STRISCIA DI SANGUE. Il segretario Onu in Egitto alle porte di Gaza. «Non abbiamo il potere di fermare la guerra»
Antonio Guterres al valico di Rafah - Khaled Desouki/Getty Images
Ci sono momenti che, a guardarli, si sa che già che resteranno nella memoria, attimi iconici che svelano la natura del tempo che vivono. Lo è stata ieri la conferenza stampa in mezzo al deserto di Antonio Guterres, segretario generale delle Nazioni unite: camicia grigio chiaro, capelli scompigliati dal vento del Sinai, davanti una manciata di microfoni e dietro l’arco che separa l’Egitto da Gaza.
LO È STATA perché ha dato il senso, plastico e terribile, dell’impotenza. Lui, che le Nazioni unite le presiede, è volato fino ad Al Arish, e poi a est verso il valico di Rafah per certificare la morte cerebrale dell’Onu: «Non abbiamo il potere di fermare la guerra. Chiediamo di farlo a chi quel potere ce l’ha». Ad accompagnarlo c’era il governatore egiziano della Penisola del Sinai, Mohammed Shusha, e una processione di camion di aiuti senza fine apparente. Erano 1.500 quelli in attesa fino a un paio di settimane fa, ora secondo Shusha sarebbero 7mila. Giovedì ne sono entrati 35, venerdì nessuno, ieri neanche.
È quel numero, e quell’inutile attesa a poche centinaia di metri da Gaza, che ha fatto parlare Guterres: «Qui vediamo lo strazio e la crudeltà di tutto ciò. Una lunga fila di camion umanitari bloccati su un lato del cancello, l’ombra lunga della carestia sull’altro». È un «oltraggio morale», dice il segretario generale: «I palestinesi di Gaza, bambini, donne e uomini, vivono dentro un incubo infinito. Porto la voce della grande maggioranza del mondo che ne ha avuto abbastanza».
Parole durissime rivolte a chi quei camion li rallenta o li rimanda indietro («Niente giustifica la punizione collettiva del popolo palestinese», dice Guterres): Israele, a cui il più simbolico dei vertici del Palazzo di Vetro chiede un «impegno inviolabile» ad aprire immediatamente i valichi terrestri e a far tacere le armi. A stretto giro è giunta la risposta israeliana, per bocca del ministro degli esteri Katz che ha definito l’Onu «organizzazione antisemita, anti-israeliana e sostenitrice del terrorismo».
Non va meglio ai camion che sono riusciti ad attraversare il valico israeliano di Kerem Shalom, a est della Striscia. L’ultima denuncia è di Philippe Lazzarini, capo dell’agenzia Onu per i rifugiati palestinesi, che ieri ha scritto che a un convoglio di cibo dell’Unrwa è impedito di raggiungere il nord di Gaza, dove è ormai accertata l’emersione di una gravissima carestia. È la seconda volta in una settimana, dice Lazzarini.
LA GUERRA “umanitaria” assume forme diverse, camion in attesa da settimane nel deserto egiziano, camion senza autorizzazione a passare oltre Wadi Gaza. E cibo preso di mira dal fuoco. È successo di nuovo ieri, ancora una volta alla rotonda Kuwait di Gaza City, missili sulla folla di affamati assiepata per ricevere un po’ di cibo. Almeno nove gli uccisi, in quello che è diventato un punto di riferimento primario per la distribuzione di aiuti. Era andata peggio il 29 febbraio scorso, quando nello stesso luogo di palestinesi ne erano stati ammazzati 80.
Si muore anche dentro lo Shifa, il più grande degli ospedali di Gaza. Ieri, al sesto giorno di assedio israeliano, secondo il ministero della sanità hanno perso la vita cinque feriti per l’impossibilità di ricevere cure adeguate. Non c’è cibo, non c’è acqua e i bulldozer israeliani proseguono nella distruzione del compound. Tel Aviv ieri ha aggiornato il numero di uccisi e arrestati dentro lo Shifa, tutti miliziani di Hamas secondo l’esercito israeliano: oltre 170 i morti, 800 i sospetti detenuti. I palestinesi insistono: sono civili.
