PREVIDENZA. Maurizio Landini: "L'incontro non è andato bene. Non abbiamo avuto alcuna risposta, solo una disponibilità generica al confronto". Critico anche Pierpaolo Bombardieri: "Le proposte di Cgil Cisl e Uil sono note da tempo, e ad aprile si deve chiudere perché è dentro il Def che si decide se ci sono o meno le risorse necessarie"
Una manifestazione dei pensionati di Cgil e Uil
“L’incontro non è andato bene. Non abbiamo avuto alcuna risposta, solo una disponibilità generica al confronto”. La delusione di Maurizio Landini è la stessa di Pierpaolo Bombardieri, perché dopo gli scioperi generali territoriali di dicembre di Cgil e Uil, la manifestazione in piazza Santi Apostoli dello Spi Cgil, e una piattaforma unitaria presentata mesi fa, il primo incontro sul cosiddetto “cantiere” della riforma delle pensioni ha il sapore della falsa partenza.
“La ministra Calderone ha detto che aprirà una serie di confronti – attacca Bombardieri – ma noi insistiamo per avere risposte immediate su punti che il governo ben conosce. Le proposte di Cgil Cisl e Uil sono note da tempo, le abbiamo ribadite, per quello che ci riguarda è importante avere una risposta entro il 12 aprile. Vogliamo capire se il governo intende decidere e inserire nel Def misure strutturali per la riforma delle pensioni, o se invece continuiamo a discutere”.
“Le nostre richieste sono molto precise – puntualizza Landini- la pensione di garanzia per i giovani e per le donne, la possibilità di uscire dal lavoro in maniera flessibile a partire dai 62 anni, l’uscita con 41 anni di contributi senza considerare l’età, il riconoscimento e la regolazione dei lavoratori ‘gravosi’, il riconoscimento del lavoro di cura, delle differenze di genere e allo stesso tempo l’incentivazione del ricorso alla pensione integrativa. Abbiamo posto anche il tema della rivalutazione delle pensioni, e abbiamo ribadito che la legge di bilancio ha fatto interventi che hanno tagliato sulle pensioni”.
Al riguardo, i conti fatti dalla Cgil sono emblematici: a fronte di 726,4 milioni destinati nella manovra economica per “quota 103”, opzione donna e la proroga dell’ape sociale, sono stati sottratti 3,5 miliardi alla rivalutazione delle pensioni, 100 milioni al fondo per il pensionamento anticipato dei lavoratori precoci, e 100 milioni al fondo per i lavori usuranti, più altri 200 milioni per la soppressione del fondo di accompagnamento alla pensione per i 62enni delle piccole e medie imprese.
Insomma il governo Meloni ha tagliato 3 miliardi alla previdenza. E la promessa elettorale di voler intervenire sulla legge Fornero, tuttora in vigore, mal si concilia con quanto prospettato dalla ministra Calderone. Che si è limitata a guardare all’attuale quadro della spesa pensionistica, e di una evoluzione del sistema all’interno del quale si dovrà tenere conto degli scenari demografici in Italia, dei cambiamenti nei modelli organizzativi delle imprese, e dell’attuale congiuntura economica. Il tutto con l’obiettivo “di una revisione sostenibile del complesso sistema pensionistico vigente”.
Davvero poco o nulla per la Uil e la Cgil, che ha anche sottolineato il tema del superamento del lavoro precario e dei voucher, e quello dell’adeguamento dei salari. Mentre la sola Cisl ha commentato con Luigi Sbarra che quella odierna è stata una giornata importante: “Auspico che ci sia la piena disponibilità del governo ad utilizzare il 2023 per costruire un grande accordo per ripristinare equità, flessibilità e stabilità”.
All’opposto, Landini ha osservato che non sono state date risposte né sui tempi né sulle risorse: “Noi vogliamo capire se c’è la volontà di fare una riforma seria basata sulla piattaforma di Cgil Cisl e Uil, e quali risorse il governo intende mettere sul tavolo, perché nessuna riforma è a costo zero”. Come Bombardieri, anche il segretario generale della Cgil ha posto un preciso limite di tempo: “Si deve chiudere ad aprile, perché è dentro il Def che si decide se nei prossimi anni ci sono o no le risorse per la riforma che stiamo chiedendo. Ad oggi non abbiamo avuto le risposte che aspettavamo. Andremo a qualsiasi incontro, però bisogna cambiare passo, altrimenti si rischia di fare solo chiacchiere”.
