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Dietro ai positivi dati Istat non ci sono nuove assunzioni ma mancate uscite dovute alla riforma delle pensioni. Crescono gli inattivi, formazione al palo

 

Novembre 2023 è stato un mese da record per il lavoro. Ha registrato 30 mila occupati in più rispetto a ottobre, con un aumento annuo di 520 mila unità rispetto allo stesso mese del 2022, per un totale di 23 milioni 743 mila. Il tasso di occupazione è rimasto invariato al 61,8 per cento e quello di disoccupazione è sceso dal 7,7 di ottobre al 7,5 di novembre.

I dati sono snocciolati dall’Istat, rimbalzati con titoli trionfalistici sui media e sbandierati dalla ministra del Lavoro Marina Calderone come “un chiaro successo per le politiche del governo che hanno puntato sulla formazione, per rendere le persone più occupabili e velocizzare l'incrocio fra domanda e offerta”.

UN DATO POSITIVO

Ma è davvero così? “Il dato positivo c’è, ma attenzione ai titoloni sui record, a questa corsa sensazionalistica a battere il primato mese dopo mese – afferma Rossella Marinucci, della Cgil nazionale -. Dietro ai numeri ci sono fattori diversi e diverse spiegazioni. Il mercato del lavoro è una struttura mobile, e quando si analizzano le cifre si deve tenere presente che derivano da una serie di elementi: nuove assunzioni e cessazioni, entrate e uscite, e anche permanenza più o meno lunga, che varia a seconda delle leggi sulla previdenza. Non sempre l’aumento degli occupati corrisponde a un aumento dei posti”.

IN PENSIONE PIÙ TARDI

È questo il caso: la crescita sbandierata non è da attribuire a nuovi ingressi ma alla mancata uscita dal mercato del lavoro o da uscite ritardate, frutto delle riforme pensionistiche approvate che stanno facendo sentire adesso i loro effetti. La legge Fornero trattiene di più le persone al lavoro, allungandone la vita professionale e facendone slittare l’uscita. Quindi non si tratta di nuove assunzioni.

FATTORE DEMOGRAFICO

A questo si intreccia un altro fattore, il fenomeno demografico, cioè il “degiovanimento” della popolazione attiva. Dei 520 mila occupati in più registrati da novembre 2022 a novembre 2023, ben 477 mila sono nella fascia degli over 50: in pratica il 92 per cento. Mentre c’è stato un calo di 47 mila unità tra i 35-49enni. Aumentano di poco i lavoratori nella fascia 25-34 anni (più 71 mila) e i 15-24enni (più 19 mila).

ULTIMI 16 ANNI

L’andamento dell’occupazione degli ultimi 16 anni conferma questa tendenza. La percentuale degli occupati tra i 50-64enni è salita dal 46,2 per cento di novembre 2007 al 64,1 per cento del 2023. Quella dei lavoratori tra 25-34 anni è calata dal 70,7 per cento del 2007 al 68,4 per cento del 2023, con alterne vicissitudini, quindi 2,3 punti sotto. Risultato: l’occupazione cresce, è vero, ma non per effetto di politiche di sviluppo e del lavoro bensì per la riforma pensionistica che sta estendendo la componente anziana e non apre nuove opportunità ai giovani.

IL NODO INATTIVI

I dati Istat segnano altre due novità. Tornano a crescere gli inattivi, dopo mesi di discesa, cioè coloro che non cercano lavoro: più 48 mila a novembre 2023 rispetto al mese precedente, per un totale di 12 milioni 273 mila persone: il 33,1 per cento della popolazione tra i 15 e i 64 anni. E c’è anche un lieve incremento degli occupati a termine, più 15 mila rispetto a ottobre.

