Il rendering del progetto Agnes (da Ravennanotizie,it)
“Un unicum a livello mondiale. Non un semplice parco eolico, ma un sistema di diverse infrastrutture in relazione tra loro per produrre vari tipi di energia rinnovabile”. Così Alberto Bernardini, Amministratore Delegato della società Agnes che ha progettato il parco eolico ed energetico che dovrebbe sorgere al largo di Ravenna, ma che contestualmente avrà un importante sviluppo nella zona all’interno del porto industriale della città romagnola. Sia Agnes che il Sindaco di Ravenna sono stati ascoltati oggi in Commissione politiche economiche presieduta da Manuela Rontini la quale, introducendo i lavori, ha sottolineato non solo come “l’audizione soddisfi la richiesta fatta da svariati consiglieri regionali, ma rappresenti il naturale compimento dell’iter di lavoro che la commissione ha sempre avuto in tema energetico: ognuno di noi deve fare le propria parte perché i tempi di messa a terra di quest’opera non siano biblici, è un’opera importante”.
Importantissimo il progetto costituito, per quanto riguarda le infrastrutture a mare, da due parchi eolici disposti a nord e a sud di Ravenna insieme a zone di fotovoltaico galleggiante. Un’infrastruttura globale da oltre 750 Mw di capacità installata che non sarà convogliata tutta nella rete elettrica, poichè una parte rilevante potrà essere destinata sia allo stoccaggio che alla produzione di idrogeno verde tramite elettrolisi. Per Bernardini si tratta di un impianto polivalente in grado di produrre a regime circa 8mila tonnellate di idrogeno verde e una quota variabile tra i 1500 e i 200 Giga Watt annui. Nel sottolineare quanto il territorio ravennate sia strategico per il progetto, i vertici di Agnes hanno sottolineato la ricchezza costituita dal porto che garantirebbe la costruzione di tutte le infrastrutture a secco necessarie a rendere realmente diverso e unico l’impianto in corso di progettazione. Notevolissimo lo studio effettuato dalla società di progettazione per garantire la piena compatibilità ambientale dell’impianto. “Per far capire quanto il progetto ravennate sia diverso da ogni altra struttura attualmente esistente -continua l’Amministratore Delegato di Agnes- basta dire che questa installazione non è alternativa alla pesca ma anzi, non solo consente l’attività all’interno del parco eolico, ma prevede anzi spazi specifici per l’acquacoltura”. Per il Sindaco di Ravenna Michele de Pascale il progetto dell’hub energetico “ha saputo riscuotere fin da subito un consenso sociale molto largo e forte, tanto che la comunità locale ha garantito un supporto molto importante e ciò ha permesso di oltrepassare una miriade di problemi che si sono presentati nel corso della progettazione”.
Anche per l’Assessore allo sviluppo economico e green economy, lavoro, formazione e relazioni internazionali Vincenzo Colla il progetto rappresenta “un’operazione di straordinaria importanza che non parla solo alla filiera energetica, ma va ad impattare una pletora di campi che potranno avere importantissime ricadute anche di tipo economico e occupazionale. La Regione non vede l’ora che venga presentata tutta la documentazione per iniziare il procedimento di Valutazione di Impatto Ambientale (VIA) per passare quanto prima ad una discussione squisitamente operativa”.
L’audizione ha poi dato spazio a un ampio confronto tra i consiglieri regionali. “Si tratta di un progetto impegnativo da un punto di vista burocratico”, spiega Silvia Piccinini (Movimento 5 Stelle) per la quale “tutti vediamo la differenza dei tempi dell’iter per questa opera e quello del rigassificatore: se si voleva commissariare un’opera, quella da commissariare era questa non il rigassificatore”. Dal canto suo Emiliano Occhi (Lega) ha sottolineato l’importanza di “affrontare e risolvere il problema dell’approvvigionamento energetico italiano e di differenziare le fonti energetiche. Bisogna essere certi che siano state fatte tutte le valutazioni del caso sul fatto che ci sia abbastanza vento per far funzionare le pale eoliche”. Silvia Zamboni (Europa Verde) ha chiesto chiarimenti sulla tipologia di impianti utilizzati per realizzare l’opera: “Senza tendenza autarchiche, esiste una tecnologia italiana per fare queste cose? Sarebbe bello di sì perché sarebbe molto positivo che quest’opera diventasse una vetrina della tecnologia italiana”.
