NO G7. Iniziative anche a Ostuni e Fasano, dove sabato ci sarà il corteo: «Loro parleranno di guerre, gas, piano Mattei. Noi dei migranti, dei poveri, del clima»
Brindisi ieri sera si è risvegliata dal torpore che ha attanagliato la cittadinanza durante tutta la giornata. La cena dei leader mondiali nel cuore cittadino all’interno del Castello Federiciano, offerta dal presidente della Repubblica Mattarella, ha blindato ogni accesso. I cittadini sono usciti a sera alla spicciolata richiamati dal suono delle pizzica. Prima solo strade deserte e negozi chiusi, anche fuori dalla zona rossa.
Con la «Cena dei poveri», organizzata dal Tavolo di Coordinamento NoG7, a cui hanno aderito numerosi movimenti e associazioni all’interno della Campagna nazionale per il clima fuori dal fossile, gli animi si sono distesi. Dal palchetto montato a piazza Vittoria, a pochi metri dai big, hanno preso la parola i migranti. Dal Kurdistan, dal Mali e dalla Palestina. «Quella palestinese – dicono gli organizzatori del contro G7 – è l’unica bandiera che sventoliamo oltre a quella della pace».
Una lunga tavolata è stata imbandita ai piedi del palco. Pentoloni, distese di pomodori, frise e cous cous. Si è respirata per un momento aria di festa e di riscatto. La prima giornata del contro G7 si è conclusa a tavola. I sapori degli operai, che negli anni Cinquanta qui portavano in fabbrica le frise. E i sapori del Mediterraneo e dell’Africa. Presente anche il padre di Lorenzo Orsetti, i portavoce e gli attivisti di numerosi movimenti ambientalisti che ieri mattina hanno partecipato a un incontro sul cambiamento climatico e l’energia, in collegamento con ong internazionali.
«La nostra è la contro cena – fa sapere Angelo Gagliani dei NoG7 – non abbiamo sigle. Non abbiamo bandiere. Loro parleranno di guerre, di armi, gas, piano Mattei. Noi vogliamo parlare dei migranti, dei poveri, del popolo, del clima, della transizione energetica. Le nostre iniziative sono promotrici di pace, non di violenza». Presente anche il portavoce della Campagna nazionale per il clima fuori dal fossile, Renato Di Nicola: «Abbiamo aderito perché era necessario dare una risposta alla narrazione tossica di dominio e di potenza – racconta -. Da anni i G7 non risolvono niente ma aggravano la situazione internazionale. Non risolvono la fame del mondo né i disastri ambientali. È una passerella di cui avrebbero potuto fare a meno visti i soldi spesi. Siamo qui in piazza per rappresentare un pezzo di realtà perché stasera al ricevimento al castello Svevo non c’è la realtà».
Le iniziative proseguiranno domani con dibattiti su guerra e armi nella masseria Refrigerio a Ostuni. Domani a Fasano è prevista la manifestazione dei NoG7. Sempre domani la Cgil e numerose associazioni scenderanno in piazza («Voi 7, Noi 8 miliardi») ancora a Fasano. La Puglia per un mondo di pace e giustizia: alla tre giorni si contrappongono diversi raggruppamenti che contestano il summit mondiale. L’associazione Peacelink aderisce a tutte le iniziative di protesta. La prima giornata ieri si è conclusa con un gigantesco cavallo di Troia in legno, costruito da attivisti arrivati dalla Germania, con la scritta «50esimo G7, 50 anni di neoliberismo»
Commenta (0 Commenti)G7. Armi, intelligence e 50 miliardi di profitti dai fondi sovrani russi congelati. Il presidente Usa: con Putin «nessun passo indietro»
Zelensky a Borgo Egnazia con i leader del G7 e i vertici europei foto Ev
È un accordo per tutelare la democrazia di tutto il mondo», afferma il presidente ucraino Volodymyr Zelensky. «Dimostra alla Russia che non siamo disposti a fare nessun passo indietro», sostiene Joe Biden. La domanda è se l’accordo siglato ieri dal presidente americano e il suo omologo ucraino – definito «storico» da Zelensky, «il più forte con gli Stati uniti fin dalla nostra indipendenza» – durerà i 10 anni promessi o la manciata di mesi che mancano alle elezioni americane.
