PRIOLO: PER PIANI SPECIALI SERVONO DAVVERO 1,2 MLD AGGIUNTIVI (DIRE) Ravenna, 14 mar. -
"Non si costruisce il nuovo nelle aree allagate". Lo ha detto il presidente dell'Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini, che era stamane a Ravenna per la prima tappa del tour nelle zone colpite dall'alluvione del maggio 2023.
"L'alluvione ci ha insegnato molto e le vecchie previsioni vanno aggiornate: gli strumenti urbanistici dovranno recepire le nuove carte che stiamo aggiornando insieme all'Autorità di bacino".
Al commissario Francesco Paolo Figliuolo, "stiamo dicendo inserirle nei Piani della ricostruzione così come stiamo dicendo ai nostri tecnici di far valere sempre il principio di precauzione". E "mi aspetto dai Comuni che siano i primi a farlo e aggiungeremo anche una norma di copertura, perché non vogliamo lasciare il cerino in mano a nessuno".
Sul tema torna anche l'assessore all'Ambiente e vicepresidente Irene Priolo: "Saremo un punto di riferimento nazionale per le nuove strategie in materia di difesa del suolo, ma i Piani speciali dovranno essere finanziati e, in questo senso, diventa dirimente anche il Decreto Pnrr di cui stiamo aspettando ancora di vedere la bozza.
Perché, solo se questi 1,2 miliardi di euro saranno realmente aggiuntivi, come promesso dal Governo, allora potranno davvero essere una prima fonte di finanziamento per i Piani speciali".
All'incontro erano presenti il presidente della Provincia di Ravenna, Michele De Pascale, sindaci e amministratori, rappresentanti delle parti sociali, delle imprese e delle realtà associative. Nella delegazione della Giunta anche il sottosegretario alla Presidenza, Davide Baruffi, e gli assessori Paolo Calvano (Bilancio), Andrea Corsini (Trasporti), Alessio Mammi (Agricoltura) e Paola Salomoni (Scuola).(SEGUE) (Red/ Dire) 16:36 14-03-24 NNNN
Commenta (0 Commenti)Salpati dalla Libia in 85, alla deriva per 7 giorni, raggiunti finalmente dalla Ocean Viking che ne salva 25. Gli altri tutti morti. È la stessa nave sotto processo a Brindisi e sequestrata da Piantedosi. Ora ha a bordo oltre 200 naufraghi e il governo la costringe a navigare fino ad Ancona
SOCCORRITORI DI FRODO. Ocean Viking era stata rimessa in mare dalla giudice il 20 febbraio. La causa decide il destino del decreto Piantedosi. Un caso giudiziario che può finire davanti alla Corte costituzionale
Assistenza medica sulla Ocean Viking - Johanna de Tessières
Poche ore dopo che la Ocean Viking di Sos Mediterranée aveva ripreso per i capelli la vita di 25 persone abbandonate in mezzo al mare su un gommone sgonfio, ma altre 60 erano già morte, e proprio mentre la guardia costiera italiana le chiedeva di soccorrere 200 migranti, ieri in un’aula del tribunale di Brindisi la stessa Ong ha dovuto difendere il suo operato. L’accusa? Aver salvato altri naufraghi senza obbedire ai libici. Che sia necessaria un’autorizzazione a evitare una strage non è scritto da nessuna parte, che Tripoli non sia un porto sicuro e la sua cosiddetta «guardia costiera» sia collusa con i trafficanti, invece, lo stabiliscono rispettivamente una recente sentenza della Cassazione e diversi rapporti Onu.