“Entrambi sono in controtendenza rispetto a quanto abbiamo osservato nei mesi precedenti - riprende Marinucci - e vogliono dire che c’è un ritorno a forme precarie di lavoro e alla non ricerca di occupazione. In pratica, chi non è disposto ad accettare determinate offerte si sposta negli inattivi. Questi dati comunque ci parlano della quantità ma non della qualità del lavoro, che resta bassa come i salari, e che pare non interessare a nessuno. Se c’è un aumento dei contratti part time, c’è un aumento del lavoro ma è povero, a bassa intensità”.

RICERCA DI LAVORO SULLE INSERZIONI DI UN GIORNALE FOTO DI © DANILO BALDUCCI/AG.SINTESI
RICERCA DI LAVORO SULLE INSERZIONI DI UN GIORNALE FOTO DI © DANILO BALDUCCI/AG.SINTESI

FORMAZIONE DOVE SEI?

Un altro mito da sfatare sono le decisioni del governo sulle politiche attive, che secondo la ministra Calderone starebbero già producendo effetti positivi sull’occupazione. “Si tratta del supporto formazione lavoro, a cui possono accedere coloro che percepivano il reddito di cittadinanza considerati occupabili, che dovrebbero entrare in percorsi di inserimento veloci – conclude Rossella Marinucci,  dipartimento mercato del lavoro della Cgil -. Peccato che la macchina stia partendo davvero a rilento: sulla piattaforma non ci sono molte offerte formative, che dovrebbero adeguare le competenze, perché si fa fatica a completare le classi, mentre le offerte sul sito sono poche. Quindi, da quanto risulta a noi e alle nostre strutture sui territori, per ora non è uno strumento che sta portando alla creazione di nuova occupazione”.

Come ogni 7 gennaio dall’uccisione di tre militanti nel 1978, braccia tese e croci celtiche per la commemorazione. Cgil: “Le istituzioni rispondano”

 

La cronaca di queste ore a Roma ci ha restituito, ancora una volta, una triste pagina di neofascismo. Immortalate nel video che da ieri fa il giro delle pagine social e dei siti web, come denuncia, ma anche come celebrazione, centinaia di braccia tese nel saluto romano sono state la cornice del 46esimo anniversario dell’uccisione, il 7 gennaio del 1978, di tre giovani militanti della sezione del Movimento sociale italiano in via Acca Larenzia, quartiere tuscolano, Franco Bigonzetti, Francesco Ciavatta e Stefano Recchioni. Bigonzetti e Ciavatta furono vittime di un agguato che alcuni giorni dopo venne rivendicato dai Nuclei armati per il contropotere territoriale, mentre Recchioni restò ucciso in seguito agli scontri scoppiati nelle ore successive alla morte dei primi due. 

La scena dell’adunata di ieri, nel piazzale sul quale da anni campeggia una croce celtica nera di tali dimensioni da essere visibile anche dalle riprese aeree di Google Maps, ci fa tornare indietro nel tempo di un secolo. Da più parti il commento è stato che sembrava il 1924 più che il 2024. E del resto questa zona di Roma non è nuova a scene di questo tipo di 7 gennaio. Strade paralizzate, cortei di giovani neofascisti inquadrati militarmente, saluti romani, manifesti con croci celtiche e richiami al fascismo scandiscono ogni anno l’approssimarsi di questa data.

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“Ancora una volta nella Capitale, città medaglia d’oro al valore militare per la Resistenza, le braccia tese, le croci celtiche e il grido “presente” hanno caratterizzato l’anniversario dei fatti di Acca Larenzia – ha scritto in una nota la Cgil di Roma e del Lazio –. Solo in Italia è possibile strumentalizzare una pagina buia della storia del nostro paese per trasformarne il ricordo in un’adunata fascista”.

"Stupore e stigmatizzazioni non bastano più. Dalle istituzioni ci aspettiamo una reazione forte a partire dallo scioglimento delle organizzazioni fasciste e naziste, che continuano a minacciare la democrazia come dimostrano le recenti condanne per l’assalto alla nostra sede nazionale del 9 ottobre 2021". 

