strocchi" una interessante assemblea di militanti del Pd. Per chi volesse avere una conoscenza di prima mano di che cosa si è detto vi segnaliamo qui i link ai filmati degli interventi presenti sul sito di Radio radicale.
Questo il link all'intera registrazione: http://www.radioradicale.it/scheda/501210/assemblea-del-circolo-del-partito-democratico-di-ravenna  (ha una durata di 2 ore e 5 minuti) e può anche essere ascoltata in solo audio.
I vari interventi sono visibili o ascoltabili anche singolarmente.
Sono intervenuti: Domenico Antonio Esposito (segretario dei Giovani Democratici di Ravenna), Luca Ortolani, Luigi Tripoli, Marco Turchetti (segretario del Circolo Pd di Ravenna), Ivan Fuschini, Ilaria Visani, Lorenzo Gottarelli, Gilberto
Coffari, Alberto Minardi, e l'ex Presidente della Regione Emila-Romagna Vasco Errani.
Di particolare interesse, a nostro giudizio, le parole di alcuni giovani esponenti faentini del Pd (la relazione di Luca Ortolani e l'intervento di Ilaria Visani, consiglieri comunali a Faenza), e, naturalmente, il lungo e sofferto discorso di Vasco Errani.
Crediamo si tratti di un dibattito che continuerà a lungo; il sito è disponibile ad ospitare riflessioni e osservazioni in proposito.

La redazione

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Chi visita Berlin e´indotto piu´facilmente a stare a testa all´insu´che a guardare a terra, a meno che non si tratti di strisce pedonali, di opere dei „madonnari“, di tracce segnalate del „muro“ o di artisti di strada dalla fantasia molto sviluppata. Percio´, benche´ siano poco meno di 7.000, non e´raro che passino inosservate le „stolpersteine“, letteralmente „pietre d´inciampo“, sparse per tutta la citta´.

Simili ai sanpietrini, sono pietre con una placca di ottone delle dimensioni di 10x10 cm., che vengono collocate a terra sul marciapiedi o sulla strada, in ricordo di persone perseguitate dal Nazionalsocialismo.

Il progetto fu

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Appello al presidente Obama negli ultimi giorni del suo mandato: conceda la grazia a Leonard Peltier prima di lasciare la Casa Bianca.

Primi firmatari: Alex Zanotelli e Gad Lerner

Leonard Peltier è un attivista per i diritti dei nativi americani. La sua storia è poco conosciuta in Italia, ma rappresenta un’ingiustizia che ancora oggi non è mai stata sanata. Peltier si trova in carcere dal 1976, in seguito a due condanne per omicidio che sono state sentenziate con prove poi risultate non vere. Peltier è accusato di aver favorito l’omicidio di due agenti della FBI uccisi nel 1975. Negli anni 70 Peltier diventò un esponente dell’AIM, il movimento che si batte per i diritti dei nativi americani. In quel periodo si è svolta una dura lotta tra una tribù dei Lakota, che vivevano in una riserva del South Dakota, e lo Stato federale, che voleva controllare i ricchi giacimenti di quei petroli. Uno scontro costato molte vite umane. Durante un’operazione a sorpresa del FBI Peltier fu coinvolto in un prolungato scontro a fuoco, che uccise un indiano americano e due giovani agenti. Tre persone furono accusate d’omicidio, ma solo Peltier fu condannato, dopo che l’estradizione dell’attivista dal Canada dove si era rifugiato. Leonard Peltier ha sempre professato la sua innocenza, e negli anni successivi alla sua condanna sono emerse prove che corroborano questa tesi. Andrea De Lotto, un insegnante italiano che vive a Barcellona e si batte per la liberazione di Leonard Peltier, descrive sinteticamente le contraddizione della sentenza contro l’attivista dei nativi americani. ” Dopo cinque anni, accurati esami balistici riuscono a provare che i proiettili che uccisero i due agenti non appartenevano all’arma di Leonard, e alcuni dei testimoni che lo avevano accusato ritirano le loro dichiarazioni, confessando di essere stati minacciati dall’FBI. A Leonard è stata negata la possibilità di avere una revisione del processo, nonostante le prove che dimostrano la sua innocenza”.  Il regime di carcerazione è stato particolarmente pesante nei suoi confronti. ” Per almeno due volte si è cercato di ucciderlo in carcere, mentre le sue condizioni di salute sono difficili. Operato ad una mascella solo grazie alle pressioni popolari, quasi cieco da un occhio, malato di diabete e di prostata, ma Leonard Peltier resiste e non rinnega nulla della sua lotta”. Una battaglia per i diritti del suo popolo che è costata la libertà all’attivista, come rimarca Andrea De Lotto. ” Leonard Peltier è in carcere perché lottava per i diritti del suo popolo e la sua storia è un esempio delle tante ingiustizie che avvengono in ogni parte del mondo e che vengono taciute perché “scomode”. Peltier in Italia è praticamente sconosciuto, la sua storia non riempie le pagine dei giornali. Eppure è una storia che merita attenzione, perché ci parla dell’apartheid oggi, che non si esprime più nelle forme feroci che si sono vissute in Sudafrica, ma che continua ad esistere anche nei paesi cosiddetti civili. L’apartheid non è soltanto brutale e gratuita violenza verso chi ha la pelle di diverso colore”.

