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Giorgetti mette paletti per la prossima legge di Bilancio, stoppando le promesse elettorali
Lega e Forza Italia litigano sulle pensioni ma i fondi non ci sono Il sottosegretario al Lavoro, Claudio Durigon

I tecnici del ministero delle Finanze, guidato da Giancarlo Giorgetti, probabilmente pensavano di aver trovato la quadra per sanare almeno una delle fratture in seno alla maggioranza, quella sulle pensioni. Invece la proposta trapelata in questi giorni ha trovato la contrarietà anche del partito che esprime il ministro.

Alla Lega non è piaciuta l’ipotesi di prolungare le finestre per l’accesso alla pensione anticipata fino a 6 o 7 mesi (al momento è di 3) per chi intende uscire dal lavoro con 42 anni e 10 mesi di contributi (per le donne 41). Che tradotto vuol dire posticipare l’età pensionabile a 43 anni e 5 mesi per gli uomini e 42 anni e 5 mesi per le donne.

Il Carroccio è andato dritto al punto attraverso un altro componente dell’esecutivo Meloni, il sottosegretario al Lavoro Claudio Durigon che ha la delega alla previdenza ed era presente all’incontro tecnico di ieri con gli esperti di Inps e Mef. «Non so se c’è qualcuno nella Ragioneria che cerca sempre di trovare i numeretti e quindi innalzare questa soglia ma le finestre non si toccano», ha detto Durigon.

Già lo scorso anno i principali azionisti del governo Meloni avevano dovuto ingoiare un compromesso ritenuto insoddisfacente da entrambi. Ma che si è rivelato utile per le casse dello stato: i paletti inseriti da Giorgetti sono stati tali da drenare le domande all’Inps con un cospicuo risparmio. Ma quest’anno, con le regionali alle porte, né Lega né Forza Italia possono permettersi di perdere la partita delle pensioni, punto cardine di entrambi i programmi elettorali.

E Tajani rispetto allo scorso anno sente di avere la forza politica per esigere. Per il partito di Berlusconi, il cui elettorato anziano si può sovrapporre ai telespettatori delle reti Mediaset, l’innalzamento delle pensioni minime è un caposaldo fin dalla discesa in campo del cavaliere, quando prometteva mille euro ad assegno. Il segretario attuale, che come richiesto dagli eredi dell’imprenditore deve smarcarsi dalla destra estrema, da giorni dichiara: «L’aumento delle minime è una nostra priorità».

Salvini, dal canto suo, ha incentrato sul superamento della legge Fornero la propaganda leghista degli ultimi anni destinata ai lavoratori precoci, in prevalenza nel Nord. Lo scontro coinvolge anche la presidente del Consiglio che non a caso ha convocato un vertice di maggioranza per domani con i due vicepremier, il primo dopo le tensioni agostane a mezzo stampa. L’accordo sulla previdenza va definito prima del 20 settembre, data entro cui inviare a Bruxelles il Piano strutturale di bilancio, in vista della Manovra 2025.

Le promesse elettorali, quella del Carroccio, che vuole Quota 41, e quella degli azzurri sulle minime, costano e non c’è un euro. Anche perché la retorica del centro destra tutto prevede tagliare le tasse ai ceti medio alti. Le nuove regole del patto di stabilità non consentono deficit e il quadro è fosco: secondo l’ufficio studi della Cgia entro il 2028 gli assegni erogati dall’Inps supereranno le buste paga di operai e impiegati anche al Centro e al Nord.

Anche la promessa di Fdi di allargare il bonus mamme alle lavoratrici autonome è impraticabile e rischia di essere un altro colpo per l’immagine della prima presidente del Consiglio donna che ieri ha a Palazzo Chigi ha incontrato Manfred Weber, leader del Ppe. «Opzione Donna è stata di fatto annullata – spiega la segretaria confederale della Cgil, Lara Ghiglione – mentre i requisiti di età per l’Ape sociale sono stati aumentati, rendendo sempre più difficile per le lavoratrici e i lavoratori poter accedere alla pensione. L’intenzione dell’esecutivo sembra mantenere i lavoratori, soprattutto nel pubblico impiego, al lavoro il più a lungo possibile, senza prevedere alcun turn over».