L’accordo bilaterale sulla sicurezza con Kiev, che Biden aveva paragonato a quello in vigore con Israele, non è infatti un trattato che deve essere approvato dal Congresso, e rischia dunque di venire spazzato via con estrema semplicità, in poche ore, se Donald Trump dovesse riconquistare la Casa bianca. Ma intanto è «senza precedenti» ed è stato al centro della conferenza stampa congiunta tenuta nella serata di ieri da Biden e Zelensky, un bilaterale altamente pubblicizzato proprio per rappresentare come ferrea un’alleanza che rischia di essere al contrario molto fragile.
Come fanno notare gli stessi giornalisti al leader di Kiev – cosa intende fare se presto i governi che hanno sottoscritto questi impegni cambieranno? Zelensky non può che essere evasivo, condanna la «crudeltà» della guerra russa e aggiunge: «Se la gente è con noi ogni leader lo sarà in questa lotta per la giustizia».
MA IN COSA CONSISTE questo accordo con gli Usa? Lo spiega Biden: fornitura di armi e munizioni, «sostegno dello sviluppo industriale» affinché Kiev sia nella condizione di «produrre indipendentemente» armamenti, ampliamento «della condivisione reciproca di intelligence», sostegno alla ripresa economica ed energetica dopo che «la Russia ha colpito ripetutamente le infrastrutture dell’Ucraina».
Gaza 250 giorni dopo: 37mila uccisi, 79mila tonnellate di bombe
Continua inoltre l’impegno ad addestrare il personale militare ucraino – ma in paesi europei, consentendo agli americani di non mettere i boots on the ground in Ucraina – e l’approvazione Usa all’«accelerazione dell’ingresso di Kiev nell’Alleanza atlantica», sorvegliando sulle necessarie riforme in senso democratico nel Paese. A chi gli chiede se abbia anche intenzione di rivedere la sua posizione sull’uso delle armi a lungo raggio americane in guerra, consentendo di colpire al cuore della Russia, Biden risponde in senso negativo: «Ha perfettamente senso colpire le postazioni russe da cui viene attaccata l’Ucraina», ma «appena al di là del confine. La nostra posizione in tal senso non è cambiata».
IL PRESIDENTE AMERICANO fra i tre «traguardi» raggiunti dal G7, annovera poi i 50 miliardi di profitti dai fondi sovrani russi congelati che verranno destinati alla difesa e alla ricostruzione dell’Ucraina annunciati alla vigilia del vertice dal presidente francese Emmanuel Macron e confermati nella giornata ieri sul suo profilo X (ex Twitter) dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, che insieme al presidente del consiglio Ue Charles Michel sta partecipando ai lavori. «Il G7 ha approvato la fornitura all’Ucraina di prestiti del valore di 50 miliardi di dollari per la fine dell’anno. Useremo i profitti generati dai fondi sovrani russi congelati per coprirli». Un’azione europea, aggiunge su X von der Leyen, per contribuire «alla difesa e alla ricostruzione dell’Ucraina».
LA REAZIONE RUSSA – dopo che in giornata i media avevano sottolineato la debolezza della maggioranza dei governi che partecipano al vertice – è stata rabbiosa: la portavoce del ministero degli Esteri Maria Zakharova ha dichiarato che se l’Occidente impiegherà i fondi russi «la risposta di Mosca sarà molto dolorosa per l’Unione europea».
