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PATTO DI SANGUE. Hamas: 210 uccisi nel blitz di Tel Aviv nel campo di Nuseirat. Il massacro per coprire la fuga dei militari, corpi ovunque

Liberi quattro ostaggi, ma l’esercito israeliano fa strage di palestinesi Il campo profughi di Nuseirat dopo il blitz israeliano - Ap

Per Benyamin Netanyahu l’operazione delle forze armate israeliane che ieri mattina ha portato alla liberazione di quattro ostaggi a Gaza rimarrà nella storia di Israele. Per i palestinesi sarà ricordata come una delle pagine più insanguinate dal 7 ottobre. Mentre a Tel Aviv e in tutto lo stato di Israele gioia e festeggiamenti hanno accompagnato per tutto il giorno il ritorno alle loro famiglie di Noa Argamani, Shlomi Ziv, Andrey Kozlov e Almog Meir – presi da militanti di Hamas il 7 ottobre al festival musicale Nova – e i media celebravano il blitz «audace» condotto da unità speciali con l’appoggio dell’esercito, della marina e dell’aviazione, invece nel campo profughi di Nuseirat hanno vissuto l’apocalisse. L’incursione israeliana è stata accompagnata e seguita da combattimenti e bombardamenti di eccezionale violenza in cui, oltre a combattenti di Hamas, sono stati uccisi decine e decine di civili palestinesi di ogni età, tra cui numerosi bambini. Le autorità di Gaza riferivano ieri sera di 210 morti e 400 feriti. Numeri non immediatamente verificabili, comunque non lontani dalla realtà tenendo conto della potenza di fuoco usata dalle forze israeliane.

Le immagini trasmesse da Al Jazeera e i video postati in rete hanno mostrato scene di morte, disperazione e dolore nel pronto soccorso dell’ospedale Al Aqsa di Deir al Balah. Il pavimento della struttura ospedaliera si è coperto di dozzine di feriti e morti. Tra le vittime tante donne e bambini. L’elevato numero di vittime civili è la conseguenza di un’operazione militare condotta in pieno giorno in aree densamente popolate.

«Hanno annientato il campo profughi di Nuseirat. Civili innocenti e disarmati sono stati bombardati nelle loro case. Non ho mai visto nulla del genere, bambini morti e parti di corpi sparsi ovunque», ha raccontato Nidal Abdo, un testimone, al portale Middle East Eye. Un medico, Musad Munir, ha detto che «Un bambino è arrivato morto con il cibo ancora in bocca…Le bombe cadevano su di noi e gli elicotteri sorvolavano l’ospedale…Le persone erano sparse per le strade e noi non potevamo uscire per aiutarle. La maggior parte erano bambini e ragazze». Altri testimoni hanno riferito di corpi carbonizzati, di persone ricoperte di polvere come fantasmi, di edifici distrutti dai bombardamenti. «Sembrava un film dell’orrore, ma è stato un vero massacro», ha commentato Ziad, un paramedico.

L’azione è stata preparata per settimane, hanno riferito i media locali e il portavoce militare, sulla base di informazioni di intelligence. Secondo Sada News, la forza speciale israeliana si è infiltrata nell’area della moschea Al-Awda. Alle 11 esatte un camion con targa di Gaza si è fermato vicino a due edifici e soldati della Marina e dell’unita speciale Hamam. I quattro sequestrati erano divisi. In un edificio c’era Noa Argamani – tra gli ostaggi più noti perché un video del 7 ottobre la mostra mentre la portano via verso Gaza in moto – gli altri tre in un palazzo poco distante. I commando – il loro comandante è stato colpito, l’unica perdita israeliana – hanno ucciso quelli che sorvegliavano gli ostaggi. Poi, facendosi strada sparando, hanno portato in pochi attimi Argamani e gli altri tre ai mezzi blindati leggeri giunti qualche minuto prima. A quel punto, raccontano a Nuseirat, si è scatenato l’inferno. Per coprire la fuga del commando e dei sequestrati, è cominciato un bombardamento intenso durato almeno un’ora che ha coinvolto altre aree del campo e della città di Deir al Balah e che ha causato il maggior numero delle vittime. All’operazione avrebbe partecipato un’unità speciale statunitense – ne ha riferito la Cnn oltre al sito Axios – con funzioni non ancora chiare. Potrebbe essere entrata a Gaza, il sospetto è forte, usando il molo galleggiante sulla costa della Striscia costruito dai soldati americani. «La partecipazione Usa all’operazione criminale condotta oggi dimostra il ruolo complice dell’amministrazione americana, la sua piena partecipazione ai crimini di guerra commessi a Gaza e la falsità delle sue posizioni sulla situazione umanitaria e la sua preoccupazione per la vita dei civili (palestinesi)», ha denunciato Hamas.