Sospeso il fermo della Ocean Viking. Primo colpo al decreto Piantedosi
IL GOVERNO ITALIANO, però, continua a bloccare le navi dei soccorritori con i tecnicismi più assurdi e a tenerle fuori gioco con le strategie più crudeli. Mentre le 85 persone partite poco più di una settimana fa dalle coste di Zawyia vagavano alla deriva nel Mediterraneo, morivano di fame e di sete, si lasciavano inghiottire dall’acqua salata ben tre navi umanitarie – Sea-Eye 4, Sea-Watch 5 e Humanity 1 – erano costrette in porto da qualche cavillo burocratico. E quando la finestra di beltempo ha fatto riprendere le partenze, circa 300 gli arrivi autonomi ieri a Lampedusa, nella rotta centrale non è rimasto nessuno: il Viminale ha spedito la Ocean Viking a 1.400 chilometri di distanza, nel porto di Ancona, con i
Leggi tutto: L’Ong salva oltre 200 naufraghi. Ma è a processo a Brindisi - di Giansandro Merli
Commenta (0 Commenti)POLITICA. Irritazione degli alleati per gli emendamenti leghisti, bocciati. Resta aperto il caso Veneto. Fdi: «Spiace creare spaccature su temi che non sono nell’agenda del centrodestra»
Il presidente del Veneto Luca Zaia e Matteo Salvini - foto Ansa
La Lega tira diritto e si lancia a tutta velocità contro un muro presentando nell’aula del Senato l’emendamento sul terzo mandato per i governatori già bocciato in commissione. Le speranze di vederlo approvato sono sotto zero e infatti l’aula respinge con maggioranza bipartisan di stampo bulgaro: votano contro tutti tranne Iv, col suo emendamento tanto fotocopia che i due testi vengono votati e affossati insieme. Il governo, come già in commissione, si era rimesso al parere dell’aula, limitando così il danno d’immagine per la plateale spaccatura. Tosato, per il Carroccio, ringrazia e spiega che la Lega ha scelto il voto, pur nella certezza di una bocciatura, «in nome dei cittadini che vogliono avere la libertà di votare amministratori capaci senza imposizioni». Gasparri, per Fi, fa il conciliante e assicura che il piccolo dissidio non incide affatto sulla compattezza della maggioranza: pareri diversi, tutti leciti. Nulla di più.
IN REALTÀ FDI HA ACCOLTO con irritazione la decisione, presa da Salvini in persona. «Spiace creare spaccature su temi che non sono nell’agenda del centrodestra. Speravamo che l’emendamento non arrivasse in aula», commenta avvelenato il vicecapogruppo Speranzon. Nel pranzo dei leader di lunedì scorso la premier aveva chiesto, con l’occhio puntato sulle difficili elezioni in Basilicata, di non dare segnale alcuno di divisione. Non si può dire che Salvini la abbia ascoltata. Al contrario, la Lega, a sorpresa, aveva portato in aula anche un secondo emendamento per cancellare il ballottaggio nell’elezione dei sindaci ove uno dei candidati superasse il 40%. L’improvvisata ha mandato fuori dai gangheri l’opposizione: «Uno sfregio alle più basilari regole democratiche» la definisce furibonda Schlein. Non è piaciuta affatto neppure al governo però, che ha chiesto alla Lega di ritirare l’emendamento e l’invito in questo caso è stato accolto, con la trasformazione del testo in semplice odg, poi approvato.
Sul terzo mandato invece Salvini è andato fino in fondo, nonostante fosse svanito il sogno di trovare una sponda nel Pd. Prima delle elezioni in Sardegna e Abruzzo la rivolta degli amministratori permetteva ancora di carezzare quel miraggio. Ma ora, dopo la vittoria sarda e il successo del partito in Abruzzo, Schlein è troppo forte per essere sfidata. Tutto quel che gli amministratori hanno ottenuto è un ordine del giorno che impegna il governo a lavorare di concerto con l’Anci e la Conferenza delle Regioni per studiare una riforma complessiva degli enti locali. Si sono dovuti accontentare.
LA BATTAGLIA LEGHISTA, peraltro, non è stata a costo zero. Diplomatici, gli alleati avevano sin qui giustificato il loro no all’emendamento solo con l’inopportunità di procedere sui due piedi con un vero e proprio blitz, senza entrare troppo nel merito. Un modo chiaro, anche se poco sincero, per lasciare almeno formalmente aperta la possibilità di accogliere il terzo mandato più avanti, dopo le europee, magari calendarizzando il ddl leghista che alla Camera propone le stesse cose bocciate ieri nell’emendamento. Ieri invece la bocciatura è stata motivata non tecnicamente ma politicamente, con Rampelli che impugnava la necessità del «ricambio generazionale», impedito da mandati eterni, e le prese di posizione apertamente contrarie sia dei tricolori che degli azzurri.
