Centrosinistra. Coro di lodi per l’ex premier, i dem si dicono pronti a governare ma non è chiaro per fare cosa. Fratoianni: «Abbiamo già dato». Schlein insiste sui 5 punti per l’alternativa, l’ipotesi di una contromanovra
Il rapporto di Draghi sull’Ue dissotterra vecchie nostalgie in casa Pd. E mostra come la costruzione del programma della cosiddetta alternativa a Meloni sia ancora molto indietro. «Prepariamoci a governare», ha detto Schlein domenica chiudendo la festa dell’Unità a Reggio Emilia e indicando 5 titoli: sanità pubblica, istruzione e ricerca, lavoro e salari, politiche industriali e diritti sociali e civili. Titoli appunto, dietro cui ancora non si intravedono proposte concrete in grado di ribaltare l’attuale assetto della società della società italiana e le crescenti diseguaglianze.
IL RITORNO IN SCENA di Draghi riattizza vecchie passioni: l’agenda dell’ex presidente della Bce, al centro della rovinosa divisione del 2022 che consegnò l’Italia alla destra di Meloni, non è stata dimenticata dei dem: «Indica la via corretta per il futuro dell’Europa ed è una sana frustata sulle pigrizie degli Stati nazionali», dice Nicola Zingaretti. «Ora tutte le istituzioni governi, commissione, parlamento siano all’altezza della sfida. Noi, in parlamento europeo, faremo la nostra parte». Così anche Matteo Ricci: «Ci indica un percorso chiaro di riforme per rafforzare competitività e inclusione sociale, realizzare la transizione green e giungere a un’Europa democratica, più forte e unita, libera dai veti dei singoli stati e davvero capace di guardare al futuro».
«Il suo rapporto è una strigliata agli Stati membri perché non è più tempo di timidezza politica», dice Camilla Laureti, eurodeputata: «La sfida climatica può e deve essere una grande occasione anche di sviluppo, fondata sulla coesione sociale e sui diritti del lavoro». «Il suo è un messaggio fortissimo, serve uno sforzo più che doppio rispetto al piano Marshall, 800 miliardi di investimenti comuni all’anno», rilancia il responsabile economico Antonio Misiani. «Il Next Generation Eu non può essere una finestra che si chiude sotto la spinta delle destre nazionaliste. Deve essere il primo passo di un piano industriale europeo che serve anzitutto all’Italia».
GLI ESPONENTI DEL PD trascurano l’importante parte del rapporto Draghi dedicata alla crescita delle spese militari, nonostante Schlein abbia detto a più ripresa che «l’Europa è nata come progetto di pace e non può diventare un’economia di guerra». Solitaria si leva la voce di Arturo Scotto, che loda l’idea di fare nuovo debito comune europeo per investimenti pubblici, ma avverte: «Non dobbiamo partecipare alla corsa al riarmo sulla scia della grandi potenze mondiali». «Il futuro del nostro continente non può essere costruito sulla guerra e sull’aumento delle spese militari», avvertono Bonelli e Fratoianni di Avs. Che ricordano come «l’attuale impalcatura europea è incompatibile con la necessità di maggiori investimenti per innovazione e transizione green e coesione sociale». «Serve una rottura con queste logiche, non il loro rafforzamento», insistono i leader di Avs.
«Noi siamo molto determinati nella costruzione di un fronte di alternativa», spiega Fratoianni al manifesto. «Ad oggi siamo lontani dalla scrittura di un programma, noi abbiamo idee chiare su guerra, lavoro, fisco, energia, e siamo pronti a metterle a disposizione di una discussione collettiva. Ma non sarà Draghi a scrivere il programma del centrosinistra, con la sua agenda abbiamo già dato nel 2022…».
«SULL’UE DRAGHI SI RAVVEDE in ritardo», attacca il vicepresidente del M5S Mario Turco. «Peccato che abbia nel recente passato ricoperto ruoli, prima alla Bce, poi in Italia, che avrebbero dovuto spingerlo a innescare quei cambiamenti che oggi sottolinea con tanta urgenza». Duro anche Pasquale Tridico, capodelegazione dei 5S a Bruxelles: «Da Draghi un lucido atto di accusa contro le politiche neoliberiste sulle quali poggia l’attuale impalcatura europea. Ma lui dov’era fino ad oggi? Per difendere i valori fondamentali europei – la prosperità, l’equità, la libertà, la pace e la democrazia – servono nuove ricette e nuove personalità in grado di portarle avanti senza compromessi al ribasso e con meno ipocrisie».
