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VATICANO. Le parole del Pontefice sull'Ucraina e la Palestina

Papa Francesco (Ansa) Papa Francesco - Ansa

«Credo che sia più forte» chi «pensa al popolo, chi ha il coraggio della bandiera bianca». Lo ha detto papa Francesco nel corso di un programma della tv svizzera che andrà in onda il 20 marzo. «E oggi si può negoziare con l’aiuto delle potenze internazionali. La parola negoziare è coraggiosa. Quando vedi che sei sconfitto, che le cose non vanno, occorre avere il coraggio di negoziare».

Nel corso della serata di ieri dal Vaticano arriva anche la rettifica: con «bandiera bianca» il papa non intende resa incondizionata, ma appunto una «soluzione diplomatica» che ponga fine alle «numerosissime vittime innocenti». Il pontefice lo afferma anche a proposito dell’offensiva a Gaza, e del suo eventuale ruolo di negoziatore. «Io sono qui, punto. Ho inviato una lettera agli ebrei di Israele, per riflettere su questa situazione. Il negoziato non è mai una resa. È il coraggio per non portare il Paese al suicidio»

 

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IL POPOLO PACIFISTA. In 30 mila in corteo a Roma. Dal palco sui Fori testimonianze da Gaza e tanti artisti: «Che la pietà non vi rimanga in tasca»

 La manifestazione di Assisi pace giusta a Roma - Foto LaPresse

 

Il popolo della pace in Italia c’è e continua a farsi sentire. La pioggia del sabato di marzo romano accoglie il lungo serpentone – 30 mila persone per gli organizzatori – che scenda da piazza della Repubblica verso i Fori Imperiali. La rete Assisi Pace giusta – che raccoglie la Cgil, Anpi, Arci, Emergency e tante associazioni cattoliche – ha lanciato la manifestazione in soli dieci giorni ma la risposta è stata «superiore alle attese».

La richiesta unanime è «cessate il fuoco immediato a Gaza» e le tante bandiere della Palestina in corteo testimoniano un legame speciale con il nostro paese: la parola «genocidio» è ben presente in tanti cartelli. «Siamo ebrei e palestinesi, siamo russi e ucraini, l’umanità non ha confini», si legge su uno degli striscioni.

«Siamo qui perché bisogna applicare le direttive dell’Onu, a partire dalla soluzione dei “Due popoli, due stati – spiega il segretario della Cgil Maurizio Landini – . Siamo in piazza per difendere il diritto del popolo palestinese e il diritto del popolo israeliano di esistere. E questo può avvenire solo con la pace. Quello che sta facendo il Governo Netanyahu non va in questa direzione – ha continuato Landini- è anche contro il proprio popolo. Bisogna che il governo italiano la Commissione europea intervengano con maggior forza per chiedere di cessare il fuoco e aprire una vera e propria conferenza di pace. Bisogna fermare tutte le guerre, quella in Ucraina, quella in Siria, quelle in atto in Africa. Non siamo disponibili ad accettare il fatto che la guerra sia tornata ad essere uno strumento di regolazione dei rapporti tra gli stati». E ancora: «Si sta aumentando la spesa militare e la compravendita di armi. Credo che questo sia molto pericoloso. Per questo è importante mobilitarsi. Ma siamo qui anche per difendere il diritto a manifestare, è il modo migliore per rispondere alla logica pericolosa del governo Meloni, che anziché misurarsi con le richieste democratiche pensa di usare la forza. Non è questa la strada- ha continuato Landini – e lo dico nel rispetto dei lavoratori della polizia perché il problema non sono loro ma gli ordini e la logica sbagliata che sta usando il governo».

