IL PAESE PUGLIESE MILITARIZZATO PER LA PROTESTA CONTRO IL VERTICE DEI SETTE GRANDI. Fra le immagini quella della prima ministra a testa in giù. Condanna del sindaco
La manifestazione contro il G7 a Fasano (Brindisi) - Ciro Fusco /Ansa
Salendo le scale che portano all’uscita della stazione di Fasano la prima cosa che si vede è un nugolo di agenti delle forze dell’ordine. Fermano e identificano chiunque passi: il treno appena arrivato da Bari è quello utile per partecipare alla manifestazione contro il G7, che parte da Largo Palmina Martinelli.
Qualche decina di ragazzi che avranno a malapena vent’anni viene bloccato, devono mostrare i documenti, che vengono perfino filmati da agenti in divisa e in borghese.
Svuotano gli zaini, incriminata una bomboletta spray – e le borracce per l’acqua vengono controllate con attenzione. E per fortuna restituite: quando si esce sulla piazza Fasano si rivela per quello in cui è stato trasformato in questi giorni, un paese svuotato, ogni saracinesca abbassata, e recintato di posti di blocco.
Qualche abitante che si affaccia curioso alla finestra in attesa delle orde di barbari – si citano i fantomatici black bloc, la cui esistenza riemerge da un passato ormai vintage solo in prossimità dei G7 – su un panorama che a colpo d’occhio, sotto il sole a picco che fa tremolare i bordi del visibile, ricorda più un vecchio set in disuso che un paese abitato.
LA MANIFESTAZIONE parte a 3 km di distanza, ma i bus sono solo un ricordo così come i semplici bar dove rifornirsi di acqua. «L’hanno fatto apposta di darci il permesso solo a quest’ora proibitiva», mormorano in tanti quando si raggiunge Largo Palmina Martinelli, dove parte il corteo del Tavolo di Coordinamento NoG7 Puglia, nel quale sono confluiti numerosi movimenti della società civile insieme alla Campagna nazionale per il Clima fuori dal Fossile.
Presenti Peacelink, Amnesty International, No Base Coltano, No Ponte, No Triv, l’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole, le sigle sindacali Usb e Cobas-– un gruppo di lavoratori arriva fin da Bergamo -, gli attivisti presenti nei campeggi di Frassanito e Fattizze, in Salento, tra cui il neonato coordinamento ambientalista GSim, che riunisce Fridays for Future, Ultima Generazione ed Extintion Rebellion. Numerose le associazioni studentesche. Ha aderito anche il Contro Forum G7, promotore venerdì dell’altra manifestazione contro il summit. Tanti i pacifisti. Cori pro Palestina, contro la guerra di Israele e la logica bellicista.
Il clima di preoccupazione vissuto dalla cittadinanza di Fasano è poi pian piano sfumato dinanzi alla protesta, che secondo gli organizzatori poteva contare, quando si è arrivati a sera, su 2.000 partecipanti. Tra cui molti residenti, che si sono uniti alla manifestazione al grido unanime di «No alla guerra».
Tra le immagini esposte quelle dei leader del G7 in bianco e nero con i volti insanguinati. Anche la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, è stata ritratta a testa in giù con la scritta: «Sono fascista» (il sindaco di Fasano si è affrettato a condannare). Per Bobo Aprile, tra gli organizzatori, «ci prepariamo a una terza guerra mondiale, una guerra economica contro la Russia e la Cina». Antonio di Sinistra Anticapitalista denuncia «le politiche capitaliste di guerra, armi e sfruttamento del lavoro».
SECONDO Francesco Masi dei No Triv, «uno dei temi caldi di questo G7 è stato il piano Mattei. Basta con le trivelle e i combustibili fossili». A immortalare la protesta anche Tano D’Amico. E c’è, immancabile, anche la rappresentanza sarda: non è la bandiera dei quattro mori a sventolare stavolta ma quella del movimento A Foras – la impugna Mario, studente di ingegneria a Cagliari – contro le basi Nato che accomunano l’Isola e Fasano, non distante dalla Puglia posticcia racchiusa dentro Borgo Egnazia insieme ai sette leader
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LA MARCIA DEI 600MILA. Tutti i leader del Front Populaire in piazza. A sorpresa si candida anche Hollande. Tensioni interne alla sinistra sui nomi scomodi
Un particolare della manifestazione di Parigi - Ansa
Centinaia di migliaia di francesi hanno manifestato ieri contro l’estrema destra da un capo all’altro del paese, su invito dei sindacati, di numerose associazioni e dietro agli striscioni del Nouveau Front Populaire, la coalizione elettorale delle sinistre. Con la benedizione di Marcus Thuram, figlio d’arte, attaccante dell’Inter e della nazionale francese: «Bisogna andare a votare, e battersi giorno dopo giorno affinché il Rassemblement National non vinca».
