Fratelli d’Italia, nella sua persona giuridica, ha presentato una richiesta di risarcimento danni, in sede civile, nei confronti dell’inviato di Report, Giorgio Mottola. La puntata incriminata è “La mafia a tre teste”, in cui il giornalista della trasmissione di Rai3 ha rivelato, tra le altre cose, i passati rapporti del padre della Presidente del Consiglio con il boss della mafia di Roma, Michele Senese. Nella istanza di mediazione, che precede la causa civile, si legge che il riferimento fatto dal giornalista nel corso dell’inchiesta ai numerosi esponenti di Fratelli d’Italia arrestati per mafia negli ultimi 5 anni, “ha arrecato grave nocimento all’immagine del partito politico Fratelli d’Italia”. E per questa ragione, il partito di Giorgia Meloni chiede al giornalista di Report un risarcimento superiore ai 50mila euro.
L'Usigrai in un comunicato ha dichiarato: "Fratelli d'Italia, il partito della premier, cala la maschera e querela Giorgio Mottola, autore di Report, e la Rai per la puntata 'La mafia a tre teste'. Un fatto senza precedenti. Una querela in sede civile con richiesta di risarcimento superiore a 50mila euro. La più classica delle querele bavaglio. La denuncia non è solo nei confronti del freelance autore del servizio, ma anche nei confronti del vicedirettore Sigfrido Ranucci. Nessuna contestazione, curiosamente, nei confronti del direttore dell'Approfondimento, Corsini, lo stesso che sul palco della kermesse Atreju aveva definito Fratelli d'Italia 'il nostro partito'. Curioso anche che la denuncia sia stata presentata solo in sede civile e non penale dove l'accusa di diffamazione difficilmente avrebbe retto". L'Usigrai è al fianco dei colleghi: "Se Fratelli d'Italia pensa di intimidire, e quindi zittire, chi fa giornalismo d'inchiesta è fuori strada".
La visita di Meloni con Rama ai nuovi campi in Albania è un’esibizione del modello italiano di deportazione dei migranti fuori dal territorio europeo. Condita da maniere forti e attacchi alla stampa. La «soluzione» fa proseliti nella Ue e rischia di imporsi dopo le elezioni
DEPORTO SICURO. Per la premier il denaro speso non è un costo ma un investimento. «Il protocollo sarà imitato. Farà da deterrenza alle traversate»
Rama e Meloni nel porto di Schengjin - LaPresse/Chigi
I centri in Albania apriranno il primo agosto. Lo ha promesso ieri la premier Giorgia Meloni durante la conferenza stampa con l’omologo Edi Rama, a margine del tour nelle strutture di Gjader e Shengjin. Lui altissimo, con la faccia seria, davanti alla bandiera rossa con l’aquila stampata sopra. Lei più piccola, con l’espressione concentrata, annuisce alle parole del partner politico o affila lo sguardo alle domande dei cronisti.
L’INCIPIT È UNA LUNGA tirata contro i giornalisti italiani. Per Rama hanno dipinto l’Albania come un narcostato, arrivando a Tirana con notizie già scritte. «È un sollievo vedervi qui sani e salvi, in quest’area che è il cuore della malavita albanese, dove agiscono clan legati al traffico di esseri umani, secondo quello che ha scritto un quotidiano del vostro paese», dice.
L’ironia che non riesce a dissimulare il fastidio per le inchieste sui presunti rapporti tra esponenti del suo governo e della criminalità organizzata albanese. Parla in italiano Rama «perché qui siamo in territorio italiano». E in questa lingua ripete una frase sentita altre volte: «La mafia non esiste». Lo direbbe la procura speciale secondo cui la criminalità di Tirana è organizzata su base familiare, senza la struttura gerarchica di Cosa nostra, Ndrangheta o Camorra.
Meloni rinnova la solidarietà all’amico, vittima della macchina del fango, e ripete che le critiche sono legittime, «per carità», ma i giornalisti devono stare attenti a non minare l’interesse nazionale quando in mezzo ci sono
Commenta (0 Commenti)Circa 300 bambine e bambini delle Scuola d’Infanzia Charlot e della Scuola primaria dell’Istituto Carchidio-Strocchi, accompagnati dalle educatrici, lunedì 3 giugno hanno marciato per la Pace. La marcia giunge al termine di un percorso didattico iniziato nel corso dell’anno scolastico.