Arrivato ai Fori Imperiali, il corteo si incanala nella strettoia delle transenne e si allunga. La scelta è di dare spazio dal palco alle testimonianze dirette da Gaza e agli artisti. «Abbiamo deciso di evitare i comizi – spiega Flavio Lotti del Tavolo della Pace – vogliamo dare l’idea che è l’intera società a dover reagire». «L’unico vero obiettivo è il cessate il fuco, è quello che ci hanno chiesto tutti», chiarisce il presidente Arci Walter Massa, reduce dal viaggio in Egitto. E allora, dopo gli studenti che ricordano i manganelli di Pisa, tocca a Fiorella Mannoia scaldare la piazza, a cuore aperto: «Chi parla di pace viene deriso o peggio finisce nelle liste di proscrizione, non avrei mai pensato di vivere in un mondo del genere». E chiude il suo breve – come tutti – intervento con una citazione di Fabrizio De Andrè: «Che la pietà non vi rimanga in tasca».

Yousef Hamdouna della ong Educaid a Rafah ora ha «tutta la famiglia, 57 persone che vivono senza cibo, acqua, medicine, come tutti. La cosa che fa arrabbiare è che è passata l’idea che a Gaza c’è un problema di fame, ma fermare le bombe magari è più importante. Il silenzio bombarda qualsiasi persona, a Gaza siamo abbandonati».

Alfio Nicotra a nome della delegazione di politici e attivisti appena tornata denuncia «il tentativo di depalestinizzazione della striscia di Gaza da parte del governo israeliano», mentre Elio Germano paragona efficacemente le spese militari – «29 miliardi nel 2024 solo in Italia» – a quanto «bene si potrebbe fare con quei soldi: con il costo di un sottomarino si assumerebbero 8mila infermieri per 5 anni» e conclude chiedendo alla folla di «non smettere di lottare».

Il video finale di Alessandro Bergonzoni è un profluvio di parole che restano stampate nella memoria: «Va bene, discutiamo dell’etimologia di genocidio, ma prima c’è stato un genocidio, il massacro del nostro cervello che non passa dal male al bene: anche la morte chiede tregua, non ce la fa più»

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ARRIVI VIA MARE. Ieri a Lampedusa cinque barconi con oltre 200 persone. Un signore pakistano trovato morto sugli scogli

Il sindaco di Ravenna: «Ora il governo pensi anche ai migranti vivi» La Sea-Watch 5 sbarca a Pozzallo - Sea-Watch

«Il governo Meloni ha avuto un sorprendente moto di pietà e umanità per la giovane vittima, ma analogo sentimento non è valso per gli oltre 900 migranti sbarcati nell’ultimo anno a Ravenna, tra i quali donne in gravidanza bambini e neonati, costretti a un ulteriore viaggio di migliaia di chilometri a causa della distanza tra il luogo di salvataggio e l’approdo». Lo ha detto ieri Michele De Pascale sindaco dem del capoluogo romagnolo dove il Viminale avrebbe voluto spedire la Sea-Watch 5. A bordo, oltre ai 51 naufraghi tratti in salvo, la salma di un 17enne per cui non c’è stato nulla da fare, morto verosimilmente per i fumi del motore del barcone su cui viaggiava sottocoperta.

Alla fine la nave umanitaria ha potuto attraccare a Pozzallo nella notte tra giovedì e venerdì. Sono sbarcati tutti lì. Poche ore prima le autorità italiane avevano fatto dietrofront rispetto all’assurda pretesa di costringerla a una traversata così lunga, con un cadavere sul ponte. A Ravenna la procura aveva già annunciato l’apertura di un’inchiesta per omicidio, mentre il Comune si era messo in moto per organizzare i funerali del ragazzo. A Pozzallo il sindaco Roberto Ammatuna ha definito «inverosimile» la scelta iniziale del governo di spedire la nave in Emilia-Romagna. E ha aggiunto: «Siamo appena agli inizi di un’altra stagione estiva degli sbarchi».