Per la Cgil anche Meloni ha la necessità di «fare cassa sulle pensioni: le due leggi di Bilancio approvate fino ad oggi lo dimostrano». Intanto il ministero dell’Economia ha mandato ieri una nota per definire «fantasiose e premature» le «indiscrezioni» sulla manovra circolate di questi giorni. Il Mef comunica inoltre che Giorgetti è rientrato dalle ferie martedì ed è «al lavoro sul piano strutturale per consegnare il documento a Bruxelles e in Parlamento nel rispetto dei tempi. Il ministro dell’Economia porterà il piano entro metà settembre in Consiglio dei ministri per l’approvazione»

 
 
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È scomparso Claudio Casadio. Ha diretto a lungo la pinacoteca Claudio Casadio

E' morto Claudio Casadio, per anni direttore della pinacoteca di Faenza. Aveva 70 anni e si è spento ieri. Faentino di nascita, era giornalista iscritto all’Ordine e aveva collaborato con il Resto del Carlino e la Repubblica prima di entrare nella pubblica amministrazione nel 1988, come dipendente della Provincia, in cui era rimasto fino al 2001 con una breve parentesi di un anno al Comune di Faenza, nel 1995. E al Comune di Faenza era tornato nel 2002, per poi passare all’Unione della Romagna Faentina, dove è rimasto fino al pensionamento, avvenuto il 31 maggio 2020.

Casadio ha ricoperto diversi ruoli all’interno della macchina municipale manfreda: dal 2002 al 2005 è stato segretario amministrativo e direttore temporaneo del Mic, mentre nell’aprile 2006 venne nominato responsabile del servizio museale del settore cultura con l’incarico di direttore della pinacoteca comunale e responsabile della scuola di disegno Minardi. Ha inoltre organizzato decine di manifestazioni, conferenze scientifiche ed eventi culturali. È stato autore di testi culturali, artistici e di interventi critici di saggi. Dopo il pensionamento si era trasferito a Forlì dove era molto attivo con il Comitato per la lotta contro la fame nel mondo, anche se continuava a tornare spesso a Faenza, a cui era molto legato.

 
Ieri il sindaco Massimo Isola ha voluto ricordare Casadio con una nota in cui esprime il suo cordoglio. "Lo ricordiamo per aver collaborato in maniera importante ad aprire al grande pubblico la pinacoteca di Faenza che, grazie alla passione che lo animava, aveva reso uno dei fulcri culturali e punto di riferimento per privati e associazioni, non solo della città. Da sempre appassionato alla digitalizzazione della cultura Claudio, comprendendone le potenzialità, ha realizzato i primi supporti per la divulgazione dei contenuti della pinacoteca anche in quella forma attraverso la realizzazione di diversi strumenti, tra cui il primissimo sito internet con accurate spiegazioni del corpus dello spazio espositivo. Oltre al rapporto professionale, condividevo con Claudio la stessa passione per la cultura e la politica"
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Medio Oriente. Operazione israeliana a Jenin, Tulkarem e Tubas. Dieci combattenti uccisi, campi devastati. Ordinato il coprifuoco per 80mila persone

Per terra e cielo, invasa mezza Cisgiordania Una madre fermata e in attesa di essere identificata dall’esercito israeliano durante l’operazione scattata a Jenin foto di Alaa Badarneh/Ansa

L’operazione militare lanciata ieri racconta una storia lunga sei decenni: è la Cisgiordania il vero obiettivo di Israele, non Gaza. Di Gaza non sa che farsene: territorio tra i più ricchi e liberali prima del 1948, dalla Nakba è una terra disastrata, definitivamente annichilita dall’assedio totale iniziato nel 2007. Dentro ci vivono 2,2 milioni palestinesi, praticamente lo stesso numero della Cisgiordania ma in un fazzoletto di terra infinitamente più piccolo. Ariel Sharon nel 2005 ordinò il ritiro di esercito e coloni non perché spinto da un inatteso desiderio di pacificazione, e difatti l’occupazione non è finita, si è solo resa invisibile.

Apparizioni improvvise, «da remoto»: bombardamenti a tappeto e confini sigillati. Si ritirò perché Gaza non interessa. La Cisgiordania è un’altra cosa: è «Giudea e Samaria», così la chiamano le autorità israeliane; è terra destinata a Israele, così la pensa l’ultradestra messianica oggi al governo. È l’obiettivo: confiscare più terra possibile con meno palestinesi possibile e realizzare un’annessione di fatto, come ora dice anche la Corte internazionale di Giustizia. Con buona pace della soluzione a due stati che riempie la bocca delle cancellerie occidentali.
In questi due anni di governo di ultradestra il progetto è stato portato avanti con l’ausilio dei coloni – in apparenza civili che operano per conto loro, in realtà braccio armato dell’autorità – e dai raid militari quasi quotidiani dentro le città (652 i palestinesi uccisi dal 7 ottobre). Ieri si è raggiunto un nuovo apice, con 80mila palestinesi prigionieri a Jenin, Tulkarem e Tubas e un assalto per terra e per cielo.