Le bambine e i bambini prima di lasciare la piazza hanno intonato alcuni canti legati al tema della Pace.
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I comitati faentini Borgo Alluvionato e Via Ponte Romano non ci stanno a farsi tirare per la giacchetta da destra e da sinistra: le polemiche di partito sul risarcimento dei danni ai beni mobili scaturite dopo la presentazione del documento dei comitati Riuniti degli alluvionati non interessano loro.
Quel che ribadiscono con fermezza è che “le promesse del governo sono state ad oggi completamente disattese”.
“Solo una stima forfettaria congrua, realistica e dignitosa dei danni dei beni mobili su base numero vani catastali, potrà indurre l’alluvionato a chiedere e accettare il ristoro proposto, evitando inutili ulteriori spese per pratiche molto complesse, che poi dovrebbero essere ristorate a carico dello Stato – dichiarano con chiarezza -. Purtroppo si deve prendere atto che è assente la consapevolezza politica sul fatto che i danni da alluvione sono ben diversi dai danni da terremoto il quale non incide, di norma, sulla funzionalità dei beni mobili. Questo è veramente desolante, grave e inaccettabile”.
“Gravissimo e inaccettabile” è per i due comitati manfredi “non aver attivato ad oggi il meccanismo del credito di imposta dopo un anno. La ricostruzione privata è un fallimento completo”.
E a sostegno dell’assenza totale di interessi politico-partitici nelle loro richieste, ricordano di essere apartitici e di non voler entrare nella polemica politica dei botta e risposta tra esponenti di forze di governo e dell’opposizione: “la polemica politica non ci interessa – chiudono – ma dopo due alluvioni abbiamo piena legittimazione a criticare le mancate promesse del governo, dopo aver criticato anche la regione e il Comune sul tema sicurezza”.
ELEZIONI COMUNALI. Pd e 5S alleati in tutti i capoluoghi al voto. Massimo Mezzetti, candidato a Modena: «Saremo un laboratorio». Nella città estense l'avvocato dei casi Cucchi e Aldrovandi, Fabio Anselmo, punta al ballottaggio contro il sindaco leghista Alan Fabbri. E lo accusa: spreca i soldi pubblici
Al Nazareno puntano molto sulle comunali in Emilia -Romagna, che si terranno l’8 e 9 giugno insieme alle europee. Il segretario regionale Luigi Tosiani non nasconde la soddisfazione per le squadre messe in campo nei 5 capoluoghi al voto: Modena, Reggio Emilia e Cesena (governate dal centrosinistra),Ferrara e Forlì, espugnate dalle destre nel 2019. In tutte queste città sono state costruite coalizioni molto larghe, dal M5S fino ad Azione e, in alcuni casi, anche Italia Viva.
SI È ALLARGATO IL CAMPO anche dove i numeri non lo rendevano necessario, come a Modena dove, dopo dieci anni di governo di Gian Carlo Muzzarelli, il testimone è passato a Massimo Mezzetti, in gioventù segretario regionale della Fcgi, mai entrato nel Pd, ultima tessera Sel di Vendola, già assessore regionale alla Cultura con le giunte di Errani e Bonaccini e ora indipendente di sinistra. È stato grazie a lui se il Pd è riuscito ad agganciare i 5 stelle, che stavano all’opposizione, puntando sulla sostenibilità ambientale, sulla chiusura dell’inceneritore e su una urbanistica meno impattante.
«Mi piacerebbe che Modena diventasse un laboratorio politico, la prova che una coalizione così larga può fare bene», spiega Mezzetti. «Fino ad oggi al centro c’è stato il mattone, ora bisogna passare al neurone, che vuol dire un’iniezione di cultura e partecipazione, ma anche puntare su un’economia a basso impatto ambientale». La vittoria al primo turno sembra alla portata. Anche se, nel modenese, la sinistra non ha più i numeri di una volta: il collegio di Modena (che comprende anche un pezzo di provincia) alle politiche del 2022 è stato vinto dalle destre, mentre il centrosinistra ha perso con Aboubakar Soumahoro.
La destra ha scelto un giovane di Fdi, Luca Negrini, che lavora nell’agenzia di pompe funebri di famiglia. Ha scelto di tenere i toni bassi, in una campagna senza picchi polemici. E ha messo le mani avanti: «Comunque dovessero andare le cose, so che il martedì dopo il voto potrò tornare al mio lavoro in agenzia».
