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REGIONALI. L'ex premier: «Non arriviamo al 50% da soli. Nel campo progressista dem protagonisti, c’è un dialogo»

Conte: «Serve una coalizione coesa. Non detto le regole» Il leader dei 5 Stelle Giuseppe Conte con il comico di Pescara Nducci

Giuseppe Conte torna ancora una volta in Abruzzo nell’ultimo giorno di campagna elettorale: tappe nell’aquilano, la zona dove la destra resta più forte. All’ora di pranzo si presenta a Pescina, paese natale di Ignazio Silone e del cardinale Giulio Mazzarino. Tra le braccia Fontamara, il capolavoro dello scrittore abruzzese. Ad attenderlo alcune decine di cittadini: non è previsto alcun comizio, solo strette di mano, ringraziamenti, richieste di aiuto. A sorpresa spunta il comico pescarese Duccio: improvvisano un comizio-cabaret, mezz’ora di battute al veleno contro il governatore Marsilio di Fdi.

L’ex premier è una spalla perfetta, lo sketch funziona come se lo avessero provato 10 volte, «è stato tutto improvvisato», giurano dallo staff del M5S. Nduccio ironizza sul trio Meloni-Salvini-Tajani, «sono venuti a Pescara come i Re magi». «Sì ma quelli portavano doni veri, loro portano solo promesse», arriva il campo di Conte. E ancora battute su Marsilio che va su e giù per l’A24 per dormire a Roma, sulle «infrastrutture di cittadinanza» annunciate dalla premier. «E poi la gente cosa si mangia? Pezzi di cemento o di cavalcavia», sogghigna il capo del 5S. Che elogia il candidato del centrosinistra D’Amico: «È un collega universitario, ha avuto grandi responsabilità. È stato rettore e ha sempre fatto bene. E poi vive qui, la sera non ha bisogno di andare a Roma come Marsilio per stare con la sua famiglia». Conte ha capito che la non abruzzesità è uno dei principali talloni d’Achille del governatore uscente. «Io direi scadente», lo interrompe Nduccio, «Sta per scadere…». Altre risate. Ha capito che questo argomento ha una forte presa popolare.

Poi si fa più serio. «Qui in Abruzzo il malcontento per chi governa la regione sta emergendo in tutta la sua consistenza: per questo confidiamo di farcela. Sulla sanità ho ascoltato un grido di dolore, le prestazioni sono sotto la soglia minima della dignità», spiega al manifesto. «Questo non è solo un feudo, è la succursale di Fdi, per questo arrivano i ministri l’ultima settimana carichi di false promesse. Ma l’orgoglio degli abruzzesi non si lascerà ingannare». Secondo l’ex premier «il vento è cambiato, in Abruzzo e non solo c’è un risveglio degli elettori da una sorta di torpore acquiescente. Per questo c’è questa nostra grande rimonta che arriva dopo la vittoria in Sardegna».

Il leader dei 5S ci tiene a non dare un valore di laboratorio nazionale al campo larghissimo che qui va da lui a Renzi, «sapete come la penso su lui e Calenda, non fatemi fare polemiche…». Cerca di stare ancorato alla sua filosofia dei «progetti costruiti a misura delle comunità locali». Però non nasconde l’idea che prima o poi bisognerà pensare anche a una coalizione nazionale. Anche perché «mi sembra difficile che si possa andare avanti 5 anni con questo governo: non ci sono soluzioni ai problemi, solo specchietti per le allodole come il premierato e l’autonomia. La gente lo sta comprendendo e questo sta facendo virare il vento…». Giovedì sera a Otto e Mezzo su La7 per la prima volta ha detto di non voler porre come condizione quella di essere lui il federatore del campo progressista. È una svolta? «Diciamo che ho voluto rassicurare tutti quelli preoccupati che il M5S possa prendere un punto in più degli altri. Anche in quel caso non sarò io a dettare le regole». In che senso? «Noi siamo fedeli ai nostri obiettivi e valori qualsiasi sia la percentuale, dal 5 al 30%. E ci muoviamo così ad ogni livello, dalle città fino al nazionale: prima un progetto, poi un programma e infine si valuta quale sarà l’interprete migliore».

Il vostro primo interlocutore resta il Pd? «Guardi, non ho mai pensato che il Movimento arrivi al 50% da solo, i dem sono protagonisti del campo progressista e con loro c’è un dialogo, abbiamo appena rilanciato la legge di iniziativa popolare sul salario minimo, siamo testardi, non molliamo». Conte nel frattempo si è spostato a Celano: arriva Alessandra Todde, baci e abbracci davanti alle telecamere. I due salgono al castello Piccolomini, lui ribadisce l’apertura alla coalizione anche a livello nazionale: «Se si fanno coalizioni serie e coese si può essere competitivi con la destra ad ogni livello, anche alle politiche». Todde è qui come portafortuna? «Non trattiamola come un talismano, lei è la prova concreta che si può vincere e portare il rinnovamento».
Poi i due, con alcuni dirigenti locali dei 5S, si infilano in una trattoria. C’è anche Nduccio, che telefona a Renzo Arbore e lo passa a Conte: «Allora presidente, è vero che si vince?»