Chiede garanzie sulla modalità di realizzazione dell’opera è stato anche Marco Mastacchi (Rete civica) che ha anche invitato a valutare le preoccupazioni dei cittadini di Ravenna che, tra rigassificatore e altre opere, stanno vivendo un impatto molto importante sul loro territorio. Netta la posizione di Luca Sabattini (Pd) per il quale “la transizione energetica non si fa spingendo un interruttore: questo progetto lo dimostra perché mette insieme diverse tecnologie e diverse sensibilità territoriali: la transizione energetica e ambientale è fatta dalla complessità di tanti fattori, questo è il modello di sviluppo con il quale fare i conti per valorizzare un territorio attraverso una programmazione degli interventi e l’attrazione di investimenti”.
Commenta (0 Commenti)SCENARI DELLA POLICRISI. Almeno 1,7 miliardi di lavoratori vivono in paesi in cui l'inflazione supera l'incremento medio dei salari e oltre 820 milioni di persone - circa una persona su dieci sulla Terra - soffrono la fame. Secondo la Banca Mondiale, stiamo assistendo al più grande aumento di disuguaglianza e povertà globale dal secondo dopoguerra. Sono i dati del rapporto «La disuguaglianza non conosce crisi» pubblicato da Oxfam in occasione dell’apertura dei lavori del 53esimo World Economic Forum di Davos in Svizzera che proseguirà fino al 20 gennaio
Fiera delle vanità, dei jet privati e degli hotel di lusso, anche quest’anno i potenti o aspiranti tali, i capitalisti alla ricerca di pubbliche relazioni e gli architetti che mettono le mutande al mondo sono tornati a darsi appuntamento in presenza, e non più online, al 53esimo incontro del World Economic Forum a Davos in Svizzera. Finite le quarantene, mentre in Cina il
Leggi tutto: A Davos le diseguaglianze non conoscono fine - di Roberto Ciccarelli
Commenta (0 Commenti)DISORDINE E PROGRESSO. Arresto e accuse pesanti per l’ex ministro della Giustizia appena rientrato in Brasile da Miami. Ora potrebbe scegliere di collaborare con "la delação premiada". E sono in molti ad agitarsi. Istigazione a delinquere l'ipotesi di reato per l'ex presidente, che teme di perdere il diritto a ricandidarsi
Brasilia, 9 gennaio. La Piazza dei Tre Poteri vista dal Palazzo del Planalto durante l’assalto - Ap
Se Anderson Torres, accusato di coinvolgimento negli atti golpisti dell’8 gennaio, non si fosse presentato entro lunedì alla polizia federale – aveva avvisato il ministro della Giustizia Flávio Dino -, per lui sarebbe scattata la richiesta di estradizione. Ma non ce n’è stato bisogno. Già nella notte di venerdì l’ex ministro della Giustizia di Bolsonaro ed ex segretario di Sicurezza pubblica del Distretto Federale, accompagnato da membri della polizia statunitense all’aeroporto di Miami, si era imbarcato su un volo per Brasilia. E ieri mattina, appena atterrato all’aeroporto Juscelino Kubitschek, è stato arrestato e condotto dalla polizia federale al comando del Bavop (Batalhão de Aviação Operacional) per la sua prima deposizione.
TORRES È ACCUSATO DI CRIMINI pesantissimi, terrorismo, colpo di stato, associazione a delinquere che se confermati potrebbero costargli una condanna fino a 91 anni di prigione. E certo il ritrovamento in un armadio di casa sua di un piano per ribaltare il risultato delle elezioni di ottobre non è servito ad alleggerire la sua posizione.
A Orlando, dove si trova ancora in «ferie» (come ha voluto chiamare la sua fuga), Bolsonaro deve aver sicuramente tremato, consapevole di poter presto andare incontro allo stesso destino. E in effetti un nuovo minaccioso campanello d’allarme è risuonato per lui venerdì, quando il ministro della Corte Suprema Alexandre de Moraes ha inserito il suo nome, con l’accusa di istigazione a delinquere, nelle indagini sull’invasione della piazza dei Tre Poteri.
LA PREOCCUPAZIONE È TALE che il Partido Liberal (Pl) ha deciso di rafforzare la squadra di avvocati dell’ex presidente, sul cui capo pendono, tra l’altro, le inchieste sulla divulgazione di notizie false sul vaccino anti-Covid, sulle fake news e sulle interferenze nella polizia federale. Il timore ora più grande è che la giustizia elettorale lo privi dei suoi diritti politici, impedendogli di candidarsi alle elezioni presidenziali del 2026 – a cui Bolsonaro già guarda in cerca di rivincita – e, prima di allora, ostacolando l’avanzata del Pl alle elezioni municipali del prossimo anno.