Intanto però nei confronti della Russia, durante la conferenza congiunta con Zelensky Biden annuncia 300 nuove sanzioni «su individui e entità» che fanno affari con Mosca, oltre ad ammonire tutte le banche e le istituzioni finanziarie che fanno altrettanto: «Potrete essere sanzionate anche voi». Costante il riferimento alla Cina, e alla sua fornitura di tecnologie necessarie a costruire le armi di Mosca. Zelensky, meno coinvolto nello scontro fra grandi potenze, glissa la domanda su Pechino con un giro di parole shakespeariano su Xi – uomo d’onore che «al telefono mi ha garantito che non fornirà armi alla Russia, lo prendo in parola. La guerra russa in Ucraina – aggiunge – è una minaccia per il mondo intero», e le promesse di armamenti statunitensi «per la nostra difesa», fra cui gli agognati f-16, sono «buone».
ANNUNCI DI NUOVE SANZIONI alla Russia arrivano in giornata anche dal Regno unito, anche se il premier Rishi Sunak, a meno di un mese dalle elezioni che per i sondaggi travolgeranno i Tories, è una sorta di dead man walking che si aggira fra i colleghi che con ogni probabilità – come nota Politico – nel corso di questo summit pugliese si limiteranno a rivolgergli imbarazzati sorrisi di cortesia
Commenta (0 Commenti)Opposizioni in piazza contro le riforme della maggioranza. Che se passeranno toglieranno al parlamento ogni funzione. Già oggi per la destra le camere sono solo un teatro per le risse. Dopo l’ultima, particolarmente grave, a Montecitorio arrivano le sanzioni. Lievi
ULTIMO SPETTACOLO. Comitati, sindacati e partiti si ritrovano a Montecitorio. Appuntamento il 18 giugno
La manifestazione contro l'autonomia differenziata a piazza Montecitorio - Ansa
La piazza si riempie in maniera quasi spontanea, dopo le intimidazioni e alle aggressioni in aula degli ultimi due giorni. Ma, e questa è la prima notizia, finisce per rappresentare la convergenza delle opposizioni dentro e anche fuori dal Parlamento. È una composizione variegata che non si vedeva da anni, che si indigna contro le violenze della maggioranza e tira le fila del lavoro che mesi costituzionalisti e militanti stanno facendo su autonomia differenziata e premierato. Sono piccole delegazioni e gruppetti rappresentativi, non è di certo una manifestazione di massa quella che si ritrova di fronte alla Camera. Ma questa rappresentanza ampia e plurale trova il modo di coesistere e parlarsi. Primi passi dopo anni di camere stagne e bolle omogenee.
CI SI (RI)VEDE oltre le transenne di Montecitorio, e anche questa è una notizia: da anni alle proteste non è consentito arrivare di fronte al parlamento. L’infrastruttura della manifestazione è costituita dalla «Veglia laica per la Repubblica» convocata dai Comitati per il ritiro di ogni autonomia differenziata e il Tavolo No Ad. Ma, appunto, la mobilitazione si allarga. E ci si ritrova di fronte all’inconsueta mescolanza di bandiere: c’è l’Flc Cgil e l’Usb coi Cobas, i Giovani democratici e gli studenti di Cambiare rotta, Rifondazione e il M5S. «Questa battaglia non si vince solo nelle aule parlamentari anche là dentro, si è superato ogni limite come dimostra aggressione squadrista al deputato Leonardo Donno», dice Nicola Fratoianni.
LE OPPOSIZIONI parlamentari invitano a ritrovarsi martedì prossimo alle 18 a piazza Santi Apostoli, quando l’aula riprenderà l’esame del ddl. L’allarme viene raccolto dal presidente dell’Anpi Gianfranco Pagliarulo: «In questa settimana è saltato tutto – dice Pagliarulo – Hanno dedicato un francobollo al fascista Italo Foschi, Roberto Vannacci ha inneggiato alla X Mas e dei criminali sono stati trasformati in santini, la cosa è stata subito ripresa in aula dal deputato leghista Domenico Furgiuele. E poi le orribili chat del portavoce del ministro Francesco Lollobrigida, Paolo Signorelli». «Altro che patrioti, questi stanno spaccando la patria», dice il deputato del Pd Marco Sarracino. Per la Cgil c’è Maurizio Landini.
