Si è tenuto ieri pomeriggio (29 maggio) il terzo incontro pubblico online del Dibattito Pubblico sul progetto di quadruplicamento della tratta ferroviaria Bologna - Castel Bolognese-Riolo Terme. Ampia e in crescita anche in questo terzo appuntamento la partecipazione, con circa 200 persone collegate da remoto.
L'incontro tematico del Dibattito Pubblico è stato volto ad approfondire i princìpi generali delle fasi di cantierizzazione e di costruzione e a illustrare in linea generale le procedure espropriative. Dopo l'apertura dell'incontro da parte del Responsabile del Dibattito Pubblico, Andrea Pillon, sono intervenuti Luciano Caronte, Responsabile di Cantierizzazione di Italferr, approfondendo gli aspetti realizzativi e di cantierizzazione dell'opera, e Ivan De Blasis, Progettista di Espropri di Italferr, approfondendo la questione delle procedure espropriative.
A seguire si sono tenuti i tavoli di discussione, divisi per ambito territoriale (area Bologna-San Lazzaro, area San Lazzaro-Dozza, area Imola e area Castel Bolognese), alla presenza dei tecnici di RFI e Italferr che hanno risposto alle domande dal pubblico sugli aspetti relativi al dettaglio dei tracciati dell'opera.
"Ad oggi abbiamo raccolto diciotto tra domande e contributi: alle prime risponderemo o stiamo rispondendo, mentre i secondi verranno raccolti tutti in un piccolo dossier che poi verrà pubblicato sul sito. Stanno poi già arrivando anche delle osservazioni da parte degli enti e delle istituzioni che partecipano al Dibattito Pubblico. I suggerimenti sono particolarmente importanti perché già dalle interlocuzioni che ci sono state negli scorsi incontri, soprattutto sulle alternative di tracciato e anche sulle ragioni dell'opera, si evince chiaramente come Italferr e RFI stiano tenendo conto nelle lavorazioni di molte delle osservazioni che sono emerse" ha dichiarato Andrea Pillon, Responsabile del Dibattito. "Vi confermo inoltre che il 4 giugno abbiamo aggiunto l'incontro con le associazioni degli agricoltori e quindi faremo questo ulteriore approfondimento per tutti gli aspetti che riguardano gli impatti sul comparto agricolo. Vi ricordo infine il 7 luglio come data per la presentazione delle osservazioni e che da ora in poi, oltre ai materiali che si producono durante le serate, sul sito caricheremo anche i video integrali dei singoli tavoli" ha concluso Pillon.
Il Dibattito Pubblico proseguirà con il seguente, e ultimo, incontro pubblico: Mercoledì 5 giugno 2024 | Modalità online | Ore 17.00 - 19.00 | Gli aspetti ambientali
Si può prendere parte al Dibattito in varie forme: partecipando attivamente agli incontri, consultando il sito web (www.dpbolognacastelbolognese.it), dove è possibile trovare informazioni di dettaglio sull'intervento e inviare richieste di chiarimento, e presentando suggerimenti e proposte che saranno caricati sul sito nella sezione "Osservazioni".
RIFORME. «Non l’hanno letto. L’autonomia è una garanzia per i diritti essenziali al Sud che il Sud non ha mai avuto. Magari c’è qualche vescovo che, viste le polemiche che arrivano […]
Salvini alla conferenza stampa per la posa del primo cassone della diga del porto di Genova - Ansa
«Non l’hanno letto. L’autonomia è una garanzia per i diritti essenziali al Sud che il Sud non ha mai avuto. Magari c’è qualche vescovo che, viste le polemiche che arrivano dal Vaticano, si è distratto. Manderò a chiunque voglia approfondire il testo dell’autonomia». Salvini, in tour in Calabria, commenta così la bocciatura dell’autonomia differenziata da parte della Cei.