VENTIDUE ANNI FA l’invasione delle città cisgiordane avvenne in piena Seconda Intifada. La vita si fermò, la quotidianità divennero i funerali, gli scontri armati, i coprifuoco, gli arresti di massa e gli assedi, con due città simbolo della brutalità della risposta alla sollevazione palestinese: la Chiesa della Natività a Betlemme e la Muqata, il palazzo presidenziale, a Ramallah. Nella prima avevano cercato riparo 230 palestinesi, tanti combattenti; nella seconda viveva Yasser Arafat, leader dell’Olp e dell’Autorità nazionale palestinese.

L’operazione iniziata ieri ricorda Scudo Difensivo, 2002. Un’azione coordinata, lanciata in piena notte, che travolge la Cisgiordania settentrionale e i campi profughi negli ultimi anni alcova alla rinnovata lotta armata palestinese, Jenin, Tulkarem, Tubas. Poche ore dopo, nel primo pomeriggio, colonne di soldati a piedi sono penetrate a Shuafat, il campo di Gerusalemme.

La redazione consiglia:

Negoziato e bombe senza preavviso. Nella Striscia la tregua può attendere

I coprifuoco, gli ultimatum dell’esercito che danno tre ore ai residenti del campo di Nur Shams per andarsene, il ministero degli esteri che evoca l’«evacuazione» del nord della Cisgiordania ricordano anche altro. Fanno pensare a Gaza, modalità simili, stesso obiettivo: ridurre la popolazione palestinese in spazi sempre più

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Davanti agli occhi. Onu: 1,8 milioni di palestinesi stipati in 40 chilometri quadrati, l’11% della Striscia. L’esercito israeliano recupera un ostaggio. I coloni uccidono un palestinese in Cisgiordania. Violento attacco a Tulkarem: 5 vittime

Amnesty: indagate i raid di Israele a Gaza come crimini di guerra Tulkarem dopo il bombardamento - Getty ImageTulkarem dopo il bombardamento - Getty Images

Si sono radunati quasi in riva al mare, prima a centinaia poi a migliaia, hanno di nuovo montato le loro tende sperando di sfuggire ai bombardamenti e ai combattimenti nell’area tra Deir al Balah e Khan Yunis dove avanzano i reparti corazzati israeliani con l’appoggio dell’aviazione. L’offensiva militare israeliana è interminabile. I civili di Gaza speravano che dal Cairo arrivasse finalmente l’annuncio del cessate il fuoco. Le cose ancora una volta sono andate diversamente e l’ottimismo artificiale degli Stati uniti sull’andamento «positivo» delle trattative non convince chi ogni giorno deve lottare per mangiare e cercare di rimanere vivo.  «Scappando continuamente siamo arrivati al mare, la prossima volta dovremo entrare in acqua per salvarci» commentava ieri con amarezza Aya Yazji, una sfollata intervistata da una agenzia di stampa. «Ci dicono che i colloqui procedono e che un accordo è vicino, poi tutto cade come polvere – ha aggiunto la donna – I negoziatori sanno che ogni giorno più famiglie vengono spazzate via dai bombardamenti israeliani? Il mondo capisce che ogni giorno ci costa vite umane?».

