COSTITUZIONE. Casellati incontra Pd e Forza Italia. Presidenzialismo o premierato? Siamo solo agli inizi, mentre incombe l'autonomia di Calderoli
La ministra per le riforme Elisabetta Casellati
Se ne parla. E molto altro non si potrà fare, ancora per diversi mesi. Ma intanto ieri la ministra per le riforme Casellati ha continuato il suo giro d’orizzonte tra i partiti. Ascoltando prima la delegazione di Forza Italia e più di tutti Silvio Berlusconi, che si è fatto sentire al telefono per ripetere il suo mantra presidenzialista. Poi il Pd, che almeno dalla campagna elettorale in avanti ha abbandonato il campo semi presidenziale – francese – per aprire spiragli nella direzioni di rafforzare poteri e stabilità dell’esecutivo. Una posizione quindi lontana in partenza dal presidenzialismo che accomuna la maggioranza di governo. Ma che lascia qualche spazio di mediazione. Almeno per parlarne.
Per i dem l’elezione diretta del presidente della Repubblica non risolverebbe nessuno dei due problemi principali della democrazia italiana, che sarebbero la mancanza di stabilità degli esecutivi e la scarsa partecipazione dei cittadini elettori. La proposta del Pd è dunque di lavorare nella direzione del cancellierato tedesco, che porterebbe con sé una legge elettorale proporzionale, e della sfiducia costruttiva (sempre di importazione tedesca). Per il premierato, inteso come elezione diretta del primo ministro – modello israeliano – sono invece Renzi-Calenda, direzione indicata ai tempi della legge elettorale Italicum, poi dichiarata incostituzionale.
Casellati ha ringraziato e preso tempo. È molto difficile che dal suo ministero esca una proposta di riforma costituzionale entro l’estate. Prima però c’è, assai più concreta e minacciosa, l’autonomia di Calderoli. Il testo può arrivare in Consiglio dei ministri a inizio febbraio
Commenta (0 Commenti)IMMIGRAZIONE. Forza Italia e Fratelli d’Italia dichiarano inammissibili gli emendamenti della Lega
Maggioranza spaccata sul decreto ong con Forza Italia e Fratelli d’Italia che dichiarano inammissibili 14 emendamenti presentati dalla Lega bloccando così il blitz tentato martedì dal Carroccio. Nel frattempo la Geo Barents, nave di Medici senza frontiere, disobbedendo a quanto previsto dallo stesso decreto interrompe il viaggio verso La Spezia, indicato martedì dal Viminale come porto dove sbarcare 69 naufraghi, per correre in soccorso di un’altra imbarcazione in difficoltà e lungo il tragitto salva altri 61 migranti. In serata la nave ha ripreso la rotta verso lo scalo ligure con a bordo in tutto 237 persone, tra cui 27 donne e 87 minori. Tutti gli interventi sono stati eseguiti «in conformità con il diritto internazionale marittimo», ha specificato Msf aggiungendo di aver correttamente avvisato le autorità italiane «ma non abbiamo ricevuto al momento nessuna risposta».
L’immigrazione torna prepotentemente nel dibattito politico e nelle cronache del Paese. E se per certi versi appare scontato il comportamento della nave di Medici senza frontiere,- nessuna ong si tirerebbe indietro di fronte a una richiesta di aiuto – più clamorosa è la divisione che si è palesata nella maggioranza durante l’esame del dl ong nelle commissioni Affari costituzionali e Trasporti della Camera con la Lega che, contando probabilmente sul sostegno degli alleati, tenta il blitz provando a reintrodurre attraverso 14 emendamenti una serie di provvedimenti presenti nel primi decreto sicurezza di Matteo Salvini ma in seguito aboliti durante i lavori parlamentari: dalla cancellazione della protezione speciale a norme più severe per i ricongiungimenti familiari, dai permessi di soggiorno all’accoglienza per i richiedenti asilo.