Ieri a Lampedusa gli arrivi via mare sono stati 5, per un totale di 234 persone. Il corpo privo di vita di un signore pakistano è stato recuperato sugli scogli dell’isola. «Ha avuto un infarto», ha raccontato disperato un parente che viaggiava con lui

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REGIONALI. L'ex premier: «Non arriviamo al 50% da soli. Nel campo progressista dem protagonisti, c’è un dialogo»

Conte: «Serve una coalizione coesa. Non detto le regole» Il leader dei 5 Stelle Giuseppe Conte con il comico di Pescara Nducci

Giuseppe Conte torna ancora una volta in Abruzzo nell’ultimo giorno di campagna elettorale: tappe nell’aquilano, la zona dove la destra resta più forte. All’ora di pranzo si presenta a Pescina, paese natale di Ignazio Silone e del cardinale Giulio Mazzarino. Tra le braccia Fontamara, il capolavoro dello scrittore abruzzese. Ad attenderlo alcune decine di cittadini: non è previsto alcun comizio, solo strette di mano, ringraziamenti, richieste di aiuto. A sorpresa spunta il comico pescarese Duccio: improvvisano un comizio-cabaret, mezz’ora di battute al veleno contro il governatore Marsilio di Fdi.

L’ex premier è una spalla perfetta, lo sketch funziona come se lo avessero provato 10 volte, «è stato tutto improvvisato», giurano dallo staff del M5S. Nduccio ironizza sul trio Meloni-Salvini-Tajani, «sono venuti a Pescara come i Re magi». «Sì ma quelli portavano doni veri, loro portano solo promesse», arriva il campo di Conte. E ancora battute su Marsilio che va su e giù per l’A24 per dormire a Roma, sulle «infrastrutture di cittadinanza» annunciate dalla premier. «E poi la gente cosa si mangia? Pezzi di cemento o di cavalcavia», sogghigna il capo del 5S. Che elogia il candidato del centrosinistra D’Amico: «È un collega universitario, ha avuto grandi responsabilità. È stato rettore e ha sempre fatto bene. E poi vive qui, la sera non ha bisogno di andare a Roma come Marsilio per stare con la sua famiglia». Conte ha capito che la non abruzzesità è uno dei principali talloni d’Achille del governatore uscente. «Io direi scadente», lo interrompe Nduccio, «Sta per scadere…». Altre risate. Ha capito che questo argomento ha una forte presa popolare.

Poi si fa più serio. «Qui in Abruzzo il malcontento per chi governa la regione sta emergendo in tutta la sua consistenza: per questo confidiamo di farcela. Sulla sanità ho ascoltato un grido di dolore, le prestazioni sono sotto la soglia minima della dignità», spiega al manifesto. «Questo non è solo un feudo, è la succursale di Fdi, per questo arrivano i ministri l’ultima settimana carichi di false promesse. Ma l’orgoglio degli abruzzesi non si lascerà ingannare». Secondo l’ex premier «il vento è cambiato, in Abruzzo e non solo c’è un risveglio degli elettori da una sorta di torpore acquiescente. Per questo c’è questa nostra grande rimonta che arriva dopo la vittoria in Sardegna».

Il leader dei 5S ci tiene a non dare un valore di laboratorio nazionale al campo larghissimo che qui va da lui a Renzi, «sapete come la penso su lui e Calenda, non fatemi fare polemiche…». Cerca di stare ancorato alla sua filosofia dei «progetti costruiti a misura delle comunità locali». Però non nasconde l’idea che prima o poi bisognerà pensare anche a una coalizione nazionale. Anche perché «mi sembra difficile che si possa andare avanti 5 anni con questo governo: non ci sono soluzioni ai problemi, solo specchietti per le allodole come il premierato e l’autonomia. La gente lo sta comprendendo e questo sta facendo virare il vento…». Giovedì sera a Otto e Mezzo su La7 per la prima volta ha detto di non voler porre come condizione quella di essere lui il federatore del campo progressista. È una svolta? «Diciamo che ho voluto rassicurare tutti quelli preoccupati che il M5S possa prendere un punto in più degli altri. Anche in quel caso non sarò io a dettare le regole». In che senso? «Noi siamo fedeli ai nostri obiettivi e valori qualsiasi sia la percentuale, dal 5 al 30%. E ci muoviamo così ad ogni livello, dalle città fino al nazionale: prima un progetto, poi un programma e infine si valuta quale sarà l’interprete migliore».