«L’INTERA AREA è stata trasformata in un campo di battaglia – riportava ieri il corrispondere di Al Jazeera, Hani Mahmoud – Intorno allo Shifa l’esercito israeliano sta sistematicamente appiccando incendi agli edifici. E continua a operare con violenza all’interno, danneggiando equipaggiamento medico». Immagini catturate da video girati nei pressi dello Shifa mostrano le fiamme avvolgere le case, svuotate – dice la stampa presente – dai loro abitanti, cacciati o arrestati.
PIÙ A SUD, al confine con l’Egitto, a poca distanza dallo scranno da cui ieri Guterres ha lanciato il suo appello, cadono le bombe. Nelle ultime 24 ore Rafah è stata colpita più volte da droni armati. Nei quartieri est della città un missile ha sfondato una palazzina in cui una famiglia di sfollati aveva creduto di trovare rifugio. Cinque uccisi, tutti bambini, sette i feriti portati all’ospedale al-Najjar. Numeri che aggiornano il bilancio delle vittime dal 7 ottobre, oltre 32.120, a cui si aggiungono quasi 74.500 feriti.
Sul cessate il fuoco si esprimerà lunedì il Consiglio di Sicurezza Onu dopo la bocciatura, venerdì, della risoluzione statunitense. A bloccarla il veto di Cina e Russia (oltre al voto contrario dell’Algeria), che ieri hanno ricevuto il plauso di Hamas.
INTANTO con il segretario di stato Usa Antony Blinken ripartito da Israele con nelle orecchie il messaggio chiarissimo del premier Netanyahu (offensiva terrestre su Rafah con o senza il sostegno statunitense), le pressioni maggiori almeno all’apparenza sembrano giungere dal fronte interno: ieri nelle principali città israeliane nuove proteste contro il governo e per elezioni anticipate (due manifestanti arrestati a Cesarea), mentre centinaia di palestinesi cittadini israeliani hanno partecipato al corteo per il cessate il fuoco nella cittadina di Majd al-Krum
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Intanto Giuseppe Conte incontrando i gruppi lombardi del M5S a Sesto San Giovanni dice che «uno non vale uno». Ma rivendica il limite dei due mandati elettivi
Nicola Fratoianni e Giuseppe Conte - Ansa
Il cammino «di ascolto» di Alleanza Verdi Sinistra passa da Firenze, dove si è parlato di «democrazia e di pace per l’Europa». Cecilia Bassi, consigliera comunale a San Gimignano di Europa Verde, sottolinea l’importanza del civismo e della partecipazione. «Dopo la pandemia sembra che molta gente sia rimasta in casa», non abbia ritrovato «le agorà». «Si parte da ciò che è vicino a noi per definire campi di senso e di azione più ampi», dice a proposito dell’azione nella sfera locale che non perde di vista l’Europa.
Tra locale e globale c’è di mezzo, appunto, la partecipazione diretta. Lucrezia Iurlaro, che con l’associazione Tocca a noi si occupa di uguaglianza di genere e nuovo welfare, descrive l’importanza delle piazze come luoghi di incontro e inclusione: «Vogliamo unire generi e generazioni e creare un ponte tra le piazze e le istituzioni, come nel caso della lotta contro la Tampon Tax». C’è anche Luisa Morgantini, storica attivista per la pace ed ex vicepresidente del parlamento europeo, che riprende il claim della campagna verso le europee di Avs: «Bisogna avere il coraggio di osare, dal basso dobbiamo guardare e partecipare le sofferenze e le ingiustizie che si vivono: essere nei luoghi e con le persone che agiscono».