Un pacchetto di norme che sarebbe intervenuto anche a modifica della Bossi Fini sull’immigrazione e che provoca l’immediata alzata di scudi delle opposizioni che con una lettera comune chiedono ai presidenti delle due Commissioni, Nazaro Pagano di Fi (Affari costituzionali) e Salvatore Deidda di FdI (Trasporti), di valutare l’ammissibilità degli emendamenti del Carroccio. Richiesta accolta dai presidenti, determinati a «restare nel recinto» dei provvedimenti trattati dal decreto. Oggi alle 11,30 verrà presa una decisione sui ricorsi presentati dalla Lega, mentre dalle 14,30 si cominceranno a votare gli emendamenti al decreto atteso in aula per il 2 febbraio.
Scontata, come si è detto, la decisione presa ieri dalla Geo Barents, la prima ad aver effettuato un salvataggio multiplo da quando il decreto è entrato in vigore. La nave di Msf si stava dirigendo verso La Spezia, porto situato a più di cento ore di navigazione dal punto in cui è stato effettuato il primo soccorso di 69 migranti, quando ha raccolto un allerta lanciato da Alarm Phone e riguardante un’imbarcazione in difficoltà in area Sar libica. Nessuna esitazione da parte dell’equipaggio nell’invertire la rotta per dirigersi verso la nuova operazione di soccorso, intervenendo lungo il tragitto anche in aiuto di un’altra imbarcazione con 61 migranti.
Il Viminale ha già annunciato che accertamenti sul comportamento della nave verranno effettuati una volta che la Geo Barents sarà arrivata nel porto di La Spezia. Stando a quanto previsto dal decreto firmato dal ministro Piantedosi nel caso dovessero essere riscontrate delle infrazioni è prevista una multa compresa tra i 10 mila e i 50 mila euro per il comandante e il fermo per due mesi della nave su disposizione del prefetto. Da parte sua, però, nel frattempo Msf contesta la decisione di assegnare un porto estremamente lontano, costringendo i migranti già esausti a sopportare altre ore di navigazione, e chiede al governo di ripensarci indicando uno scalo più vicino
Commenta (0 Commenti)Il braccio di ferro è finito. Prima Scholz e poi Biden annunciano: invieremo in Ucraina i nostri tank, sia i Leopard che gli Abrams (ancora da costruire). Il consigliere presidenziale ucraino Podolyak: «Un’escalation è inevitabile». La guerra fa un altro balzo in avanti
CARI ARMATI. Prima il sì di Scholz, poi quello di Biden che prima sente gli alleati «Non è un’offensiva contro Mosca», ma Mosca non reagisce bene
Un carrista ucraino nel Donetsk - Epa/Oleg Petrasyuk
Cadono insieme il tabù tedesco sui Leopard e il veto americano sugli Abrams dopo una settimana di scontro frontale fra il governo Scholz e l’amministrazione Biden. Ora è ufficiale: la Germania invierà all’esercito ucraino 14 Leopard-2 della Bundeswehr entro la fine di marzo e in più concede il nulla-osta per la consegna degli altri 61 messi a disposizione degli alleati Nato. In cambio gli Usa metteranno i cingoli sul terreno fornendo a Kiev 31 Abrams-M1, non appena General Dynamics li avrà costruiti.
Con questo «grande successo politico», per dirla con le parole del vicecancelliere Robert Habeck, crolla l’ultimo argine all’escalation militare senza limiti e
Leggi tutto: Più guerra per tutti, panzer e tank insieme in Ucraina - di Sebastiano Canetta
Commenta (0 Commenti)Al cospetto del presidente egiziano Abd al-Fattah Al-Sisi, il ministro degli Esteri Antonio Tajani non ha preso l’iniziativa per riproporre il problema della mancata cooperazione da parte della magistratura cairota sul caso di Giulio Regeni. Lo ha rivelato egli stesso alla vigilia del settimo anniversario della scomparsa del giovane ricercatore friuliano, rapito il 25 gennaio 2016 nei pressi della sua casa al Cairo mentre si recava alla quinta commemorazione delle proteste di piazza Tahrir, e ritrovato cadavere orrendamente torturato e mutilato il successivo 3 febbraio sulla strada per Alessandria.