LA SFIDA PIÙ DURA è quella di Ferrara. Il sindaco è il leghista Alan Fabbri, che si fa vanto di aver portato parecchi eventi in città, compreso il concerto di Springsteen (che si tenne l’anno scorso nei giorni dell’alluvione, tra le polemiche). L’avversario principale è Fabio Anselmo, avvocato dei casi Cucchi e Aldrovandi, ora compagno di Ilaria Cucchi. La Lega, per tutta risposta, candida nelle sue liste Pietro Scroccarello, che era capo della mobile nei giorni dell’omicidio Aldrovandi.
Per Anselmo un debutto in politica. Lui non disdegna le carte bollate per criticare il sindaco: lo accusa di aver sperperato soldi pubblici per organizzare eventi e concerti sponsorizzati dalle controllate del Comune, compresa quella che si occupa di servizi funebri. Lo accusa anche di aver affidato questi eventi quasi sempre a società vicine a un amico del suo portavoce. «Nulla di illecito», dice Anselmo, ma c’è un tema di opportunità politica nello spendere tanto denaro per eventi e non per le esigenze sociali».
Lo accusa anche di aver fatto un accordo con la multiutility Hera sul teleriscaldamento: «Una sorta di prelievo forzoso dalle tasche dei cittadini ferraresi che ha generato extraprofitti per la società. Era successo anche a Mantova, ma lì il sindaco ha recuperato 8 milioni da restituire ai cittadini. A Ferrara niente». Anselmo punta ad arrivare al ballottaggio, traguardo non impossibile, nonostante la presenza di un candidato centrista, Daniele Botti, e una espressa da socialisti, radicali e alcuni dirigenti locali di Avs, Anna Zonari (ma Fratoianni e Bonelli, con Mimmo Lucano, sono andati a Ferrara a sostenere Anselmo).
«Mi ha colpito che le associazioni di categoria mi abbiano chiesto di avere più immigrati, in regola e con condizioni di vita dignitose: non c’è paura dell’invasione, ci sono gli anticorpi alla narrazione leghista», spiega Anselmo al manifesto. «A chi mi chiede perché dovrebbe votarmi, rispondo che voglio mettere al centro le persone più fragili». A destra va in scena la competition tra Lega e Fdi: Alberto Balboni, meloniano, presidente della commissione del Senato che esamina premierato e autonomia, ha imposto suo figlio Alessandro, assessore uscente, come prossimo vicesindaco. Alessandro Talmelli, segretario Pd di Ferrara, la vede così: «Se andiamo al secondo turno conto in una ricomposizione con le altre opposizioni».
A FORLÌ LA POSSIBILE rimonta è in mano a Graziano Rinaldini, ex dirigente cooperativo, ora impegnato nella protezione civile. «Siamo tornati nei quartieri, davanti alle fabbriche, la gente mi dice: “Allora siete risorti”», racconta Rinaldini. Che accusa il sindaco uscente di centrodestra Gian Luca Zattini di essere stato «latitante nei giorni dell’alluvione «e i forlivesi non lo hanno dimenticato». «Ora vedo che i nostri elettori storici stanno tornando, ce la giochiamo».
A REGGIO EMILIA i progressisti puntano a mantenere la guida della città con il medico Marco Massari, che ha gestito l’emergenza Covid. Le destre hanno scelto l’avvocato Giovanni Tarquini, tra molte polemiche: ha difeso infatti il sindaco dem di Bibbiano nel famoso processo. E usa toni soft, tipo «vorrei togliere le incrostazioni della sinistra, ma senza buttare il bambino con l’acqua sporca». Il ribaltone appare improbabile. Così come a Cesena, dove il giovane sindaco Enzo Lattuca corre per il secondo mandato, sfidato da Marco Casali di Fdi, che non lo impensierisce troppo.