CALENDA, OSPITE della festa Pd a Milano, ribadisce di non volersi «arruolare» nel campo largo: «Puoi convergere quando hai un’agenda di governo. Ho l’impressione che la politica italiana pensi che continuerà tutto come gli ultimi 30 anni, dove si può dire “stiamo insieme contro Tizio e Caio”, ma è molto più dura di così. Con Schlein ci sono differenze programmatiche molto pronunciate, dall’Ucraina alla transizione green che, così come è fatta, rischia di essere un disastro sociale». L’idea di una contromanovra delle opposizioni, fortemente voluta dai dem, per ora resta un miraggio
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Un Piano Marshall non basta, ce ne vogliono due, 800 miliardi l’anno contro la «lenta agonia» dell’Europa. Il report sulla competitività di Mario Draghi mette al centro di tutto la spesa per la difesa. Investimenti tecnologici e bellici comuni: per salvare l’Europa bisogna armarla
Debito di guerra. L’ex presidente del Consiglio ha indossato le vesti del profeta: 800 miliardi all’anno per tenere testa a Stati Uniti e Cina: "La produttività è una sfida esistenziale per l’Unione Europea. Servono investimenti come negli anni '60-'70, 5% di Pil all’anno". Von Der Leyen: "Necessari fondi per alcuni progetti europei comuni. Definiremo se li finanzieremo con contributi nazionali o con nuove risorse proprie". Tutto per difendere il «modello sociale europeo» senza toccare i disastri di 40 anni di neoliberalismo
Mario Draghi con la presidente della Commissione Europea Ursula Von Der Leyen - Ansa
Armi, microchip, intelligenza artificiale e «energia green» per salvare i diritti sociali senza però rimediare ai danni di 40 anni di neoliberalismo. Avvolto in un’aura sacrale Mario Draghi ieri è tornato a indossare i panni del profeta.
PRESENTANDO il rapporto sul «Futuro della competitività» chiesto dalla presidente della Commissione Europea Ursula Von Der Leyen ieri Draghi ha detto che l’Europa «corre un rischio esistenziale». È il vaso di coccio nella guerra industriale e commerciale tra Stati Uniti e Cina. Per evitare di mettere fine al «modello sociale europeo», o meglio di ciò che ne resta sotto altre spoglie, l’Unione europea deve ripensarsi radicalmente e varare uno strumento finanziario di «debito comune» da 800 miliardi di euro all’anno. Insomma, un Next Generation Eu (chiamato in Italia «Piano nazionale di ripresa e resilienza – Pnrr») moltiplicato per otto. Ogni anno.
UNA MONTAGNA DI SOLDI che dovrebbero finanziare principalmente l’industria dei missili e dei carri armati, della tecnologia digitale, delle infrastrutture. L’obiettivo è partecipare a uno speciale campionato, quello della guerra dei capitali, in cui formare «campioni europei» che, forse in un giorno non precisabile, potranno competere con gli oligopoli statunitensi e i cinesi. La pace, i diritti, la politica si fanno con le armi in pugno.
L’economia europea sempre più “a mano armata”
IL PROGETTO è stato ufficializzato due giorni prima dalla composizione della nuova Commissione Europea. A dire di Von Der Leyen, che ieri ha affiancato Draghi in uno show annunciato, l’ambizioso testo è già «sul tavolo del Consiglio» dove siedono i governi degli Stati membri. I commissari designati all’esecutivo europeo dovranno impegnarsi ad applicare le 170 proposte riassunte, in maniera legnosa, in 62 pagine. Anche se non porta benissimo, visti gli esiti che ha prodotto in Italia, il rapporto è stato ribattezzato «Agenda Draghi» dall’entusiasta Partito democratico in giù. Critici invece l’Alleanza Verdi Sinistra e Cinque Stelle.