«Non ci fermeremo finché non avremo completato la missione e riportato a casa tutti i nostri rapiti, in un modo o nell’altro», ha detto Benyamin Netanyahu. Da ieri il premier e leader della destra religiosa israeliana è più forte. Ha inferto un colpo ad Hamas e allo stesso tempo al suo rivale Benny Gantz che ieri sera doveva annunciare la sua uscita dal gabinetto di guerra isolando maggiormente il primo ministro. Ha dovuto rinunciare, per ora. Netanyahu segna un punto a suo favore, ma il costo vero di questa ipotetica partita a scacchi in casa israeliana l’hanno pagato decine e decine di civili palestinesi fatti a pezzi dalle bombe

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EUROPEE. Estrema destra all’assalto tra ripuliti e impresentabili Data in testa in 9 Paesi su 27, potrebbe eleggere oltre un quarto degli eurodeputati, con 200 seggi, una quarantina in più di adesso

Estrema destra all’assalto tra ripuliti e impresentabili Pulizie al Parlamento europeo foto Getty Images

Stasera si conosceranno i risultati del voto europeo, che si è svolto nei 27 paesi della Ue e che configurerà per 5 anni e 720 deputati (15 in più di quello in uscita) un parlamento comune che però, a differenza di quelli nazionali, non ha l’iniziativa legislativa, anche se ha ottenuto più poteri con le ultime revisioni dei Trattati. 360 milioni di iscritti, ma una partecipazione che dal 1979 – il primo voto europeo – è stata sempre in calo, dal 70% fino al 40% del 2014, mentre nel 2019 si è registrata una piccola ripresa, al 51%, che potrebbe però non venire confermata. Nessun partito ormai difende l’opzione “exit”, dopo il fiasco Brexit, ma nei fatti, si tratta di 27 elezioni nazionali, che solo in seconda battuta ridisegneranno il panorama politico europeo.

Non ci sono circoscrizioni transnazionali.
Tutti votano con il sistema proporzionale, ma in giorni diversi, in Estonia era possibile per corrispondenza dal 3 giugno, giovedì 6 in Olanda, venerdì in Irlanda e Repubblica ceca, nel week end tutti gli altri, molti sul solo giorno di domenica. Le regole sono diverse, in Belgio, Austria, Malta e Germania votano a 16 anni, a 17 in Grecia, gli altri a 18 (ci sono 2 milioni di giovani al primo voto). I paesi eleggono un numero diverso di deputati, in rapporto con la popolazione con correzioni (6 per i più piccoli, Cipro, Malta, Lussemburgo, 76 per l’Italia, 81 per la Francia, 96 per la Germania).

«La politica resta un affare nazionale» afferma il giurista Alberto Alemanno, professore a Hec di Parigi, «manca una sfera pubblica europea, il prisma resta quello nazionale, anche se i grandi temi sono europei». I 17 milioni di cittadini europei che vivono in un paese diverso da quello di nascita pesano poco. Nel 2019 c’era stato un gran parlare di liste transnazionali, ma quest’anno il progetto è rimasto nel cassetto, non è più evocato da nessuno e persino i partiti che hanno una aspirazione federalista la stanno tenendo ben nascosta, travolta dall’ondata “sovranista” in corso. In Francia, nei volantini elettorali, neppure i più europeisti (Ps, Ecologisti, i liberali di Renaissance) hanno stampato il riferimento ai gruppi di appartenenza a Strasburgo.

Da domani, cominceranno le trattative per la formazione dei gruppi

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VERSO LE EUROPEE. «Eretici», ex sindaci e radicamento nelle città. «Abbiamo una proposta politica credibile, saremo noi la sorpresa delle urne»

Chiusura della campagna elettorale per le elezioni europee di Alleanza Verdi Sinistra Chiusura della campagna elettorale per le elezioni europee di Alleanza Verdi Sinistra - Stefano Porta / LaPresse

Due giorni fa, la chiusura ufficiale della campagna elettorale a Torino, in una piazza Castello gremite. Ieri, un ultimo evento a Monza, la città di Ilaria Salis. Dalle parti di Alleanza Verdi Sinistra circola un (prudente ma convinto) atteggiamento positivo nei confronti di questa tornata europea. Il cronista deve registrarlo perché è un sentimento diffuso che è indice anche di un dato politico, oltre che del consueto (e obbligatorio, per chi si trova in campagna elettorale) ottimismo della volontà

L’idea è che attorno alla questione, simbolica e al tempo stesso molto concreta, di Salis e del voto per liberarla dalle grinfie dell’Ungheria di Orban e sottrarla alle ombre della peggiore Europa, si sia coagulata una compagine plurale e aperta, contraddittoria come succede quando si aprono processi inediti e non del tutto pianificati a tavolino. L’impressione è che si siano mobilitate forze ed energie che eccedono il perimetro di Avs e che potrebbero fare davvero la differenza.

Nicola Fratoianni, segretario di Sinistra italiana, ha detto a questo giornale che da domenica sera potrebbe addirittura chiudersi la più che decennale stagione della marginalità della sinistra in questo paese. «Saremo la sorpresa dell’appuntamento elettorale – ha ribadito ieri Fratoianni -. Perché Avs rappresenta con i propri candidati una proposta politica credibile, perché ha avuto parole nette sulle questioni cruciali con cui si misurano i cittadini, e perché ha costruito liste in grado di indicare un manifesto politico dell’Europa che vogliamo e di quella che non vogliamo».

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Sarà interessante capire in che misura quel «di più» che ha deciso di convergere a difesa della maestra antifascista costretta a Budapest (o a sostegno di Mimmo Lucano, per dire un altro dei candidati «eretici» e indipendenti nelle liste di Avs) marcherà le percentuali elettorali.