E NON POCHE PREOCCUPAZIONI suscita anche l’arresto del suo ex ministro Torres, il quale, soprattutto di fronte alla compromettente bozza di decreto recuperata nella sua casa, potrebbe convincersi a firmare un accordo di delação premiada, come viene chiamata qui la collaborazione con i magistrati in cambio di uno sconto di pena di cui la Lava Jato aveva fatto uso e abuso in funzione anti-Pt.
MA SONO IN TANTI, in questi giorni, a non dormire sonni tranquilli, a cominciare dai finanziatori degli atti terroristici finora identificati – 52 persone fisiche e sette imprese – contro cui il giudice federale di Brasilia Francisco Alexandre Ribeiro ha disposto il blocco dei beni per un valore di 6,5 milioni di reais, da usare per rimediare agli enormi danni materiali provocati dall’assalto golpista.
Tutt’altro che serena è anche l’emittente radiofonica Jovem Pan, che, raggiunta da un’indagine del Pubblico ministero federale di São Paulo relativamente alla divulgazione di fake news, ha cancellato da un giorno all’altro dal suo canale YouTube ben 1.516 video.
INFINE I MILITARI. Se il ministro della difesa José Múcio e i vertici delle forze armate hanno garantito una punizione dura e rapida per i militari coinvolti negli atti golpisti, i risultati non sono ancora un granché.
Il colonnello della riserva Adriano de Souza Azevedo, considerato il braccio destro, all’interno del Gsi (Gabinete de Segurança Institucional), del generale estremista Augusto Heleno (già allontanato prima dell’insediamento di Lula), è stato – è vero – rimosso dal suo incarico.
Ma l’attuale capo del Gsi Gonçalves Dias non sembra affatto deciso a fare pulizia tra dipendenti e militari vicini a Heleno, schierandosi anche contro la possibile smilitarizzazione dei servizi segreti, tramite lo scorporamento dell’Abin, l’agenzia di intelligence brasiliana, dal Gsi
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GERMANIA. Alla grande manifestazione di Lützerath contro la miniera di carbone anche Greta Thunberg, che punta il dito contro i Grünen al governo. Da domani il colosso energetico Rwe potrà scavare l’area per sfruttare oltre 250 milioni di tonnellate di lignite del sottosuolo: carburante indispensabile per le cinque centrali riattivate dall’esecutivo Scholz. Progetto che anche l’Istituto federale economico ha bocciato
La polizia blocca gli attivisti a Lützerath, in basso Luisa Neubauer e Greta Thunberg alla manifestazione - Epa
«Nel villaggio di Lützerath prima della mobilitazione vivevano cinquanta abitanti. Oggi siamo oltre 30.000». La giovane attivista di Last Generation decifra così la «vittoria politica» della manifestazione di solidarietà a chi resiste allo sgombero del presidio di Garzweiler.
Smentendo in serie, l’intelligence della polizia federale che attendeva «massimo 8.000 persone», il governo del Nordreno-Vestfalia pronto a liquidare la demo come «pochi irriducibili» e il vicecancelliere del governo Scholz, Robert Habeck, co-leader dei Verdi, convinto che Lützerath sia «un falso simbolo della lotta per il clima».
Anche se la “sbugiardata” più autorevole arriva da Greta Thunberg, ieri in prima fila nella denuncia della svendita del territorio ai padroni della Ruhr con la complicità dei Grünen che governano sia il Land carbonifero che la Repubblica federale. «Gli accordi con il colosso energetico Rwe – proprietario della miniera – dimostra quali siano realmente le loro priorità. Voi siete la dimostrazione che i cambiamenti non arriveranno da chi sta al potere, dai governi o dalle imprese, dai cosiddetti leader. No, i leader sono qui, sono le persone che da anni difendono Lützerath. I veri leader siete voi!» ripete tra gli applausi alle migliaia di attivisti la leader la mondiale del Fridays For Future, mentre Greenpeace mette in guardia dal rischio di non raggiungere gli obiettivi di Parigi.
GRETA CONTRO I VERDI: non è solo un gigantesco problema di immagine per il ministro dell’Economia Habeck e la ministra degli Esteri, Annalena Baerbock; è una vera grana politica per l’intero partito: dalla parte di Thunberg sono schierati ufficialmente i Giovani Verdi e tre quarti dell’elettorato under-30. Mentre a Lützerath “sfonda” i media quasi solo il racconto dello «scontro violento degli antagonisti» al centro dei comunicati della polizia e l’immancabile «infiltrazione di black block» immaginata da una parte dell’informazione mainstream.