“Il tavolo – ha replicato la ministra – è già riconvocato per l’8 febbraio e la prossima riunione ha come tema i giovani e le donne”. Guardando infine a uno dei provvedimenti del governo più impopolari, e cioè la revisione dei criteri di accesso al prepensionamento con opzione donna, Calderone ha assicurato: “Già questa stasera in consiglio dei ministri segnalerò la questione”
Visto dalla finca (fattoria) La Palmita, nel municipio di Guanabacoa (Sud-Est dell’Avana), non si spiega perché nella capitale – e nelle altre città cubane – le code si allunghino ogni giorno attorno ai chioschi di frutta e verdura. Il panorama è quello che ci si attende dai Caraibi. Un verde lussureggiante su cui svettano le eleganti palme reali, uno dei simboli dell’isola. L’impressione è che tutto cresca con facilità.
Così non è, ovviamente, spiega Ernesto, proprietario della fattoria (in gran parte terreno in usufrutto gratuito) e membro di un cooperativa di contadini che si dedicano alla produzione di ortaggi e all’allevamento di ganaderia menor, principalmente conigli, ovini, maiali e pollame.
La crisi che attraversa l’isola, afferma, «è soprattutto l’effetto del sessantennale embargo imposto dagli Usa. Semi, fertilizzanti, anticrittogamici, come pure strumenti di lavoro che assicurino una maggiore produzione o la conservazione e trasformazione dei prodotti agricoli sono difficili da procurarsi a causa della crisi di valuta del paese (blocco finanziario) e del blocco commerciale». Ma a questa difficile situazione ha contribuito anche una deficiente organizzazione della produzione e soprattutto della commercializzazione dei prodotti. Di modo che «i prezzi al consumo sono troppo alti», sostiene Ernesto. Il governo cubano di recente ha varato una legge per cercare di raggiungere la «sovranità alimentare» dell’isola. Ma i problemi da risolvere sono enormi.
Uno dei rimedi è di accorciare la distanza tra il produttore e i consumatori. Da qui nasce il “Progetto di autoapprovvigionamento alimentare e di sviluppo di iniziative sostenibili” in campo alimentare, Hab.Ama, da due anni condotto dall’Agenzia italiana di cooperazione e sviluppo (Aics) assieme all’Instituto de Investigaciones en fruticultura tropical e con patrocinio dei ministeri dell’Agricoltura e dell’Industria cubani.
Il programma, finanziato con 5,4 milioni di euro dal governo italiano, prevede di fornire a imprese statali, cooperative e piccoli produttori agricoli di cinque municipi dell’Avana (Guanabacoa, Cotorro, Habana del Este, Boyeros e Arroyo Naranjo, quasi due milioni di abitanti) la possibilità di «uno sviluppo locale integrato, sostenibile e con equità di genere». In sostanza gli esperti dell’Aics collaborano soprattutto con le coperative per fornire lorostrumenti e assistenza tecnica. Anche in prospettiva della possibilità di futuri accordi commerciali con l’Italia.
I prodotti delle cooperative che partecipano al progetto Hab.Ama sono in gran parte venduti nei mercati dei municipi a cui appartengono. Rientrano dunque nei programmi di sviluppo locale che fanno parte della politica governativa di decentralizzazione amministrativa, che vede come protagonisti le Assemblee municipali del Potere popolare , i governi locali, i cui “deputati” sono stati eletti nelle municipali conclusesi il 7 dicembre.
La finca Las Piedras fa parte della cooperativa di credito e servizi “Efraìn Mayor”. Un cartellone all’entrata informa: «Adottiamo il principio di un’economia circolare sostenibile». Ne fanno parte 66 soci per un totale di 24 fattorie che producono per il 50% frutta e il resto verdure e ortaggi, oltre all’allevamento di piccoli animali. Afferma Roberto Giuliotto, esperto dell’Aics in programmi di cooperazione agricola: «Nella fattoria sono stati ultimati i lavori di costruzione di un capannone dove si farà il lavaggio, la scelta e l’imballaggio dei prodotti che saranno avviati al mercato del municipio di Guanabacoa, a cui la finca appartiene. Con i resti si procederà invece alla trasformazione in prodotti conservabili. Il progetto Hab.Ama fornirà alla cooperativa, tra l’altro, le strutture frigo per conservare gli alimenti.