Inaspettatamente però questa volta a “interloquire”, sia pure indirettamente, con il titolare azzurro della Farnesina è il ministro della Difesa Guido Crosetto, il più vicino alla premier Giorgia Meloni: «Lo Stato deve chiedere tutta la verità e pretendere giustizia per Giulio, e contemporaneamente deve tenere rapporti con altri Paesi. Le due cose sono conciliabilissime – ha detto – la fermezza sulla vicenda Regeni e il fatto che lo Stato debba dialogare con altri che sono fondamentali anche per il futuro di tutti noi per il Mediterraneo e per il fronte Sud del Paese».
«Il presidente al-Sisi ha sollevato lui il problema Regeni – spiega Tajani, quasi che questo fatto dia maggior credito al generale golpista -. Ha detto che l’Egitto farà di tutto per eliminare gli ostacoli che ci sono e che rendono difficile il dialogo con l’Italia. Io ho ascoltato e vedremo se alle parole seguiranno i fatti». La sua è una mezza rettifica alle parole frettolosamente pronunciate appena rientrato dal suo viaggio nel Paese arabo conclusosi domenica sera, quando aveva riferito di «aver visto una disponibilità nuova» per dare verità e giustizia ai familiari di Giulio Regeni e pure per «risolvere positivamente» il caso di Patrick Zaki.
Parole sentite troppe volte, pronunciate da ministri e presidenti del Consiglio di ritorno dal Paese, troppo importante per gli equilibri geostrategici ed economici mediterranei, che ormai suonano vuote e difficilmente credibili. Al punto da far sbottare gli stessi genitori, Claudio Regeni e Paola Deffendi: «Noi non abbiamo aspettative, noi pretendiamo – hanno affermato in un’intervista a Repubblica – verità e giustizia, come azioni concrete. Basta, per favore, basta finte promesse. Pensiamo sia oltraggioso questo mantra sulla “collaborazione egiziana” che invece è totalmente inesistente».
Tajani, che oggi alla Camera risponderà alle domande poste sul tema durante il question time, insiste: «Sulla Libia, l’Egitto ha una certa influenza, così come l’ha la Turchia», ed «è determinante nella lotta contro il terrorismo». Dunque, «continuiamo a lavorare per raggiungere la verità, perché i colpevoli dell’omicidio vengano condannati. Continueremo a insistere con l’Egitto perché si possa fare piena luce e i colpevoli possano essere perseguiti. Ma dobbiamo parlare con l’Egitto su altri temi perché noi abbiamo il dovere di garantire la stabilità del Nord dell’Africa e della Libia».
Si può fare l’uno e l’altro, esigere verità sul caso di un concittadino italiano e mantenere i rapporti diplomatici aperti, sembra rispondergli Crosetto. Nessuna divisione interna al governo, però: il ministro della Difesa si riallinea subito dicendosi comunque sicuro «che avremo verità sul caso Regeni», perché, afferma, «penso ci sia la volontà da parte dell’Egitto di cooperare al 100% con l’Italia». Mentre Tajani un po’ tentenna, forse per pudore: «Continueremo ad insistere per far luce su ciò che è accaduto, non c’è dubbio. Ma non ci devono essere neanche da parte di altri strumentalizzazioni politiche»
CRISI UCRAINA. Corruzioni sulle forniture all’esercito e non solo: vari viceministri, cinque governatori e il numero due del governo Zelensky nei guai
Il presidente ucraino Volodymyr Zelenskyy durante un discorso al parlamento di Kiev - foto GettyImages
Forse le cose stanno esattamente come ha scritto sul suo profilo Twitter Timofii Milovanov, che dirige la Scuola di Economia di Kiev e consiglia il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, sulle questioni di finanza pubblica. «Nel nostro paese è in corso una grande svolta culturale: la corruzione è un fatto episodico, ma la lotta alla corruzione è diventata sistemica». Eppure, l’improvvisa sequenza di inchieste, richieste, indiscrezioni e dimissioni che scuote i palazzi del potere e arriva all’ufficio dello stesso Zelensky sembra avere riportato l’Ucraina alla lotta tra clan degli anni passati, una lotta alla quale Stati uniti e Unione europea hanno spesso preso parte.