A questi link si possono firmare le petizioni per la sua liberazione. Bill Clinton fu sul punto di graziarlo, ma l’FBI si rivoltò contro quella decisione. Ora si spera che il presidente Obama, negli ultimi giorni del suo incarico, possa liberare Leonard Peltier dal carcere.

 

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La buona notizia è che in Italia si sta costituendo il Comitato per l’abolizione dei debiti illegittimi, aderente al coordinamento internazionale denominato CADTM. La cattiva notizia è che l’anno 2016 si chiude con un’ulteriore aggiunta di debito illegittimo che fa veleggiare il debito pubblico italiano verso quota 2300 miliardi. Ormai quale sia il vero ammontare del debito pubblico italiano lo sa solo il Ministro del Tesoro, dal momento che l’Unione Europea sta autorizzando aumenti di deficit esonerati dall’obbligo di essere conteggiati nell’ammontare complessivo del debito. Una sorta di autorizzazione al falso in bilancio per permettere agli stati di spendere in sovrappiù senza dare l’impressione di avere trasgredito le regole europee che tutti considerano inattuabili. L’ultimo atto di questa farsa è il provvedimento del Parlamento italiano che autorizza altri 20 miliardi di debito per salvare le banche.

Siamo tutti indignati con l’Unione Europea che in nome della riduzione del debito ci costringe a lacrime e sangue. Ma il rifiuto dell’austerità non significa automatica legittimazione di qualsivoglia sregolatezza. Sappiamo che ogni nuovo euro di debito si traduce in una spesa più alta per interessi, per cui l’indebitamento va limitato allo stretto indispensabile per soddisfare i bisogni sociali e ambientali di tutti i cittadini, privilegiando formule che pesano il meno possibile sugli anni a venire. Tutto quel debito che non risponde a questi criteri può essere considerato illegittimo e quindi ripudiato. Le somme autorizzate per il salvataggio delle banche ricadono in questa categoria.

Perfino i fautori del capitalismo duro e puro ci danno ragione: la dottrina liberista non ammette aiuti di stato alle aziende decotte, a maggior ragione se inguaiate per bancarotta fraudolenta. E non importa se si tratta di banche: ormai è lontano il tempo in cui gli istituti di credito si potevano considerare entità sociali che svolgevano il ruolo di intermediazione fra risparmiatori e investitori. Per le attività che svolgono oggi, le banche sono più paragonabili ad associazioni a delinquere che a comitati d’affari. Il modo in cui è stata gestita Monte dei Paschi negli ultimi dieci anni è emblematica in proposito. Si continua a dire che il problema del Monte sono i 49 miliardi di crediti inesigibili, ma di che si tratta veramente? Volendo usare le vecchie categorie concettuali, potremmo pensare che si tratta di soldi dati in prestito a imprenditori che hanno difficoltà a restituirli perché colpiti dalla crisi. Ma il grande calderone può comprendere anche operazioni che niente hanno a che fare con le imprese produttive: semplici investimenti speculativi banalmente finiti male. Per non parlare del fatto che molti dirigenti di banca cedono prestiti a complici che mai li restituiranno perché il loro vero obiettivo è spartirsi il bottino a danno della banca, ossia dei risparmiatori.