CON UN’EUROPA politicamente a pezzi, dilaniata dallo scontro tra il mercantilismo e il nazionalismo, è remota la possibilità di
Leggi tutto: Momento Draghi: l’Europa si salva con le armi e i capitali - di Roberto Ciccarelli
Commenta (0 Commenti)Nella foto: Jannik Sinner vince gli Us Open battendo Taylor Fritz @AP Photo/Julia Nikhinson
Oggi un Lunedì Rosso che analizza le “destre all’assalto”, in Italia come in Francia e in Germania. Ma se nel nostro paese, sempre più povero e diseguale, Giorgia Meloni deve fare i conti con il caso Sangiuliano, oltralpe il piano di Macron (e Le Pen) ha portato alla nascita dell’esecutivo guidato da Michel Barnier, conservatore vecchio stampo, e in Germania, dal voto in Turingia e Sassonia, emerge un’onda di piena dell’estrema destra nazionalista, ma non ancora sufficiente ad aprirle le porte del potere di governo. Il tutto, mentre il “salto di qualità” del conflitto ucraino sta aprendo le porte verso il disastro.
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Si prendono tutto. Parla Osama Musleh, padre della ragazza assassinata a Kufr Dan. Nel campo la corsa per riparare i danni fatti dall’operazione israeliana
Una strada distrutta dall’operazione militare israeliana a Jenin - Majdi Mohammed /Ap
Osama Musleh, ha cercato di dare alla sua famiglia una vita dignitosa. Manovale, pronto ad accettare qualsiasi lavoro, qualche anno fa aveva finalmente costruito la sua casa nel villaggio di Kufr Dan, alle porte di Jenin. «Non abbiamo mai fatto del male a nessuno e grazie a Dio siamo nella nostra casa, nella nostra terra. Martedì in un secondo è cambiato tutto. Mia figlia Lujain di 16 anni è stata uccisa da un cecchino israeliano, perché?» ripete l’uomo quasi cercando una risposta dalle persone presenti nella stanza. «Lujain non è salita sul tetto, non ha lanciato una pietra e non aveva un’arma». E aggiunge: «L’unica cosa che ha fatto è stato guardare dalla finestra e un soldato le ha sparato alla fronte. È morta sul colpo». Un vicino di casa, incuriosito dalla presenza di un giornalista straniero, entra nella stanza. Scuote la testa mentre Osama Musleh sottolinea lo shock subito dalle quattro sorelle e dal fratello della ragazza uccisa. «Non riescono a dormire e non escono di casa, temono di essere uccisi in qualsiasi momento anche se i soldati israeliani non ci sono più, almeno per adesso, ho dovuto chiamare il medico più volte», prosegue servendoci il caffè amaro del lutto.
KUFR DAN è stato uno dei centri intorno a Jenin oggetto dell’offensiva «Campi Estivi» lanciata a fine agosto dall’esercito israeliano nel nord della Cisgiordania. «Per colpire le organizzazioni terroristiche palestinesi», ha detto il ministro della Difesa Yoav Gallant. Operazione che ora sarebbe in «pausa» dopo aver ucciso quasi 40 palestinesi tra cui diversi civili come Lujain Mosleh. Il giorno in cui la ragazza fu colpita a morte, le camionette blindate dell’esercito circondarono una abitazione con «due sospetti». Ci fu uno scontro a fuoco per circa un’ora. Il portavoce dell’esercito ha spiegato la morte di Lujain con «il fuoco aperto da un tiratore scelto verso un sospetto» per proteggere le truppe. «Non si può sparare a chiunque apra una finestra a casa sua, mia figlia ha solo dato uno sguardo fuori. Mi chiedo come quel soldato possa continuare la sua vita dopo aver ucciso una innocente…ma agli israeliani non importa nulla di noi». Le stesse parole che a Qaryout, ad alcune decine di chilometri di distanza, ripete Amjad Laboum, il padre di Lana, 13 anni, uccisa in casa venerdì da un proiettile sparato mentre ad alcune decine di metri gruppi di coloni israeliani, alla presenza dell’esercito, lanciavano pietre alle case e incendiavano i campi coltivati prima di scontrarsi con gli abitanti del villaggio. L’esercito si è limitato a comunicare di aver aperto una indagine. In quelle stesse ore a Beita spari dei soldati uccidevano l’attivista Aysenur Ezgi Eygi.