Autonomia, finisce in rissa: pugni in testa al 5S Donno
«Il messaggio che mandiamo oggi è molto chiaro – dice Christian Ferrari della segreteria nazionale del sindacato – Se non si fermeranno, saremo noi a fermarli. Siamo pronti a partire subito con firme per referendum abrogativo». A questo punto, tocca agli studenti di di Osa e Cambiare rotta tracciare un link tra le intimidazioni in parlamento e le repressioni di piazza: «Noi le manganellate le abbiamo già prese sulla nostra pelle – dicono – sappiamo cosa significa». Quando si aggiungo i parlamentari del Movimento 5 Stelle dicono di esserci per manifestare «contro questo folle provvedimento che spacca l’Italia e nega i servizi essenziali a milioni di cittadini, va avanti dentro e fuori dai palazzi istituzionali». I deputati denunciano «la gravità della prepotenza con cui la maggioranza prova a reprimere il libero dissenso parlamentare delle opposizioni, culminata nell’aggressione squadrista contro il deputato Donno».
«DOPO LE AGGRESSIONI fisiche della maggioranza in Parlamento non possiamo accettare che anche il paese sia ostaggio di questo clima di intimidazioni continue – scrivono Pd, M5S, Avs e +Europa in un comunicato congiunto – Il governo Meloni sta forzando la mano e prova a minare le basi democratiche della nostra Costituzione, procedendo a colpi di maggioranza verso l’approvazione dello Spacca-Italia e del premierato».
Elly Schlein, che già dai giorni scorsi aveva detto ai suoi di prepararsi a una nuova fase dopo le elezioni europee, è altrettanto netta: «C’è un serio problema quando cominci ad assistere a ripetute intimidazioni, aggressioni verbali e fisiche – scandisce la segretaria Pd – Hanno iniziato intimando il silenzio alla nostra capogruppo Chiara Braga, dicendole di stare zitta, hanno continuato facendo per tre volte il simbolo della Decima Mas, e hanno proseguito ulteriormente con l’aggressione squadrista a danno del deputato Donno. Quindi è chiaro che c’è un problema, questo non è un clima in cui si può lavorare in questo Parlamento e si sta dando un pessimo spettacolo al paese».
«Scenderemo con i tricolori in piazza il prossimo 18 giugno – le fa eco Giuseppe Conte dal M5S – E ci ritroveremo con le altre forze di opposizione per ribadire il nostro no all’autonomia differenziata, a questo clima intimidatorio, a queste aggressioni». Martedì, nelle stesse ore, al senato si voterà sul premierato. Tutti, in questa piazza di fine primavera, mostrano di conoscere bene la profonda relazione tra il disegno autoritario della riforma Meloni e quello che accresce le disuguaglianze del progetto di Calderoli
Commenta (0 Commenti)Non è Giorgia Meloni, adesso è Le Pen a disegnare gli equilibri dell’Europa in nero. Incontra Salvini, diventato un partner minore, e parla di gruppo unico delle destre nell’europarlamento. Spiazzando Fratelli d’Italia. Il prossimo voto in Francia può rafforzarla ancora
DETTA MARINE. Esclude le dimissioni dopo le legislative, agita la teoria degli opposti estremismi e tende la mano a Glucksmann e ai Républicains
Il discorso di Emmanuel Macron; a sinistra la riunione dei Républicains davanti alla sede del partito a Parigi chiusa da Eric Ciotti - foto Ansa
Ieri è iniziata la campagna elettorale più breve ma “storica” di Francia, con l’estrema destra alle porte del potere. Emmanuel Macron è sceso in campo, escludendo le dimissioni dopo le legislative: «Non voglio dare le chiavi del potere all’estrema destra nel 2027», alle prossime presidenziali, per questo «voglio un governo che possa agire per rispondere alle esigenze» e alle inquietudini espresse dal voto delle europee, che ha causato un terremoto politico, l’estrema destra al 40%, i partiti «estremisti» al 50% (il calcolo del presidente viene fuori sommando Rassemblemente national e France insoumise). Era l’impegno preso sette anni fa – non dare più nessuna ragione di votare per l’estrema destra – che si è fracassato sul risultato elettorale delle europee.