Il vostro primo interlocutore resta il Pd? «Guardi, non ho mai pensato che il Movimento arrivi al 50% da solo, i dem sono protagonisti del campo progressista e con loro c’è un dialogo, abbiamo appena rilanciato la legge di iniziativa popolare sul salario minimo, siamo testardi, non molliamo». Conte nel frattempo si è spostato a Celano: arriva Alessandra Todde, baci e abbracci davanti alle telecamere. I due salgono al castello Piccolomini, lui ribadisce l’apertura alla coalizione anche a livello nazionale: «Se si fanno coalizioni serie e coese si può essere competitivi con la destra ad ogni livello, anche alle politiche». Todde è qui come portafortuna? «Non trattiamola come un talismano, lei è la prova concreta che si può vincere e portare il rinnovamento».
Poi i due, con alcuni dirigenti locali dei 5S, si infilano in una trattoria. C’è anche Nduccio, che telefona a Renzo Arbore e lo passa a Conte: «Allora presidente, è vero che si vince?»

 

 

 

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EUROPEE. Un emendamento in commissione affari costituzionali al Senato cambia in corsa le regole per le presentazione delle liste. Passo indietro di De Magistris da portavoce di Unione popolare, che entra «in crisi»

 Una manifestazione di Unione popolare - Ansa

La commissione affari costituzionali del Senato ha approvato l’emendamento che ha tolto ai partiti europei riconosciuti il diritto all’esenzione delle firme. Significa, ad esempio, che Rifondazione comunista, che fino all’altro ieri non doveva raccogliere le firme in quanto affiliato al Partito della Sinistra europea che è presente nell’albo dei partiti del parlamento europeo, dovrà adesso mettersi a raccogliere le firme. Cosa nient’affatto semplice, visto che ne occorrono 150 mila, certificate e distribuite in tutto il paese.

«L’emendamento, presentato da Fratelli d’Italia e approvato dalla maggioranza, cambia le regole del gioco a partita iniziata – protestano dal Prc – L’Unione europea raccomanda di non modificare le regole nei 6 mesi precedenti alle elezioni. Inoltre in base alla normativa vigente si potevano raccogliere le firme dal 1 gennaio ma ovviamente chi aveva diritto all’esenzione non ha intrapreso la raccolta perché pensava di non necessitarne. Si tratta di un blitz antidemocratico per colpire le voci scomode come la Lista per la pace a cui abbiamo aderito. La destra italiana dimostra ancora una volta il suo volto prepotente, illiberale e antidemocratico». Ci sarebbe ancora tempo per rimediare: il provvedimento deve infatti passare al vaglio della Camera.

Proprio due giorni fa, il documento approvato a maggioranza dal Comitato politico nazione di Rifondazione confermava l’adesione alla lista di Michele Santoro e Raniero La Valle e impegnava «la segreteria e tutte le strutture territoriali alla massima mobilitazione sulla raccolta delle firme per la presentazione in tutte le circoscrizioni della lista». A questa mobilitazione, tuttavia, non sembra essere destinata a partecipare Unione popolare, il soggetto al quale Rifondazione aderiva insieme a Potere al Popolo e DeMa, il movimento di Luigi De Magistris. Proprio l’ex sindaco di Napoli, infatti, ha lasciato la carica di portavoce di Unione popolare, con un comunicato a causa di «non più rinviabili ragioni di natura professionale e personale, su cui si sono aggiunte riflessioni anche politiche».
Alle dimissioni di De Magistris ha fatto seguito un comunicato di Popolo che certifica le difficoltà dentro Up e ribadisce le incomprensioni con il progetto della Lista per la pace. «In questi mesi Unione popolare è entrata in una evidente crisi – dicono quelli di Pap – Per diverse ragioni politiche e uno stallo organizzativo, in particolare per le diverse valutazioni al suo interno su come confrontarsi con la lista elettorale per le europee lanciata da Michele Santoro»