LA RESISTENZA delle migliaia di attivisti a Lützerath, in realtà, ieri è stata pacifica; non si può definire passiva solo perché la polizia ha faticato non poco a rincorrere sul fango i manifestanti sparpagliati per mezza miniera, e perché un paio di cordoni di agenti sono stati sfondati da attivisti compressi a suon di spray al peperoncino e idranti. Ma nella rete delle forze dell’ordine ieri sono incappate anche le troupe televisive. A proposito di scontri violenti si segnalano le manganellate incassate dai manifestanti certificate da numerose testimonianze dirette.
Alle 17.30 di ieri si era sparsa la voce che un attivista era stato portato in ospedale con l’elicottero di soccorso chiamato d’urgenza alla luce della gravità delle ferite riportate durante lo sgombero, mentre il tam-tam degli attivisti sui social diffondeva le ultime da Berlino: una lettera della scritta “Nrw” (la sigla del Land), esterna all’edificio della rappresentanza diplomatica del Nordreno-Vestfalia, è stata rimossa per protesta. La polizia della capitale ha fermato due sospetti. Altro segnale che la partita del carbone non si gioca solo nella miniera della Ruhr dove comunque la lotta non finisce con lo sfratto del presidio.
«IL CARBONE È ANCORA nel sottosuolo di Lützerath. Dobbiamo continuare a combattere, siamo ancora in tempo. La sua estrazione non servirà certo a ridurre la bolletta energetica dei tedeschi» ha ricordato Greta Thunberg, camminando a fianco di Luisa Neubauer, leader tedesca del Fridays For Future. Con buona pace dei sostenitori del ritiro di entrambe dalla scena politico-mediatica.
A Lützerath quando il sole tramonta rimangono accese solo le luci dei riflettori installati dalla polizia a bordo della miniera. La maggior parte dei dimostranti si incolonna in direzione della stazione ferroviaria. La demo è finita, comincia l’analisi del risultato. «Oggi abbiamo ottenuto più di quanto avremmo ritenuto possibile» aggiunge Charly Dietz, portavoce di Ende-Gelände, fra le decine di Ong del cartello ambientalista sceso in campo in difesa del villaggio di Lützerath, l’ultimo dei venti borghi della zona che la miniera di Rwe ha inglobato negli anni passati.
TUTTO GRAZIE al via libera esecutivo del tribunale regionale renano che ha respinto tutti i ricorsi degli ambientalisti dando luce verde alle ruspe di Rwe, dopo che l’ultimo residente di Lützerath lo scorso ottobre ha venduto il suo fazzoletto di terra che bloccava la demolizione del borgo. Da domani la società carbonifera potrà scavare l’area per sfruttare oltre 250 milioni di tonnellate di lignite del sottosuolo: carburante indispensabile per le cinque centrali riattivate dal governo Scholz dopo il taglio delle forniture russe. Ma solo sulla carta della propaganda; secondo gli esperti dell’Istituto federale economico la distruzione di Lützerath è insensata perfino sotto il profilo strettamente dei conti. Il carbone dell’attuale miniera, dati alla mano, basta già a coprire il fabbisogno energetico della Germania
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BENZINA SUL FUOCO. Pubblicato il dl, nella maggioranza tutti assicurano compattezza. La premier a Milano: «Avanti nonostante i bastoni tra le ruote»
L’intervento in collegamento video di Giorgia Meloni, al convegno di FdI a Palazzo Lombardia - foto Ansa
«Qui o si fa l’Italia o si muore»: in collegamento con la convention FdI di Milano la premier scomoda Garibaldi per ostentare una sicurezza aggressiva e rivendicare meriti di ogni sorta al suo governo, dallo spread «sceso in due mesi» alla manovra, «la prima che considera la famiglia un investimento». Un po’ l’iperbole è la cifra delle assise, tanto che il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano assegna addirittura a Dante la «paternità» della destra italiana. Un po’ la premier sa di dover contrastare l’immagine di battello in balia delle onde che il suo
Leggi tutto: Accise, caso chiuso. Meloni tira dritto ma la strada è minata - di Andrea Colombo
Commenta (0 Commenti)Si tratta del sultano Ahmed Al-Jaber, ad della compagnia petrolifera degli Emirati Arabi Uniti. Proteste degli ambientalisti
La credibilità della prossima Conferenza delle parti della Nazioni Unite sul clima, la Cop28 in programma a fine novembre 2023 è minata: il sultano Ahmed Al-Jaber, amministratore delegato della compagnia petrolifera nazionale degli Emirati Arabi Uniti, è stato nominato infatti presidente della Cop28, che si terrà nel ricco Paese del Golfo, a Dubai. Al-Jaber, oltre a guidare l’Abu Dhabi National Oil Company, è anche ministro dell’Industria degli Emirati Arabi Uniti e inviato speciale per il cambiamento climatico. Sarà il primo amministratore delegato a presiedere una Cop. «Porteremo un approccio pragmatico, realistico e orientato alla soluzione» ha dichiarato.
