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PARIGI. Manifestazioni in tutto il Paese, «Siamo più di due milioni» dice Philippe Martinez (Cgt)

 Una manifestante durante la protesta contro il governo francese - Ap

Corteo impressionante da République a Nation passando per Bastille, ieri pomeriggio, i manifestanti sono rimasti bloccati per ore nella piazza di partenza, non riuscivano a passare nel boulevard Beaumarchais, altri cortei si sono così formati nelle strade vicine, poi convogliati in una seconda marcia parallela. Una prova di forza enorme nella capitale contro la riforma delle pensioni – 400mila secondo la Cgt (80mila per la Prefettura) – che ha fatto seguito a manifestazioni molto consistenti nelle città di provincia, più di 200 cortei in tutto il paese, 50mila a Nantes e Bordeaux, 40mila a Lione, a Marsiglia tra 146mila (dati Cgt) e 26mila (Prefettura), migliaia in una miriade di centri più piccoli. Scioperi partecipati nei trasporti, nel settore energia, nelle scuole, nella funzione pubblica.

I sindacati, tutti uniti, seguiti dall’opposizione di sinistra, hanno vinto la prima battaglia contro il governo: più di 2 milioni di persone per la Cgt, un record, anche se in serata c’è stata la solita battaglia delle cifre con i dati ufficiali (1,12 milioni). Cortei più fitti di quelli che nel 2019 si erano opposti alla prima stesura della riforma delle pensioni, un sistema a punti poi ritirato causa Covid.
LA LOTTA CONTRO la riforma delle pensioni, che per i cittadini si riassume nell’innalzamento dell’età pensionabile da 62 a 64 anni, nella prima giornata di protesta si è subito trasformata nel catalizzatore di tutto quello che non funziona e preoccupa in questo momento difficile: il carovita, con l’inflazione che mangia i salari che non aumentano, le condizioni del lavoro, sempre più stressanti in molte attività, la tensione dei lunghi mesi del Covid, la paura del futuro con la guerra in Europa e la mancanza di visibilità sugli anni a venire. Di qui la forte presenza di giovani nei cortei, per esprimere un dissenso che va ben al di là delle pensioni. La situazione sociale può essere esplosiva. I gilet gialli sono tornati nei cortei, la benzina oggi è molto più cara di quanto lo fosse nel 2018, quando il prezzo del carburante era stata la scintilla che aveva fatto divampare il fuoco della protesta.

Macron, ieri a Barcellona con una decina di ministri per firmare il Trattato Francia-Spagna (simile a quello dell’Eliseo con la Germania e del Quirinale con l’Italia), era presente come bersaglio nei cortei, raffigurato come Napoleone o un console romano. La preoccupazione domina, gli slogan hanno un fondo tragico: «Pensione/Miseria/cimitero», l’allegra invenzione del Maggio ’68 – «Sous les pavés, la plage» (sotto i pavé, la spiaggia) – è diventato «sous les pavés, la rage» (la rabbia).

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«La riforma delle pensioni canalizza tutti gli scontenti» ha commentato il segretario della Cgt, Philippe Martinez. Laurent Berger, alla testa della Cfdt riformista (che aveva accompagnato altre riforme precedenti delle pensioni) si è rallegrato della partecipazione, «al di là di quanto pensavamo». I sindacati pensano al seguito: la prossima giornata di protesta sarà il 31 gennaio. Domani scende in piazza la France Insoumise con le organizzazioni dei giovani a Parigi, per la “marcia” di protesta. Il leader Jean-Luc Mélenchon, che ieri mattina era al corteo di Marsiglia, ritiene che con la giornata di ieri è «già una battaglia persa per il governo». Sullo sfondo, c’è una rivalità strisciante tra sindacati e France Insoumise, le altre componenti della Nupes (Verdi, Pcf, Ps) non aderiscono ufficialmente alla marcia di sabato (anche se ci saranno esponenti a titolo individuale), per non camminare sui piedi dei sindacati.
PER IL GOVERNO, l’obiettivo è evitare il blocco del paese. A rischio le forniture di carburanti e l’erogazione dell’energia, oltre ai trasporti. La tattica governativa da anni è sempre la stessa: lasciar “marcire” la protesta, aspettando un cambiamento di umore dell’opinione pubblica. Oggi, l’opinione pubblica è ampiamente dalla parte della protesta, contro la riforma.

Il governo ha perso questa manche, nessuno si entusiasma per le pensioni minime a 1.200 euro o per qualche miglioramento sul calcolo dei “trimestri” di contributi per lavori usuranti o congedi di maternità/paternità, visto che comunque si dovrà lavorare per 43 anni entro la fine della presidenza Macron. Ma l’unità sindacale può essere fratturata dall’emergenza di comitati di base ai margini delle grandi centrali, come è successo a Natale con i controllori dei treni: questo sciopero è stato molto impopolare e se si amplierà questo fenomeno c’è il rischio che l’opinione pubblica cambi posizione.

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IERI, A PARIGI ci sono stati momenti di tensione nella manifestazione, la Prefettura non è riuscita a evitare qualche scontro, non ha funzionato la formazione di un corteo parallelo. C’è stata qualche decina di fermi, lacrimogeni, vetrine rotte. Il governo presenta il 23 gennaio in Consiglio dei ministri la nuova versione della riforma (20 articoli, 10 di più della prima stesura), poi lo scontro passa al Parlamento, il Rassemblement national promette battaglia all’Assemblée nationale, e non in piazza, e punta a incassare il merito dell’opposizione (aiutata dall’eventuale crescita della violenza nelle piazze).

Ma il governo per il momento tira dritto: ha i numeri per far passare la legge (con i voti, anche se non tutti, dei Républicains). Dalla Spagna, Macron, in difesa della riforma «giusta e responsabile», ha dichiarato: «Perché il patto tra generazioni sia rispettato, la riforma va fatta», l’argomento è l’equilibrio per il sistema per ripartizione, con oggi 1,7 lavoratori per un pensionato, una ratio che peggiorerà nel futuro. Per l’opposizione, ci sono altre strade, a cominciare dal far pagare i più ricchi