Questo pezzo di sinistra ampia, sociale, fatta di movimenti e opinione pubblica non rassegnata, non è l’unico fattore determinante. I profili di alcuni dei candidati di Avs mirano a raccogliere porzioni di elettorato più tradizionalmente di centrosinistra. Ignazio Marino, Leoluca Orlando e altre personalità meno note sul piano nazionale ma significative nei contesti locali parlano a quel popolo largo che un anno e mezzo fa ha contribuito (ribaltando il giudizio degli iscritti al Pd) a far diventare Elly Schlein segretaria del Pd e che adesso scegliendo Avs vuole continuare quell’operazione corsara provando a trascinare tutta la potenziale coalizione su posizioni più riconoscibili.

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A cavallo di questi due mondi, a far da tramite tra una sinistra sociale diffusa sul territorio e una galassia di centrosinistra che ha bisogno di trovare maggiore decisione per costruire l’alternativa a Meloni, ci sono figure come quella di Massimiliano Smeriglio, che da tempo anima una rete nazionale di esperienze civiche: è la sinistra che si ritrova spesso nei territori ma che fatica a trovare spazio sulla scena politica nazionale.

La scommessa di Avs, tutt’altro che già vinta, si gioca sulla possibilità che questi mondi, che da anni non dialogano o faticano a ritrovarsi, facciano massa critica alle urne. Si gioca su di un terreno che per certi versi assomiglia a quelle che hanno condotto al successo negli anni scorsi diversi partiti della sinistra in Europa (con una differenza sostanziale: qui non c’è un unico leader e non è prevista la verticalizzazione del «populismo di sinistra» teorizzata da Ernesto Laclau) e che per paradosso arriva proprio quando quelle esperienze in giro per il continente sono in preda a rotture, divisioni e crisi che ricordano la storia della sinistra italiana. Se la partita delle urne dovesse andare come sperano, inoltre, se ne aprirebbe una più grande e rischiosa: Fratoianni, Bonelli e compagni avranno il compito di gestire e aprirsi alla composizione plurale che hanno attraversato nella campagna elettorale

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D-DAY. Zelensky alla celebrazione dello sbarco in Normandia. Macron si prende la prima serata tv a ridosso del voto: «Sarà pace solo se l’Ucraina resisterà»

Omaha Beach ottant’anni dopo,  con Joe Biden ma senza la Russia Biden e Macron al D-Day - foto Ap

C’è la volontà di istituire un parallelismo tra ieri e oggi, tra lo sbarco in Normandia che 80 anni fa ha segnato l’inizio della sconfitta del nazismo sul fronte occidentale e la situazione attuale, con la guerra tornata in Europa. La cerimonia internazionale a Omaha Beach, ieri, estremamente commovente con la presenza degli ultimi veterani ancora in vita, è stata dedicata non solo agli omaggi e ai ricordi, ma all’attualità. Volodymyr Zelensky è stato al centro delle celebrazioni, con la presenza di una trentina di capi di stato e di governo.

JOE BIDEN, che in mattinata ha partecipato alla cerimonia a Colleville-sur-Mer, ha rassicurato gli europei che temono un disimpegno Usa: «Non indietreggeremo» sull’Ucraina, «non guardiamo altrove», se lo facciamo l’Ucraina «cadrà sotto il giogo russo e poi l’Europa tutta intera» ha affermato il presidente Usa, insistendo sulla battaglia tra «libertà e tirannia» per un’Ucraina «invasa da un tiranno». Anche Emmanuel Macron ha rassicurato gli ucraini, «siamo qui e non cederemo». Il presidente francese, a pochi giorni da un’elezione europea dove l’estrema destra è in crescita, ha messo in guardia: quando «si insinuano anestesia e amnesia, quando le coscienze si addormentano», di fronte «al ritorno della guerra nel nostro continente, di fronte alla rimessa in causa di tutto ciò per cui loro si sono battuti, di fronte a coloro che pretendono di cambiare le frontiere con la forza o di riscrivere la storia» dobbiamo «essere degni di coloro che sono sbarcati qui». In serata, in un’intervista tv molto criticata dalle opposizioni perché a tre giorni dal voto europeo, Macron afferma che la pace ci sarà solo «se Ucraina resiste». Rifiuta l’«escalation» ma precisa che Kyiv ha chiesto la formazione dei militari sul suo territorio, mentre conferma la decisione di permettere l’uso di armi francesi per colpire il territorio russo da dove partono gli attacchi. Avverte: con l’estrema destra «l’Europa sarà bloccata».

LA RUSSIA non è stata invitata, a causa dell’aggressione dell’Ucraina, ma Macron ha evocato l’Armata Rossa e il ruolo avuto nella sconfitta del nazismo. È dall’84, da quando l’allora presidente François Mitterrand trasformò in un appuntamento internazionale le celebrazioni dello Sbarco, fino ad allora organizzate solo dagli anglo-americani, che il ricordo del 6 giugno ’44 è diventato un momento geopolitico. Ieri, in una grande solennità unita a una forte commozione, con una importante partecipazione popolare, aleggiava però nell’aria la minaccia palpabile della fine di un mondo. Carlo III in lacrime la mattina al memorial di Ver-sur-Mer, che poi ha lasciato l’erede William rappresentare la Gran Bretagna a Omaha Beach, l’anziano Biden fragile barriera contro il ritorno del demagogo Trump, l’ospite Macron che viaggia verso una sconfitta alle europee, Sergio Mattarella che rappresenta l’Italia mentre ormai a Roma dominano gli eredi di un violento passato, il socialdemocratico Olaf Scholz, anche lui indebolito, a rappresentare per la terza volta la Germania alle commemorazioni dello sbarco, hanno firmato una Dichiarazione di Normandia che evoca un ordine mondiale occidentale che oggi è in via di disfacimento.