Damarys è la responsabile della produzione di formaggi della Finca Hermosa. Da anni la fattoria, e la cooperativa di cui fa parte, si è “specializzata” in allevamento di bufali (ne hanno 110 capi). Grazie alla collaborazione volontaria prestata anni fa da un pastore sardo, la finca produce mozzarella, caciotte e yogurt di bufala, oltre che ricotta e formaggi caprini che vende in parte nel mercato di Guanabacoa, in parte a pizzerie gestite da italiani all’Avana e in parte nel ristorante (slow food) che funziona il fine settimana nella fattoria. Il progetto Hab.Ama fornirà alla cooperativa mungitrici e un bioproduttore di energia elettrica che utilizza biomassa prodotta in loco e alimenterà le celle frigorifere del caseificio
Commenta (0 Commenti)
Vertice di governo, Salvini strappa un primo ok all’autonomia regionale da sbandierare in vista delle regionali: disegno di legge in uno dei prossimi cdm. I tempi sono ancora vaghi e la premier insiste sul presidenzialismo. Ma la riforma che spacca il paese avanza
VERTICE A PALAZZO CHIGI. Salvini ha bisogno di una bandiera per le regionali. Meloni non ha fretta ma teme defezioni sul Mes
Matteo Salvini, Giorgia Meloni e Antonio Tajani - Ansa
La Lega segna un punto sull’autonomia differenziata. Il vertice riunito ieri pomeriggio a palazzo Chigi, ha «definito il percorso tecnico e politico per arrivare, in una delle prossime sedute del consiglio dei ministri, all’approvazione preliminare del ddl sull’autonomia differenziata». È un passo che si avvicina, senza ancora centrarlo, all’obiettivo di Salvini che ha
Commenta (0 Commenti)Il garante Mauro Palma: «Non è più lo strumento iniziale». Fratoianni: «Non basta»
Il carcere ad alta sicurezza delle Costarelle, a L’Aquila
Più del 41bis potrà la cultura del diritto: è su questa strada che si vince la lotta alla mafia. Il concetto è chiaro e ineccepibile, ma difficile da far passare mentre va in onda a reti unificate la retorica del carcere duro rinvigorita dall’arresto di Matteo Messina Denaro, trasferito nel carcere ad alta sicurezza delle Costarelle, a L’Aquila, dove sono rinchiusi in celle singole 159 dei 749 detenuti sottoposti al regime di 41bis, tra cui i grandi mafiosi e terroristi non pentiti, dalla brigatista Nadia Lioce ai boss Leoluca Bagarella, Raffaele Cutolo, Felice Maniero e Francesco Schiavone.
Il decreto con il quale è stato disposto il carcere duro all’ultimo superboss di Cosa Nostra ricercato da 30 anni, immediatamente firmato dal Guardasigilli Carlo Nordio, è stato accolto dal capogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera, Tommaso Foti, come gesto di fermezza del governo nella lotta alla mafia: «Nessun carcere dorato per Matteo Messina denaro – ha twittato ieri – il 41bis è il nemico numero uno di tutti i boss». Gli risponde a stretto giro il segretario nazionale di Sinistra Italiana, Nicola Fratoianni: «Francamente non capisco l’enfasi dell’on. Foti: il 41bis – dice dai microfoni di Agorà, su Rai3 – mi pare un fatto scontato, e le cose scontate non c’è bisogno di dirle: viene arrestato il latitante più latitante d’Italia, ed è evidente che il Guardasigilli deve firmare la misura del 41bis. Lasciamo stare la propaganda».
La polemichetta s’infuoca immediatamente: «Che Fratoianni non capisca ci può stare ed è normale. Del resto – ribatte il capogruppo di Fd’I – la sinistra ha fatto ostruzionismo contro quell’ergastolo ostativo che tre mesi fa aveva votato». Dimentica, l’on. Foti, che a «fare ostruzionismo» contro l’ergastolo ostativo, per usare le sue parole, è stata soprattutto la Corte costituzionale che con due sentenze – la n. 253 del 2019 e la n. 97 del 2021 – ha chiesto al Parlamento di intervenire su una pena giudicata nella forma attuale incostituzionale.
Fratoianni comunque insiste e torna sui binari del confronto sostanziale: «C’è una componente decisiva nella lotta alla mafia e alla grande criminalità organizzata che deve essere ripresa e rilanciata: è la lotta per la dignità e per i diritti. Il diritto ad avere un lavoro, di poter andare a scuola, di avere un welfare che ti garantisca un’assistenza decente – afferma il parlamentare dell’Alleanza Verdi Sinistra – Il diritto nel rapporto con l’organizzazione mafiosa su che cosa si fonda? Sull’idea che il potente, il boss, elargisca concessioni. Il diritto diventa concessione. Lo Stato deve invece poter rappresentare, e non l’ha fatto fino in fondo finora, un’altra cosa: il diritto è ciò che posso avere perché mi spetta e lo rivendico. La garanzia del diritto è la fonte dell’emancipazione delle persone, ed è la strada prioritaria da seguire», senza negare l’utilità degli «strumenti di indagine classica o gli strumenti giudiziari».