Nel 2007 Monte dei Paschi comprò la Banca Antonveneta per 9 miliardi di euro, ma considerato che si portava in dote una montagna di debiti, il costo reale per il Monte fu di 17 miliardi. Semplice errore di valutazione o acquisto fatto a sommo studio per arricchire qualcuno a danno del Monte? Non si saprà mai, ma di certo si sa che il Monte ci rimise una diecina di miliardi che cercò di nascondere sotto il tappeto con altre operazioni fasulle che procurarono altre perdite ancora. Perdite che alla fine cercò di rifinanziare con prestiti ottenuti da sprovveduti risparmiatori che allettati da un tasso di interesse al 4% ignorarono la clausola secondo la quale in caso di difficoltà della banca, il loro prestito si sarebbe trasformato in partecipazione proprietaria. Un modo elegante per dire che i loro soldi sarebbero andati persi.

Quella del Monte dei Paschi è una storia di normale fraudolenza che ha visto alcuni dirigenti condannati per falso in bilancio, mentre i veri profittatori se ne stanno in libertà in perfetto anonimato. Intanto anche JP Morgan e Mediobanca hanno avuto la loro parte di guadagno per avere svolto attività di consulenza e di intermediazione tesa a trovare investitori disposti a iniettare denaro nella banca decotta. Ma ottenuta la parcella, i paventati investitori del Qatar e di altri emirati arabi si sono dissolti come nebbia al sole. Ed ecco l’arrivo dello stato, non per salvare il Monte, ma per restituire i soldi ai suoi creditori. Salvo chiedersi che fine faranno i poveri sprovveduti che hanno acquistato obbligazioni trasformabili in azioni.

Dovremmo seguire l’esempio del popolo islandese che organizzò l’insurrezione appena sentì parlare di debito pubblico per riparare le malefatte dei banchieri scappati col malloppo. Alla fine lo stato sborsò comunque qualcosa, ma solo per salvaguardare i risparmi dei cittadini. Dal che si impara che indagine e selezione sono le due parole chiave per affrontare con senso di responsabilità i buchi delle banche: i depositi dei cittadini si tutelano, i soldi prestati dai grandi investitori si lasciano al loro destino. Per loro si tratta di operazioni di mercato che possono andare bene o possono andare male. Del resto, il rischio è la ragione per cui pretendono un tasso di interesse.

Non si può continuare all’infinito a pretendere l’applicazione dei principi liberisti per i cittadini e del protezionismo per i grandi capitali. Caso mai deve essere il contrario. E visto che ci siamo, precisiamo che se le banche sono troppo importanti per lasciarle fallire, allora che siano tolte di mano ai privati e siano affidate alla collettività con due soli scopi: raccogliere il risparmio popolare e metterlo a disposizione di famiglie ed imprese per investimenti socialmente e ambientalmente responsabili. Dopo la vittoria del 4 dicembre, il perseguimento di questo obiettivo sarebbe il modo giusto per continuare la nostra battaglia a favore della piena attuazione della Costituzione.

Informazioni sull'Autore

Francesco Gesualdi
Francesco Gesualdi, già allievo di don Milani, è fondatore e coordinatore del Centro Nuovo Modello di Sviluppo di Vecchiano (Pisa), che si propone di ricercare nuove formule economiche capaci di garantire a tutti la soddisfazione dei bisogni fondamentali. Coordinatore di numerose campagne di pressione, è tra i fondatori insieme ad Alex Zanotelli di Rete Lilliput. www.cnms.it




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