Replica il vicepresidente per l’area Sud della Conferenza episcopale italiana, Francesco Savino: «Dire che i vescovi calabresi non hanno letto la legge mi sembra un’offesa gratuita: l’abbiamo letta e l’abbiamo studiata con costituzionalisti e professori universitari».
E la premier Meloni polemizza direttamente con il presidente della Cei, Matteo Zuppi, sul premierato: «Non so cosa esattamente preoccupi la Conferenza episcopale italiana, visto che la riforma non interviene nei rapporti tra Stato e Chiesa. Con tutto il rispetto, non mi sembra che lo Stato Vaticano sia una repubblica parlamentare, quindi nessuno ha mai detto che si preoccupava per questo. Facciamo che nessuno si preoccupa».
IL CASO. Propaganda elettorale sull’aumento dell’occupazione registrato dall’Istat. Per Salvini i dati «smentiscono i profeti di sventura». Per Meloni sono la prova del successo del governo. Landini: "Non vanno visti i numeri ma va guardata la realtà concreta. Un futuro di precarietà per i giovani è una follia"
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Per Salvini i numeri dell’Istat che ieri hanno attestato l’aumento dell’occupazione ad aprile, e il calo della disoccupazione ai minimi da 15 anni, sarebbero una «smentita dei profeti di sventura e della negatività a senso unico di certi giornali». L’aumento di 516 mila occupati in un anno e il tasso di occupazione salito al 62,3% sarebbero la prova che «con il centrodestra al governo il lavoro cresce».
IL MESSAGGIO ELETTORALE del vicepremier ministro delle infrastrutture è stato rilanciato nella serata di ieri dalla presidente del Consiglio Meloni che si è concentrata sull’aumento dei salari. A suo dire, infatti, «l’aumento dei salari del 3% superiore all’inflazione avvenuto da ottobre 2023» sarebbe merito del governo. Sono dati presi dall’indice delle retribuzioni contrattuali orarie del primo trimestre 2024. Rispetto all’anno precedente c’è stato un aumento, in virtù di alcuni rinnovi dei contratti anche nella pubblica amministrazione che, in realtà, hanno recuperato il triennio precedente. Resta invece scoperto il triennio in corso, ad esempio nella scuola. Senza contare che oltre 5 milioni di dipendenti attendono ancora un rinnovo.
CIÒ CHE MELONI non ha detto è anche molto altro. Se l’inflazione cala, questo non significa che i salari abbiano recuperato ciò che hanno perso nel triennio 2022-2024. Sarà pari al 16,9%, stando all’Indice dei prezzi al consumo (Ipca) al netto dei beni energetici importati. Nell’intervento di ieri Meloni ha inoltre fatto balenare la possibilità irrealistica che un modestissimo aumento, per di più parziale, potrebbe avere invertito una storia trentennale costruita sui bassi salari e sull’alta precarietà.
FUORI DALLE NARRAZIONI strumentali la realtà è diversa. Se l’occupazione aumenta questo non significa che i salari tengono il passo. Può invece significare che aumenta il lavoro povero. E, con esso, la povertà relativa e assoluta, insieme a quella minorile. Lo ha dimostrato ieri la ricerca «Domani (im)possibili» curata dalla Caritas con Save The Children secondo la quale la deprivazione materiale degli adolescenti tra i 15 e i 16 anni è aumentata. Quasi uno su dieci – centomila persone – vivono in condizioni di povertà, il 67,4% teme che il lavoro non permetterà di uscire dalla povertà, uno su quattro pensa di non concludere la scuola. Le più scoraggiate sono le ragazze che sanno che le donne in Italia sono le più penalizzate. Per loro il «futuro è una pagina bianca». Va ricordato che, per l’Istat, i minori in povertà sono 1,3 milioni. I poveri assoluti sono 5,7 milioni, la quota di popolazione in povertà relativa è al 22,8%. E 120mila giovani vanno via dall’Italia ogni anno anche a causa della situazione economico-sociale davanti alla quale anche questo governo è totalmente impotente.