Secondo la Cgt, almeno 600mila persone hanno marciato in tutta la Francia, delle quali 250mila a Parigi. Un «sussulto democratico e sociale» contro l’avanzata di Marine Le Pen, organizzato dal pezzo più grosso dell’intersindacale (tra le sigle, la Cgt, la Cfdt e Solidaires) che l’anno scorso aveva guidato il movimento contro la riforma delle pensioni voluta da Macron. Qualche incidente è scoppiato qua e là a Parigi e a Nantes, quando la polizia si è scontrata con la testa del corteo utilizzando gas lacrimogeni, senza troppe conseguenze. In testa al corteo parigino, uno striscione ha riassunto efficacemente il senso della giornata: sans la rue pas de Front Populaire, senza la mobilitazione generale, il Front Populaire ha poche speranze.
LA MOBILITAZIONE della base della sinistra francese, galvanizzata dall’unione delle sinistre e determinata a ostacolare l’arrivo dell’estrema destra al potere, è stata fondamentale per spingere i partiti a concludere un accordo storico, e lo sarà altrettanto per dare all’alleanza della gauche una chance di vittoria nelle urne.
«È un segnale molto forte di speranza», ha detto Sophie Binet, la segretaria della Cgt, assediata dai giornalisti, «non diciamo solo ‘no all’estrema destra’, ma diciamo anche che vogliamo delle alternative sociali e progressiste, vogliamo l’aumento dei salari e delle pensioni, l’investimento nei servizi pubblici, vogliamo il progresso sociale e ambientale».
I LEADER DEI PARTITI del Front hanno sfilato tutti assieme, dietro a un grande striscione nel mezzo del corteo, appena rallentato dalla fiumana di persone. «Emmanuel Macron ha voluto dividerci, ma in realtà ci ha riunito assieme», ha detto Manon Aubry, capolista della France Insoumise alle europee. Un ottimismo condiviso da Marine Tondelier, la presidentessa dei Verdi, che assicura che «spegneremo la fiamma del Front National», in riferimento al simbolo del partito lepenista, ispirato alla fiamma dell’Msi.
Se la massiccia partecipazione popolare alle manifestazioni è un dato incoraggiante per le sorti del Front Populaire, le divisioni interne ed esterne alla coalizione continuano a piagare le organizzazioni della sinistra, che stanno depositando le liste dei candidati proprio in questi giorni.
Mentre i manifestanti marciavano in tutto il paese, François Hollande ha annunciato a sorpresa la propria candidatura nel suo feudo della Corrèze. «Non ne sapevo niente», ha detto il leader socilista Olivier Faure in tv, «ma dal momento che sostiene la coalizione, l’essenziale è essere aperti a ogni tendenza».
L’EX-PRESIDENTE della Repubblica, di cui Macron è stato per un breve tempo il ministro dell’economia, ha detto che era necessario «prendere una decisione eccezionale, di fronte a una situazione eccezionale». Il Ps, dal canto suo, ha «preso atto» della scelta della federazione locale del partito di presentarlo sotto i colori del Front Populaire.
La candidatura di Hollande, figura della destra del partito socialista e detestato da una buona fetta della sinistra francese, si è aggiunta a un’altra candidatura controversa: quella di Aurélien Rousseau, ex-capo di gabinetto di Élisabeth Borne e tra gli artefici della riforma delle pensioni di Macron, poi uscito in polemica dalla macronie a dicembre. Rousseau è sostenuto da Place Publique, il partitino di Raphaël Glucksmann, capolista del Ps alle elezioni europee.
ANCHE NELL’EMISFERO sinistro della coalizione si sono registrate scosse telluriche. Lfi ha infatti deciso di non ricandidare alcuni deputati di lungo corso, come Alexis Corbière e Danielle Simonnet. Quest’ultima ha denunciato una «purga» in piena regola, volta a tagliare fuori dal partito delle figure giudicate, negli ultimi tempi, troppo critiche nei confronti di Jean-Luc Mélenchon.