Le istituzioni internazionali, eredi di quell’ordine, funzionano sempre peggio. La Cina e la Russia, assenti ieri, sfruttano a loro vantaggio il risentimento del sud globale, anch’esso assente, malgrado ci fossero dei soldati del “terzo mondo” nello Sbarco. Alla cerimonia ieri è stato dato ampio spazio all’evocazione della Resistenza. Il Chant des Partisans, l’Inno alla Gioia (testo di Schiller, musica di Beethoven) diventato l’inno europeo, l’insistenza sui valori che poi lo stesso occidente ha svalutato e tradito, oggi il non detto dei “due pesi due misure” rispetto alla situazione a Gaza, malgrado una Dichiarazione del Quad firmata ieri in Normandia Usa, Germania, Francia, Gran Bretagna).

OGGI ZELENSKY interviene all’Assemblée nationale, non senza polemiche da parte delle opposizioni che potrebbero in parte disertare l’aula. La Francia accorda a Kyiv 650 milioni di aiuti e dei Mirages con formazione di 4500 soldati. Le celebrazioni degli 80 anni proseguono oggi a Bayeux, dove verrà letto il “discorso” di De Gaulle capo della France Libre del 14 giugno 1944, seguito da un nuovo intervento di Macron. Poi inizierà la visita di stato di Joe Biden, che si conclude sabato sera

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Tre missili su una scuola dell’Onu a Nuseirat, diventata rifugio di 6mila sfollati: almeno 40 palestinesi uccisi, tra loro donne e bambini. Israele rivendica il raid per colpire «20 o 30 miliziani», senza dare prove. E come nella strage a Rafah le armi sono statunitensi

NEL MUCCHIO. Raid israeliano nel campo di Nuseirat. Tel Aviv: l’obiettivo erano «20 o 30 miliziani». Statunitensi le armi della strage, come a Rafah. Altri paesi si aggiungono alla proposta di tregua che Biden attribuisce a Israele, ma che Bibi nega

Sangue rappreso nella scuola Onu di Nuseirat dopo il bombardamento israeliano foto Ap/Jehad Alshrafi Sangue rappreso nella scuola Onu di Nuseirat dopo il bombardamento israeliano - Ap/Jehad Alshrafi

Cintura di fuoco, così i palestinesi chiamano dal 7 ottobre i bombardamenti a circolo, come fossero un vortice, o un tornado. È questa l’espressione che hanno usato ieri alcuni dei sopravvissuti ai raid israeliani sulla scuola al-Sardi nel campo profughi di Nuseirat, nel centro di Gaza: una cintura di fuoco.

«Eravamo dentro la scuola e all’improvviso siamo stati bombardati, le persone sono state fatte a pezzi – racconta Anas al-Dahouk ad al Jazeera – Questo edificio ospitava famiglie e giovani, non hanno dato nessun avvertimento».

La scuola al-Sardi è gestita dalle Nazioni unite, ma non è più una scuola dal 7 ottobre. Le aule sono piene di sfollati, circa 6mila, materassi e vestiti appesi fuori ad asciugare. La struttura è la stessa di tutte le scuole dell’Unrwa in Palestina, l’agenzia per i rifugiati palestinesi: vernice bianca e blu, i colori delle Nazioni unite, tre piani e una balaustra che corre lungo tutto l’edificio. Un modo per fare ombra, qui il sole picchia forte e il balcone coperto allontana i raggi dalle porte delle aule.

A SCUOLA i bambini di Gaza non ci vanno da otto mesi e come a ogni offensiva sono migliaia le famiglie che si rifugiano nei centri dell’Onu, siano scuole, magazzini, cliniche. Le pensano più sicure: sul tetto c’è scritto «UN» a caratteri cubitali. Da anni non sono più sicure, in questo attacco ancora di meno: sono 180 i centri dell’Onu colpiti dai bombardamenti israeliani.

L’altra notte è successo alle 1.30, tanti già dormivano o ci provavano. Tre missili, dicono i sopravvissuti, hanno sventrato il secondo e il terzo piano. La giornalista Hind Khoudary è entrata dentro e l’ha mostrato in video: le pareti che danno sull’esterno sono completamente saltate, le altre ancora in piedi sono annerite.