VA INOLTRE ANALIZZATA la condizione contrattuale dell’occupazione. «Ci sono 4,5 milioni di lavoratori con il part-time, di cui il 75% donne, soprattutto nel Mezzogiorno, che non arrivano a 10mila euro lordi all’anno – ha ricordato ieri il segretario della Cgil Maurizio Landini – Ci sono 3 milioni di contratti a termine, che lavorano per sei, sette, otto mesi in media all’anno. Ci sono un milione di persone che lavorano a chiamata, vuol dire che lavorano una media di 50-60-70 giorni all’anno. C’è un milione di persone che fa lavoro somministrato, sono aumentate le collaborazioni e le partite Iva».
C’È POI LA CONDIZIONE generazionale. Raffaella Milano di Save The Children ha denunciato «una grave ingiustizia generazionale e di origine sociale, sono i giovani i più colpiti dalla povertà». Questa realtà trova riscontro proprio scorporando i dati dell’Istat che hanno generato il tripudio del governo. Se ne ricava un’immagine esattamente opposta a quella ufficiale. Dai dati risulta un forte l’aumento dell’inattività tra i 25-34enni che subiscono anche un calo del tasso di occupazione dello 0,5% e anche di quello di disoccupazione
«Deterrenza nucleare», dice il ministro degli esteri russo Lavrov. «Atomica dimostrativa», scrive un alto consigliere di Putin. L’idea di sparare armi occidentali sulla Russia scatena reazioni. Ma la Nato insiste e Stoltenberg rilancia: la Russia e poi Iran, Corea, Cina…
GUERRA UCRAINA. Lavrov: «Le armi strategiche a Minsk faranno scattare campanelli d’allarme». Sullo sfondo resta la narrazione nota: l’occidente protrae «una guerra senza senso». Il ministro degli esteri cinese annuncia operazioni congiunte di pattugliamento marittimo e aereo
Un carro armato russo in Ucraina - Ap
Oltre a quello militare, c’è un testa a testa di dichiarazioni. Mentre i paesi membri della Nato si sono riuniti per una due giorni a Praga, con l’intento anche di allargare il fronte dei favorevoli all’impiego delle armi fornite a Kiev contro obiettivi sul territorio russo, dai rappresentanti di Mosca arrivano diverse reazioni di minacciosa contrarietà.
«CI SARANNO inevitabilmente delle conseguenze», ha affermato il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov. Aggiungendo: «Sarà molto dannoso per quei paesi che hanno scelto la via dell’escalation. Continuano ad alzare di proposito il livello della tensione».
La linea argomentativa di Peskov è la solita che si ripete praticamente dall’inizio dell’invasione: sono gli Stati uniti e l’occidente a spingere l’Ucraina a combattere, a provocarla «affinché si protragga in una guerra senza senso». In realtà, la richiesta di poter attaccare direttamente sul suolo russo viene portata avanti da settimane da Zelensky e dai vertici militari di Kiev, che pensano in questo modo di poter contrastare più efficacemente l’offensiva di
DEMOCRAZIA INCOMPIUTA. Presentate due proposte di legge. Manfredonia: il parlamento deve rispondere alle proposte che vengono dal basso, modello tedesco per tornare al finanziamento pubblico
Un seggio elettorale - Foto Ansa
Alla vigilia delle Elezioni europee che verosimilmente confermeranno l’Italia agli ultimi posti dell’affluenza alle urne, specie in raffronto a ciò che accadeva nel ’900, le Acli lanciano due proposte di legge di iniziativa popolare per rilanciare la partecipazione politica. L’associazione cattolica che fa parte de «La via maestra» («che le appoggia»), insieme ad Argomenti 2000, ha presentato ieri i due testi alla Federazione nazionale della stampa (Fnsi). «Il primo partito da anni in Italia è quello dell’astensione, vogliamo provare a rilanciare la partecipazione con proposte concrete», spiega il presidente Emiliano Manfredonia.