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MEDIO ORIENTE. «Le chiediamo di programmare quanto prima una visita a Rafah - chiedono i firmatari a Meloni - È indispensabile un salto di qualità nell’azione politica e diplomatica italiana»

Carovana solidale italiana, messaggio al governo: cessate il fuoco, ripresa dei fondi all’Unrwa, sostegno a Gaza

 

La carovana solidale italiana ha lasciato l’Egitto con un messaggio al governo italiano: cessate il fuoco immediato e liberazione degli ostaggi, come da indicazione del parlamento italiano, sostegno umanitario alla popolazione di Gaza, cancellazione del taglio dei fondi all’Unrwa e misure che diano seguito alla decisione della Corte internazionale di Giustizia che il 26 gennaio ha individuato a Gaza i sintomi di un plausibile genocidio.

Le richieste sono contenute in una lettera indirizzata alla presidente del consiglio, Giorgia Meloni, e firmata da chi la carovana l’ha organizzata e da chi ha aderito: l’Associazione delle organizzazioni di solidarietà e cooperazione internazionale (Aoi), Assopace Palestina e Arci; e poi i 14 deputati di Avs, M5s e Pd e i due docenti di diritto internazionale, Alessandra Annoni e Triestino Mariniello, presenti nella delegazione che ha raggiunto il valico di Rafah.

«L’obiettivo della missione è ribadire dalla frontiera più esposta del conflitto la necessità di un immediato cessate il fuoco, chiedere la liberazione degli ostaggi, seguire il percorso dei convogli umanitari, compresi quelli dell’Aoi ed esprimere la nostra vicinanza al popolo palestinese che vive la prova più difficile dal 1948», si legge nella lettera che ripercorre le testimonianze di esponenti della società civile palestinese, agenzie Onu e ong internazionali incontrate in Egitto.

Si parla della fame che attanaglia Gaza e delle pratiche dell’offensiva israeliana che ha provocato oltre 30mila uccisi, la stragrande maggioranza donne e bambini, dello sfollamento di 1,9 milioni di palestinesi e del collasso del sistema sanitario.

«Le chiediamo di programmare quanto prima una visita a Rafah – chiedono i firmatari a Meloni – È indispensabile un salto di qualità nell’azione politica e diplomatica italiana».

«Il 9 marzo saremo a Roma alla manifestazione nazionale e riporteremo la nostra esperienza, che va ripetuta anche in altri contesti – ci spiega Alfio Nicotra di Un Ponte Per e membro dell’esecutivo di Aoi – Una sinergia tra istituzioni, movimenti e stampa, mentre proseguiamo la raccolta fondi di Aoi, Emergenza Gaza. Ma senza cessate il fuoco gli aiuti non possono essere distribuiti: deve cambiare l’atteggiamento dell’Italia e dell’Europa verso la questione palestinese».

A emergere è il ruolo svolto dalle ong italiane impegnate in Medio Oriente e che da subito si sono attivate a sostegno dei rispettivi staff a Gaza e della popolazione. «L’idea di una carovana è nata con l’obiettivo di coinvolgere società civile, politica e stampa – ci racconta Ilaria Masieri di Terres des Hommes Italia, membro di Aoi – e dalla frustrazione e la difficoltà a compiere azioni concrete per il cessate il fuoco».

«Sentivamo l’esigenza di mettere stampa e politica davanti alle proprie responsabilità – continua Masieri – L’obiettivo è mostrare che ci sono interlocutori credibili, esperti di diritto internazionale e operatori umanitari che in Palestina ci lavorano. Siamo noi gli interlocutori in una crisi umanitaria. La carovana è l’inizio di un lavoro congiunto tra persone che fanno lavori diversi e da diverse prospettive. E speriamo in un impegno dei gruppi parlamentari che hanno partecipato»

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