La decisione ha creato scompiglio tra gli alleati, che hanno invitato Lfi a reintegrare i «purgati», i quali hanno annunciato l’intenzione di candidarsi lo stesso, malgrado l’assenza di sostegno del partito. Una decisione che ha creato sconforto tra i militanti, in particolare dal momento che l’ex-figura di spicco di Lfi Adrien Quatennens, deputato di Lille, è stato riconfermato nonostante la condanna nel 2022 per violenze domestiche e le critiche dei movimenti femministi.
Davanti al rifiuto di Quatennens di fare un passo indietro, la giurista femminista Amy Bah, del collettivo Nous Toutes, ha deciso di presentarsi nella stessa circoscrizione. «Sostengo appieno il programma del Nouveau Front Populaire», ha detto Amy Bah ai media francesi, «ma non potevo più restare impassibile di fronte a questa situazione»
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G7. Durante la conferenza stampa conclusiva Meloni nega arretramenti da parte dell'esecutivo su aborto e comunità lgbtqia+. Eppure i fatti raccontano un'altra storia
Giorgia Meloni al G7 di Borgo Egnazia, foto Ansa
«In questi due anni non ci sono stati passi indietro rispetto a questioni come il diritto all’aborto o sui diritti Lgbt», parola di Giorgia Meloni in conclusione del G7. Se la legge 194 non è stata toccata (ma si è trovato il modo di pagare i pro vita nei consultori attraverso i fondi del Pnrr e non si è intervenuto per rendere accessibile l’aborto dove nei fatti è negato), sul diritti arcobaleno le parole della premier gridano vendetta. Lo scorso 17 maggio (giornata mondiale di lotta all’omolesbobitransfobia) l’Italia insieme ad altri otto stati (come Ungheria, Romania, Bulgaria) non ha firmato il testo Ue sui diritti Lgbtqia+. Rispetto alla Rainbow Map, redatta da Ilga-Europe (documento annuale atto a fotografare la vita delle persone queer in 48 Paesi), il nostro si colloca al 36esimo posto. La posizione italiana è evidenziata in rosso anche nella mappa di Tgeu, relativa ai diritti delle persone transgender.
Non a caso a partire da Maurizio Gasparri, con i ministri a ruota, è iniziata lo scorso gennaio un’ispezione al centro Careggi di Firenze per rivedere, in senso restrittivo, su scala nazionale i protocolli sui farmaci bloccanti della pubertà, terapie che consentono di fermare (in modo reversibile) i cambiamenti fisici legati all’adolescenza nei giovani trans e non binari. E ancora. Tra i primi provvedimenti del governo Meloni, l’intervento del ministero dell’Interno sulle prefetture perché si allineassero alla pronuncia della Corte di Cassazione del 2022, bloccando le trascrizioni degli atti di nascita dei bambini di coppie omogenitoriali. Materia controversa che ha visto pronunce opposte in
Leggi tutto: Diritti, due anni di politiche del governo smentiscono la premier - di Adriana Pollice
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Elly Schlein al Nazareno per la riunione con gli europarlamentari - Ansa
Elly Schlein riunisce al Nazareno la nuova delegazione dei venti del Partito democratico che andranno al parlamento europeo: sarà la più nutrita di tutto il gruppo dei Socialisti e democratici. Ci sono tra gli altri Stefano Bonaccini, Antonio Decaro, Dario Nardella, Nicola Zingaretti, Matteo Ricci, Giorgio Gori, Cecilia Strada, Lucia Annunziata e Marco Tarquinio. «Abbiamo ridotto la distanza da Fdi – ribadisce la segretaria dando il benvenuto agli eletti – Stiamo arrivando». Poi ha assunto in prima persona il compito di tenere i rapporti con le altre componenti in vista della nuova commissione. «Avremo un ruolo determinante sui prossimi equilibri europei – prosegue Schlein – I numeri e la composizione della nostra delegazione ci chiamano alla responsabilità, ma ci danno anche forza. Per questo gestirò personalmente il negoziato, essendo molto chiara sulle condizioni che la nostra delegazione porrà per la composizione dei prossimi organismi europei».