È POSSIBILE CHE SALVINI abbia deciso di procedere su una strada senza sbocchi per dimostrare a Zaia e al partito del nord, che minaccia di defenestrarlo, la sua inossidabile lealtà. È anche possibile che, sfidando il diktat della premier che obbligava a evitare lacerazioni, il leader leghista abbia voluto inviare un segnale, facendo sapere che sul Veneto il Carroccio non è disposto a cedere: «Il Veneto è e rimarrà orgogliosamente leghista», aveva dichiarato il giorno prima. Senza terzo mandato, certo, Zaia è fuori gioco ma resta la possibilità di lasciare che sia lui a scegliersi il successore, permettendo così a Salvini di lasciare la bandiera sulla roccaforte. Sempre che Giorgia Meloni si convinca a cedere e per ora nulla indica che sia su quella strada. Ma sul Veneto rischia grosso perché quella è una piazza che non il solo Salvini ma l’intera Lega non può permettersi di perdere
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Il ministro degli esteri Tajani lancia «Food for Gaza», l’11 marzo - Ansa
L’inchiesta di Altreconomia avviata da Duccio Facchini ha aggiornato ieri i dati Istat riferiti alle esportazioni di armamenti italiani verso Tel Aviv. Dati agghiaccianti che parlano di un commercio militare florido tra il nostro paese e lo stato ebraico, nonostante il genocidio a Gaza prosegua senza tregua e nonostante gli appelli costanti della società civile italiana per il cessate il fuoco.
OLTRE UN MILIONE di fatturato soltanto nel mese di dicembre, un ventaglio sempre più ampio di forniture militari e di armi a uso difensivo personale. Armi ad uso e consumo dei coloni armati in Cisgiordania, dove i palestinesi uccisi dal 7 ottobre sono 432, di cui 115 bambini (dati: Al Jazeera english), ma anche forniture di armamenti pesanti: sebbene i dati in chiaro si riferiscano prevalentemente a munizioni e ad armi di piccolo calibro (destinati quindi all’uso privato), incrociando i dati e tenendo conto del tipo di industria e della provenienza di quei guadagni possiamo facilmente immaginare che si tratti di investimenti militari nei settori dell’aeronautica e del materiale bellico.
Preziosissima ancora una volta è l’analisi di Giorgio Beretta, analista di Opal e di Rete Pace e Disarmo, riportata da Altreconomia, che afferma come nella categoria merceologica «Aeromobili, veicoli spaziali e relativi dispositivi», durante il periodo compreso tra ottobre e dicembre 2023, sono stati esportati verso Israele materiali del valore complessivo di 14.800.221 euro.
Di tale importo una quota superiore alla metà, pari a 8.795.408 euro, è stata fornita dalla provincia di Varese. È la provincia che ospita Alenia Aermacchi, una società che fa parte del gruppo Leonardo,responsabile della produzione dei trenta aerei addestratori militari M-346. Queste velivoli sono stati selezionati dal ministero della difesa di Israele nel febbraio 2012 e successivamente acquistati ed esportati al fine di addestrare i piloti dell’Israeli Air Force (impegnata nei bombardamenti su Gaza). La triste classifica delle esportazioni vede Lecco al primo posto, sede della Fiocchi munizioni, un podio conteso da Brescia (Beretta), al terzo posto Roma e infine Genova, teatro di varie proteste dei lavoratori portuali.
Una violazione della legge 185 del 1990 che impedisce di inviare armi a paesi coinvolti in conflitti militari e in abusi dei diritti umani. Questo coinvolgimento si accompagna a uno zeitgeist anti-palestinese: mentre per un soffio il cittadino palestinese Anan Yaeesh residente a L’Aquila non è stato estradato verso Israele e il ministro Salvini fa una proposta di legge sull’antisemitismo in cui chiede di restringere la possibilità di manifestare contro Israele, confondendo antisionismo e odio razziale, a Gaza è iniziato il Ramadan, ma il digiuno va avanti oramai da mesi.
LA POPOLAZIONE stremata, ridotta alla fame, viene uccisa mentre si raduna attorno ai pochi camion della farina: in questi giorni il digiuno non è più una scelta volontaria e l’iftar sembra non arrivare mai.