Dal 1° gennaio abolito il reddito di cittadinanza, i nuovi strumenti sono farraginosi e punitivi. Granaglia: “Occorre cambiare modello economico”

Luciano Movio/Sintesi 

Rassegnazione e sfiducia sono i sentimenti prevalenti tra quanti si trovano in difficoltà economica. Si sentono abbandonati dalle istituzioni e quasi ritengono che la propria condizione sia inevitabile, che gli anni di Reddito di cittadinanza siano stati un colpo di fortuna immeritato. Troppo diffusa nel nostro Paese è l’idea che la povertà sia una “colpa” dei singoli. Non è così, ci dice l’economista Elena Granaglia che, invece, sostiene che l’aumento delle diseguaglianze sia una diretta conseguenza del modello sociale ed economico. Occorre, afferma la studiosa, intraprendere la via delle opportunità. Così come è impressa nella nostra Costituzione.

 Elena Granaglia

Dal primo di gennaio nessuno più riceve il reddito di cittadinanza, sostituito da un assegno di inclusione per i non occupabili. E poi un assegno, inferiore di importo, per i cosiddetti occupabili che frequentano corsi di formazione. Però né dell'uno né dell'altro si sa praticamente nulla. Che cosa sta succedendo? E soprattutto, a suo giudizio, che cosa sta succedendo a quanti sono in povertà?

È vero che non abbiamo dati ancora precisi, non funziona il sistema informatico e quindi le stesse procedure richieste dalle due misure non possono essere attuate o comunque stanno funzionando abbastanza male. Però abbiamo delle indicazioni che secondo me sono molto preoccupanti. La prima misura, il supporto per la cosiddetta “formazione lavoro”, innanzitutto definisce l’occupabile in maniera strana, non legandolo all’andamento del mercato del lavoro, ma alla presenza o meno di figli minori, di portatori di disabilità, e all’età. Insomma si ritiene non occupabile chiunque abbia carichi di cura. Per di più questo strumento è previsto solo per un anno, unicum in Europa. Insomma si è abolito il reddito di cittadinanza a favore di uno strumento di sostegno per la ricerca di lavoro per persone definite occupabili che sono, in realtà, lontane dal mercato del lavoro da tempo lungo. Non solo. Per aver diritto a questo assegno è stata abbassata la soglia di reddito, portandola da 9.000 a 6.000 euro. Si è quindi deciso che chi sta tra i 6 e i 9.000 euro annui non è più povero? Infine c’è un’altra cosa che mi sembra preoccupante: non si capisce bene dalle norme se sia corretto che queste persone possano accedere al sostegno reddituale solo dopo che hanno attivato con servizi per l'impiego un patto per il lavoro. Quindi, non solo dopo che hanno attivato il patto digitale iniziale, ma solo dopo che abbiano incontrato i servizi per l’impiego. Sappiamo che i servizi per l'impiego molto spesso non riescono a incontrare i beneficiari prima di 120 giorni. Insomma c’è il rischio forte che le insufficienze dei servizi ricadano sull’esigibilità del diritto all’assegno.

Dalle scarsissime notizie che si hanno, sembrerebbe che tra Il numero degli aventi diritto a questo strumento e quanti realmente abbiano fatto la domanda per accedere allo strumento, ci sia uno scarto di oltre il 50%. Come si spiega che chi ha diritto allo strumento non fa nemmeno domanda?