Il punto però è un altro: lo strumento del 41bis, «nato per interrompere le comunicazioni con le organizzazioni criminali di appartenenza» «non è solo giusto, ma addirittura doveroso», afferma il Garante nazionale dei detenuti Mauro Palma intervistato dalla web radio del Pd. Ma «quando diventa una modalità carceraria meramente afflittiva, il cosiddetto carcere duro allora non è più accettabile. Il punto di partenza è il rispetto della dignità delle persone e il carcere duro, le privazioni dei diritti, non hanno nulla a che vedere con le finalità iniziali del 41bis. Inoltre – conclude Palma – bisogna pensare che su 700 persone sottoposte a questo regime carcerario, solo 200 hanno l’ergastolo. Immaginare un percorso differente, alla luce del fatto che sicuramente almeno le altre 500 torneranno in libertà è anche una cosa che garantirebbe maggiore sicurezza»
Commenta (0 Commenti)
CONGRESSO PD. I big della sinistra lodano la candidata che «non fa una apologia del capitalismo». E pone «con forza il tema delle diseguaglianze
Andrea Orlando, Elly Schlein e Goffredo Bettini - foto Ansa
Prove di avvicinamento tra i big della sinistra Pd e la candidata outsider Elly Schlein. Occasione: la presentazione dell’ultimo libro di Goffredo Bettini «A sinistra. Da capo» nella sede della Filt Cgil di Roma. «Mi interessa il programma di Schlein, c’è una visione nuova, ci sento un’urgenza di una risposta che non sia l’apologia dello status quo», dice Bettini. E ancora: «I candidati alla segreteria dicono che loro sono nuovi e io sono vecchio, da rottamare, ma mi pare che l’unica che possa dire qualcosa in questo senso è Schlein, perché gli altri sono piuttosto vaccinati nelle fattorie del Pd…».
BETTINI SI TIENE A UNA CERTA distanza dalla battaglia congressuale, «Non do indicazioni di voto, non è il mio ruolo, mi limito a dare un contributo di idee». Schlein dal canto suo fa di tutto per dimostrare che lei è la candidata che con più forzasi pone il tema della critica al modello di sviluppo. Certo, lo fa col suo linguaggio, pone l’accento sulla parola «ecosocialismo», ricordando che la battaglia contro le diseguaglianze deve andare di pari passo con quella contro la crisi climatica. Quando parla Andrea Orlando, spesso lei approva con un cenno della testa. Soprattutto quando l’ex ministro del Lavoro descrive il conflitto tra socialisti e liberali che in questi 15 anni ha impedito al Pd di rappresentare il disagio sociale. «Non abbiamo mai sciolto il nodo di questa doppia anima, abbiamo oscillato tra queste due polarità senza mai scegliere, consumando così i gruppi dirigenti». «Non voglio regalare la rappresentanza del disagio sociale a forze improvvisate (il M5S, ndr), vorrei dare a quel malessere una prospettiva di riscatto, e di governo. E per questo è sbagliato chiudersi in una prospettiva moderata e neocentrista. Se non si trova una sintesi il Pd non c’è più», avverte Orlando, che accusa i principali candidatyi (leggi: Bonaccini) di non avere «piena consapevolezza di questa sfida». «Nelle parole di Elly invece questa consapevolezza c’è», dice Orlando che non fa un endorsement pieno in vista delle primarie (come hanno fatto alcuni colonnelli della sua corrente come Peppe Provenzano), ma dice che «Elly è l’unica che si pone le domande giuste». E aggiunge in una intervista a Rainews 24: «Lei ha posto con grande forza il tema della lotta alle diseguaglianze e per questo credo abbia possibilita».
PIÙ CHE ALTRO, IL LEADER DELLA sinistra Pd attacca Bonaccini, pur senza nominarlo: «Sostenere che il problema di fondo sono le correnti da eliminare, la contrapposizione tra sindaci e parlamentari o tra romani e provinciali è una barzelletta». E ancora: «Se non ti poni neppure le domande a favore di un “soluzionismo pragmatico” sei destinato alla subalternità». Schlein , che pure è stata vice di Bonaccini in Emilia-Romagna, annuisce: «Essere amministratori non è una linea politica, so ben distinguere i due ruolo». Loda a più riprese Orlando per aver cercato di importare il modello della Spagna sul tema dei contratti e dei diritti del lavoro. E rincara: «Lo spostamento al centro del Pd c’è stato e ha spinto molti ad allontanarsi. Io sono per una sinistra moderna che non si vergogna della presenza dello stato in economia e vuole ampliare il welfare .