Nella Striscia la luna che annuncia la celebrazione della Rivelazione non è mai sembrata così lontana. A illuminare la notte soltanto i missili, le bombe e le scintille delle mitragliatrici. Che portano il nostro nome
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La Farnesina sponsorizza navi-ospedale e corridoi marittimi ma congela tutti i fondi destinati alla Palestina, non solo a Gaza. Tagliate fuori ong e Agenzia per la Cooperazione. L’aiuto italiano va a Israele: un altro milione di euro in armi a dicembre, 15 milioni in tre mesi
STRISCIA DI SANGUE. Roma fa proclami ma con pochi fondi l’Aics a Gerusalemme opera a scartamento ridotto.
Camion con aiuti umanitari fermi a Rafah - Ap
«La cosa che mi ha stupito è che all’Aics, l’agenzia della cooperazione governativa italiana, non ricevevamo più direttive da Roma, nessuno ci diceva se sarebbero arrivati meno fondi o più fondi, fate questo o fate quello. Si è navigato a vista. Si procedeva sulla base di ciò che leggevamo nelle interviste fatte dai media al ministro degli Esteri, alla Premier, al sottosegretario agli Esteri». Guglielmo Giordano, fino a qualche settimana fa direttore dell’ufficio Aics di Gerusalemme, ricorda così i giorni e i mesi successivi al 7 ottobre, quando Hamas ha lanciato il suo attacco nel sud di Israele. «Tutto a un tratto è calato il silenzio e siamo stati abbandonati a noi stessi – aggiunge Giordano, ora in pensione – abbiamo cercato di fare qualcosa perché (a Gaza) la gente moriva, i bambini morivano. E per uno come me che per 40 anni ha fatto la cooperazione umanitaria vedere in certe condizioni gli stessi bambini che fino al giorno prima aiutavamo, facendo scuole, giardini d’infanzia, attività ricreative, e non riuscire nemmeno a fargli arrivare un sacco di riso, mi ha lasciato di stucco».
Quel vuoto derivava dalla paura – se non dal panico – che ha attraversato la Farnesina dopo il 7 ottobre. Le settimane successive sono state segnate da una vera e propria caccia alla presunta «collaborazione italiana con Hamas» e più in generale con i palestinesi. Sotto la pressione di Israele che vedeva Hamas ovunque e di certi giornali, radio e tv che riferivano di «finanziamenti» di Ong italiane alle «strutture del terrorismo islamico», al ministero degli Esteri hanno perduto la testa. Svetta su tutti l’articolo pubblicato il 24 ottobre 2023 dal Giornale, «Fondi italiani ai terroristi palestinesi», nel quale, sulla base di un dossier di Ngo Monitor – sito legato all’ultradestra israeliana – si accusava l’Aics di aver destinato 23 milioni e 200mila euro a ong italiane «filopalestinesi» vicine al Fronte popolare. «Ai piani alti hanno deciso, senza annunciarlo ufficialmente, di congelare la cooperazione con i palestinesi. Da qui l’abbandono dell’Aics a Gerusalemme al quale peraltro è stato chiesto di fornire informazioni sull’orientamento politico di suoi consulenti, dipendenti ed esperti palestinesi», ci racconta una fonte della Farnesina che ha chiesto di rimanere anonima. «All’improvviso – prosegue la fonte – i palestinesi sono diventati tutti, senza differenze, dei pericolosi alieni da controllare e isolare. Nei primi due mesi dopo il 7 ottobre, la Farnesina, in definitiva il governo, ha fatto tutto ciò che chiedeva Israele o che
Commenta (0 Commenti)Ieri è entrata nel vivo alla Camera la discussione sulla riforma del Codice della strada, ribattezzato «codice della strage» da chi vede la pericolosità di questo disegno di legge che porta la firma del ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini. Si tratta di un insieme di interventi «la cui direzione fondamentalmente, che attraversa tutto il disegno di legge, è ridurre le limitazioni, i controlli e le multe per i veicoli a motore, restringendo invece le possibilità di intervento per i Comuni in favore degli utenti più vulnerabili, quindi pedoni, ciclisti e persone con disabilità», spiega al manifesto Andrea Colombo, consulente legale esperto di mobilità e sicurezza stradale, che collabora con la campagna «Codice della strage».