AL PAVILLON Cambon Capucines, non lontano dall’Eliseo, il presidente ha spiegato prima di tutto le ragioni dell’imprevisto scioglimento dell’Assemblée nationale: la Francia era in «un’equazione politica intenibile», di fronte a un «blocco», «pericoloso» per il paese, con la minaccia di una mozione di censura per l’autunno contro il governo. Lo scioglimento deve portare a «un chiarimento». Macron, che resta un «ottimista» e dichiara di non voler cedere allo «spirito della sconfitta», si rivolge ai cittadini-elettori, facendo appello all’«etica della responsabilità», nella «battaglia di valori esplosa in piena luce», che deve interrogare ogni cittadino.
ERA NECESSARIO chiamare di nuovo in causa gli elettori, non si può voler «un governo senza il popolo» e non si può «dissolvere il popolo», afferma. Delinea un progetto che
Leggi tutto: Macron scende in campo in cerca di un centro - di Anna Maria Merlo, PARIGI
Commenta (0 Commenti)ELEZIONI EUROPEE. Hanno ottenuto il 10% dei voti della lista ma nessun seggio. Una under 35, però, potrebbe farcela. Due lettere a sostegno dei giovani rossoverdi raccolgono alcune migliaia di firme in poche ore
Torino, giovani al voto - Ansa
Quasi uno su dieci. È il bagaglio di voti portato all’Alleanza verdi e sinistra da candidate e candidati con meno di 35 anni. Nelle cinque circoscrizioni hanno collezionato 140mila preferenze sul milione e mezzo dei rossoverdi. E adesso vogliono battere cassa.
«Questo è solo l’inizio». Exploit Avs, Salis eletta
Per ambire al parlamento di Strasburgo bisogna avere almeno 25 anni. La più giovane a provarci è stata Martina Lombard: nata il 20 febbraio 1999 e schierata dal Rassemblement Valdôtain. A nord-ovest, ça va sans dire. Complessivamente, su 740 candidati quelli nati negli anni ’90 sono stati 54. Un quarto di loro, per la precisione 13, correvano nelle file di Avs. Sei in quelle di Alternativa popolare e altrettanti con Pace terra dignità, dove le stesse persone erano presenti in più circoscrizioni portando le candidature a 16. Il Pd ha arruolato cinque giovani, quattro Stati uniti d’Europa, Azione, Libertà e Fratelli d’Italia. Tra i leghisti non risultano under 35, in Forza Italia solo uno.
Vanno cercate anche tra questi numeri le ragioni dei risultati ottenuti dai rossoverdi nell’elettorato giovanile. Primi tra i fuorisede, come mostrano i dati dei seggi riservati agli studenti che si sono registrati lontano da casa (indicativi di una tendenza generale, sebbene limitati solo a 17mila schede). Secondi tra gli elettori under 30, come stimano i sondaggi di Youtrend. Una terza conferma sono gli exploit che i giovani candidati hanno collezionato in diverse circoscrizioni.
Giovani e fuorisede votano i rossoverdi
A nord-est il risultato migliore: il nome di Cristina Guarda, consigliera regionale verde in Veneto nata nel 1990, è stato scritto 32.575 volte facendola classificare in seconda posizione dietro Mimmo Lucano. A nord-ovest Benedetta Scuderi e Giovanni Mori portano a casa rispettivamente 20.346 e 19.434 voti. Davanti a loro solo il tris dei campioni di preferenze di Avs: Ilaria Salis, Mimmo Lucano e Ignazio Marino, che insieme fanno il 30% di tutti i voti a livello nazionale. Scuderi viene dai Giovani verdi europei, Mori dai Fridays for future di cui è stato rappresentante per l’Italia.