L’esercito di Israele a Jenin in dieci giorni ha sistematicamente spaccato le strade e distrutto tutto ciò che poteva
A JENIN intanto il comune, gli abitanti e volontari giunti anche da centri vicini con decine di ruspe sono stati in grado di rimuovere rapidamente una buona porzione delle macerie delle strade sventrate dal passaggio dei bulldozer militari israeliani. E hanno ripristinato l’elettricità in gran parte della città e del campo profughi. «Gli israeliani hanno sistematicamente spaccato l’asfalto e distrutto tutto ciò che potevano», ci dice Atef Abu Yafa, un impiegato comunale che abita non lontano dal campo profughi, «così facendo hanno distrutto chilometri e chilometri della rete fognaria, le acque nere hanno allagato le strade esponendo la popolazione al pericolo di malattie». Uno dei problemi principali sono le famiglie sfollate. «Ci sono dozzine di case distrutte o danneggiate nel campo, a Damj e altri quartieri orientali di Jenin. Le famiglie che le abitano si sono spostate da amici e parenti o in alloggi di fortuna. Non sarà facile trovare per loro una soluzione in tempi rapidi», aggiunge Abu Yafa. A pochi metri da lui degli operai lavorano sotto un sole cocente per riparare un tratto delle fognature. Israele ha spiegato la distruzione delle strade con la ricerca di «ordigni esplosivi» nascosti sotto l’asfalto. «È assurdo quanto affermano, in queste strade camminano gli abitanti e le procedono le nostre auto, non si può pensare che ci siano degli esplosivi».
Fermiamo un paio di giovani. Sono sospettosi, non si fidano dei giornalisti stranieri. Poi accettano di rispondere a qualche domanda. «Se gli israeliani credono di poter piegare la nostra volontà distruggendo e ammazzando i nostri shebab (giovani combattenti, ndr) si sbagliano. Non ci arrendiamo», ci dice uno di loro. «Non importa quanti combattenti ammazzeranno, per uno che muore altri dieci sono pronti a prendere il suo posto», aggiunge l’altro. A Jenin sono stati uccisi 22 degli oltre 30 palestinesi colpiti dall’operazione israeliana, anche con l’uso massiccio di droni.
A GAZA non si arresta la strage quotidiana. Gli attacchi israeliani hanno ucciso almeno 61 persone nell’arco di 48 ore, hanno riferito fonti del ministero della Sanità. Un raid aereo sul complesso scolastico di Halima al-Saadiyya, dove hanno trovato un rifugio migliaia di sfollati del campo profughi di Jabalia, ha ucciso almeno otto persone. Israele sostiene di aver colpito nella scuola un «centro di comando di Hamas». Centrata da una bomba anche un’altra scuola, la Amr Ibn Alaas: quattro i morti. Altre cinque persone sono state uccise in un attacco contro un’abitazione a Gaza city
Commenta (0 Commenti)La mobilitazione. La campagna contro le spese militari, il referendum contro l'autonomia differenziata, il forum per il diritto all'abitare... le proposte che hanno attraversato il forum di Sbilanciamoci. La protesta: "La zona rossa e il clima antidemocratico hanno impedito il vero confronto con il Forum Ambrosetti"
Il clima antidemocratico, opprimente e indifferente che sta dilagando in Europa e in Italia lo si è visto anche in questi giorni sul lago di Como.
A distanza di una decina di chilometri, da un lato, c’è il Forum Ambrosetti alla Villa d’Este di Cernobbio con la sua prosopopea cinquantennale che ha ammannito la «normalità» di un rancido neoliberalismo, con un’economia di guerra, con la torsione autoritaria del neoliberalismo che ben si sposa con l’estrema destra al governo. Dall’altro lato del lago, a Como, c’è il «Controvertice». Si chiama l’«Altra Cernobbio». È organizzata dalla rete composta da 52 associazioni di Sbilanciamoci. Dopo i divieti, oggi finalmente si ricaverà uno spazio al centro civico Cernobbio 2000. Lo si può seguire online su Ecoinformazioni.