Domenica la polizia ha arrestato il viceministro delle Infrastrutture Vasyl Lozinskii. Secondo le accuse avrebbe intascato mazzette per 400mila euro sull’acquisto di generatori elettrici, un bene di assoluta necessità per i civili di fronte agli attacchi dell’esercito russo contro la rete energetica. Un altro vice, Oleksii Simonenko, della Procura generale, si è dimesso per una questione di carattere morale: foto scattate in una villa in Spagna nel bel mezzo della guerra.
DOPODICHÉ È STATA LA VOLTA del viceministro della Difesa Vyacheslav Shapovalov, travolto da quello che è già conosciuto, in termini ironici, come lo scandalo delle uova. La storia è vecchia, prezzi delle forniture per l’esercito gonfiati e contratti assegnati a società amiche. Sul punto, però, occorre discutere. Dall’inizio dell’invasione gli apparati dello stato ucraino sono stati letteralmente sommersi da aiuti militari e monetari. Secondo le ultime stime dell’Istituto Kiel per l’economia globale si parla nel complesso di 108 miliardi di dollari, circa la metà del pil nazionale.
Che davanti a questa cifra qualcuno a Kiev si prenda la briga di verificare il prezzo delle uova acquistate dalla Difesa potrebbe essere il segno, come ha scritto Milovanov, di un grandioso cambiamento nelle vicende di un paese segnato da decenni di ruberie. Ma lo scandalo lambisce il ministro della Difesa, Oleksii Reznikov, uno degli uomini più in vista del governo, che è impegnato in affari ben più importanti per le sorti del paese, non ha mai avuto nulla a che fare con il contratto delle uova, e nelle ultime ore ha denunciato una «campagna diffamatoria» che avrebbe come obiettivo ridurre il suo prestigio agli occhi degli interlocutori stranieri.
IL CASO PIÙ PROBLEMATICO riguarda, tuttavia il numero due dell’Amministrazione Zelensky, Kirillo Timoshenko. Il suo nome è associato ormai da mesi a un’inchiesta dell’Ufficio anti corruzione (Nabu). Quel dossier sembra adesso sul punto di essere chiuso, e l’esito solleverebbe forti perplessità sulla gestione di fondi consistenti. Non a caso con Timoshenko hanno lasciato due viceministri dello Sviluppo regionale, Vyacheslav Negoda e Ivan Lukeria, e i governatori di cinque regioni: Kiev, Sumy, Dnipro, Zaporizhzhia, Kherson. La situazione delle ultime due è particolarmente problematica dal punto di vista militare, dato che sono in parte occupate dall’esercito russo.
Alla catena di eventi è necessario aggiungere una tragedia, quella che la scorsa settimana è costata la vita al ministro dell’Interno, Denis Monastirkii, al suo vice, Evgeni Yenin, e al segretario di stato Yurii Lubkovic. I tre erano a bordo di un elicottero caduto a Brovary, nel distretto di Kiev.
SULLE RAGIONI DELL’INCIDENTE il riserbo è ancora massimo. Il ministero dell’Interno ha un peso notevole negli equilibri politici dell’Ucraina, il che dipende, da un lato, dalle relazioni con la Procura generale e con gli organismi anti-corruzione, dall’altro dal controllo diretto sui 90mila uomini della Guardia nazionale, di cui fanno parte anche i battaglioni Azov e Donbass.