«Bisogna fermare questa spirale e questa follia del riarmo militare che non può che portare a una terza guerra mondiale – afferma il portavoce di Europa Verde Angelo Bonelli – Noi non ci rassegniamo, riteniamo che bisogna seguire anche le parole di papa Francesco che dice in maniera molto chiara che negoziare non significa arrendersi, significa evitare un conflitto mondiale dove tutti saremmo perdenti». «L’Europa è un disastro perché è ancora ostaggio degli stati nazionali – osserva Massimiliano Smeriglio, che si candiderà nella circoscrizione centro – Fanno paura Michels, Von der Leyen, Macron quando parlano di escalation. In questi mesi abbiamo assistito alla distruzione del Green new deal e allo spostamento dell’attenzione verso l’economia di guerra». «O l’Europa guadagna un punto di vista autonomo nel mondo attraversato dalla guerra o l’Europa è finita», ribadisce il segretario di Sinistra italiana Nicola Fratoianni evidenziando il fallimento della «strategia delle armi» in questi due anni perseguita in Ucraina e chiedendo ancora una volta il cessate il fuoco a Gaza.
Nel frattempo, Giuseppe Conte si trova a Sesto San Giovanni per incontrare i gruppi territoriali del Movimento 5 Stelle in Lombardia. È l’occasione per ribadire qualche continuità e alcune rotture con la storia pentastellata. «Il M5S conserverà sempre le sue caratteristiche, i suoi principi, i limiti ai mandati, il fatto che per noi è un impegno, un servizio e non un mestiere – sostiene – Ma sicuramente dobbiamo rafforzare il dialogo con le comunità locali». «In passato abbiamo detto ‘Uno vale uno’ – prosegue – Non significa che se devi designare un incarico pubblico ci può andare chiunque. Significa che la nostra deve essere una comunità in cui tutti devono poter contare». Forse per non turbare troppo la vecchia guardia, ha tirato fuori di nuovo la piattaforma online, strumento che dai tempi della fine di Rousseau e della rottura con Casaleggio pareva caduto nel dimenticatoio. «L’abbiamo già usata – rivendica il leader dei 5 Stelle – La stiamo perfezionando sempre di più in modo da dare la possibilità a tutti di votare, ma anche di partecipare».
E il campo largo? Conte si è mostra positivo, seppure cn qualche frecciatina all’unità interna del Partito democratico: «Bisogna assolutamente convergere su temi e progetti e su quello costruire delle proposte da offrire ai cittadini. Se queste proposte sono chiare e hanno obiettivi condivisi, in linea ovviamente con i nostri principi e i nostri valori ci siamo e secondo me se c’è coesione, coerenza e chiarezza ovviamente possiamo essere anche molto competitivi»
Commenta (0 Commenti)Anche Hamas e la Nato condannano la strage del Crocus – almeno 143 le vittime – rivendicata dall’Isis, che ha nella Russia «infedele» un nemico prioritario. Ma Putin si rivolge alla nazione ferita e accusa Kiev: «Ai terroristi aperta una finestra per entrare in Ucraina»
CODICE RUSSO. 143 le vittime contate nella sala concerti, 11 gli arresti tra Mosca e la regione frontaliera di Bryansk. L’Fsb: «Erano legati a Kiev»
Ispettori all’interno del Crocus City Hall dopo l’attacco - foto Ansa
La frase più importante Vladimir Putin l’ha pronunciata a metà del discorso con cui ieri si è rivolto alla nazione dopo il terribile attacco in una sala concerti di Mosca: 143 persone uccise a sangue freddo a colpi di kalashnikov, secondo i bilanci più recenti delle autorità. «Ai terroristi – ha detto il capo del Cremlino – è stata aperta una finestra per entrare in Ucraina. Soltanto l’intervento delle forze di sicurezza ha impedito che il piano di fuga andasse in porto. I responsabili saranno puniti».