La prima proposta di legge dal titolo “Misure in materia di partecipazione, istituzione delle Assemblee partecipative e modifiche agli istituti partecipativi” consta di 13 articoli e punta a superare un atavico problema del sistema politico italiano: il totale menefreghismo del parlamento rispetto alle proposte di legge di iniziativa popolare che rende quasi sempre inutile la sottoscrizione da parte dei cittadini di testi e il lavoro delle associazioni che le lanciano.
Il primo obiettivo dunque è quello di «rendere obbligatorio che il parlamento le prenda in considerazione e abbia 180 giorni di tempo per motivare almeno la ragione per cui decide di non votarle», spiega Manfredonia.
Per fare questo, le Acli propongono la creazione delle «Assemblee partecipative» create «da 300 cittadini, una sorta di parlamentino, a sorteggio (ma assicurando «proporzionalità per sesso, età e area di residenza», prevede il testo, ndr) fra i cittadini che dovranno informarsi e discutere una determinata materia, ad esempio il fine vita su cui si litiga da anni senza mai decidere» – attacca Mandredonia – e arriveranno a scrivere una «relazione conclusiva» che «il parlamento entro 180 giorni dalla ricezione della stessa, ad esprimersi sulla materia oggetto del parere e a darne riscontro all’Assemblea. In ogni caso, è tenuto a motivare per iscritto l’eventuale decisione di discostarsi o disattendere il parere dell’Assemblea sull’oggetto assegnato», recita il testo.
Se la prima proposta di legge è una novità assoluta, la seconda sui partiti «ricalca il modello tedesco», spiega Manfredonia. L’idea è quella di «creare un autorità garante che certifichi la trasparenza e la democraticità dei partiti e che, appurato questo, li faccia accedere al finanziamento pubblico». I partiti sarebbero poi assimilabili «a fondazioni con centri studio allo scopo di formare alla politica in special modo le giovani generazioni», spiega Manfredonia. Il tutto «ha come scopo quello di superare la situazione attuale in cui i partiti sono finanziati esclusivamente dalle lobby o da grandi capitali e imprese che rischiano di portare ad episodi di corruzione», conclude Manfredonia.
La proposta di legge “Disposizioni sull’applicazione del metodo democratico e della trasparenza dei partiti politici e sul finanziamento pubblico diretto alla partecipazione politica” consta di 11 articoli e parte dalla creazione del Registro Nazionale dei partiti politici presso l’Autorità Nazionale sui Partiti Politici (Anpp)». Quanto alla partecipazione attiva dei giovani fra i 16 e 35 anni di età alla politica, «ogni partito politico destina alla loro formazione e coinvolgimento una quota pari almeno al 15 per cento dei finanziamenti ricevuti per le spese per le consultazioni elettorali», prevede il testo. Mentre le donazioni non potranno essere «comunque non superiori a 50 mila euro per singolo donatore o sostenitore».
La proposta prova poi a dire basta ai tanti partiti personali o di carta: ogni partito poi dovrà avere un «Assemblea dei delegati degli iscritti», e dovrà prevedere «elezioni diretta degli iscritti»
Scritto da Sebastiano Canetta, BERLINO su il manifesto
EUROPA CON L'ELMETTO. Il colosso degli armamenti Rheinmetall è il nuovo sponsor del Borussia Dortmund
Il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg - Ap
In ordine sparso, ciascuno pensando agli affari politici suoi, seppure tutti pronti ad assumere la postura richiesta dal segretario generale della Nato. Con i falchi della guerra totale alla Russia contro le mezze-colombe sempre troppo poco propense a rischiare l’escalation finale. Formalmente gli Usa tengono la red-line del veto agli attacchi in profondità in territorio russo («la nostra posizione non cambia») tuttavia l’amministrazione Biden sul tema è più che spaccata e perfino l’ex dialogante Trump ormai immagina di «bombardare Mosca» (secondo quanto riporta il Washington Post); mentre Francia e Germania annunciano la nuova gigantesca joint-venture per produrre insieme le armi a lunga gittata, premendo a quattro mani l’acceleratore europeo sull’intervento diretto.