Non accade solo in Italia. Uno scarto più o meno grande tra gli aventi diritto e quanti fanno domanda di strumenti di sostegno al reddito è abbastanza diffuso in Europa. I Paesi devono dotarsi di strumenti di monitoraggio per cercare di capire di più per quale ragione le persone non fanno domanda. In ogni caso da noi, sia la farraginosità dell’attivazione del patto, sia il fatto che sia una misura che richiede una grande condizionalità, per avere l’assegno di 350 euro al mese – oltre a frequentare un corso - si deve andare praticamente ogni 90 giorni al centro per l’impiego, si deve dare conferma dei compiti svolti, accettare qualsiasi offerta di lavoro. Rischia di essere uno strumento di per sé disincentivante. Inoltre, siamo anche in un Paese in cui c'è tanto nero e un lavoro a 350 euro al mese probabilmente si trova. Queste sono soltanto mie illazioni, bisognerebbe assolutamente dare seguito alla raccomandazione europea e mettere in atto sistemi di monitoraggio per capire le ragioni di uno scostamento così forte. Poi, probabilmente, esiste un’altra ragione: molti di quanti sono ritenuti occupabili forse non lo sono, visto che hanno conseguito solo la licenza elementare, sono lontani dal mercato del lavoro da lungo tempo, oppure abitano in zone in cui la domanda di lavoro è praticamente vicina a zero. Occorre capire ma serve interesse a farlo. Invece sembra che l'interesse a capire questo governo ce l'abbia un po’ poco.

E poi è previsto uno strumento per i non occupabili...

Per alcuni aspetti è simile al Reddito di cittadinanza, almeno nella soglia per accedervi, però sono ridotti i contributi per la casa e non esiste più il sostegno per il mutuo. Poi ci sono delle strane scale di equivalenza e dei vincoli molti netti legati all’età dei bimbi. Si prevede che si debbano dare un pochettino più di risorse al nucleo familiare con minori di tre anni. Quando il bambino o la bambina celebrano il compleanno e passano ad avere tre anni e un giorno quella necessità viene meno, come se il bisogno di soldi venisse a cessare perché il bambino o la bambina compie gli anni. Questo è molto, molto bizzarro.

Il governo ha dichiarato già in campagna elettorale che voleva abolire il reddito di cittadinanza: viste le proteste che sono state mosse, ha dovuto inventare degli strumenti che però sembrano più avere come obiettivo quello di limitare l'esborso economico che non quello di pensare davvero a politiche di contrasto alla povertà.

La loro visione di fondo – purtroppo diffusa - è che la povertà sia una colpa, che il lavoro sia lo strumento per affrancarsi dalla povertà e chi non lavora non si da’ abbastanza da fare. Tra le stesse persone fragili è diffusa rassegnazione e sfiducia, che hanno fatto considerare loro come una sorta di colpo di fortuna il periodo in cui hanno percepito il Reddito di cittadinanza.

È la rassegnazione, quindi, la ragione della mancata protesta sociale che pure si poteva immaginare?

Assolutamente sì, molto spesso quando c'è emarginazione, ci si sente marginali. Sicuramente c’è tanta sfiducia, che dipende dal fatto che tutto sommato le istituzioni stanno da tanto tempo lasciando un po’ le persone  al loro destino.

Se invece la povertà è una conseguenza delle scelte di politica economica e di politica sociale che acuiscono le diseguaglianze, quali sono gli interventi che occorre mettere in campo?

Le persone che sono in condizioni di povertà molto spesso lo sono per responsabilità collettiva. Chi sta meglio non ha creato condizioni di uguaglianza e di opportunità per tutte e tutti in una duplice dimensione. La prima è la dimensione individuale: serve dare più istruzione e formazione, certo, poi una serie di servizi di conciliazione. Nessuno può mettere in discussione l'importanza dell'istruzione e dei servizi, però purtroppo la questione è molto più complicata. In un mondo diseguale, il rischio che queste siano invocazioni e che poi nessuno le finanzi in maniera adeguata è assai alto. Ridurre le diseguaglianze è difficile anche proprio da un punto di vista di sostenibilità politica. La seconda questione è che le barriere non sono soltanto di tipo individuale, ma hanno a che fare con la più complessiva struttura sociale ed economica in cui noi viviamo. Se continuiamo, ad esempio, ad avere un mercato del lavoro che produce questi numeri di lavoro povero, è chiaro che anche se li istruiamo tutti un po’ di più, ci sarà sempre un gran numero di persone senza opportunità di vita decorosa. Occorre pensare e realizzare un contesto socio-economico che garantisca una maggiore attenzione a condizioni di vita decenti. Abbiamo delle linee guida da seguire, sono scritte nella Costituzione.