Almeno 41 palestinesi ieri sono stati uccisi dagli attacchi israeliani a Gaza, riferiscono dal ministero della Sanità. Decine i feriti, che non si sa più dove portarli. L’avanzata dei mezzi corazzati ha messo sotto pressione ulteriormente l’ospedale Al Aqsa di Deir al Balah. L’ordine di evacuazione lanciato domenica ha spinto centinaia di pazienti, personale medico e sfollati a fuggire in preda al panico. Dei circa 650 ricoverati, solo 100 rimangono in ospedale, di cui sette in terapia intensiva. Tra il 16 e il 25 agosto 2024, l’esercito israeliano ha emesso cinque ordini di sfollamento nella zona centrale di Gaza, in particolare a Deir Al-Balah e le aree circostanti: tutte erano state precedentemente designate come parte della cosiddetta zona di sicurezza umanitaria. Le Nazioni unite stimano l’88,5% del territorio di Gaza sia stato sottoposto a ordini di sfollamento. «Circa 1,8 milioni di palestinesi sono stipati in un’area di 40 chilometri quadrati, ossia l’11% di Gaza, nella zona di Mawasi la densità è sbalorditiva: 45.000 persone per chilometro quadrato» spiega Samir Zaqout, il direttore della ong per i diritti umani al Mezan che avverte: «qualsiasi singolo attacco in quell’area potrebbe uccidere centinaia di palestinesi in una volta».

A questo proposito Amnesty International, con una indagine pubblicata ieri, afferma che lo scorso maggio, le Forze armate israeliane non hanno preso le necessarie precauzioni per ridurre al minimo i danni agli sfollati mentre realizzavano attacchi contro comandanti e combattenti di Hamas e del Jihad islami nel sud della Striscia. Entrambi gli attacchi, sostiene Amnesty, dovrebbero essere indagati come crimini di guerra. Il 26 maggio, riferisce l’ong, due attacchi aerei sul Kuwait Peace Camp, a Tal al-Sultan (Rafah), hanno ucciso almeno 36 persone, tra cui sei bambini. Solo quattro delle vittime erano combattenti, tra cui due comandanti di Hamas. L’attacco è stato compiuto con due bombe guidate GBU-39 di fabbricazione statunitense che esplodendo proiettano frammenti mortali su un’ampia area. Da qui l’elevato numero di vittime. Il 28 maggio, nel secondo incidente indagato, l’esercito israeliano ha sparato almeno tre colpi con un carro armato in una località nell’area di al-Mawasi (Rafah), designata come zona umanitaria. Le cannonate hanno ucciso 23 civili, tra cui 12 bambini, sette donne e quattro uomini. Gli obiettivi apparenti dell’attacco erano un combattente di Hamas e uno del Jihad ma le munizioni, usate in un’area piena di sfollati, non potevano non causare una strage di civili.

A Gaza ieri è stato recuperato Qaid Farhan Alkadi, un palestinese beduino con cittadinanza israeliana, preso in ostaggio il 7 ottobre. L’esercito israeliano ha detto di aver messo in atto una «operazione coraggiosa e complessa» con l’utilizzo di truppe di unità scelte e sulla base di «precise informazioni di intelligence», per trovare Alkadi in un tunnel nella zona meridionale di Gaza. L’uomo, hanno aggiunto i media israeliani, sarebbe riuscito a fuggire da solo prima dell’arrivo dei soldati che l’hanno trovato. Le sue condizioni di salute sono buone. Sono poco più di 100 gli ostaggi ancora a Gaza, un terzo dei quali morti secondo le informazioni in possesso di Israele.

In Cisgiordania i coloni israeliani appaiono sempre di più fuori controllo. Lunedì sera, mentre a Nur Shams (Tulkarem) un drone uccideva cinque militanti di Hamas, un civile palestinese Khalil Khalawi, è stato ucciso dai proiettili sparati da coloni entrati nel villaggio di Wadi Rahal (Betlemme) dopo il lancio di sassi da parte di ragazzi palestinesi contro auto israeliane. Il capo del consiglio municipale di Wadi Rahhal, Hamdi Ziadeh, ha riferito che i coloni hanno attaccato diverse abitazioni vicino alla scuola e che i soldati, giunti poco dopo, non hanno fatto nulla per proteggere gli abitanti del villaggio.

Durante la prima metà del 2024, i coloni hanno uccisi 7 palestinesi. Con Khalil Khalawi il numero dei palestinesi colpiti a morte dal 7 ottobre da soldati e coloni israeliani è salito a 651

 

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Guerra ucraina. Secondo giorno di bombardamenti a tappeto sulle città ucraine. Le forze di Mosca conquistano un altro villaggio nel Donetsk. La manovra di Kiev è un successo, ma servono soldati per difendere il Donbass

I soccorritori cercano le vittime del raid russo contro un hotel nella città ucraina di Kryvyi Rih foto Epa I soccorritori cercano le vittime del raid russo contro un hotel nella città ucraina di Kryvyi Rih - Epa

Secondo giorno di bombardamenti a tappeto sulle città ucraine, la vendetta russa per l’invasione di Kursk è in corso. I falchi  del governo russo esultano per la «punizione» al nemico, anche se finora non si registrano azioni davvero eclatanti. Joe Biden ha parlato di «attacchi scandalosi» mentre da Pechino il rappresentante speciale per gli affari eurasiatici Li Hui ha espresso preoccupazione per le azioni ucraine verso «il territorio russo con le armi fornite dall’occidente».