ARRIVA, QUINDI, A KIEV la pista che Putin ha deciso di seguire. Nonostante la rivendicazione dell’Isis nelle ore successive all’attentato. Nonostante il materiale diffuso ieri pomeriggio attraverso canali estremisti, che prova il legame fra il commando che ha colpito al Crocus e lo Stato islamico nella sua ultima incarnazione. Nessuna possibilità a questo punto delle indagini deve essere esclusa. Neanche quella di un ipotetico passaggio attraverso la frontiera di guerra.
Dopotutto, quattro degli uomini arrestati ieri sono stati fermati nella regione di Bryansk, quattrocento chilometri a sudovest di Mosca, verso il confine con Bielorussia e Ucraina. Avevano tirato dritto a un posto di blocco. La pattuglia della polizia ha deciso di inseguirli. L’auto dei fuggiaschi si è rovesciata sulla strada. Il resto i media lo hanno mostrato per tutto il pomeriggio su canali ufficiosi e ufficiali. Uomini storditi, in manette, costretti a rispondere a insulti e domande. «Avevano contatti con l’Ucraina», hanno detto gli investigatori del Fsb, il servizio di sicurezza federale. Così, i legami con l’Isis, decisamente più concreti, sono passati in secondo piano.
Nel complesso sono undici gli arresti condotti dall’antiterrorismo in quarantotto ore fra Mosca e la regione di Bryansk. Tutti uomini, «tutti stranieri», ha precisato il ministero dell’Interno, che significa in sostanza centrasiatici, forse tagiki, di fede musulmana.
LE RAGIONI DELL’ASSALTO alla sala concerti restano, però,
Leggi tutto: Putin furioso segue tutte le piste. Quella ucraina di più - di Luigi De Biase
Commenta (0 Commenti)Un commando apre il fuoco nella sala concerti Crocus di Mosca: 60 uccisi, se ne temono il triplo. Città blindata, caccia agli assalitori. L’Isis rivendica. Vent’anni dopo Dubrovka torna l’incubo terrorismo. È con la repressione del nemico interno che Putin ha consolidato il suo potere
RUSSIA. Un commando armato, di 4 o 5 persone, entra nella sala da concerti e apre il fuoco. La capitale è blindata, la vita viene sospesa. L'Isis rivendica, Kiev nega ogni coinvolgimento. Medvedev: «Se sono stati loro sarà morte per morte»
L’incendio scoppiato ieri sera al Crocus City Hall dopo l’attacco - Ap /Sergei Vedyashkin
Un urlo di donna, il silenzio e poi i boati degli spari: Mosca sanguina di nuovo. Un commando di assalitori ha fatto irruzione alle 19 italiane nella grande sala da concerti Crocus City Hall di Krasnogorsk, zona periferica a ovest del centro di Mosca. Mentre chiudiamo il giornale il bilancio è di almeno 40 morti e 100 feriti, ma secondo fonti non confermate dei servizi d’emergenza, le vittime potrebbero essere anche più di 140: due terzi dell’edificio sono in fiamme e almeno 3 squadre di reparti speciali hanno fatto irruzione per scovare eventuali assalitori rimasti.
Aggiornamento delle 9 del 23 marzo 2024: secondo l’agenzia russa Ria, le vittime accertate sono almeno 60, tra cui 3 bambini, e i feriti 145 ma il bilancio è ancora provvisorio
Mosca è blindata, le stazioni della metro controllate dall’esercito, la polizia ha circondato una vasta area intorno a Krasnogorsk per controllare tutte le auto in uscita, dall’alto gli elicotteri e le eliambulanze sorvolavano l’area. Stazioni dei treni e aeroporti sono in allerta massima. Il piano Zarya è stato attuato nella capitale russa e «tutto il personale militare e di polizia, inclusi gli agenti in ferie, devono presentarsi entro un’ora nei punti stabiliti, armati».