Sforbiciare la spesa sociale è il mantra meloniano che svela l’idea di Paese della destra. Pubblico sempre più piccolo e povero, e il privato brinda

Klimkin (www.pixabay.com) 

Una conferenza stampa durata più di tre ore, piatta oltre che lunga, piena di io e senza alcun noi. Fissata sul qui e ora e priva di qualunque idea di domani, figurarsi di futuro. Con una unica certezza ribadita fin dall’inizio: la strategia della Meloni per far fronte a probabili difficoltà economiche che dovessero sopraggiungere è quella dei tagli alla spesa pubblica. Tagli, è bene ricordare, già abbondantemente realizzati nella manovra da poco entrata in vigore, 7 miliardi in meno ai ministeri, 600 milioni agli enti locali.

LA FOBIA DEL PUBBLICO

Quella di Meloni e del suo governo non è una scelta estemporanea, magari dovuta a contingenze difficoltose, è invece la traduzione in politiche di ideologie e convinzioni profonde. Tutto ciò che è pubblico va via via ridotto a favore del mercato sempre più privo di lacci e laccioli. Teoria vecchia e perdente ma cara al centro-destra che si fonda sulla volontà, anch’essa praticata, di riduzione delle tasse equiparate e “pizzo di stato”. E tra flat tax e condoni anche questa è una strategia perseguita strenuamente tranne quando si alza l’Iva sui prodotti per l’infanzia e per l’igiene intima, sulle accise su benzina e tabacchi, Iva sul gas e oneri di sistema in bolletta. Insomma si riducono le imposte a chi sta meglio o evade si aumentano quelle che colpiscono soprattutto i più fragili.

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MENO TASSE MENO SERVIZI

Peccato che questa strategia sia in netto contrasto con quanto prescritto dalla Costituzione, ma si sa anche la Carta antifascista è vissuta con fastidio da chi risiede a Palazzo Chigi. Il sistema fiscale dovrebbe essere progressivo e la tassazione proporzionale alla capacità reddituale. E il gettito derivante dalle tasse dovrebbe servire a finanziare il welfare pubblico e universale e così a redistribuire la ricchezza prodotta dal Paese. Le politiche di Meloni vanno esattamente nella direzione contraria.

AUSTERITÀ ALL’ITALIANA

Nelle oltre tre ora di domande e risposte la parola sanità non è mai stata pronunciata, figuriamoci se accompagnata dall’aggettivo qualificativo e qualificante Pubblica. Riflette Serena Sorrentino, segretaria generale della Fp Cgil: “Tagli alla spesa, privatizzazioni e riduzione del perimetro pubblico, questa la sintesi della strategia del Governo per affrontare il nodo della mancata crescita dell’economia. Peccato che il definanziamento del Fsn, la riduzione dei servizi pubblici ai cittadini a partire da quelli erogati dagli enti locali a cui si tagliano risorse (regioni e comuni), comporteranno un aumento della spesa privata dei cittadini come dimostra l’andamento della spesa sanitaria”.

E I PRIVATI BRINDANO

È cosa ormai nota che la propaganda meloniana afferma che mai tante risorse sono state aggiunte al Fondo Sanitario, come cosa nota è la falsità di questa affermazione visto che i 3 miliardi previsti non coprono nemmeno l’aumento dei costi causati dall’inflazione. Me non contenti, una quota considerevole è destinato a finanziare la sanità privata sia per l’abbattimento delle liste di attesa sia autorizzando, anzi incentivando, l’aumento delle convenzioni. Mentre nulla è previsto per il rinnovo del contratto e nemmeno per assumere i professionisti della sanità di cui c’è un gran bisogno.