Al centro Luca Boccoli, co-portavoce dei Giovani europeisti verdi di 26 anni, raggiunge quota 13.528. Poco sotto il più noto Christian Raimo, comunque di un’altra generazione, e poco sopra Lucrezia Iurlaro, attivista ecologista e transfemminista che spegnerà 27 candeline il prossimo lunedì. A sud e sulle isole Avs aveva presentato due soli under 35: Giulia Persico nel mezzogiorno (5.600 voti), Emanuele Barbara in Sicilia e Sardegna (oltre 3mila).
Il rischio, però, è che né dai risultati buoni né da quelli ottimi esca un seggio per Strasburgo. Dalle parti di Avs trovare l’alchimia giusta è particolarmente difficile: Sinistra italiana e Verdi sono due partiti distinti, con due diversi gruppi in Europa, e usare il gioco delle candidature multiple per bilanciare gli equilibri lascia sempre degli scontenti in base a dove accettano l’incarico le teste di serie.
Ilaria Salis rilancia: «È l’antifascismo la mia prospettiva»
Per questo un gruppo di ragazze e ragazzi, in maggioranza attivisti provenienti dai movimenti per il clima, ieri ha scritto in fretta e furia un appello post-elettorale indirizzato ad Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni. «Le candidate e i candidati che abbiamo scelto sono persone giovani e competenti. Abbiamo bisogno di uno sguardo lungimirante basato sulla giustizia climatica e sociale, e persone come Benedetta Scuderi, Giovanni Mori e Cristina Guarda hanno ricevuto i nostri voti: ascoltateci» scrivono.
I firmatari chiedono ad Avs di fare in modo che i tre candidati vadano a Bruxelles. A metà della mattinata di ieri l’appello è comparso nelle chat del mondo ecologista e in poche ore ha superato le 3.500 firme. Adesioni che vanno sommate a quelle di una seconda lettera fotocopia, ma rivolta a simpatizzanti di ogni età, che ha raccolto altre 1.500 nomi e cognomi.
La strada è in salita per i candidati a nord-ovest, dove sarebbero in tre a dover cambiare circoscrizione riducendo ovunque gli spazi di manovra e rischiando di alterare parecchio i responsi delle urne. Potrebbe invece farcela Guarda. Le trattative sono riservatissime ma basterebbe che Lucano optasse per il sud.
Con Salis e Marino nell’Italia nord-occidentale, dove ne sono scattati due, al centro passerebbe Marilena Grassadonia. Tre uomini e tre donne. Ma soprattutto tre eletti in quota Sinistra italiana (Lucano, Salis e appunto Grassadonia), tre in quota Verdi (Marino, Guarda, Orlando). Era questo equilibrio il principale criterio precedente al voto. Dopo, si sa, le sorprese restano sempre possibili.
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CRONACHE DI GOVERNO. L’autonomia corre alla Camera con i tempi contingentati. Al Senato avanti il premierato
La ministra delle Riforme Elisabettta Casellati in aula - foto LaPresse
L’esito delle elezioni europee, con una fuga dei cittadini dalle urne, e in particolare con una vera e propria diserzione degli elettori al Sud, avrebbe dovuto indurre la maggioranza a riflettere prima di riprendere l’esame del premierato e dell’autonomia. Al Senato e alla Camera, invece, ieri le destre hanno ripreso come sonnambule la loro corsa a suon di contingentamento dei tempi, di queste due riforme, destinate ad accentuare i due mali evidenziati dal voto di domenica: la crisi della rappresentanza e la spaccatura sociale del Paese.