SANGUE RAPPRESO a terra, un enorme buco sul soffitto, gli oggetti personali degli sfollati – che ormai si limitano a materassi e vestiti – pieni di polvere. Un uomo raccoglie pezzi di corpi, i cadaveri non ci

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Ferrero Bignami Bertozzi

Non convergono le richieste dei Comitati degli alluvionati con quanto il Governo nazionale intende assegnare come ristori a seguito della devastazione portata dalle alluvioni nel maggio 2023 al territorio romagnolo, soprattutto colpito nella provincia di Ravenna. E’ quanto emerge dalle parole di Galeazzo Bignami (a Castel Bolognese), deputato di Fratelli d’Italia vice ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti nel dicastero retto dal segretario federale della Lega Matteo Salvini, il quale ha come altro “vice” il fedelissimo Edoardo Rixi.

 

Per Bignami lo sforzo economico messo in atto finora dal Governo per risollevare la Romagna alluvionata è stato adeguato. “Oggi il Governo ha stanziato 2,5 miliardi di euro per la ricostruzione pubblica, 2 miliardi per la ricostruzione privata, 1,3 miliardi grazie al Pnrr per la messa in sicurezza del reticolo idrografico, più misure specifiche dei singoli ministeri, tipo 100 milioni da parte del nostro Ministero, 280 milioni da quello dell’Agricoltura, 20 milioni da quello delle Cultura e potrei proseguire a lungo. Siamo sopra i 6 miliardi. Importante è precisare che il Governo ha stanziato – sottolinea il deputato bolognese -; non è il Governo che deve garantire l’erogazione, perché l’erogazione si realizza mediante degli strumenti, delle ordinanze che vengono elaborati dalla Struttura Commissariale d’intesa con le Regioni Marche, Toscana ed Emilia-Romagna, ognuna per la sua competenza. Quindi le ordinanze, dove oggi purtroppo s’annida il problema dell’assurdità dei meccanismi di rimborso sono emanate dalla Regione più che dal Governo. Pertanto oggi sorprende sentire la Regione criticare le sue ordinanze; sarebbe colpa del Governo se il Governo non avesse messo i soldi. Ma, visto che il Governo ha messo i soldi, evidentemente è altrove il problema. Prendiamo la ricostruzione pubblica, dove il Governo ha messo 2,5 miliardi di euro. Ci era stato detto che la ricostruzione pubblica era la priorità: abbiamo stanziato 404 milioni per la sicurezza idraulica, 396 milioni per la messa in sicurezza sulle somme urgenze, 756 milioni per la sicurezza viaria”.

 

Da parte di Michele de Pascale, sindaco di Ravenna e presidente della Provincia non stanno arrivando giudizi lusinghieri, anzi piovono denunce di inadeguatezza e di ritardi ingiustificati.

“A fronte di tutto l’impegno governativo, la Provincia di Ravenna e il Comune di Ravenna che fanno capo a Michele de Pascale non hanno speso nulla, cioè zero: parlo di 40 milioni che il Governo gli ha dato, 10 per Ravenna e 30 per la Provincia. Ma il sindaco de Pascale va in piazza a lamentarsi del Governo: dovrebbe invece andare in Comune a fare progetti e a disporre mandati di pagamento. Dico questo assumendomi tutta la responsabilità del caso – attacca Galeazzo Bignami -, perché quando dicono che sono i Comuni che non hanno i tecnici e non hanno i progettisti, dovrebbero andare a parlare col presidente Bonaccini, il quale affermava che il sisma dell’Emilia era concluso. Il generale Figliuolo gli ha chiesto allora di prendere i 180 dipendenti, ingegneri, geometri, geologi già formati assunti per il sisma per poterli impiegare nel dopo alluvione. Bonaccini non ha detto ‘sì, per il bene della mia terra’, ha detto ‘no’, sostenendo che il sisma non è concluso. E noi oggi stiamo assumendo 219 tecnici solo per titoli e non per esami, allo scopo di snellire le procedure, perché lui ha detto ‘no’. Dopo 12 anni il sisma dell’Emilia dunque non è concluso: questo abbiamo appreso da Bonaccini”.

Che il presidente della Regione Stefano Bonaccini sia un bersaglio “privilegiato” del centrodestra, soprattutto dopo la sua elezione a presidente del Partito Democratico e la sua candidatura ad un seggio al Parlamento Europeo, è chiaro dalle parole del vice ministro, il quale però in tema di alluvioni va all’attacco su altri fronti.

“Abbiamo avuto a che fare con un’alluvione che si è sviluppata in due fasi: quella consumatasi il 2 maggio e la successiva nella notte tra il 16 e il 17 maggio 2023. Si è trattato di due eventi che sono stati sicuramente impattanti, ma che insistevano su un territorio che era già pesantemente colpito da una trascuratezza determinata non da un’incompetenza ma da un’incuria voluta da parte di chi aveva le deleghe per il Patto per il clima, la Transizione ecologica e che scriveva delibere in cui veniva riportato che la Romagna è un territorio fragile, ma che in venti mesi di sua presenza alla Regione Emilia-Romagna non ha fatto nulla: Elly Schlein, la quale era vice presidente della Regione e non ha fatto nulla per mettere in sicurezza l’Emilia-Romagna. Questo non per incompetenza, cosa che c’è, ma per una scelta deliberata, di ordine ideologico, per la quale i fiumi si governano da soli, gli argini bisogna mantenerli soltanto grazie alle nutrie ed agli istrici, in collina non bisogna intervenire sui greppi e sui fossi, sul dragaggio. E inevitabilmente succede quel che è successo in Romagna ma che succede tutte le volte in cui c’è un acquazzone un po’ troppo robusto” continua Bignami.