Monastirski, 42 anni, aveva assunto l’incarico nel luglio del 2021, dopo le dimissioni di Arsenii Avakov. Yenin, suo coetaneo, era entrato nella squadra dell’Interno un paio di mesi più tardi, dopo avere servito ai vertici della Procura generale e al ministero degli Esteri. Proprio Yenin aveva ideato e coordinato una delle iniziative più efficaci contro l’esercito russo. Piccole squadre di specialisti addestrate per colpire con i droni oltre le linee nemiche. Nel suo ufficio teneva il conto dei carri armati distrutti. Era uno degli uomini che ha reso possibile la difesa di Kiev e la controffensiva nel settore di Kharkiv. Visto il clima di scontro nelle istituzioni, la domanda in queste ore a Kiev è la seguente: chi sarà il prossimo?
FRA I POSSIBILI OBIETTIVI, scrive il portale di informazione Strana, una delle ultime voci indipendenti nel panorama della stampa ucraina, ci sarebbero due fedelissimi di Zelensky come il premier, Denys Shmyal, e il capo dell’amministrazione presidenziale, Andryi Yermak.
Le ragioni di questa campagna non sono, tuttavia, del tutto chiare. Perché colpire intorno a Zelensky? E perché adesso? Sempre secondo Strana, la possibile soluzione passa per il Nabu, che è coinvolto in tutti i casi degli ultimi giorni ed è conosciuto per i rapporti con diversi governi stranieri. L’ipotesi, quindi, è che attori esterni cerchino di ottenere maggiori garanzie sugli investimenti miliardari compiuti negli ultimi mesi, anche a costo di limitare i poteri di Zelensky.
NON SAREBBE LA PRIMA VOLTA. Nel 2014 nel governo ucraino entrarono un ministro lituano, Aivaras Abromavicius, all’Economia, uno georgiano, Aleksander Kvitashvili, alla Sanità, e uno con passaporto americano, Natalia Yaresko, alle Finanze. Allora negli Stati Uniti Joe Biden era vicepresidente
Commenta (0 Commenti)EUROPA. Missione a Bruxelles per il leader dei 5 Stelle che cerca una casa ambientalista per le elezioni del 2024
Giuseppe Conte vola a Bruxelles per un «ampio confronto» con il gruppo dei Verdi in vista delle elezioni europee dell’anno prossimo. Il leader del M5S lavora da tempo a questo obiettivo, per trovare una collocazione che si trovi nel campo del centrosinistra. Il vertice è stato propiziato dagli ex grillini che nel corso degli anni sono transitati agli ambientalisti e che or a si ritrovano in sintonia con il nuovo corso del presidente del consiglio. «Noi siamo quelli che hanno avviato questo percorso e che si spera che oggi possa trovare una definizione più avanzata – afferma ad esempio Piernicola Pedicini, eletto in Europa nelle liste del M5S e poi passato coi Verdi – ma non so se sono già in grado di concludere».
Dopo la fine del rapporto con Nigel Farage, i 5 Stelle sono rimasti nel gruppo misto. Conte sembra ottimista. «Continueremo ad aggiornarci – spiega – Se si realizzeranno le premesse, e mi sembra che il ‘buongiorno’ ci sia, potremo sicuramente valutare anche un nostro ingresso nel loro gruppo». Poi prende le distanze dal M5S che flirtava con la destra. Parla di un «percorso evolutivo completamente diverso» e spiega che «è cambiato il mondo»: «Quei tempi sono molto lontani». Dopo l’incontro con il commissario del lavoro Nicolas Schmit e la presidente della Commissione Ursula von der Leyen, Conte avverte che l’Italia «rischia di andare in controtendenza rispetto al resto dell’Europa». Ieri al parlamento europeo è stata proposta una risoluzione sul reddito mentre «in Italia si taglia il reddito di cittadinanza». Sul salario minimo chiede di non attendere i tempi della direttiva e «offrire a tutti quei lavoratori che hanno buste paga da fame la possibilità di avere un salario minimo legale, senza trucchetti»
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