L’INCOERENZA TRA le due riforme e i due clamorosi fenomeni emersi alle elezioni europee è stata evidenziata ieri mattina dai due capigruppo del Pd, Chiara Braga e Francesco Boccia, e poi dal capogruppo di Avs in Senato, Peppe De Cristofaro, che ha ripetuto il concetto in aula: «Durante la chiusura dei lavori per le elezioni avremmo dovuto mettere sulla porta dell’aula il cartello ’chiuso per lutto’: la maggioranza assoluta degli italiani non è andata a votare, nel giro di 10 anni si sono persi 10 milioni di elettori».
Riunendo i gruppi del Pd Elly Schlein ha fatto propria l’analisi dei suoi capigruppo ed ha invitato ad una opposizione dura. Un intento lodevole ma difficilmente realizzabile quando in entrambe le aule le destre hanno imposto il contingentamento dei tempi su due riforme che cambiano la forma di Stato e la forma di governo. Infatti il contingentamento era già scattato a Palazzo Madama per il premierato, ed è scattato anche a Montecitorio per l’autonomia.
Abusi di polizia in giudizio privilegiato
L’esame del ddl Calderoli, infatti, è iniziato a maggio e nel regolamento quando si scavalla il mese, parte il contingentamento dei tempi. Le opposizioni hanno a disposizione solo nove ore, il che potrebbe portare ad esaurire le votazioni già giovedì pomeriggio, 13 giugno. Non a caso quel giorno i comitati «No ad ogni Autonomia differenziata» hanno organizzato un presidio davanti a Montecitorio.
IL GOVERNATORE DEL VENETO Luca Zaia, soddisfatto perché si è arrivati all’«ultimo miglio», ha aggiunto: «Siamo già pronti a sederci al tavolo con il governo per discutere la delega delle prime materie, come scriverò alla premier immediatamente dopo l’approvazione della riforma». Ciò che rimane della Lega Nord si attacca dunque all’Autonomia per bilanciare la Lega di Salvini e Vannacci, e non far implodere il partito, né la maggioranza e il governo.
SE IL CONFRONTO muscolare non ha successo, ci si prova con gli argomenti: ma anche qui lo scontro è contro un muro cieco e sordo, per usare due metafore delle opposizioni in Senato. Infatti l’Aula di Palazzo Madama è giunta a discutere l’articolo 5 del ddl Casellati, il cuore della riforma che introduce nella Costituzione l’elezione diretta del premier. Ebbene il testo enuncia il principio ma tace come esso si attua.
«Nel testo – ha detto Ivan Scalfarotto – ci sono evidenti buchi. Come viene eletto il premier? Cosa succede se il voto all’estero diventa decisivo? Quanto sarà il premio di maggioranza? Ci sarà un ballottaggio? Cosa accade se, per qualche motivo, c’è una differenza di maggioranza tra Camera e Senato? Su tutte queste questioni governo e maggioranza non dicono nulla. Votiamo alla cieca». La ripetuta richiesta alla ministra Casellati (dai dem Andrea Giorgis e Simona Malpezzi, a Enrico Borghi di Iv) di anticipare almeno i criteri della legge elettorale sono caduti nel vuoto.
La ministra – che in una recente intervista al Corriere della Sera aveva dichiarato di provare «orrore» verso le opposizioni – non si è degnata di aprire bocca: non tanto per rispetto delle opposizioni, bensì per riguardo all’istituzione che pure ha guidato nella scorsa legislatura. In compenso ai diversi senatori che le si sono rivolti direttamente, ha ostentatamente risposto tacendo e compulsando lo smartphone.
La ministra è sembrata volersi portare avanti con i compiti, visto che la riforma – come hanno notato Annamaria Furlan, del Pd, Bruno Marton ed Elisa Pirlo di M5S e Tino Magni di Avs – subordina il parlamento al governo, visto che è eletto a traino del premier che lo può sciogliere, «mortificandolo» e svuotandolo della sua funzione di rappresentanza. Rappresentanza non solo delle idee politiche, ma anche delle istanze e delle conflittualità sociali
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