Intanto il tetto del Crocus, che ricopre un’area di 13mila mq, ha bruciato per ore e alcune sue parti hanno iniziato a crollare mentre nel cielo di Mosca incombeva un inquietante bagliore. I visitatori sono stati evacuati da tutti i centri commerciali della capitale i quali sono stati chiusi.
FUORI DAL CROCUS l’auto, o una delle auto, usate dal commando sembra sia stata identificata e la polizia ha subito circondato l’area per
Leggi tutto: Mosca sotto attacco Mosca, 60 vittime al Crocus - di Sabato Angieri
Commenta (0 Commenti)EUROBOMB. Basta infrastrutture: chiesto alla Bei di occuparsi anche di difesa. Consiglio europeo con l’elmetto, via a quella «agenda di Versailles» che già Macron teorizzava
Ursula von der Leyen e Giorgia Meloni ieri al Consiglio europeo - Epa/Olivier Hoslet
L’accordo si è trovato sulla richiesta di una «tregua umanitaria per il cessate il fuoco» a Gaza e sul via libera ai negoziati di adesione per la Bosnia-Erzegovina. Avanza inoltre la discussione sulle nuove possibili forme di finanziamento del riarmo europeo e delle forniture militari a Kiev.
Nel Consiglio europeo concluso ieri, il penultimo prima dell’appuntamento elettorale di giugno – l’ultimo si terrà il 17 e 18 aprile e tratterà soprattutto di economia – i capi di Stato e di governo hanno lavorato su un’agenda molto fitta, quasi per intero dedicata alla politica estera, con in primo piano le due guerre alla frontiera dell’Ue.
E NONOSTANTE la conferma del generale ri-orientamento sul Green deal e la Politica agricola comune (Pac), attraverso la concessione di esenzioni e flessibilità alle regole di tutela ambientale originariamente previste, anche su questo versante spicca la dimensione internazionale, come certifica la proposta arrivata ieri dalla Commissione di imporre dazi sull’import di cereali dalla Russia.
Ma è soprattutto il tema delle risorse monetarie per la difesa europea che tiene banco. Sulla possibilità di debito comune, spicca il pronunciamento a favore di Emmanuel Macron, che vede sulla stessa lunghezza d’onda il commissario all’economia Paolo Gentiloni («necessario lavorare sugli eurobond, tema fondamentale nel prossimo ciclo politico»). Possibilista perfino il premier spagnolo socialista Pedro Sanchez, mentre il cancelliere tedesco Olaf Scholz ribadisce, senza sorprese, la contrarietà di Berlino, scettica da sempre.
L’inquilino dell’Eliseo, già sostenitore della controversa e da giorni discussa ipotesi boots on the ground sul suolo ucraino, definisce «una buona idea» le emissioni di debito comune e chiama «rivoluzione copernicana» il fatto che gli europei ora affermino chiaramente «il principio che bisogna produrre di più e costruire la propria industria della difesa che ci permetta di rifornirci».
Tra gli strumenti da mettere in campo, oltre ai già citati eurobond e all’utilizzo degli extraprofitti degli asset russi su cui si sta trovando un aggiustamento con il riottoso Orbán, Macron fa sapere che i leader dei 27 hanno «nuovamente chiesto oggi alla Banca europea per gli investimenti (Bei) di adattare la sua politica al settore della sicurezza e della difesa per accrescere gli investimenti» e stimolare quelli del settore privato.
L’opzione Bei si era già affacciata in occasione del Consiglio europeo dello scorso dicembre, ma si è fatta più concreta con la lettera inviata il 18 marzo. Nel testo, 14 stati membri chiedono in modo esplicito alla presidente della Banca – che finora ha finanziato progetti di sviluppo e infrastrutture – di sostenere l’aumento dei finanziamenti per l’industria della difesa made in Europe.
La missiva è firmata da un gruppo di paesi guidati dalla Finlandia e dal suo premier conservatore Petteri Orpo. Tra gli scandinavi, Svezia e Danimarca, poi le repubbliche baltiche, alcuni paesi dell’est (Bulgaria, Polonia, Romania e Repubblica ceca), e tra i big Francia, Germania e anche l’Italia.