In parallelo, secondo la rivista Politico, alcuni funzionari ucraini starebbero preparando una lista di obiettivi a lungo raggio in Russia che l’esercito di Kiev potrebbe colpire se Washington revocasse le restrizioni sulle armi statunitensi. Anche l’India si è fatta avanti e il primo ministro Modi ha sentito telefonicamente Vladimir Putin per offrirgli la propria «collaborazione a trovare una soluzione» al conflitto. Intanto le forze ucraine hanno tentato uno sfondamento senza successo nella regione russa di Belgorod ma rivendicano nuove conquiste nel Kursk, mentre in Donbass i russi continuano ad avanzare e ieri hanno annunciato la conquista del villaggio di Orlivka, a pochi chilometri da Pokrovsk.

DOPO MESI di relativa stasi e interesse decrescente verso le vicende belliche est-europee le ultime settimane hanno fatto registrare un’accelerazione coincisa con le iniziali aperture ucraine a una nuova conferenza di pace (dopo il primo deludente appuntamento in Svizzera) a cui partecipassero anche Russia e Cina. Ma quell’inaspettata apertura del presidente Zelensky è stata subito ribaltata dai fatti: l’invasione della regione di Kursk ha chiuso ogni spiraglio a eventuali trattative per un cessate il fuoco. Almeno per ora.

Mosca è stata categorica, «non è il momento di parlare di negoziati» ha affermato il ministro degli esteri Lavrov, mentre la destra di Putin invoca una rappresaglia esemplare. Gli attacchi degli ultimi due giorni sarebbero una risposta a quelle spinte, ma blogger militari, commentatori tv e i funzionari che hanno chiesto la testa di un responsabile per la figuraccia in mondovisione non hanno placato la propria sete di sangue.

Anche perché per ora gli ucraini continuano a imperversare nel Kursk. Stando alle dichiarazioni del comandante in capo delle forze armate ucraine, Oleksandr Syrsky, i soldati di Kiev «stanno ancora avanzando» e attualmente controllerebbero cento insediamenti oltre frontiera, pari a quasi 1.300 kmq del territorio russo. Il generale ha anche fornito i primi dati ufficiali, impossibili da confermare in maniera indipendente, sui prigionieri di guerra russi che avrebbero già raggiunto la cifra impressionante di 600 uomini.

Tuttavia, Syrsky ha anche ammesso che le forze russe stanno rafforzando le proprie posizioni sul fronte orientale, nell’area di Pokrovsk, e continuano ad avanzare per «cercare di interrompere la catena di approvvigionamento ucraina verso il fronte del Donbass. «Ad oggi – ha concluso il capo di stato maggiore – circa 30mila militari russi sono stati inviati al fronte di Kursk e questa cifra è in crescita».

SUL FRONTE DIPLOMATICO Zelensky ha preso parola spiegando l’improvviso cambio di direzione della comunicazione ucraina, da una possibile trattativa al contrattacco in territorio nemico: «Il mondo intero sta aspettando che l’Ucraina presenti una proposta di compromesso su come porre fine alla guerra domani. Non è che non ci siano compromessi con Putin, ma con lui oggi il dialogo sarebbe vuoto, privo di significato, perché non vuole porre fine alla guerra con mezzi diplomatici».

Il capo di stato ha anche annunciato che presto presenterà una proposta di pace ai candidati alle presidenziali Usa. Nell’attesa di ulteriori sviluppi sul fronte diplomatico, Ukrainska pravda fa sapere che il presidente ha annunciato lo scorso 24 agosto che il test del primo missile balistico interamente prodotto in Ucraina è andato a buon fine.

Sia l’offensiva nel Kursk sia il nuovo missile ucraino non fermano la quotidianità della guerra, fatta di bombardamenti devastanti e del timore crescente per l’arrivo dell’inverno con la rete energetica nazionale che continua a perdere infrastrutture importanti. Negli attacchi russi di ieri almeno cinque persone sono morte e una ventina ferite in cinque diverse regioni ucraine, da Sumy, nell’est, a Khmelnytskyi, nell’ovest, passando per Zaporizhzhia. A Kryivy Rih è stato registrato il bilancio peggiore con tre caduti.