GLI ELETTI rivedranno tutti martedì a Strasburgo per una prima riunione e per cominciare a scegliere l’organigramma della delegazione. Schlein suggerisce loro di insistere sui temi che stanno caratterizzando il Pd sulla scena nazionale. «Dobbiamo inchiodare il governo Meloni sulla questione sociale – sostiene – Dobbiamo continuare così, siamo il perno della costruzione dell’alternativa alle destre. Non abbiamo mai messo veti e non intendiamo accettarne.
Gli europarlamentari hanno accolto le sue indicazioni. E Decaro, l’uomo del mezzo milione di preferenze, si sofferma sulle alleanze: «Ora andiamo uniti ai ballottaggi, come ci si era impegnati a fare – dice l’ex sindaco di Bari – Spero che superate le europee si cercherà di valorizzare quelle cose che ci tengono insieme e che ora la coalizione progressista diventi una vera coalizione anche perché pure queste elezioni hanno dimostrato che il centrodestra non è maggioranza nel paese’».
Che il clima appaia all’improvviso disteso dopo il 24% delle urne è confermato dal fatto che un altro ex sindaco come Giorgio Gori dice che Schlein «ha fatto un ottimo lavoro nel collocare il partito su alcuni temi sociali. Noi, come amministratori, abbiamo fatto bene sul territorio». E Cecilia Strada commenta la scelta di espungere l’aborto dal documento finale del G7: «Mi auguro ricompaia nel testo finale – afferma – Se non ci sarà, saremo arrabbiati ma non sorpresi perché ogni volta che non mettiamo per iscritto un diritto lo stiamo togliendo a qualcuno. E questo è un governo che i diritti li toglie».
Intanto, nel giorno in cui Italia viva fa sapere che non fornirà indicazioni di voto per il ballottaggio a Firenze tra Sara Funaro e ed Eike Schmidt che si svolgerà i prossimi 23 e 24 giugno (ma la candidata renziana ha dichiarato il suo voto per la prima) si apprende che prima Stefano Bonaccini e poi Elly Schlein chiuderanno la campagna elettorale.
ASSIEME A M5S, Avs e +Europa, i dem hanno promosso la manifestazione che si terrà a Roma martedì 18 giugno, giorno in cui in senato si vota il premierato. Proprio i 5 Stelle ieri hanno vissuto una sorta di déjà vu: Beppe Grillo è arrivato a Roma al solito albergo sui Fori e ha incontrato Giuseppe Conte. Il vertice ttra il fondatore e il presidente del M5S, fissato dopo il deludente risultato delle europee, è durato poco più di un’ora. Conte ha risposto «Non vi fate troppi film» ai cronisti che gli hanno chiesto se con Grillo avrebbe parlato di cambiare le regole fondamentali del M5S, a partire dal tetto dei due mandati.
In seguito, Grillo ha incontrato il tesoriere Claudio Cominardi. «Abbiamo parlato di temi e di visione: si è affrontato il nodo della democrazia diretta, degli strumenti partecipativi a ogni livello, di ripartire dai comuni – ha poi riferito quest’ultimo – Grillo non si ferma al singolo risultato delle tornate elettorali, il M5S ha sempre avuto alti e bassi. Non si è parlato di passato ma solo di futuro. Beppe va al di là dei risultati elettorali, non giudica. Ha lo sguardo proiettato a venti o trent’anni: nel simbolo abbiamo la scritta 2050, mi auguro che rimanga quello».
Insomma, se Luigi Di Maio ha affermato con non poca malizia che Grillo «ha 300 mila motivi per stare in silenzio» riferendosi alla cifra che il M5S gli versa ogni anno per fare da consulente alla comunicazione, dai vertici pentastellati fanno passare l’idea che il fondatore stia dando una mano per definire il processo di «autoriforma» lanciato da Conte all’indomani delle elezioni europee. Conte è in difficoltà, visti i risultati elettorali, Grillo sta ormai da tempo un passo indietro.
Il primo subisce le pressioni di quelli che vorrebbero definitivamente scrivere uno statuto interno con regole canoniche, che gli consentano di scegliere i candidati e poter attingere alle figure storiche ora colpite dalla tagliola dei mandati. Il secondo ci tiene che i principi sopravvissuti al nuovo corso contiano restino validi, per marcare ancora l’anomalia M5S. Conte ha fatto di necessità virt, utilizzando i due mandati per fare piazza pulita dei parlamentari dell’epoca precedente. Ma le scelte potrebbero essere inevitabili. Ecco perché l’incontro tra i due viene definito come tranquillo ma soprattutto interlocutorio.