LA RICERCA di sostentamento per le casse militari europee si inserisce anche in una strategia di lungo termine rivendicata da Macron: «Nel marzo 2022 avevamo fissato l’agenda di Versailles, che consisteva nel definire il contenuto dell’autonomia strategica sul piano tecnologico e militare, avviato sotto la nostra presidenza. Oggi gli europei stanno attuando pienamente quei testi fondamentali e stanno accelerando, per ridurre la loro dipendenza e aumentare la loro capacità».
Una visione sulla quale Roma e Parigi sembrano trovare piena intesa, quando Meloni sottolinea come grazie all’impulso italo-francese si è avviata «una riflessione sul nodo essenziale delle risorse da affiancare al nuovo programma di difesa europea da 1,5 miliardi presentato dalla Commissione». Affinità elettive anche sul possibile secondo mandato di von der Leyen. Se Macron è gelido nei confronti di colei che nel 2019 fu la sua prescelta («mai convinto del sistema Spitzenkandidaten»), Meloni liquida così l’alleata degli ultimi mesi: «Vedremo, ma non è un tema che mi appassiona»
Commenta (0 Commenti)L'ULTIMA. Una grande «inchiesta sociale» lanciata da Cgil, Arci e Piazza Grande sulle trasformazioni nefaste degli ultimi anni - gentrificazione, caro affitti, inquinamento - a colpi di questionari
La manifestazione dei Fridays for Future del 6 settembre 2023 sotto le due torri a Bologna - Foto Ansa
Bologna la dotta, la rossa, la grassa. Ora, forse, anche Bologna la diseguale. È questo il tema attorno al quale ruota «L’inchiesta sociale sui costi della città» lanciata nel capoluogo emiliano da Cgil e Istituto per le ricerche economiche e sociali (Ires) assieme a Arci, Link, Udu e Piazza Grande. Volantini e sticker col Qr code sono apparsi in giro per la città: aprendolo ci si trova di fronte al lungo questionario, decine di domande su reddito, trasporti, salute, abitare, welfare.
«ABBIAMO RIPRESO una tradizione della classe lavoratrice bolognese degli anni ‘60 e ‘70» spiega Michele Bulgarelli, segretario della Cgil locale. Molti i quesiti sulla casa – tema scottante a Bologna, seconda in Italia per costo degli affitti. Non solo sui costi sostenuti, ma anche difficoltà nel trovare alloggio, disponibilità dei servizi di base nel quartiere, accessibilità per persone diversamente abili. Molto spazio anche per la transizione digitale – questione cruciale per la popolazione anziana, sempre più spesso costretta a rapportarsi alla burocrazia con strumenti elettronici cui non è avvezza. E ovviamente il tema del lavoro, dei redditi, della sindacalizzazione.
«Stiamo assistendo alla trasformazione del nostro territorio, da città del lavoro a città della rendita. È questo che vogliamo indagare» spiega ancora Bulgarelli. Un problema non nuovo e non limitato alla sola Bologna, ma sempre più urgente. Il capoluogo emiliano è attraversato da più crisi aziendali, frutto di quella deindustrializzazione che colpisce tutto il Paese. C’è la Marelli di Crevalcore, su cui in queste settimane si sta trovando un accordo, C’è l’Industria Italiana Autobus, ex-Bredamenarinibus, la cui vertenza è ancora in alto mare. C’è la Perla, storico brand del lusso ogni giorno più vicino alla chiusura. Contemporaneamente, il turismo trasforma il centro storico, sostituendo gli alloggi coi B&B e le attività storiche coi ristoranti. Un processo che nel lungo periodo rischio di espellere i bolognesi dalla città. «È un problema anche per gli studenti fuorisede: i dati dell’Università ci dicono che calano le immatricolazioni degli studenti del meridione e aumentano quelle di stranieri più benestanti» dice il segretario Cgil. «Sulla scuola nutriamo preoccupazioni simili. La paura è che si torni ad una dinamica tale per cui gli operai iscrivono i figli al professionale e le classi agiate al liceo».