Nel mirino di Bignami finisce anche l’attuale vice presidente dell’Emilia-Romagna Irene Priolo, data da alcuni come candidabile alla successione di Bonaccini in Via Aldo Moro, così come de Pascale. “Ad oggi noi abbiamo tante persone che non presentano le domande di ristoro, perché i territori non sono ancora messi in sicurezza. – dice Bignami – Gli interventi per la sicurezza idraulica, relativa quindi a corsi d’acqua, fiumi, argini, oltre che dei consorzi, sono competenza dell’Agenzia Regionale a Protezione Civile e Autorità di Bacino, che hanno anche lì una responsabilità ben chiara nell’assessore depositario alla delega che è l’assessora alla Protezione Civile Irene Priolo, la quale ancora oggi tarda negli interventi di messa in sicurezza del territorio. Noi non siamo disposti a continuare a risarcire i danni determinati dall’incuria, dall’incompetenza o dall’inabilità di alcuni amministratori che non fanno i loro interventi. Mettessero in sicurezza il territorio, che viene prima di ogni altra cosa”.

Il nodo intricato dei ristori ai cittadini trova un Bignami poco incline ad allargare i cordoni della borsa relativamente ai beni mobili.

“Nel contesto del disastro alluvionale del maggio 2023, nei giorni immediatamente successivi la visita del presidente del Consiglio Giorgia Meloni, incontrammo a Palazzo Chigi tutti gli amministratori tra cui il presidente Stefano Bonaccini, il quale disse – ci sono le dichiarazioni: basta andare a vedere la stampa di allora – ‘vogliamo lo stesso trattamento dell’alluvione delle Marche e del sisma del 2012: il riconoscimento del 100 per 100 dei danni’. E per quanto riguarda la priorità della ricostruzione pubblica lo stiamo facendo, come ho spiegato in precedenza. Relativamente al tema dei beni mobili, vale a dire gli arredi, quando Bonaccini aveva chiesto il riconoscimento del 100 per cento dei danni come per il sisma dell’Emilia, l’alluvione delle Marche ed altre vicende, si era dimenticato però di dire che nel 100 per 100 che lui aveva riconosciuto, i beni mobili non c’erano. Non sono mai stati risarciti: neanche un centesimo da nessun Governo su nessuna calamità. Questo Governo invece si è detto pronto, dopo il confronto coi Comitati degli alluvionati, di iniziare a stanziare 6.000 euro forfettari, senza bisogno che qualcuno produca dei documenti di spesa, 3.000 euro per le cucine, 700 euro a vano inizialmente. E ci hanno detto che ‘sono briciole’. Allora noi diciamo: visto che il 100 per 100 lo stiamo già garantendo con le stesse misure adottate per il sisma dell’Emilia, per l’alluvione delle Marche, del Veneto, della Toscana, di tutte le regioni colpite e Ischia, riconoscete che stiamo dando più del 100 per 100 – rimarca il vice ministro –. Ma a loro non interessa nulla delle comunità e stanno utilizzando questa vicenda per fare speculazione e sciacallaggio politico, perché se no avrebbero avuto l’onestà intellettuale di dire che non si era mai visto in un anno un Governo che stanzia più di 6 miliardi sugli 8,5 complessivi di danni. E lo dimostra il fatto che, quando a Villafranca di Forlì o lungo l’asse dell’Idice di Bologna, o del fiume Montone che erano già purtroppo tracimati, avevano già rotto nel 2019 e nel 2020, la gente aspetta ancora i 5.000 euro del C.I.S.. E loro si lamentano del fatto che il Governo sta per tirare fuori 6.000 euro in maniera forfettaria”.

Quasi un ricatto: “Siamo anche pronti a non dare rimborsi se sono arma di lotta politica”