«Il diritto internazionale non limita la difesa dell’Ucraina ai propri confini» è la giustificazione dell’ennesimo dietrofront del cancelliere Scholz, sintomatica dell’aria che tira due anni e tre mesi dopo l’invasione dell’Ucraina. Di fatto tutti i tabù dell’inizio di guerra – quando il leader Spd voleva inviare al massimo elmetti e tende da campo – si sono sgretolati uno dopo l’altro in concomitanza con i bollettini indicanti la lenta ma continua avanzata russa in tutti i settori del fronte.
«Siamo molto preoccupati» fa trapelare alle agenzie di stampa una fonte diplomatica in campo Nato ben addentro al summit informale dei ministri della Difesa occidentali previsto oggi e domani a Praga. Anche qui il grande nodo da sciogliere restano le divergenze fra «i Paesi inclini a fare di più e in modo diverso da quanto fatto finora e i governi più prudenti. Da questo punto di vista Scholz ha fatto un passo avanti». Sarà l’incontro preparatorio del più importante vertice di Washington dove verrà stesa in dettaglio la tattica dell’azione comune. Sulla strategia invece nessuna diserzione rispetto alla linea annunciata dal segretario generale Nato Jens Stoltenberg, recepita più o meno in automatico da tutti gli alleati.
«Kiev può utilizzare le nostre armi per colpire il territorio russo» coincide con il nulla osta del governo di Helsinki, contemporaneo allo scontato via libera della Polonia, altro Paese in prima linea sul confine Est insieme ai tre Baltici e già disposto a inviare truppe proprie al di fuori dagli accordi Nato. La Svezia invece fa tempestivamente sapere di aver appena stanziato aiuti all’esercito ucraino per oltre un miliardo di euro. «Non cerchiamo l’escalation ma dobbiamo cambiare tattica dopo l’avanzata russa a Karkhiv» è il succo del summit di Praga. Significa che al di là delle dichiarazioni il cambio di passo è deciso nonostante i distinguo e le diverse parti in commedia.
Esattamente un anno fa, poco prima della controffensiva ucraina poi clamorosamente fallita, il caveat Nato era ancora di limitarsi alla difesa soprattutto area del territorio ucraino. Poi è arrivata la promessa degli F-16 recentemente confermata dal Belgio con il supporto degli altri undici Paesi in cui attualmente si addestrano i piloti dell’aeronautica ucraina, le bombe a grappolo dagli Usa vietate dalla convenzione firmata da oltre 100 governi, e infine la fornitura da parte di Stati Uniti e Regno Unito dei sistemi missilistici guidati “Himars” e “M-270”.
Finché ad aprile Macron in gran segreto ha spedito a Kiev i suoi “Scalp” equivalenti, e iniziano ad arrivare anche gli “Atacms” con raggio d’azione pari 300 km fatti inviare egualmente sottobanco e senza dire una parola dai consiglieri militari di Biden a febbraio. Ma ci sono anche gli istruttori militari francesi ufficialmente acquartierati in Ucraina dal 27 maggio e la marea di volontari addestrati in Occidente.
All’Ovest però non servono soltanto armi bensì la “giusta” comunicazione del concetto di difesa che l’opinione pubblica di tutti i Paesi Nato si ostina ad associare alla guerra. Da ieri il colosso degli armamenti Rheinmetall è il nuovo sponsor del Borussia Dortmund. Un altro tabù distrutto: per la prima nella storia un’azienda di armi sponsorizza una squadra di Bundesliga. La partnership milionaria durerà tre anni e non è solo una questione di soldi. Secondo Hans-Joachim Watzke, amministratore delegato del Borussia: «Sicurezza e difesa sono due pilastri della nostra democrazia. Ecco perché questa sponsorizzazione è giusta»