IL DDL PREVEDE DUE PARTI, una che va a modificare direttamente il Codice della strada vigente, con interventi diretti e immediatamente applicabili, l’altra che delega il governo a redigere un nuovo codice, con un’indicazione molto generale di principi indicativi della direzione presa. «Se da un lato si inaspriscono le pene, dall’altro si prevede la possibilità di aumentare i limiti di velocità e si frena l’uso degli autovelox, oltre a togliere la possibilità ai comuni di creare Zone a traffico limitato (Ztl) e piste ciclabili nelle città».
L’ottica è molto spostata sulle repressione, «mentre si agisce molto meno sulla prevenzione, addirittura allentando le norme sui limiti di velocità, una parte che c’è nella delega, o prevedendo una diminuzione delle multe, sia per limiti di velocità sia per l’accesso abusivo nelle Ztl o nelle aree pedonali» sottolinea Colombo.
In particolare, la riforma renderebbe i controlli più difficili per velocità, sosta abusiva e guida distratta: si rende più complicata e limitata la possibilità di installare e usare gli autovelox fissi, mobili e in movimento (benché già omologati) per far rispettare i limiti di velocità; viene eliminata la possibilità di controllare e sanzionare con telecamere e senza contestazione immediata le infrazioni in materia di sosta e di segnaletica in generale; e anche se la riforma inasprisce le sanzioni per chi guida al telefono, non offre alcuna possibilità reale di controllo, perché non prevede di accertare e sanzionare la guida distratta anche con strumenti digitali, come già avviene in altri Paesi europei.
LA MOBILITÀ, PERÒ, non è solo auto, e tra i nemici di Salvini è risaputo ci sono i ciclisti e i sindaci che immaginano di limitare la velocità locale. Ecco allora un provvedimento che rende le strade ciclabili meno sicure: viene tolta la possibilità di renderle visibili anche con segnaletica orizzontale (come i simboli «30», auto e bici sulla sede stradale), cancellato anche l’obbligo per gli automobilisti di dare la precedenza ai ciclisti sostituito da un generico e inapplicabile obbligo di «prestare attenzione». Annullato anche l’obbligo di sorpasso ad almeno una distanza di 1,5 metri dai ciclisti. Ciclisti che potrebbero essere obbligati (è uno dei contenuti della delega) a casco, targa e giubbotto riflettente.
TUTTO QUESTO NON PARE tener conto che in Italia c’è un grande problema di sicurezza stradale: nel 2022 si sono verificati 165.889 collisioni stradali (454 al giorno) che hanno comportato 223.475 feriti (612 al giorno) e 3.159 vittime (9 al giorno).
Le principali cause di scontro stradale sono la distrazione (15%), il mancato rispetto della precedenza (13,7%) e l’eccesso di velocità (9,3%). Salvini ieri ha pensato bene di accompagnare il ddl in aula facendo la voce grossa contro il Comune di Bologna, a cui ha chiesto formalmente di indicare come intende adeguarsi alla direttiva emanata dal ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti sulle deroghe al limite di 50 chilometri orari nei centri urbani.
Lo scontro era esploso quando la giunta guidata da Matteo Lepore aveva deciso di estendere a tutte le strade comunali il limite di 30 chilometri orari. Secondo Salvini però il tetto alla velocità non può essere generalizzato e si appella all’esigenza di «garantire uniformità di comportamenti sull’intero territorio nazionale ai fini della sicurezza della circolazione stradale». Il mondo al contrario.
OGGI ALLA CAMERA dovrebbe essere il giorno delle votazioni finali sul ddl, che poi passerà al senato. Alle 12 è prevista una conferenza stampa del Partito democratico, con la segretaria Elly Schlein, il sindaco di Bologna, Matteo Lepore, e la capogruppo alla Camera, Chiara Braga. Intanto, 30 organizzazioni internazionali, tra cui il Consiglio Europeo per la Sicurezza dei Trasporti, hanno espresso forte preoccupazione per il nuovo Codice della strada italiano