La vera novità emiliano-romagnola è che, mentre cinque anni fa erano i leghisti a trainare il centrodestra nella roccaforte rossa, ora quel ruolo se l’è preso il partito di Meloni. Un passaggio non indolore
Commenta (0 Commenti)SANITÀ. Meloni: «Promessa mantenuta». Elly Schlein attacca il governo. I sindacati di categoria: «Inaccettabile scaricare le colpe sui medici»
Un paziente viene portato su una barella tra i corridoi dell’ospedale di Bergamo - foto LaPresse
«Soddisfatta del lavoro fatto». La presidente del Consiglio ha annunciato in un video sui social il via libera del Cdm al decreto sulle liste d’attesa in sanità. Sovraimpresso ed evidenziato il simbolo delle cose fatte, in verde. «Avevamo promesso ai cittadini che ci saremmo occupati di due problemi che in passato non sono mai stati affrontati efficacemente ovvero l’abbattimento delle liste d’attesa e la cronica carenza di medici e personale sanitario, questa mattina lo abbiamo fatto». Poco importa se il provvedimento sia un guscio vuoto e persino le regioni governate dal centro destra abbiano espresso dubbi, la campagna elettorale è agli sgoccioli.
ANCHE PER IL PD, che proprio su questo argomento tenta l’affondo finale ricordando il progetto di legge sul finanziamento della sanità pubblica che porta il nome della segretaria Schlein: «È una la presa in giro dei cittadini a 5 giorni dal voto, un decreto fuffa con dentro delle misure già previste e senza mettere un euro in più, anzi si cerca di facilitare il privato quando per affrontare strutturalmente le liste di attesa, bisogna evitare che si svuotino i reparti» attacca la segretaria dem, secondo la quale la maggioranza per ideologia non vota la legge a sua firma. Per i democratici il decreto approvato ieri «dimostra che avevamo ragione, abbiamo costretto Meloni a certificare che non hanno messo risorse sufficienti per abbattere le liste d’attesa».
IL DECRETO SCHILLACI ha 7 articoli e prevede misure a costo quasi zero come una piattaforma nazionale per i dati, Cup che contengano anche il calendario dei privati, l’introduzione di un organismo di controllo, prestazioni in orari serali e festivi, un sistema per garantire al cittadino tempi certi mediante ricorso a intramoenia o privato e il superamento, a partire dal 2025, del tetto di spesa per il personale. Nulla di nuovo ma tutto fatto molto di fretta e senza consultare associazioni del settore e regioni, che minacciano: «Ci riuniremo nei prossimi giorni e faremo pervenire le nostre proposte di modifica del decreto concordate in modo unanime», ha dichiarato Raffaele Donini, coordinatore della Commissione Salute delle Regioni e Assessore alla sanità dell’Emilia-Romagna. Donini aggiunge poi a titolo personale: «Si tratta di un decreto privo di coperture finanziarie e molto astratto. Da un lato è evidente la volontà di esautorare le regioni dalla loro funzione di programmazione sanitaria con meccanismi di direzione e controllo del governo direttamente nei confronti delle Asl e non delle Regioni; dall’altro si spinge l’acceleratore sulla privatizzazione della sanità, sia favorendo l’attività libero professionale dei medici a scapito di un potenziamento del sistema sanitario pubblico, sia alzando il tetto di spesa per il privato accreditato senza prima assicurare un adeguato finanziamento al sistema pubblico». Anche i presidenti di Regione stigmatizzano il doppio binario scelto dal governo, decreto subito e progetto di legge futuro. Un «intervento di facciata senza risorse» dice il toscano Eugenio Giani, mentre De Luca dalla Campania sintetizza: «Una palla immensa».
I SINDACATI della dirigenza medica, dal canto loro, annunciano una «risposta dura» ai «provvedimenti punitivi e cosmetici» dell’esecutivo. «Volere abbattere le liste d’attesa partendo dal presupposto che i responsabili vadano individuati nei medici e dirigenti sanitari è inaccettabile oltre che falso, un’offesa alla nostra professionalità che rigettiamo, vorrà dire che ci limiteremo a svolgere il lavoro ordinario come definito dal Ccnl – il commento del segretario nazionale Anaao Assomed, Pierino Di Silverio, e il presidente nazionale Cimo-Fesmed, Guido Quici – è inimmaginabile separare gli interventi organizzativi dai finanziamenti, rinviando quest’ultimi ad altri tempi».
TENZONI che il ministro Schillaci nega o minimizza, a partire da quella con il suo collega all’Economia, Giorgetti: «È chiaro che io avanzo delle richieste e lui deve tenere in ordine i conti – ha detto il titolare della Salute – ma mi ritengo soddisfatto, abbiamo portato a casa quello che volevamo e mi aspetto un cambio di passo da subito. Confido nella collaborazione di regioni, direttori generali, direttori sanitari, medici, operatori»
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