«Anche quest’anno il Forum Ambrosetti non ha accettato di confrontarsi con noi – ha detto Giulio Marcon, portavoce della campagna Sbilanciamoci – Diversamente da quanto è accaduto in altri controvertici nel mondo. Invece di discutere veramente hanno invece preferito invitare Orban e ascoltare cosa avevano da dire dall’Azerbaigian dove si mettono in galera giornalisti e oppositori. Si vede che quando c’è di mezzo il petrolio non si guarda in faccia a nessuno».
Meloni, la grana Pnrr e la minestra riscaldata di un finto successo
In questi due giorni, anche online, l’Altra Cernobbio ha snocciolato la critica del capitalismo, all’agenda neoliberale. E ha discusso progetti sull’alleanza tra i movimenti della giustizia climatica e sociale. Due le proposte: la «contro-finanziaria» rispetto a quella del governo Meloni che sarà presentata a fine ottobre; la mobilitazione pacifista contro l’aumento della spesa militare chiesta a gran voce dai bellicisti di ogni colore. La campagna sarà lanciata il prossimo due ottobre. Sarà promossa da Sbilanciamoci, Rete disarmo, Greenpeace, dai promotori della marcia per la pace Perugia-Assisi.
Anche quest’anno il forum è diventato un appuntamento per la ripresa delle mobilitazioni della sinistra diffusa. A inizio ottobre ci sarà l’assemblea dei promotori del referendum sull’autonomia differenziata; il 7-8 novembre a Genova il forum sociale dell’abitare; le mobilitazioni contro i tagli all’università. Un invito alla convergenza delle lotte
Commenta (0 Commenti)Ensemble. 300.000 manifestano in tutta la Francia. «Dal Fronte all’Affronto repubblicano». 160.000 nelle strade di Parigi. Prossimo appuntamento il primo ottobre allo sciopero indetto dalla Cgt
La protesta a Place de la Nation ieri a Parigi - Ap
Centocinquanta manifestazioni in tutto il paese, da Nantes a Marsiglia passando per Parigi: dietro a La France Insoumise, la gauche ha manifestato ieri contro il «colpo di mano» di Macron contro la democrazia, come hanno denunciato gli organizzatori della prima giornata di mobilitazione di un autunno che si annuncia rovente.
L’appuntamento era stato lanciato giorni fa dalle più importanti organizzazioni studentesche francesi, vicine a Lfi, alle quali si erano poi unite i partiti del Nuovo Fronte Popolare (tranne il Partito socialista) e numerose associazioni del mondo della sinistra. Secondo gli organizzatori, circa 300.000 persone hanno manifestato in tutto il paese, 160.000 delle quali a Parigi.
Il governo è sotto il controllo democratico di tutti i francesi e di tutti i gruppi politici. Sono sotto l’occhio vigile di ogni francese
OVUNQUE, dal sud nizzardo alle strade della capitale, a tenere banco erano i medesimi slogan, un po’ contro l’inquilino dell’Eliseo, un po’ a denunciare le forzature istituzionali del medesimo: «Macron destitution» (ovvero la procedura d’impeachment intentata da Lfi contro il presidente della Repubblica), «Macron dimissione», «vendesi tessera elettorale – motivo: l’ho usata ma non serve», recitava, addirittura, un cartello nel corteo parigino.
La democrazia è stata presa in ostaggio. La sinistra vince le elezioni ma la destra governa, in totale continuità con la politica macronista
Nel frattempo, il primo ministro fresco di nomina Michel Barnier, membro del partito di destra dei Républicains, si è recato in visita a un ospedale a Parigi. «Bisogna ascoltare le persone, rispettarle, per agire con dovizia», ha detto, davanti ai microfoni dei media francesi. Poco prima, il presidente del Rassemblement National Jordan Bardella si era permesso di gongolare davanti alle telecamere: «Ormai, niente si può fare senza di noi», ha detto a proposito del governo Barnier, da lui definito «sotto sorveglianza» del Rn. «In politica, ora, niente si potrà svolgere contro di noi, senza l’approvazione del Rn,» secondo l’ex-candidato premier dell’estrema destra.