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Le contestazioni contro il G7 ieri sono proseguite su più fronti in Puglia. Gli attivisti assicurano una partecipazione unitaria alla manifestazione che si svolgerà oggi pomeriggio a Fasano, in provincia di Brindisi, capofila i Cobas. Intanto, il contro G7, ieri, è cominciato in mattinata con la conferenza del Tavolo di Coordinamento NoG7 su «Guerre e risvolti economici ed energetici», a masseria Refrigerio a Ostuni. Tanti i contenuti. Dal corpo delle donne come bottino di guerra, di cui ha parlato Lia Caprera, attivista femminista, alla militarizzazione delle scuole e delle università, approfondito da Maria Pastore e dallo scrittore Antonio Mazzeo.
Con Andrea Catone della rivista Marx21 si è discusso della parabola bellica del G7, «una grande operazione per giustificare la guerra». Renato Di Nicola della Campagna nazionale per il clima fuori dal fossile ha approfondito il rapporto tra le guerre e i combustibili. Presente anche l’attivista di No Base Né a Coltano né altrove, Kevin Speranza, contro la militarizzazione dei territori a partire dall’esperienza toscana.
Nel pomeriggio, alcune decine di manifestanti di Extinction Rebellionsi si sono incatenati davanti ai cancelli del media center allestito per il G7 in segno di protesta contro la «narrazione sul clima». Intanto, nel municipio del comune di Fasano (dove si trova il resort Borgo Egnazia), il Contro Forum G7, con lo slogan «Voi 7 – Noi 8 miliardi» (costituito da numerose associazioni, tra cui l’Arci, l’Anpi, Link, Udu, Un ponte per, Legambiente, Libera, capofila la Cgil) ha tenuto una conferenza stampa «L’economia di guerra è un ‘cattivo affare’», con cui è stato presentato un documento politico: «È evidente come la guerra e non la cooperazione sia il modo con cui i paesi del G7 intendono governare. Noi siamo la società civile e diciamo no». Il pomeriggio è proseguito con la manifestazione.
Nelle conclusioni del G7 sparisce il riferimento all’«identità di genere», dopo la cancellazione della parola «aborto». La presidenza italiana riesce ad annacquare la dichiarazione sui diritti e i “Grandi” sul viale del tramonto si adeguano. Parola d’ordine: «Non cambia niente»
SFOLLAGENDER. Nel comunicato finale cancellati i passaggi più avanzati del 2023 Tolta «l’identità di genere» invisa alle destre. Imbarazzo di Biden
Una estesa del vertice del G7 a Fasano foto Ap
Tra gli ulivi e le suite a 5 stelle di Borgo Egnazia, tra il panem (con pomodoro) dello chef Bottura e i circenses affidati alla voce di Andrea Bocelli, Giorgia Meloni ha fatto anche molta politica. Non solo con le decine di photo opportunity e strette di mano con i leader di decine di paesi fuori dal G7 (dal Papa a Lula, da Milei a Erdogan a Modi) che lei ha voluto invitare in Puglia. Ma nelle due direzioni che la contraddistinguono: asse ferreo con Biden sul sostegno all’Ucraina (con annesse critiche al sostegno cinese a Mosca) e conservatorismo spinto sui diritti civili.
IL COMUNICATO FINALE firmato ieri dai 7 Grandi segna una vittoria della premier italiana: la parola «aborto» non compare nel testo, mentre c’era in quello del precedente G7 di Hiroshima. Gli sherpa italiani l’hanno spuntata, dopo una lunga notte di discussioni, col risultato che nel documento ci si limita a richiamare gli impegni del vertice del 2023, e cioè l’«accesso universale ad adeguati e fruibili servizi sanitari per le donne, inclusa la salute sessuale e riproduttiva». L’anno scorso, con la presidenza giapponese, si parlava di «accesso all’aborto legale e sicuro e alle cure post-aborto».
Retorica bellicista, confini e affari: il G7 formato Italia
Francesi e canadesi avrebbero voluto fare un passo avanti rispetto a un anno fa, col sostegno di Biden. E invece l’Italia ha posto il veto, impedendo ogni
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