“La verità è che loro hanno paura di fare vedere alla gente che questo Governo sta governando in una maniera mai vista prima. A chi dice ‘noi vogliamo 30.000 euro’, rispondo che questo è uno schiaffo a chi non ha avuto nulla sino ad oggi per quelle precedenti calamità e che giustamente inizia a chiamare dicendo ‘noi siamo solidali nei confronti della Romagna, noi capiamo le esigenze romagnole. Però perché quando casa mia è rimasta distrutta sotto al terremoto non ci avete dato un euro?’. La verità è che noi abbiamo preso un impegno coi romagnoli e lo portiamo a termine, però diciamo anche che non siamo disposti a farci prendere in giro, quindi oggi a chi fa da cassa di risonanza al Pd e va in giro ad attaccare il Governo e va addirittura a dire bene della Regione ricordo che quello che è successo, la devastazione, ha un nome, un cognome e un indirizzo: Regione Emilia-Romagna, Viale Aldo Moro 50, Bologna, che non ha garantito la messa in sicurezza del territorio che già nel 2019, già nel 2020, già nel 2021 era stato alluvionato.
Ho visitato un’azienda agricola che si trova sull’asta del torrente Senio: alluvionata nel maggio 2023, aveva messo a posto tutto, ma in novembre si è di nuovo trovata alluvionata ancora con la rottura del Senio. Ma di casse di espansione e di opere di sicurezza idraulica non se ne sono viste. Quando passo da Lugo e vado verso Molinella e vedo come sono messe le vene d’acqua che sono di nuovo ricoperte di arbusti, di nuovo interrite, di nuovo ricoperte da vegetazione, dobbiamo sorprenderci se a Conselice, Bagnacavallo, Massa Lombarda finiscono di nuovo sott’acqua per un temporale? E’ questo che noi non accettiamo – esclama Bignami -. I soldi noi li abbiamo messi, sono pronti i 6.000 euro forfettari per qualsiasi cittadino che voglia chiederli: deve essere varata la norma, ma se ci sono persone dirette o eterodirette dal Pd che vogliono continuare a fare di tutto ciò un’arma di lotta politica – lo diciamo con franchezza – siamo pronti anche a non darli, ma parlate col Partito Democratico, perché sono loro che stanno fomentando affinché quei cittadini non possano averli. Lunedì ero a Forlì a incontrare dei Comitati di alluvionati, perché diversamente da altri noi non abbiamo mai spento i riflettori: alcune persone hanno chiesto quando sarebbero arrivati i ristori. Allora ho fatto presente che ci sono sindaci che fanno polemica e dicono che non li vogliono; al che una signora si è messa a piangere dicendo che lei ha bisogno di quei soldi e che, poco o molto che sia, ringraziava il Governo, perché è consapevole del fatto che prima non era mai stata data una somma simile a nessuno. Noi non vogliamo sentirci dire ‘grazie’, ma non vogliamo neanche essere utilizzati come foglia di fico dal Partito Democratico a cui ancora una volta stiamo rimediando dei disastri. Tanta gente ancora oggi non ha presentato domanda di ristoro perché ha paura che piovendo di nuovo vada sott’acqua. Noi non siamo disponibili a continuare a pagare i danni che causa il Partito Democratico”.

Nella Romagna alluvionata c’è attesa per un decreto relativo ai ristori dei beni mobili del Consiglio dei Ministri: annunciato alla fine di maggio, sul tavolone di Palazzo Chigi non è ancor arrivato.

“In realtà è solo una norma, che poi è l’articolo di una legge che non è stato varato il 29 maggio perché si sono viste due cose. La prima è stata un richiamo giusto e legittimo del Presidente della Repubblica sull’esigenza di stare attenti alla decretazione d’urgenza e di fare dei provvedimenti che siano omogenei; la seconda riguarda quanto accade nei Campi Flegrei. Questa norma doveva essere posta dentro il Decreto Legge ‘Campi Flegrei’, che purtroppo sono ancora in sollecitazione, e pertanto dovrebbe essere varata lunedì prossimo o nel primo Consiglio in cui passi il ‘Campi Flegrei’. Quindi lo spostamento è meramente tecnico. Io però ho visto un comunicato di alcuni Comitati, perché esponenti di altri Comitati mi hanno chiamato per farmi sapere che non lo condividono, in cui si legge che ‘6.000 euro sono una miseria e neppure ne vogliamo sentire parlare’. Allora a questo punto faccio una domanda: questi 6.000 euro sono graditi o no? Perché, se dobbiamo prenderci degli insulti per dare i 6.000 euro, vogliamo capire dalla popolazione se questi 6.000 euro possono essere un aiuto e un inizio o meno. Io, quando parlo coi singoli cittadini, dico ‘a me farebbero comodo’, quando parlo con qualche Comitato a volte eterodiretto, non sempre ma a volte sì, sento delle risposte diverse. Dico però con molta franchezza che la pretesa di dare 30.000 euro per noi non è possibile: non ce la facciamo a dare 30.000 euro; e sono sorpreso che qualche amministratore pubblico spinga il suo livello di demagogia a quel punto. Sarebbe meglio se quei 30.000 euro quegli amministratori pubblici invece che votare i 30.000 euro spendessero i 40 milioni che gli abbiamo dato” conclude il viceministro meloniano.

LA CAMPAGNA ELETTORALE PER IL CENTRODESTRA A CASTEL BOLOGNESE

Il vice ministro Galeazzo Bignami ha affrontato il problema del dopo alluvione e le prospettive di sviluppo delle infrastrutture in Romagna nel corso di un incontro svoltosi nel pomeriggio di martedì 4 giugno a Castel Bolognese con gli elettori dalla lista “CambiAMO Castello” che si colloca nell’area di centrodestra, dove il candidato sindaco è Vincenzo Minardi, esponente di Forza Italia. Ad accogliere Bignami nella sala, del comitato elettorale al piano terra di Via Emilia Interna 157, con diverse persone rimaste in piedi, c’erano oltre a Minardi, per Fratelli d’Italia Roberto Petri (dirigente nazionale), Alberto Ferrero (coordinatore provinciale), Robert Brocchi (coordinatore comunale a Faenza), Stefano Bertozzi (consigliere comunale a Faenza e consigliere dell’Unione della Romagna Faentina), per Forza Italia Bruno Fantinelli (responsabile romagnolo dei rapporti con gli alleati).