L’ISTRUZIONE PIANGE

“Non c'è traccia o accenno qualunque nelle oltre tre ore della conferenza stampa fiume della presidente del Consiglio al tema dell'istruzione, della formazione della ricerca”. A parlare è Gianna Fracassi, segretaria generale della Flc Cgil, che il mondo della scuola conosce bene essendo insegnante. Aggiunge la dirigente sindacale: “Tema non rilevante evidentemente neppure in raccordo con le sfide di prospettiva (digitalizzazione, intelligenza artificiale, riconversione ecologica, nuove politiche industriali e di sviluppo) che dovrebbero essere al centro dell'azione del governo”. E a piangere, ad esempio, sono i supplenti che non ricevono lo stipendio da settembre, così come le migliaia di precari sia dell’istruzione che dell’università e della ricerca che non vedano all’orizzonte nessuna stabilizzazione.

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LO SGUARDO MIOPE SULLA CONOSCENZA

L’istruzione, la formazione, la ricerca sono i passaporti che consentono ai singoli e al Paese intero di entrare nel futuro e costruirlo. Sarà per questo che proprio non sembrano essere tra le priorità della prima ministra? Sostiene, infatti, Fracassi: “Affrontare il tema del ruolo della conoscenza significa sforzarsi a guardare al futuro, immaginare le prospettive sociali ed economiche del Paese, ma questo è un governo con lo sguardo saldamente rivolto alla contingenza se non al passato”.

Lo dimostrano, prosegue, “le riforme che soprattutto nella scuola stanno riportando in auge vecchie idee e modelli che si basano fondamentalmente su un modello di neosegregazione sociale, di privatizzazione del sistema di istruzione, di canalizzazione precoce dei ragazzi e delle ragazze e di contrasto al modello della scuola democratica di massa. Lo dimostra ancora la riforma principe di questo esecutivo, l'autonomia differenziata che rischia di dare un colpo mortale alla scuola pubblica statale per favorire una dimensione regionale che amplificherà le disuguaglianze sociali oltre che territoriali anche nelle regioni del Nord”.

LE SCELTE, LE CONSEGUENZE

Basta guardare ai primi atti del governo, dall’accorpamento degli istituti scolastici al taglio dei posti negli asili nido previsti dal Pnrr, passando per l’eliminazione di una parte consistenze delle case e degli ospedali di comunità previsti dal Piano di attuazione di Nex generation Eu. Nessun investimento per l’istruzione o per la sanità mentre si prevedono per le farmacie private per trasformale in centri servizi. E così aumenta sia la spesa privata per accedere alle prestazioni che il pubblico non riesco ad erogare, sia quanti non si curano perché non posseggono le risorse per farlo.

Aggiunge Sorrentino: “Meloni rivendica la politica dei tagli lineari che di per sé aumenta le disuguaglianze, occorre invece selettività nel tagliare spesa improduttiva per investire nel lavoro, nel welfare e nella sostenibilità come indicato dal Presidente della Repubblica. La crisi dei pronto soccorso di queste ore segna con evidenza che la sanità è al collasso e il governo ignora totalmente l’emergenza”.

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“Cessate il fuoco: il mondo arabo è in fiamme”

La Nott del Bisò, da qualche anno a questa parte, diventa l’occasione per manifestare per la pace. Di seguito il comunicato stampa di un gruppo di pacifisti ‘Spazi Mirabal’ che contesta l’uso dell’effige del saraceno raffigurante il generale Annibale che viene bruciato dopo la mezzanotte.

 

“Come gruppo di persone impegnate nella lotta al razzismo abbiamo organizzato un’azione di protesta pacifica a Faenza nella serata del 5 gennaio 2024, durante la Nott de Bisò.

Contestiamo il rogo del fantoccio che raffigura un uomo nero (il “Niballo”, cioè Annibale), chiamato saraceno – che rimanda al mondo arabo e musulmano. Quest’anno abbiamo deciso di portare l’attenzione sul razzismo insito a questo evento e sul genocidio in Palestina, con l’obiettivo di far riflettere sull’immaginario collettivo e per poterlo cambiare in futuro, magari già dal prossimo anno. Attraverso la nostra azione chiediamo alla cittadinanza di interrogarsi sull’attualità e la validità di questa rappresentazione e, in particolare, del razzismo di cui questa giovane tradizione è intrisa. L’immaginario crea la cultura e per una cultura di pace crediamo che questo evento debba trasformarsi in qualcos’altro.