AD AGITARE LE ACQUE tra i dem anche il nuovo manifesto dei valori, che dovrebbe essere approvato dall’assemblea costitutente che si riunirà sabato. Letta ha voluto un comitato costituente di 100 persone, che ha redatto un nuovo testo. Dalle parti di Bonaccini si ritiene che l’assemblea, in scadenza, non abbia i titoli per cambiare il dna del partito. Schlein e quelli di Articolo 1 invece ribadiscono che, se il congresso è davvero costituente, il cambiamento del manifesto è indispensabile. Bersani e Speranza minacciano, non tanto velatamente, di non rientrare nel Pd se non sarà chiaro che si tratta di una di una nuova casa. Bonaccini li gela: «Chi vuole può rientrare nel Pd, io mi concento sui milioni di italiani che ci hanno lasciato». Letta non vuole buttare alle ortiche il lavoro del comitato che presiede (insieme a Speranza), ma intende evitare spaccature tra i candidati. E si prepara una nuova defatigante mediazione. Polemica anche sull’autonomia differenziata, dopo un articolo della rivista Il Mulino. Bonaccini dice «il Pd ha la mia stessa posizione». Provenzano gli rinfaccia il feeling iniziale con Zaia e lo invita ad opporsi «senza se o ma» al progetto di Calderoli
Commenta (0 Commenti)INTERNAZIONALE. Lo spot-choc dell’ultradestra turca per deportare siriani. Palestinese ucciso al checkpoint, è il 15° del 2023. Unhcr: nel 2022 3.500 Rohingya in fuga, 348 morti. Proteste del 2019, Il Cairo condanna 22 bambini
Il carcere egiziano di Tora, al Cairo - Ap
Turchia, lo spot dell’ultradestra per deportare siriani
Un video patinato di due minuti con una turca che vende biglietti per un bus rosso sullo sfondo e alla fine l’Iban a cui donare: è la nuova campagna xenofoba lanciata da Umit Ozdag, leader del partito turco di estrema destra Victory Party. Chiede di inviargli denaro con cui acquistare biglietti di «sola andata» per Damasco per rifugiati siriani da deportare. Con un’opzione: indicare il nome del siriano che il donatore vorrebbe cacciare (nel video lui indica il giornalista siriano Ahmet Hamo e l’editorialista turco Nagehan Alci). Da anni Ozdag punta la sua carriera politica sulla guerra ai rifugiati. Fino a promuovere l’idea che i siriani nel paese non siano 3,6 milioni ma 13 e a produrre un film, «Silent Invasion»: nella Turchia del futuro gli arabi sono la maggioranza che governa quel che resta del popolo turco.
***
Palestinese ucciso al checkpoint, è il 15° del 2023
Ieri a Hebron, nel sud della Cisgiordania occupata, l’esercito israeliano ha ucciso il 15esimo palestinese dall’inizio dell’anno: Hamdi Shaker Abu Dayyeh, 40 anni. Secondo l’esercito israeliano avrebbe aperto il fuoco contro i soldati all’ingresso del villaggio di Halhul. Nessun ferito tra i militari. Testimoni palestinesi hanno raccontato che l’esercito ha impedito ai paramedici di soccorrere l’uomo. È l’undicesimo palestinese a essere ucciso in Cisgiordania in sei giorni.
***
Unhcr: nel 2022 3.500 Rohingya in fuga, 348 morti
«Allarmante»: così l’agenzia Onu per i rifugiati, Unhcr, ha definito ieri il crescente numero di rifugiati Rohingya morti nel tentativo di lasciare il Myanmar via mare verso il Bangladesh. Nel 2022 ci hanno provato in 3.500 (erano stati 700 l’anno precedente), almeno il 45% donne e bambini. Di questi hanno perso la vita almeno 348 persone, «l’anno più mortale dal 2014», ha spiegato la portavoce dell’Unhcr, Shabia Mantoo. I Rohingya – musulmani – continuano la loro disperata fuga fuori dal Myanmar, loro paese di origine di cui però non sono mai stati riconosciuti cittadini, ma vittime di una persecuzione religiosa strutturale.
***
Proteste del 2019, Il Cairo condanna 22 bambini
La corte penale del Cairo ha condannato a pene da 5 a 15 anni di carcere ventidue bambini, con l’accusa di aver preso parte alle proteste contro il governo del 2019, scatenate dall’uomo d’affari in esilio Mohamed Ali (condannato a 25 anni in contumacia). Nessuna possibilità di appello: i reati rientrano nella legge anti-terrorismo del 2013.
Commenta (0 Commenti)