IL SUO PAESE è il quarto al mondo per emissioni pro-capite (dopo Qatar, Bahrein e Kuwait) e secondo l’Energy Information Administration (EIA) degli Stati Uniti è il settimo produttore di petrolio e altri liquidi al mondo, con un fatturato di 70 miliardi di dollari. Le riserve accertate sono pari a 98 miliardi di barili di petrolio e 215 trilioni di piedi cubi di gas. Per questo, un’ambientalista come Tracy Carty di Greenpeace International ha fatto sapere di essere «profondamente allarmata» per una nomina che «crea un pericoloso precedente, mettendo a rischio la credibilità degli Emirati Arabi Uniti e la fiducia che è stata riposta in loro dalle Nazioni Unite e dalle generazioni attuali e future». La questione è legata a interessi economici non celabili: «Non c’è posto per l’industria fossile nei negoziati globali sul clima» ha spiegato l’ambientalista. Ma forse sarebbe meglio dire, non dovrebbe esserci posto, specie se il risultato atteso – come spiega Carty – è «un impegno senza compromessi per una giusta eliminazione di tutti i combustibili fossili: carbone, petrolio e gas».
SULLA STESSA LINEA Harjeet Singh, dell’organizzazione Climate Action Network International, che ha denunciato l’influenza delle lobby dei combustibili fossili: «La nomina è uno scandaloso conflitto di interessi». Anche la giovane Vanessa Nakate, attivista ugandese per la giustizia climatica, è critica: «Non possiamo avere un’altra Cop in cui gli interessi dei combustibili fossili possano sacrificare il nostro futuro per ottenere qualche altro anno di profitto» ha detto.
Gli Emirati Arabi Uniti hanno inviato il più grande contingente di lobbisti del settore alla Cop27, tenutasi a novembre in Egitto, durante la quale è stata adottata una risoluzione sulla compensazione dei danni causati dal cambiamento climatico ai Paesi più poveri. Ma non è stato possibile fare progressi nella riduzione delle emissioni di gas serra per mantenere l’obiettivo di limitare il riscaldamento globale. E la questione della riduzione dell’uso dei combustibili fossili è stata appena accennata nei testi finali. Gli Emirati hanno avuto una crescita vertiginosa a partire dagli anni Settanta, ovviamente grazie al petrolio, anche se starebbero cercando di diversificare la loro economia. Il Paese si è impegnato a raggiungere la neutralità delle emissioni di carbonio entro il 2050, puntando su energie rinnovabili e su una tecnologie di dubbia efficacia, la cattura del carbonio.
L’ALLARME degli ambientalisti non è condiviso dalla Commissione europea. Il vicepresidente Frans Timmermans, che ha la delega per il Green Deal, ha twittato un saluto: «non vedo l’ora di incontrare di nuovo Sultan Al Jaber questo fine settimana e iniziare il nostro lavoro sulla Cop28». Timmermans ha anche sottolineato che in qualità di presidenza entrante della Cop28, «gli Emirati Arabi Uniti hanno un ruolo cruciale nel plasmare la risposta globale alla crisi climatica. Dobbiamo prendere velocità e tornare in carreggiata verso 1,5 gradi». Difficile riuscire a farlo pensando ancora di estrarre ed esportare petrolio: Christiana Figueres, che stata Segretario esecutivo della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici tra il 2010 e il 2016, ha ricordato «che l’Agenzia Internazionale per l’Energia (AIE) è stata molto chiara sul fatto che non c’è più spazio atmosferico per il petrolio, il gas o il carbone. Questa chiarezza politica fa eco alle scoperte della scienza e alle crescenti richieste dell’opinione pubblica. La COP28 deve non solo allinearsi a questa realtà, ma di fatto accelerare la decarbonizzazione globale. Non c’è altra strada da percorrere». Al Jaber condividerà la sua posizione? Dovrebbe essere interessato, dato che – come spiega l’ultimo rapporto di Human Rights Watch – «gli Emirati Arabi Uniti sono particolarmente vulnerabili agli impatti dei cambiamenti climatici, tra cui il caldo estremo, l’aumento della siccità e l’innalzamento del livello del mare. L’85% della popolazione vive lungo le coste, che si trovano pochi metri sopra il livello del mare»
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