Abbiamo esposto la poesia “If I must die” di Refaat Alareer, giovane poeta e letterato palestinese morto il 6 dicembre 2023 sotto le bombe israeliane. Abbiamo aperto un grande striscione con la scritta «Cessate il fuoco! Il mondo arabo è in fiamme!», lo abbiamo portato accanto al rogo. Il tentativo di esporlo dalla balconata del Comune è stato interrotto però dalle forze dell’ordine che hanno impedito l’accesso a due persone di spazi_mirabal con aggressività, fino all’intervento dell’assessore alla sicurezza che ha invece scelto di confrontarsi. Non dimentichiamo che, mentre la cittadinanza festeggia attorno alle fiamme, in Palestina continuano incessentemente i bombardamenti sulla popolazione civile. Dopo 90 giorni e oltre 22 mila morti, durante i quali il governo italiano ha dato supporto a Israele e astensione sulla risoluzione per il cessate il fuoco, queste fiamme non possono non apparire come segno di profonda insensibilità. La nostra critica si rivolge al modo in cui usufruiamo della “tradizione” e alla totale assenza di ragionamento intorno a questo simbolo. La nostra critica non è rivolta alla festa della Nott de Bisò in sé, che può ancora essere un rituale collettivo per fare comunità. Ma la collettività oggi non è quella del 1964: riteniamo che il rogo di una “simbolica persona nera” escluda dalla comunità tutte le persone nere, le persone di origine araba o di fede musulmana, che in quell’immagine trovano una rappresentazione stilizzata e parodica di sé stesse, relegate al ruolo di “nemico” da bruciare, soprattutto in un contesto di razzismo sistemico come quello italiano. La nostra azione intende così aprire la strada a un processo di confronto e trasformazione collettiva per trovare nuovi modi di inaugurare il futuro e trasmettere memorie del passato, a contatto con il presente”.

Le tariffe elettriche più economiche per i clienti domestici sono al momento tutte più care di quelle nel servizio a maggior tutela. Tra i fornitori con i prezzi più bassi spiccano quelli con energia 100% rinnovabile.

Foto gratuita l'uomo a caccia della pila di monete

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Nei primi tre mesi del 2024 la bolletta elettrica avrà un calo del 10,8%, con il prezzo finale per la famiglia tipo (2.700 kWh di consumi annui, residente e 3 kW di potenza impegnata) che – secondo quanto comunicato da Arera – sarà di 25,24 centesimi di euro al kWh, comprensivo di imposte, contro i 28,29 cent€/kWh del quarto trimestre 2023.

Questo ribasso nel regime di maggior tutela è legato alla diminuzione complessiva della spesa per la materia energia, circa -14%, controbilanciato da rialzi per le tariffe di rete regolate (Trasporto e gestione contatore, +2,1%) e oneri generali di sistema (+1,1%).

Qual è invece la fotografia attuale delle offerte nel mercato libero? Cogliamo l’occasione per ricordare che da aprile di quest’anno scadrà definitivamente la tutela sull’elettricità (sul gas è già scaduta a gennaio), gli utenti uscenti dal mercato tutelato entreranno automaticamente per tre anni (o finché non sceglieranno un nuovo venditore) nel Servizio a tutele graduali (Stg), le cui assegnazioni tramite asta sono iniziate lo scorso 11 dicembre e verranno rese pubbliche il 10 gennaio.

Utilizzando il comparatore online realizzato e gestito da Acquirente Unico, siamo andati a vedere le offerte sul mercato libero in questo inizio di 2023 per due profili di consumo diversi, entrambi di residenti con potenza impegnata pari a 3 kW: una persona che vive da sola e consuma circa 2.000 kWh/anno di elettricità (la maggior parte dei quali la sera e nei giorni festivi) e una famiglia con consumi sui 5.000 kWh, distribuiti in tutte le fasce orarie.