La più o meno tacita alleanza Le Pen-Macron, che ha escluso la sinistra dal governo nonostante la vittoria del Nfp alle legislative, era l’oggetto della rabbia dei manifestanti di ieri, nonché il contenuto del messaggio dei politici della gauche.
Non sta a Macron decidere, è l’Assemblée Nationale a doverlo fare, ed è per questo che non ci sarà né pausa né tregua
IN PIEDI SUL CAMION che apriva la manifestazione parigina, il leader insoumis Jean-Luc Mélenchon, con indosso una coccarda tricolore di memoria rivoluzionaria, ha avvertito il capo dello Stato di fare attenzione a questo sentimento di rabbia sollevato dalle proprie manovre per escludere la sinistra. «La democrazia è anche l’arte e l’umiltà di accettare la sconfitta, e voi avete perso», ha detto Mélenchon tra le ovazioni della folla. «Non sta a voi (Macron, ndr) decidere quale sia una soluzione stabile in democrazia, è l’Assemblée Nationale a dover decidere, ed è per questo che non ci sarà né pausa né tregua, ma sarà una lotta di lunga durata», ha proseguito il leader di Lfi, avvertendo l’inquilino dell’Eliseo che «se non ci sono più regole, si entra in un contesto nel quale conta la legge del più forte; ma in un paese, il più forte alla fine è sempre il suo popolo».
Abbiano l’impressione di essere stati calpestati, si è partiti dal Fronte Repubblicano per arrivare all’affronto Repubblicano
Una serie di testimonianze raccolte dall’Agence France-Presse testimoniavano del sentimento di diniego democratico provocato dalla nomina di Michel Barnier. «Penso in ogni caso che esprimere il proprio voto non serva a niente, fintanto che Macron è al potere», ha detto per esempio la 21enne Manon a Parigi all’Afp. Per il 20enne Abel – citato sempre dall’Afp – Barnier è «un vecchio elefante della politica che non ha nessun rapporto con le aspirazioni espresse dai francesi.» Alexandra, di 44anni, ha affermato invece all’Afp che «è una dittatura quella che si sta organizzando. Già da un po’ non siamo ascoltati quando scendiamo in strada, e ora non siamo ascoltati neanche quando votiamo».
TUTTI I LEADER della sinistra, o quasi, sono scesi in piazza ieri, cosa non scontata prima della nomina di Barnier. L’appuntamento era stato infatti chiamato inizialmente dagli Insoumis e accolto con una certa esitazione dagli alleati del Nfp. Alla fine, tuttavia, gli unici a nicchiare la piazza sono stati i socialisti; mentre gli Ecologisti e il Partito Comunista Francese sono scesi anch’essi in strada.
«La democrazia è stata presa in ostaggio», ha detto per esempio Ian Brossat, uno dei leader del Pcf, durante il corteo parigino. «È tutto assurdo, è la sinistra che vince le elezioni ma è la destra che governa», ha aggiunto rimarcando come «gli elettori abbiano chiesto un cambiamento, ma alla fine ci troviamo con un governo in totale continuità con la politica macronista degli ultimi sette anni».
Anche gli Ecologisti erano presenti un po’ ovunque, distribuendo dei segnalibri con l’effigie di Macron, sui quali era scritto un invito a «girare la pagina del macronismo». «Gli ecologisti hanno manifestato ovunque in Francia contro il colpo di mano di Macron», ha scritto il partito su X. Dal nord della Francia dove ha manifestato, la segretaria degli Ecologisti Marine Tondelier ha denunciato come si sia «partiti dal Fronte Repubblicano per arrivare all’Affronto Repubblicano».
Da oggi il primo ministro è sotto la nostra sorveglianza democratica, in politica adesso niente si potrà svolgere contro di noi
PERSINO dissidenti di Lfi come Clémentine Autain, che è uscita dal partito in polemica dopo le legislative, sono scesi in piazza – anche se fuori dalla capitale – «contro la presa in ostaggio della democrazia col beneplacito di Le Pen», ha scritto Autain sui suoi account social. Per tutti, insomma, si tratta del primo capitolo di una crisi che è ben lungi dall’essere conclusa – anzi, che incomincia appena. Il prossimo appuntamento è tra qualche settimana, il primo ottobre, allo sciopero inter-professionale indetto dalla Cgt
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