La ferrovia si fa in due – Bignami ha spiegato cosa devono attendersi gli abitanti della provincia di Ravenna e dell parte nord della Romagna in tema di infrastrutture. “Il raddoppio della linea ferroviaria Ravenna-Castel Bolognese è funzionale allo sviluppo del retroporto e del porto di Ravenna e siamo nelle fasi molto propedeutiche, perché è stata avviata una progettazione di base che dovrebbe concludersi a dicembre quando si dovrebbe essere in grado di capire come può essere realizzato il potenziamento.
Per la Romagna il Governo ha una strategia che parte dal porto di Ravenna, strategico per lo sviluppo di tutto il retroporto e arriva fino a Piacenza. Nel febbraio 2022 la Regione Emilia-Romagna ha varato una delibera, rimasta lettera morta fino allo scorso marzo, in cui si chiedeva l’istituzione di una zona logistica semplificata, che comporta due tipi di beneficio: meno burocrazia e più sgravi fiscali. Il procedimento per la sua attuazione era bloccato dai Governi precedenti – ha rivelato l’esponente di Fratelli d’Italia -: il ministro Raffaele Fitto lo ha sbloccato con il DPCM numero 40 del 4 marzo 2024, fluidificando il percorso di istituzione della zona logistica semplificata Romagna riguardante anche il resto della regione che richiede due presupposti: l’esistenza di un ‘corridoio’ riconosciuto in sede comunitaria, che c’è, e la presenza lungo quel ‘corridoio’ di un porto, nel caso Ravenna. I requisiti ci sono tutti, come confermato dal ministro Fitto, il quale dà per imminente il provvedimento con cui si istituisce questa zona logistica semplificata; a quel punto il porto di Ravenna guadagna in termini di competitività”.

Gli investimenti nel porto ravennate – “Stiamo facendo degli interventi molto dettagliati: abbiamo chiesto ad Eni un miliardo di euro per interventi che saranno realizzati nell’impianto di stoccaggio della CO2 e un miliardo da Snam per il completamento dell’impianto complessivo di rigassificazione, la realizzazione della diga frangiflutti per 450 milioni, il dragaggio dei fondali fino a 12,5 metri per un primo livello, cosa che si sta completando in queste ore; successivamente nel secondo semestre del 2026 ci sarà il dragaggio a 14,5 metri in modo da consentire l’ingresso in porto a navi molto più importanti e pesanti. Siamo anche realizzando un molo turistico con un piano particolareggiato per 40 milioni, abbiamo realizzato una serie di recuperi di banchine per 30 milioni e altri 30 milioni sono stati spesi per portare la corrente elettrica a queste banchine. Abbiamo realizzato anche l’ultimo miglio stradale per le tre radiali alla Strada Statale 16 ‘Adriatica’, oltre che alla ‘Tiberina’ che è quella che si sviluppa verso sud, più il potenziamento sulla stazione del canale ‘Candiano’ su entrambe le rive per l’alloggiamento dei treni merci: questo perché da lì dipanerà verso la ferrovia destinata a essere raddoppiata”.

I nuovi binari correranno a nord, l’alta velocità farà tappa a Forlì – “Sulla linea ferroviaria Rimini-Bologna viaggiano i treni dei pendolari, dall’ingresso a Castel Bolognese entrano i treni merci, viaggiano i cosiddetti ‘Frecciarossa’ che non sono ‘ad alta velocità’ ma ad alta capacità andando a 180 chilometri all’ora e non a 300, gli Intercity, senza soluzione di continuità; di notte è la volta del trasporto merci. Quando sorge l’esigenza di mettere un treno in più, in questa situazione, non ci si riesce. Per poterlo fare occorre immaginare per il futuro l’incremento del traffico portuale a Ravenna, aumenteranno i flussi di carico merci ed oggi l’infrastruttura non c’è in quanto satura. Pertanto il Governo ha deciso, assieme agli Enti locali, il raddoppio della linea ferroviaria ma non ‘in affiancamento’ all’esistente, andando fuori dal territorio: questo lo stiamo decidendo assieme alle popolazioni. Verrà fatto più a nord dove non servono costose gallerie che vadano a bucare le colline: normalmente per il tratto Bologna-Castel Bolognese, 56 chilometri, il costo programmato è di 3,6 miliardi di euro già finanziati da questo Governo. Ad oggi non c’è un tracciato individuato: è stata aperta lo scorso 8 maggio, grazie al Decreto legislativo 36 del 2023 emanato dal Governo, una fase di ‘dibattito pubblico’ che avrà una durata di 90 giorni. Oggi siamo in fase di ‘documenti di fattibilità di alternative progettuali’ ed è da lì che si parte. E’ tutto nella legge. Ci sono dei ‘corridoi di transito’, una sorta di progetti preliminari, non c’è il dettaglio, quindi siamo molto indietro, ma è essenziale che noi ci siamo. Con questa realizzazione verrà fatta un’alta velocità Bologna-Rimini con fermata intermedia verosimilmente a Forlì, su cui di giorno viaggeranno i ‘Frecciarossa’ a 300 chilometri orari. I treni in arrivo da Ravenna andranno su questa linea e potranno viaggiare quindi su una linea ‘dedicata’, consentendo la manutenzione notturna sulla linea convenzionale e un alleggerimento dei carichi. Questo è funzionale all’infrastrutturazione del territorio e allo sviluppo del porto di Ravenna che per noi è strategico” ha concluso.

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