Prima di passare ai risultati spieghiamo le principali differenze tra le offerte presentate.

Cosa cambia tra prezzo fisso o variabile, a fasce o monorarie

Le offerte a prezzo fisso prevedono una tariffa unica valida per un periodo più lungo, solitamente un anno, mentre quelle a prezzo variabile prevedono che la quota energia sia indicizzata al valore della materia prima con l’aggiunta di uno spread definito dal venditore.

I contratti a fasce orarie poi prevedono differenti prezzi al kWh in base alle fasce di consumo: F1 di giorno nei feriali, poi F2-F3 rispettivamente la sera e la notte e nei festivi. Nei contratti monorari il prezzo della componente energia resta invece invariato.

Alcuni fornitori specificano inoltre attraverso l’immagine di una fogliolina sul Portale Offerte che la loro produzione di energia proviene esclusivamente da fonti rinnovabili.

Le 4 migliori offerte per chi vive da solo

Ecco le quattro migliori offerteiniziando dal caso della persona che abita da sola, con le principali possibili combinazioni di elementi: prezzo per fasce orarie di consumo vs tariffa monoraria, offerte a prezzo fisso vs prezzo variabile.

Per quanto riguarda le fasce orarie, i 2.000 kWh annui sono stati divisi in 200 kWh in F1 e 900 kWh sia per la F2 sia per la F3.

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Si noti come attualmente tutte le offerte siano superiori al prezzo del servizio in maggior tutela. I prezzi migliori per un single si trovano tra le proposte che combinano il prezzo variabile e la divisione in fasce orarie. Italia Gas e Luce S.R.L., con i suoi 547,82 euro annui stimati, è quella che al momento mette sul piatto l’offerta migliore. Che risulta comunque più costosa che restare nel mercato tutelato. Al momento per la stessa combinazione il servizio a maggior tutela costerebbe 518,64 euro.

Interessante anche notare la presenza di fornitori 100% rinnovabili tra quelli più vantaggiosi. In tutte le combinazioni tranne quella con prezzo fisso e fasce orarie l’offerta più conveniente è anche completamente rinnovabile.

Le migliori offerte per la famiglia con consumi alti

Di seguito, invece, le quattro migliori offerte per un utente che consuma 5.000 kWh/anno, sempre distinguendo le principali combinazioni di prezzi.

Per quanto riguarda le fasce orarie, abbiamo ipotizzato stavolta una ripartizione omogenea, quindi 1.650 kWh in F1, 1.550 in F2 e 1.800 in F3.

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Anche in questo caso tutte le offerte sono superiori alle tariffe regolate da Arera, e anche in questo caso la combinazione più vantaggiosa è quella che abbina la tariffa a prezzo variabile con la divisione in fasce orarie.

Nello specifico, l’offerta più bassa è quella proposta da Agsm Aim Energia, 1207,43 euro annui, quasi del tutto equiparabile al servizio di maggiore tutela: +27,51 euro, che – spalmati su dodici mesi – hanno un impatto minimo soprattutto di fronte a somme più elevate come queste (rispetto a quelle spese dei single).

Come abbiamo fatto le ricerche

Il confronto è stato realizzato sul Portale Offerte realizzato e gestito da Acquirente Unico.

Visto che non tutti i fornitori servono tutte le zone d’Italia, l’area di riferimento per le abitazioni oggetto della ricerca è quella di Piazza di Spagna, a Roma. Inserendo CAP differenti possono variare i risultati delle ricerche.

Va anche ricordato che le proposte possono variare di molto anche anche a pochi giorni di distanza, dato il numero elevato di offerte in continuo aggiornamento da parte dei venditori: la nostra ricerca si basa su quelle presenti nel comparatore il 5 gennaio 2024.