Il braccio di ferro è finito. Prima Scholz e poi Biden annunciano: invieremo in Ucraina i nostri tank, sia i Leopard che gli Abrams (ancora da costruire). Il consigliere presidenziale ucraino Podolyak: «Un’escalation è inevitabile». La guerra fa un altro balzo in avanti
CARI ARMATI. Prima il sì di Scholz, poi quello di Biden che prima sente gli alleati «Non è un’offensiva contro Mosca», ma Mosca non reagisce bene
Un carrista ucraino nel Donetsk - Epa/Oleg Petrasyuk
Cadono insieme il tabù tedesco sui Leopard e il veto americano sugli Abrams dopo una settimana di scontro frontale fra il governo Scholz e l’amministrazione Biden. Ora è ufficiale: la Germania invierà all’esercito ucraino 14 Leopard-2 della Bundeswehr entro la fine di marzo e in più concede il nulla-osta per la consegna degli altri 61 messi a disposizione degli alleati Nato. In cambio gli Usa metteranno i cingoli sul terreno fornendo a Kiev 31 Abrams-M1, non appena General Dynamics li avrà costruiti.
Con questo «grande successo politico», per dirla con le parole del vicecancelliere Robert Habeck, crolla l’ultimo argine all’escalation militare senza limiti e
confini, nonostante il cancelliere Scholz nel suo intervento Bundestag abbia tracciato le due nuove insuperabili linee rosse di Berlino: «No all’impiego diretto in Ucraina dei soldati Nato e No alla fornitura all’aviazione ucraina dei cacciabombardieri occidentali».
QUEST’ULTIMA non più un’ipotesi campata in aria dopo la richiesta fatta ieri in diretta sulla tv tedesca dal vice ministro ucraino ed ex ambasciatore a Berlino, Andrij Melnyk: «Bene i carri armati, ma adesso abbiamo bisogno degli F-16, F-35, Eurofighter, Tornado e delle navi da guerra». Come già i lanciarazzi Javelin e l’antimissile Himars, i tank appaiono come i nuovi “game changer” in grado di rovesciare le sorti del conflitto.
Messaggio all’attenzione dei leader ieri pomeriggio riuniti nella call-conference sull’Ucraina. Collegati alla stessa linea, Scholz, Joe Biden, Emmanuel Macron, Rishi Sunak e Giorgia Meloni, impegnati ad articolare la postura bellica dell’Europa così come impostata al vertice di Ramstein.
Ancora prima a mostrare compattezza di fronte all’opinione pubblica sempre più spaventata e spaccata a metà sul salto di qualità della guerra, come dimostra l’ultimo sondaggio sui Leopard in Germania che restituisce il 46% dei tedeschi a favore dell’invio dei panzer a Zelensky e il 43% fermamente contrario.
Fa paura la minaccia russa partita sintomaticamente proprio dall’ambasciata di Berlino che per prima ha definito «estremamente pericolosa» la svolta bellica quantificando come «irreparabili» i danni alle relazioni bilaterali Germania-Russia.
«SIAMO UNITI nel sostegno all’Ucraina con buona pace della Russia che pensava che ci saremmo separati. Non c’è nessuna minaccia a Mosca in tutto ciò. Aiutiamo gli ucraini a difendersi. Vogliamo tutti la fine della guerra» è la risposta del presidente americano alla Casa Bianca subito dopo la telefonata con gli alleati, mentre conferma l’invio «quanto prima» dei 31 Abrams «su raccomandazione del Pentagono».
Saranno prodotti ex novo da “General Dynamics Land Systems” come riferito ieri dai funzionari della Difesa Usa nel briefing-stampa. Significa che ci vorranno mesi prima della loro consegna effettiva agli ucraini ma anche che gli Stati Uniti hanno scelto di non togliere nemmeno un Abrams dal gigantesco stock attualmente in servizio all’ Us.Army.
NELL’ATTESA, il governo Zelensky fa capire che 80 Leopard non bastano, pur ringraziando la Germania per la decisa svolta politica. Non a caso il ministro degli Esteri ucraino Dmytro Kuleba ha lanciato un appello a tutti i Paesi possessori del modello 2 a girare a Kiev «quanti più Leopard possibile».
L’Italia, che non ha carri armati da inviare, non sta a guardare ma resta in prima linea nello sforzo Nato, come ha ribadito Meloni. «Prendendo atto della situazione sul terreno a quasi un anno dall’invasione russa abbiamo ribadito l’importanza di una costante forte coesione tra alleati nel continuare a fornire assistenza a KIev a 360 gradi». Fedeltà atlantica apprezzata a Washington, pronta a riconoscere l’importante ruolo del governo di Roma nella «fornitura delle artiglierie».
Coesione fra Usa ed Europa sì, ma solo per merito di Londra, almeno così ha rivendicato ieri il premier Sunak ricordando come il Regno Unito sia stato il primo Paese a metter sul piatto 14 “Challenger-2” (lo stesso numero dei Leopard tedeschi) in dotazione alle forze armate britanniche. «Abbiamo fatto da battistrada e ora la Russia è all’angolo. L’azione collettiva degli alleati sarà un catalizzatore per spingere altri Stati a seguirci. Non c’è dubbio: Mosca è sulla difensiva» è la versione del conflitto visto dall’altra parte della Manica.
IN REALTÀ PROPRIO lo sblocco tedesco dei carri più diffusi negli eserciti Nato ha determinato la svolta. Lo stock di Leopard-2 agli ucraini verrà fornito da Polonia, Finlandia, Spagna e anche dalla Norvegia come ha annunciato ieri sera il ministro della Difesa, Bjorn Arild Gram, nell’intervista alla tv pubblica “Nrk”. Altro passo nella marcia verso Kiev dei tank europei. Mentre in Germania il capogruppo della Sinistra, Dietmar Bartsch, chiede inutilmente di «smorzare la tensione anziché alimentare l’escalation