Il generale Nikolai Oleshchuk, comandante dell’aeronautica ucraina, ha parlato di 10 missili di diverso tipo e di 81 droni. Tutti abbattuti gli ordigni diretti verso la capitale, secondo il capo dell’amministrazione militare della città, Sergiy Popko.

Sul fronte orientale la lenta avanzata russa prosegue e i soldati di Mosca, stando al ministero della difesa, sarebbero ormai a soli 15 km da Pokrovsk. Quando i russi, come sembra al momento, arriveranno alle porte della città ai generali ucraini si porrà un dilemma tremendo: ritirare i reparti e i mezzi corazzati occidentali da Kursk per difendere il Donbass o tenere le posizioni sperando che quei pochi chilometri valgano qualcosa durante le trattative che, in un punto ancora impreciso del futuro, giocoforza, dovranno aprirsi?

***

Aiea nella centrale: «Rischio incidente atomico»

Per la centrale atomica russa di Kursk esiste il «pericolo di un incidente nucleare». Lo riferisce l’agenzia di stampa russa Interfax citando il direttore generale dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea), Rafael Grossi, che ieri ha visitato l’impianto a pochi chilometri dal fronte aperto dagli ucraini nella regione russa oltreconfine.

Grossi ha anche rilevato che a Kursk ci sono «tracce di attacchi di droni» sul territorio della centrale nucleare di Kursk, velivoli che non possono non essere ucraini, anche se non ha formulato accuse dirette. Il direttore generale dell’Aiea ha ribadito l’appello ai belligeranti affinché l’impianto di Kursk e gli altri coinvolti nel conflitto (Zaporizhzhia, ndr) non diventino terreno di scontro militare «in nessuna circostanza»

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Francia. «Incontrerò chiunque lavori per il paese»: dopo il niet a Melenchon (celebrato da Confindustria) l’agenda del presidente sembra vuota. «Nessun governo che prolunghi le sue politiche»: persino i socialisti presentano il conto

Francia, via la sinistra ma non basta: la crisi ora si chiama Macron Il presidente francese Emmanuel Macron - foto Ap/Aurelien Morissard

Oggi Emmanuel Macron riceve il presidente tedesco Franz-Walter Steinmeier per la cerimonia di apertura dei Giochi Paraolimpici a Parigi. Ieri, accanto al taoseach Simon Harris, primo ministro irlandese, il presidente ha affermato che all’Eliseo «la porta è aperta» a «coloro che vogliono lavorare per gli interessi superiori del paese» e «i lavori continuano» per trovare una coalizione che possa governare la Francia, con un parlamento diviso in tre blocchi.

INTANTO MACRON INCASSA l’espressione di sollievo del Medef (la Confindustria francese): il presidente del padronato, Patrick Martin, si è detto «rassicurato» per il niet del presidente all’ipotesi di un governo guidato dalla candidata della sinistra Lucie Castets, sospettata di voler “disfare” tutta la politica pro-business messa in opera negli ultimi sette anni. Il secondo round delle “consultazioni”, ieri, è stato modesto: hanno salito i gradini della cour d’honneur dell’Eliseo i rappresentanti del gruppo Liot (oltremare e territori), che rivelano che ci sarà una decisione sul primo ministro a breve, nel fine settimana, di ritorno dal viaggio in Serbia, venerdì. Poi c’è stato un pranzo con François Bayrou, del MoDem (il gran manitou della coalizione macronista), che ha criticato la centralità del dialogo con i partiti privilegiato da Macron. Oggi dovrebbero presentarsi i Républicains, che hanno già presentato un «patto legislativo» in una ricetta molto maison, senza aperture alle altre forze politiche, nell’illusione di preservare le (poche) chances di Laurent Wauquiez come candidato alle presidenziali del 2027 – l’ossessione di tutti i leader che mina la politica francese.

MISTERO SUGLI INVITI delle consultazioni, nessuna certezza per gli ex presidenti François Hollande e Nicolas Sarkozy, come sulle «personalità che si sono distinte al servizio dello stato» evocate alla vigilia da Macron. Circolano voci su possibili candidati, soprattutto personalità “tecniche” (come Didier Migaud, già presidente della

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