L’INCHIESTA NON ARRIVA da sola. Fa parte di una piattaforma politica concordata tra le realtà aderenti, a sua volta parte de La Via Maestra, il percorso di aggregazione lanciato dalla Cgil a livello nazionale. Nel documento si leggono molti dei temi trattati nel questionario. La giusta transizione, che riguarda sopratutto lo storico settore automotive emiliano. La qualificazione del lavoro nel turismo e nel terziario, ambito povero per eccellenza dove nero e bassi salari fanno da padroni. Poi salute, sicurezza sul lavoro, cura. Tra le proposte una riforma progressiva del fisco, con l’Isee da usare come parametro per riformulare le imposte comunali. Torna anche l’idea dell’1% sociale – una percentuale dei profitti delle aziende da usare per il welfare territoriale. Non manca, ovviamente, il salario: da aumentare e adeguare all’inflazione galoppante.
«VOGLIAMO INDAGARE ciò che non si trova nei database già esistenti. Per questo ci serve uscire dalla nostra bolla: se il questionario lo compileranno solo i lavoratori Lamborghini in assemblea sindacale non sarà rappresentativo dell’intera città. Ci servono disoccupati, giovani, precari, migranti». Per i proponenti l’iniziativa serve a raccogliere informazioni, ma anche a mobilitare le persone. «Stiamo ottenendo i primi risultati. Ad esempio la centralità dell’Isee nelle tariffe di scuola, trasporti e rifiuti sta man mano entrando nella contrattazione con le istituzioni. Ma non basta. A chi compila il questionario diciamo: vuoi cambiare le cose? Mobilitati con noi!».
La raccolta delle risposte proseguirà fino a Maggio. Poi la restituzione, in estate ma non solo. Le realtà studentesche, ad esempio, useranno i dati raccolti anche in occasione dell’apertura del prossimo anno accademico.
NEL MENTRE, IL MALCONTENTO a Bologna cresce. Non ci sono solo le grandi vertenze prima elencate a tenere banco. La città metropolitana pullula di piccole storie, ridotte nelle dimensioni ma non meno dolorose per chi le vive. C’è l’Istituto Santa Giuliana, storica scuola elementare chiusa questa estate dalle suore che la possedevano. Per le lavoratrici si è trovato un accordo sulla buonuscita, ma l’attività non si è salvata. Ci sono i dipendenti della Mymenù, azienda di consegne che ha chiuso i battenti lasciando a casa 35 persone. C’è il problema di Tper, il trasporto pubblico locale che avrebbe disperatamente bisogno di autisti ma fatica a trovarli perché il salario offerto è ormai inadeguato al costo della vita a Bologna. Ci sono studenti e lavoratori precari che protestano contro il costo degli affiti. Lo scorso anno le tende diventarono il simbolo di questo malcontento, e tutt’oggi nella centralissima piazza Verdi – luogo universitario per eccellenza – i collettivi montano igloo e canadesi per ricordare che il probema ancora non è risolto. Ci sono, infine, le lotte ambientali: dalle proteste contro l’allargamento dell’autostrada – il cosiddetto passante – ai comitati di quartiere che cercano di bloccare le tante piccole cementificazioni in corso. Questioni non secondarie nella città che pochi mesi fa ha affrontato l’alluvione e che periodicamente si ritrova soffocata dalla cappa dello smog.
INVERTIRE IL TREND non sembra facile. Il rischio di una Bologna diseguale, in cui vive bene solo chi può contare su una rendita finanziaria o immobiliare, è sempre più concreto. Ai sindacati e ai movimenti il difficile compito di cambiare le cose prima che sia troppo tardi.
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